I quattro di Visegrad minacciano la libertà di stampa (1 Viewer)

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Forumer storico
Gian Marco Moisé - 15 mag 2018

Settimane fa Reporter Senza Frontiere ha fatto uscire l’edizione 2018 del suo indice mondiale della libertà di stampa. Quest’anno colpisce la posizione dei quattro paesi Visegrád, che hanno tutti indistintamente peggiorato la loro posizione rispetto al 2017.

L’indice mondiale della libertà di stampa

Dal 2002, Reporter Senza Frontiere pubblica la classifica di 180 paesi basata sul grado di libertà di stampa. L’indicatore non misura la qualità del giornalismo dei paesi, ma ha l’obiettivo di accertare il pluralismo e l’indipendenza dei mass media, la qualità del quadro legislativo e la sicurezza dei giornalisti.

Il punteggio assegnato si basa sull’integrazione di un’analisi qualitativa fondata sulla diffusione di questionari tradotti in 20 lingue e distribuiti a giornalisti, avvocati ed esperti del settore dei mass media, con un’analisi quantitativa fondata sui dati degli abusi e delle violenze ai danni dei giornalisti nel periodo in esame. L’indice è poi completato con la redazione della mappa dell’indice di libertà della stampa e l’attribuzione di diverse varietà cromatiche ai paesi: bianco sta per una buona libertà, giallo abbastanza buona, arancione problematica, rosso cattiva e nero molto cattiva.

Nel 2018 i Balcani sembrano essere stati interessati da un generale miglioramento delle loro posizioni, fatta eccezione per la Serbia, che ha totalizzato 1,53 punti in meno rispetto al 2017 perdendo dieci posizioni nella classifica. Analogamente, i quattro paesi Visegrád sono stati accumunati da un deciso peggioramento: la Polonia ha perso quattro posizioni e 0,12 punti rispetto all’anno scorso; l’Ungheria ha perso due posizioni e 0,10 punti; la Repubblica Ceca ha perso undici posizioni e 4,18 punti; infine la Slovacchia ha perso 10 posizioni e 4,75 punti.

I dati Visegrád spiegati

Tra i valori più a rischio nel panorama giornalistico polacco c’è certamente il pluralismo informativo. Come riportato da Deutsche Welle, e confermato dall’indice mondiale di libertà della stampa, il governo di PiS ha stretto il controllo sulla televisione pubblica, facendo diventare il servizio informativo pubblico un sistema informativo “nazionale”. Questa tendenza a uniformare il pensiero giornalistico con quello governativo ha decretato licenziamenti di giornalisti ritenuti scomodi e un generale impoverimento dell’offerta informativa. Tra i casi più rilevanti spicca quello del giornalista investigativo Tomasz Piątek, che dopo aver criticato il legame del ministro della difesa polacco Antoni Macierewicz con i servizi di intelligence russi è stato denunciato dallo stesso ministro che ne ha chiesto l’arresto da parte dei magistrati polacchi.

In Ungheria nel corso del 2017, il partito di governo Fidesz, guidato dal primo ministro Viktor Orbán, è riuscito ad acquisire il controllo di un considerevole numero di media e a rimpiazzare le agenzie media estere che in passato hanno investito in quelle ungheresi. Fino a poche settimane fa sembrava che la situazione della stampa ungherese fosse destinata a caratterizzarsi in uno scontro tra i media vicini a Fidesz e il quotidiano Magyar Nemzet, posseduto da Lajos Simicska, che sembrava aver dedicato gli ultimi mesi a inchieste su casi di corruzione che coinvolgessero membri di Fidesz. Tuttavia, a pochi giorni dalla pesante vittoria di Fidesz alle elezioni, Magyar Nemzet ha chiuso, ufficialmente per “motivi finanziari”.

In Repubblica Ceca sta scomparendo il pluralismo informativo in favore di una concentrazione delle proprietà delle agenzie di stampa nelle mani di pochi oligarchi. Tra questi anche il capo del governo ceco Andrej Babis, proprietario dei quotidiani Lidove noviny e MF Dnes. Tra i responsabili ad aver contribuito a creare un clima teso con i giornalisti, invece, c’è il rieletto presidente della repubblica Miloš Zeman, che in un’intervista alla televisione Prima, aveva dichiarato che: “I giornalisti sono idioti, merda ed escrementi”. Ad MF Dnes, invece, disse che i giornalisti si dividono in “prostitute giornalistiche” e “idioti sicuri di sé”, mentre nel 2017, si presentò ad una conferenza stampa con un fucile AK-47 giocattolo con un’incisione che recitava: “per i giornalisti”.

