HO PASSATO UNA VITA A NON SENTIRMI ALL'ALTEZZA, ADESSO MI SDRAIO E VAFFA... (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
«Io viaggio con una bambina di 15 mesi e ho dovuto faticare persino per ottenere un po’ di acqua,
figuriamoci per recuperare il latte dalle valigie imbarcate».

A suo giudizio la scelta di non far sbarcare solo le persone provenienti da Lombardia e Veneto,
ma non quelle in arrivo dal resto d’Italia, è stata «assurda, visto che abbiamo viaggiato tutti chiusi nello stesso aereo per dieci ore».
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il Coronavirus colpisce anche la stellette.
Un soldato, residente a Cremona ma in esercizio a Milano, è stato sottoposto al test ed è risultato positivo al Covid-19.

"Era assente dal servizio già da mercoledì della settimana scorsa - fa sapere l'Esercito in una nota -
e si trovava nella propria abitazione quando ha avvertito l'insorgenza della sintomatologia che lo ha indotto ad avvisare il personale sanitario".

Non è ancora chiaro come il soldato abbia contratto il virus.
 

Val

Torniamo alla LIRA
"Se dobbiamo parlare in base ai dati relativi alla provincia di Hubei, in Cina, la letalità è del 3,8%,
lievemente salita rispetto all’inizio perché tiene conto dei decessi avvenuti successivamente."
 

Val

Torniamo alla LIRA
Lunedì i contagiati — compresi le vittime e i guariti — sono 224 (167 casi in Lombardia, 32 in Veneto, 16 in Emilia Romagna, 4 in Piemonte e 3 in Lazio)
 

Val

Torniamo alla LIRA
Di tutto e di più. E se fosse un atto di sabotaggio ?

Non fosse per il fatto che, comunque, quando si parla di salute e c’è in ballo quella di molte persone è meglio non divagare troppo;
questa vicenda del coronavirus comincia ad avere risvolti sociologici e comunicativi di grande interesse.

Sabato e domenica ci sono state le “prove” ma da lunedì inizia il vero coprifuoco,
in una delle zone più attive per produzione, commercio e terziario, non d’Italia ma d’Europa.

Vorremo ricordare che la Lombardia, da sola, produce un PIL superiore a quello di 3 Stati dell’UE
e che se ragioniamo a livello dell’intera area che potrebbe essere coinvolta (Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia) parliamo del 70% del PIL nazionale.


Da oggi inizia la serrata vera. Chiuse scuole e Università, chiusi moltissimi uffici, chiusi la maggior parte dei luoghi pubblici. Interdette le manifestazioni e gli eventi.

Da oggi si farà ancora più profondo il solco tra le due Italia:

quella dei “garantiti”, coloro che hanno un lavoro sicuro e vengono messi in automatico “in malattia” per questo periodo.
Se si ferma la produzione c’è già pronta per loro una cassa integrazione straordinaria.
Il governo promette aiuti alle grandi aziende, disinteressandosi ancora una volta dell’altra Italia:

quella immensa fascia di “non garantiti” che da domani rischia davvero di rimanere a terra.
Sono i liberi professionisti di ogni settore e di ogni livello, le piccole aziende che vivono dell’indotto,
i commercianti con i negozi chiusi o deserti, i lavoratori precari per i quali “smart work” non significa una breve vacanza, ma la fine di ogni rapporto.

Ieri è stato tutto un intrecciarsi di comunicazioni sgomente.

Da oggi si vedrà, intanto si ferma anche la Fashion Week: Giorgio Armani e Laura Biagiotti hanno deciso di annullare le sfilate
e se – come probabile – salterà anche un evento importante come il Salone del Mobile, per Milano
(alberghi, ristoranti, turismo, location, centinaia tra aziende e professionisti del settore eventi),
oltre che per gli operatori del mobile e del design (settori in cui l’Italia è leader), sarà un buco catastrofico.

Non solo mancato incasso ma, ad oggi, spese già in buona parte sostenute che andranno perse insieme a centinaia di posti di lavoro.

A ruota seguiranno tutti gli altri grandi appuntamenti fieristici a Milano, come a Verona, Vicenza, Bologna…? Vedremo.

Da ieri, come dicevamo, è tutto un fitto scambiarsi di messaggi.

Non ci sono notizie (di questo virus, di cosa “non” è stato fatto, di cosa si può fare… si sa pochissimo).

