Eni (ENI) il cane a sei zampe (1 Viewer)

tontolina

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Remunerazione
La nuova remuneration policy prevede:
  • un dividendo annuale composto da un floor ‘dividend’ di 36 centesimi di euro commisurato a una media annua del Brent pari ad almeno 45 $/barile e una componente variabile per Brent superiori ai 45 $/barile.
  • la riattivazione di un piano di buy back da 400 milioni di euro annui per scenari Brent da 61 a 65 $/barile e da 800 milioni di euro annui per scenari superiori a 65 $/barile.

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In maggior dettaglio:
il floor dividend di 36 centesimi di euro crescerà in funzione del grado di realizzazione della strategia di Eni e sarà rivalutato ogni anno.
La componente variabile del dividendo è determinata in funzione della media Brent attesa per ciascun anno ed è calcolata come percentuale crescente, tra il 30% e il 45%, del free cash flow generato dallo scenario per prezzi Brent superiori ai 45 $/barile e fino a 60$/barile. La sensitivity del free cash flow incorporata nella remuneration policy è fissa e pari a 900 milioni di euro per ogni variazione di 5 $/barile del Brent.
Il dividendo base di 0,36 euro per azione sarà assicurato anche nel 2020 nonostante la previsione ad oggi di un Brent medio annuo di 40 $/barile, e sarà versato per 1/3 con l’acconto di settembre 2020 e 2/3 con il saldo di maggio 2021.
Dopo il 2020, in caso di uno scenario annuo Brent assunto inferiore a 45 $/barile, si valuteranno le azioni sul dividendo base in funzione dell’ampiezza della riduzione del prezzo e della sua durata prevista. Dal 2021 il dividendo base sarà pagato 50% come acconto e 50% come saldo, mentre la componente variabile sarà integralmente pagata insieme all’acconto.
La componente variabile sarà pagata ogni qual volta il prezzo annuale del Brent comunicato a luglio sarà superiore a 45 dollari, indipendentemente dalla crescita progressiva attualmente ipotizzata nel nostro scenario. Per maggiore chiarezza, nel caso in cui l’anno prossimo il Brent raggiunga i 60 $/barile, verrà pagata l’intera componente variabile di 0,34 euro per azione.
Se applicata allo scenario Brent adottato da Eni, e senza assumere per il momento alcun incremento del valore del dividendo base, la nuova politica di remunerazione comporta per cassa la distribuzione di un dividendo di 0,55, 0,47, 0,56 e 0,70 euro per azione negli anni dal 2020 al 2023.

Calendario dividendi: le prossime date
Il pagamento dell’acconto del dividendo 2020 sarà effettuato il 23 settembre 2020, con data di stacco il 21 settembre 2020 e record date il 22 settembre 2020.


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tontolina

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Prezzo del petrolio sui 40 dollari: per quanto ancora?

Secondo l’EIA, per la prima volta dalla metà del 2019 il livello globale di scorte di petrolio è inferiore a quello della domanda – ma già premono i risvolti di tensioni geopolitiche all’orizzonte