La Slovacchia ha scoperto il suo problema con la libertà di stampa domenica 25 febbraio 2018, con l’uccisione del giornalista investigativo di Aktuality.sk Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová. Il giornalista slovacco era in procinto di pubblicare un lungo articolo sui legami tra esponenti della criminalità organizzata calabrese e uomini politici che lavorano giornalmente in stretto contatto coò premier Robert Fico. L’insorgere dell’opinione pubblica e le continue manifestazioni hanno esercitato pressioni sul governo tali da determinare le dimissioni del ministro dell’interno Robert Kaliňak prima, e quelle di Fico poi. Lo scorso 4 maggio, alla vigilia di quello che sarebbe dovuto essere il matrimonio di Ján Kuciak e Martina Kušnírová, 25.000 persone hanno manifestato di fronte alla sede della radio pubblica RTVS a Bratislava per lamentarsi delle condizioni dell’informazione pubblica.

Il bipensiero

Il trend di progressivo oscuramento dei pensieri dissonanti, o più semplicemente, l’annichilimento del pensiero critico, è in corso da diversi anni e risponde ad un progetto politico preciso, quello di democrazia illiberale. In una democrazia che punta a diventare pura conferma plebiscitaria non c’è spazio per libertà superflue quali quella di stampa. Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia che si sono rese protagoniste di sanguinose lotte per la liberazione da un regime totalitario, quello sovietico, il cui unico organo di stampa si chiamava “la verità”, oggi potrebbero fare proprie le parole di O’Brien in 1984: “Non possiamo tollerare che un pensiero sbagliato esista in una parte qualsiasi del mondo, per quanto innocuo e recondito possa essere. Non possiamo permettere alcuna deviazione, nemmeno in punto di morte”.

MITTELEUROPA: I quattro di Visegrad minacciano la libertà di stampa
 

risparmier

Forumer storico
Gian Marco Moisé 16 febbraio 2018

Per il secondo anno consecutivo, l’Ungheria si colloca in fondo alla classifica dell’Indice Sanitario Europeo del Consumatore (ECHI), a pari merito con Polonia, ma dietro ad Albania e Montenegro, stati che nonostante gli sforzi per entrare a farne parte, non sono ancora membri dell’Unione Europea.

L’Indice Sanitario Europeo del Consumatore (ECHI)

L’Indice Sanitario Europeo del Consumatore è un’analisi comparativa dei sistemi sanitari dei vari paesi europei dal punto di vista del consumatore, considerando tempi di attesa, accesso e qualità alle medicine e alle informazioni. La Centrale del Consumatore della Sanità (Health Consumer Powerhouse) è un think tank di origine svedese specializzato nel paragone delle prestazioni sanitarie dei diversi paesi. Visto dalla Commissione europea come il principale strumento di misurazione delle prestazioni sanitarie nazionali, ma inviso dal British Medical Journal che l’ha criticato per l’assegnazione eccessivamente arbitraria dei punteggi.

L’indice attribuisce un punteggio complessivo a ciascun paese in cui il minimo sono 333 punti e il massimo sono 1.000. Nel 2006, l’Ungheria aveva conseguito un punteggio di 600 punti, ma da quell’anno le prestazioni sono calate costantemente. L’anno scorso il paese aveva ottenuto 575 punti, undici in più rispetto a quelli assegnati alla Polonia.

L’Ungheria ha uno dei peggiori tassi di sopravvivenza di persone con tumore in tutta Europa, con un tasso di sopravvivenza per 5 anni poco al di sopra del 40% contro i 70% di Norvegia, Svizzera e Islanda. Lunghissimi i tempi di attesa per le TAC, il paese era in fondo alla classifica anche per la contrazione di infezioni in ospedale. Solo l’Albania ha superato l’Ungheria in fatto di “piccole donazioni” fatte a medici per l’ottenimento di cure più attente.
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UNGHERIA: Il sistema sanitario arrugginisce ma il problema sono i rifugiati
 

tontolina

Forumer storico
a me pare che il problema della libertà di opinione e di stampa sia un problema generalizzato in tutta europa

vedi la battaglia sulle fake news, intese come opinioni difformi al main stream, tacciate come disinformazione poputlista


mentre in realtà sono i poteri politici a spargere la fake in ogni dove [vedi Siria-Iraq-Afganistan-Libia-Grecia]
 

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