Però sembra prevalere in tutti un sano realismo. Non ho percepito allarmismi esagerati e, semmai, più per il lavoro a rischio che non per la salute.
Non pare esserci un “fuggi fuggi” dalla metropoli, anche perché questo strano virus sembra colpire a casaccio:
uno qui, uno là, in piccoli centri, senza neppure scoprire le fonti di contagio.

Certo stamattina i supermercati erano pieni, forse inutilmente svuotati di ogni ben di Dio.
Certo i centralini di Vigili e Comune sono bombardati, ma più per sapere cosa fare che non per chiedere aiuto.

Al momento, i pronto soccorso dei grandi ospedali (a Milano e dintorni ce ne sono una dozzina e tutti di primissimo livello) sono persino più liberi del solito.
La gente ha capito che è inutile, anzi rischioso andarci.

Vedremo da oggi ma la sensazione – per ora – è quella di una maggiore serietà, ancora una volta, nel popolo che non nella sua contraddittoria classe dirigente.

C’è poi il ruolo dell’informazione.

Ogni tanto qualche cronista giovane cui hanno insegnato i toni melodrammatici, cerca di enfatizzare… una via “deserta” fuori Codogno, alle 7 del mattino di domenica…

La Rai ha schierato l’immortale Luciano Onder per dirci che dobbiamo lavarci le mani…

Virologi, immunologi e altri medici (persino un dermatologo…) vanno a ruba… ma anche loro non sanno che dire.

Il miglior commento l’ho ascoltato da una pediatra di provincia che ha mandato un messaggio vocale a tutti i suoi pazienti che è presto diventato virale.
Semplice, chiaro, senza minimizzare, senza allarmare.

Di sicuro da oggi inizia una nuova vita, per la quale diventano fondamentali le infrastrutture telematiche.

Chi può – aziende o professionisti – continuerà a lavorare da casa cercando di mantenere contatti e di mandare avanti procedure.

Quanto potrà durare?

Questo è il quesito che tutti si pongono, insieme a un altro: possibile un tale focolaio solo in Italia?

In paesi, zone e situazioni dove di certo non mancano l’igiene e la prevenzione?

Possibile che la Francia sia esente?

Non parliamo dell’Africa per pietà.

Forse ci sarà qualche cosa da rivedere sulle metodologie di analisi..
Almeno ce lo auguriamo ma anche questo sarà possibile capirlo solo tra qualche giorno.

Per adesso sperimentiamo questo mini “the day after” e vediamo come si vive in isolamento.
 
Ultima modifica:

Val

Torniamo alla LIRA
....azz questo è vicino .....con l'età.......

Ore 20:20 - Rettifica sulla settima vittima italiana.
L'ultimo caso riguarda un uomo di 62 anni di Castiglione d'Adda, e non una donna:
aveva già importanti compromissioni a livello cardiaco e renale, ed era stato trasportato al Sant'Anna di Como dall'Ospedale di Lodi.

Nelle ultime ore le condizioni del paziente sono peggiorate tanto da trasferirlo in terapia intensiva.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Nell’anno del Signore 1347 l’Italia si trovò a far fronte all’epidemia di peste nera,
che nel giro di un anno si diffuse a tutto il paese, facendo morire circa un terzo della popolazione del tempo.

Nulla di comparabile al corona virus.

La peste ci mise 6 anni per diffondersi in tutta Europa.





Allora si trattava di un batterio, non di un virus, il bacillo Yersinia pestis, che si propagava tramite le punture delle pulci,
diffondendosi di ratto in ratto, ma anche di animale in animale e di uomo in uomo, con ratti, animali e uomini (e pulci) che viaggiavano insieme con le merci in tutta Europa.

In realtà la pandemia era arrivata dalla Cina, passando per l’Asia centrale.
Secondo alcuni studiosi, pare che si fosse originata ancora prima del 1320 nel regno di Pagan, nell’attuale Birmania.



Allora la “globalizzazione” esisteva già, ma viaggiava molto a rilento.
Per questo ci vollero molti anni per propagare la pandemia.

Oggi siamo nell’epoca della “globalizzazione accelerata”, che viaggia veloce, che riduce i tempi degli spostamenti a poche ore,
che moltiplica le occasioni di contatto fra persone che vivono molto distanti fra loro.