La domanda di greggio è destinata a scendere almeno fino al 2021: nella prima metà del 2020 la domanda si è aggirata sui 90 milioni di barili al giorno, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso erano stati oltre 100 - con forti conseguenze sul prezzo del petrolio. E l’offerta?
Usa: esportazioni in aumento nonostante stop per coronavirus
Secondo un report rilasciato dall’Energy Information Administration Usa, da febbraio a giugno l’offerta di petrolio greggio è scesa da 3,71 milioni di barili al giorno a 2,75 milioni – e, nonostante tutto, è rimasta più alta se confrontata con i primi sei mesi del 2019.
Gran parte di questo petrolio è finito in Cina, primo importatore al mondo di oro nero: nella prima metà del 2020, le esportazioni dagli Usa a Pechino sono addirittura aumentate, nonostante il calo dei consumi post-covid, fino a raggiungere 361 mila barili al giorno (nello stesso periodo del 2019 erano 213 mila).
Davanti alla Cina, sulla lista degli acquirenti di petrolio Usa c’è solo il Canada (389 mila barili al giorno), ma la strategia di Pechino è resto spiegata: la maggior parte dei massicci acquisti è avvenuta i concomitanza con i minimi storici raggiunti dal petrolio a cavallo tra marzo e aprile – in altra parole, comprare non è mai stato così conveniente.
Parallelamente, negli Usa sono diminuite le importazioni soprattutto dopo che, lo scorso aprile, l’Arabia Saudita ha iniziato a smerciale il greggio in eccesso prodotto in rappresaglia alla Russia, restia ad accettare la politica di ulteriori tagli all’estrazione di petrolio.
In una guerra al ribasso, le due potenze hanno iniziato a pompare petrolio a ritmi che hanno fatto sprofondare il prezzo del barile addirittura sotto lo zero (è successo al Wti), inondando il mercato di greggio per cui è stato difficile persino trovare lo spazio nei siti di stoccaggio.
Agli Usa ne sono toccati 516 mila barili al giorno, per un totale di sette petroliere e 14 milioni di barili di petrolio in viaggio verso le coste statunitensi ad aprile.
Quanto petrolio giace adesso sotto le mani degli Usa?
Il tutto si traduce in scorte sempre più numerose – che, di conseguenza, portano a un prezzo del petrolio sempre più basso. Stando ai dati settimanali dell’American Petroleum Institute, dal 31 marzo fino al 21 luglio, salvo oscillazioni puntuali, le scorte sono andate da un minimo di sette milioni di barili a oltre dieci milioni.
Solo durante l’estate la situazione è tornata a stabilizzarsi, fino al dato record di 9,52 milioni di barili in meno a metà settembre. Gli ultimi dati fanno presagire invece ombre all’orizzonte: i dati Api di ieri hanno rilevato un incremento pari a 691 mila barili. Sembra un incremento residuale (neanche raggiunge la soglia del milione), ma assume diverso significato se rapportato alle aspettative degli analisti, i quali si aspettavano scorte in calo di almeno quattro milioni.
Attesi oggi i dati dell’Eia, l’organo indipendente di monitoraggio delle scorte di greggio Usa. Ad ogni modo, secondo le stime dell’Eia per la prima volta dalla metà del 2019 il livello delle scorte globali di petrolio è inferiore a quello della domanda, grazie sia dalla politica di tagli alla produzione decretata dall’Opec+ a metà aprile, sia ai cali della produzione registrati anche altrove (inclusi gli Stati Uniti).
E il resto dei paesi produttori di petrolio?
Tra i membri dell’Opec+ non tutti però hanno aderito ai tagli alla produzione: non l’hanno fatto l’Iran, già vessato dalle sanzioni economiche imposte dagli Usa, il Venezuela e la Libia, alle prese con situazione politiche interne fonte di grande instabilità.
E proprio la Libia potrebbe essere la fonte da cui, a giorni, inizierà a zampillare parte del petrolio faticosamente contenuto in questi mesi. Da quanto, all’inizio di gennaio, le truppe del generale Khalifa Haftar hanno occupato i giacimenti petroliferi da cui estrae la National Oil Company libica, la produzione giornaliera si era ridotta ad appena 100 mila barili al giorno: una situazione ottimale, con il senno di poi, in vista di una crisi di over-supply.
Pochi giorni fa tuttavia Haftar ha annunciato di essere disposto a ritirare le proprie truppe dalle aree di estrazione occupate – e relativo embargo di greggio. Secondo la NOC, la produzione riuscirà a tornare sui 260 mila barili al giorno entro la prossima settimana. Una boccata d’ossigeno per l’economia libica, che conte per gran parte sui proventi in arrivo dall’estrazione di greggio; ma dai potenziali effetti ribassisti sul prezzo del petrolio, laddove la domanda globale difficilmente riuscirà ad assorbire le nuove entrate.
Come fare trading sul prezzo del petrolio?
Al momento, le quotazioni sul Wti viaggiano a 39,79 dollari la barile, mentre il Brent del mare del Nord viene scambiato per 41,79 dollari.
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Liliana Farello

By Liliana Farello
23 set 2020
IG presta servizi di “execution-only” ovve
 

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