Sono molti anni che politici, giornalisti ed economisti decantano i grandi vantaggi della globalizzazione, senza mai mostrarci gli svantaggi ed i pericoli.

In questi giorni ci ritroviamo di fronte ad una pandemia che avanza a ritmi velocissimi, proprio a causa della rapidità e della frequenza di scambi e spostamenti di persone e di merci.
Tutto questo potrebbe causare un leggero aumento del tasso di mortalità fra la popolazione,
dato che la rapidità della diffusione è superiore ai tempi necessario per mettere a punto un vaccino contro il nuovo virus.

Ma, al di là delle conseguenze sanitarie e demografiche che in questo momento nessuno è in grado di valutare,
è evidente che vi saranno pesanti conseguenze economiche, in quanto vengono inceppati i meccanismi della produzione in un mercato globalizzato.

Negli ultimi anni il modello economico del libero scambio delle merci ha portato alla chiusura di moltissime attività produttive in Italia ed in Europa,
le quali sono state trasferite in paesi in cui i costi di produzione sono inferiori.
Questo perché l’unico parametro preso in conto dal sistema economico sono la minimizzazione dei costi di produzione e la massimizzazione del profitto.

Ora che la Cina blocca la produzione ed i commerci per motivi sanitari, ci si accorge di non avere alternative
alla produzione di componenti fondamentali per le attività manifatturiere a maggior valore aggiunto ancora presenti in Europa ed in Italia.

Senza i componenti la produzione si fermerà e resteremo senza la disponibilità di molti prodotti utili e magari indispensabili per la nostra vita quotidiana.

I pochi prodotti ancora disponibili aumenteranno di prezzo, diventando inaccessibili per la maggior parte della popolazione,
che già da anni ha dovuto fare i conti con la svalutazione salariale, sempre per “essere competitiva” con i mercati globalizzati.

Negli anni ’60 l’Italia aveva scambi con l’estero per circa il 10% del PIL ovvero produceva da sé il necessario per il 90% del PIL.

La maggior parte dell’economia era economia interna.

Oggi l’Italia scambia con l’estero quasi il 30% del PIL ovvero produce da sé solo per il 70% del PIL e dipende dall’estero per il 30% dei beni e servizi di cui abbiamo bisogno per vivere.

Eppure l’Italia avrebbe la possibilità di produrre quasi tutto da sé, in quanto abbiamo le competenze professionali per farlo.
Potremmo limitarci ad importare le materie prime che ci mancano ed alcune tecnologie che non siamo in grado di riprodurre il Italia.
Per il resto potremmo produrre tutto grazie alla capacità dei lavoratori in Italia.

Si potrebbe quindi certamente “ritornare indietro” agli anni ’60 e riprendere a produrre in Europa ed in Italia,
ma questo significa fare investimenti, significa ri-formare le competenze professionali.

Se anche riuscissimo a trovare il denaro per gli investimenti (cosa molto difficile in una Europa in preda all’isteria delle politiche di austerità),
ci vorrebbero comunque degli anni a rimettere in piedi un sistema produttivo adeguato a produrre quanto ci occorre per vivere, senza più dipendere dalle importazioni dalla Cina.

E questo facendo solo accenno al fatto che in Italia ed in Europa facciamo sempre meno figli, per cui disponiamo di sempre meno giovani lavoratori.
E per “fare” un giovane lavoratore ci vogliono minimo 20-25 anni, fra partorirlo, crescerlo e formarlo all’attività professionale.

Il fatto di riporre le proprie garanzie di benessere sulla capacità produttiva di altri paesi ci rende disarmati di fronte ad imprevisti cambiamenti
che potrebbero frenare quel sistema produttivo, sul quale non abbiamo alcuna forma di controllo.

Il modello non funziona male solo dal lato importazioni, ma anche dal lato esportazioni.

La Germania ha fondato da molti anni il suo successo economico sull’esportazione di merci in tutto il mondo.
Ora che la storia decide di porre un freno agli scambi economici internazionali, a motivo della pandemia o dei dazi di Trump,
il sistema produttivo tedesco non potrà che andare incontro ad un crollo, con relativo seguito di un aumento della disoccupazione.

E l’Italia negli ultimi anni, non potendo espandere la sua economia sul mercato interno a motivo delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea,
si è conformata alle logiche produttive e mercantili della Germania.

Le prospettive sono tragiche: aumento della disoccupazione, sia in Cina che in Europa (e in Italia),
aumento dei prezzi, indisponibilità di prodotti necessari e magari indispensabili.

Crollo del prodotto interno lordo, con conseguente impossibilità a fare fronte al pagamento dei debiti, pubblici, ma soprattutto privati.
Fallimenti di imprese, di banche. Difficile prevedere tutte le conseguenze su di un sistema economico che non è altro che un gigante dai piedi di argilla.

Il destino prossimo che ci attende è, quindi, tendenzialmente molto negativo.
Soprattutto se non sappiamo leggere i segni dei tempi e fare tesoro dell’esperienza, portando dei forti cambiamenti all’attuale sistema economico mondiale e, in particolare, italiano.

Nel XIV secolo la diffusione della peste nera, con il suo strascico di morti e di paura, ebbe un forte impatto culturale sulla società del tempo
e portò a mettere in discussione molti aspetti sociali del modo di vivere di allora.

Ritornando ad oggi, non si tratta di confondere gli aspetti sanitari con quelli economici, ma si tratta di ragionare più a fondo
sugli svantaggi di un modello economico e sociale che implica la necessità di produrre merci in luoghi molto distanti, che implica la necessità di fare molti viaggi, di avere molti interscambi.

Negli interscambi vi sono certamente degli aspetti positivi, ma non è saggio non tenere in conto gli aspetti negativi.

Potremmo ad esempio continuare a far viaggiare le conoscenze, cosa oggi relativamente semplice grazie all’impressionante evoluzione delle telecomunicazioni.
Ma potremmo senza troppi danni porre un forte freno agli scambi economici, puntando a produrre beni e servizi soprattutto nei luoghi dove devono essere consumati.

Mettere al centro delle nostre scelte economiche solo il business, senza tenere conto degli aspetti sociali,
ambientali e sanitari, alla fine non ci porta ad essere più ricchi, ma più poveri.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Fosse una persona con le palle, si dovrebbe solo dimettere.

Era il 4 febbraio, quando il presidente del consiglio Giuseppe Conte rispondeva così ai presidenti di Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige
che chiedevano la quarantena per gli studenti di qualsiasi nazionalità provenienti dalla Cina:

«Non ci sono i presupposti per allarme o panico. Chi ha ruoli politici, ha anche il dovere, la responsabilità di dare messaggi di tranquillità e serenità. La situazione è sotto controllo».

Parole che fanno sicuramente effetto, riascoltate a 20 giorni di distanza.
 

Val

Torniamo alla LIRA
A proposito di mascherine.

«Le mascherine da chirurgo non servono a nulla contro il coronavirus.
Ho visto molte persone usarle per strada o sui mezzi pubblici ma non ci proteggono.
Le uniche che andrebbero usate, e cambiate dopo averle indossate per una giornata, sono quelle con il marchio Ffp2 o Ffp3»

Questo è l'errore nel quale cadono queste persone che danno un'informazione errata.

Ieri trovo un amico medico ed esco sull'argomento.
Anche lui bla bla bla bla non servono allo scopo.

Gli chiedo. Ma scusa, qual'è allora lo scopo della mascherina ?
Perchè quando sei in sala operatoria la indossi ?

Più o meno, il succo è. La indosso perchè il mio vapor acqueo emesso anche solo con il respiro
non vada a colpire il paziente che sto operando.

Perfetto. Gli rispondo. Mettiamola così.

Io non metto la mascherina per difendermi. Metto la mascherina per difendere le altre persone che incontro.
Perchè io non so ancora di avere il virus, perchè non me l'hanno ancora diagnosticato,
ma se incontro e parlo con un'altra persona, potrei trasmettere il virus che ho a lui. Questa è la base del contagio.

Se tutti quelli che tornavano dalla Cina avessero avuto la mascherina, probabilmente il virus si sarebbe
propagato in misura inferiore. Probalbilmente.

Non ci crederete. Mi ha sorriso ed a cambiato discorso.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 112 del 20.02.2020, ha rigettato il ricorso proposto dalla Procura della Repubblica di Agrigento
avverso l’ordinanza del GIP di non convalida dell’arresto in flagranza eseguito dai militari della Guardia di Finanza del comandante della Sea Watch 3
Carola Rackete per i reati di cui agli artt. 1100 cod. nav. (resistenza o violenza contro nave da guerra) e 337 c.p. (resistenza a un pubblico ufficiale).

Per il primo reato, i giudici di Piazza Cavour, hanno ritenuto non sussistente l’elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice
poiché la motovedetta della Guardia di Finanza non è da considerare “nave da guerra” atteso che al suo comando vi era un Sottufficiale con i gradi di maresciallo e non un Ufficiale di Marina;

per il secondo reato è stata ritenuta sussistente la causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.)
nel caso specifico il dovere di prestare soccorso e salvare chiunque si trovi, per mare, in situazioni di pericolo.

A tal fine, la Corte Regolatrice ha richiamato il quadro normativo internazionale e le varie convenzioni internazionali che sanciscono
il dovere di prestare soccorso ai naufraghi e di portarli in un “luogo sicuro” ragion per cui la Rackete non aveva altra scelta
che quella di disobbedire agli ordini impartiti dalle autorità italiane che, vietando l’ingresso in porto della Sea Watch,
intendevano far rispettare le norme del decreto sicurezza bis e del Testo Unico in materia di contrasto all’immigrazione illegale.

La ricostruzione operata dalla Corte di Cassazione presta il fianco ad alcune critiche in virtù del fatto che le convenzioni internazionali richiamate nella sentenza
sono state concepite e si applicano nei confronti di unità navali impegnate in autentiche operazioni di soccorso in relazione a reali situazioni di pericolo

e non certo a imbarcazioni di ONG il cui scopo dichiarato è far sbarcare in Italia migranti irregolari con operazioni nelle quali tutte le attività poste in essere
sono prodromiche alla creazione di uno stato di necessità funzionale all’elusione delle normative nazionali di contrasto all’ingresso illegale nel territorio dello Stato.

E’ verità processuale risultante da diverse sentenze di legittimità (per tutte Cassazione, sentenza n. 41225/2019)
quella secondo la quale i trafficanti operanti in Libia che organizzano il trasporto via mare dei migranti a bordo di imbarcazioni prive di ogni sistema di sicurezza
creano deliberatamente situazioni di pericolo tali da obbligare il soccorso secondo quanto stabilito dalle convenzioni internazionali e, per questa via, intendono

“ strumentalizzare gli obblighi convenzionali al fine di realizzare, attraverso le operazioni di soccorso marittimo e il trasbordo dei passeggeri sulle imbarcazioni all’uopo utilizzate,
l’obiettivo perseguito fin dall’inizio, ovvero, appunto, il raggiungimento del territorio italiano”.


Nessuno può negare che la Sea Watch navigasse nella zona Sar di competenza libica alla ricerca di “naufraghi” soccorsi il 12 giugno
per poi fare rotta verso le acque territoriali italiane ed entrare il 26 giugno nel porto di Lampedusa
con il tentativo di speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza che intendeva impedire l’attracco al molo.

E’ di tutta evidenza che la permanenza in mare per ben 14 giorni, il mancato sbarco dei migranti nei più vicini porti libici, tunisini, maltesi o in porto olandese
(lo Stato di bandiera della Sea Watch), la pervicace ostinazione del comandante della nave ad approdare solo in Italia rifiutando soluzioni negoziate,
rappresentano circostanze univoche che consentono di escludere con ragionevole certezza la sussistenza di pericoli attuali e concreti
per la vita dei migranti e la configurabilità, nel caso di specie, dell’esimente dell’adempimento di un dovere.

Una riflessione deve essere fatta sulla manovra di accosto della Sea Watch con la motovedetta della Guardia di Finanza che cerca di frapporsi tra la nave della ONG e il molo.
I finanzieri a bordo hanno dichiarato che il comandante della nave ha manovrato con le eliche di prua non facendo nulla per evitare la motovedetta che si è dovuta allontanare in tutta fretta per evitare la distruzione.

Mi chiedo come mai la Procura di Agrigento non abbia contestato il tentato omicidio dal momento che dirigere una nave di oltre 600 tonnellate
contro una piccola motovedetta è da considerare atto idoneo diretto in modo non equivoco a commettere un delitto
che solo per un soffio non si è consumato grazie al disimpegno dei finanzieri.


In questo caso sarebbe stata ritenuta operante la causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere?

Vorrei tanto che gli ermellini rispondessero a questo interrogativo.
 

Users who are viewing this thread

Alto