Grasso si è girato dall'altra parte per fare carriera (1 Viewer)

tontolina

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Caso Gambirasio, Sempre più Da Brividi: Il Silenzio TOTALE dei Media sul Video Tarocco della Procura e dei Carbinieri

Di FunnyKing 9:59 | Questo è un doveroso aggiornamento sulla notizia su cui abbiamo scritto ieri (la trovate in fondo). Personalmente sto provando un enorme disagio, ieri mi sarei aspettato che l’ammissione in ...
3 novembre 2015 / 33 commenti / Leggi
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YARA: CANI MOLECOLARI E ARRESTO DI UN INNOCENTE PER PROTEGGERE I POTENTI
A BREMBATE SANNO DA 4 ANNI CHE YARA E' STATA UCCISA DENTRO GLI SPOGLIATOI DEL…
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YARA: CANI MOLECOLARI E ARRESTO DI UN INNOCENTE PER PROTEGGERE I POTENTI
A BREMBATE SANNO DA 4 ANNI CHE YARA E' STATA UCCISA DENTRO GLI SPOGLIATOI DEL…
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letizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti

“IL FOGLIO” MARTELLA SUL CASO YARA: “CHE UNA POSSIBILE FONTE DI PROVA, COME IL VIDEO DEL FURGONE DI BOSSETTI, SIA STATA MANOMESSA A USO E CONSUMO DELLA STAMPA, E' UN FATTO CHE NON PUÒ ESISTERE IN UNO STATO DI DIRITTO. CHE POI, AHINOI, È SEMPRE QUELLO DEL CASO TORTORA”

“Il processo contro Bossetti è in corso. Ma il processo mediatico contro di lui è già stato celebrato. Non è simpatico, Bossetti. Al pubblico piace "la prova schiacciante" con cui è stato individuato: un mega screening del Dna. Noi possiamo solo sperare che, se verrà condannato, lo sarà per prove certe: il solo Dna, al momento non sembra esserlo”…

la manipolazione del video su bossetti e' un fatto che non può esistere in uno stato di diritto - Cronache


Ma al processo è accaduta una cosa più grave, se osservata con il necessario rigore del garantismo. Il quotidiano Libero ha riportato un dialogo tra l' avvocato difensore e il comandante del Reparto investigazioni scientifiche (Ris) di Parma, Giampietro Lago, a proposito di un video divenuto famoso sui media, e a cui è stata data grande rilevanza "accusatoria", anzi "probatoria". Vi si vede il furgone bianco di Bossetti transitare in loop davanti alla palestra in cui Yara fu vista viva l' ultima volta.
Ebbene, Lago ha ammesso che quel video, diffuso con il logo dei Carabinieri, è falso. E' un fake, è un montaggio "concordato con la procura a fronte di pressanti e numerose richieste di chiarimenti della circostanza che era emersa". Insomma è una "prova", ma solo per il processo mediatico. Per chiarezza: il suddetto falso è già stato scartato come prova processuale. Bene così.

Ma che un gruppo investigativo specializzato delle Forze dell' ordine abbia anche solo potuto pensare di manomettere una possibile fonte di prova, e in modo "concordato con la procura", a uso e consumo della stampa, non può passare sotto silenzio. E' un fatto che non può esistere in uno stato di diritto. Che poi, ahinoi, più o meno è sempre quello del caso Tortora.
giampietro lago dei ris
furgone davanti la palestra di yara che non era di bossetti
 

tontolina

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YARA: CANI MOLECOLARI E ARRESTO DI UN INNOCENTE PER PROTEGGERE I POTENTI
A BREMBATE SANNO DA 4 ANNI CHE YARA E' STATA UCCISA DENTRO GLI SPOGLIATOI DEL…
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...e dopo aver scoperto che ill video del furgone è UN FAKE....ORA....




bomba sul caso yara: il dna della sua insegnante trovato sulla giacca, e' sangue
1. PROCESSO A BOSSETTI, NUOVO COLPO DI SCENA: SULLA GIACCA DI YARA C’È IL SANGUE DI UNA SUA AMICA? Giangavino Sulas per www.oggi.it
dagospia.com
quella pista che letizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti NON ha VOLUTO ACCETARE anche se gli indizi erano chiari


1. UNA NUOVA BOMBA SCUOTE IL CASO YARA: SULLA SUA GIACCA C'ERA ANCHE IL SANGUE DI SILVIA BRENA, L'INSEGNANTE DI GINNASTICA CHE AL PROCESSO HA DETTO DI ''NON RICORDARE''
2. L'AMMISSIONE VIENE DAL CAPITANO DEI RIS, INCALZATO DAI DIFENSORI DI BOSSETTI: ''ABBIAMO ESCLUSO CHE SI TRATTI DI SALIVA O ALTRO MATERIALE BIOLOGICO. È POSITIVA AL SANGUE''
3. NON SOLO: ''NON È UNA TRACCIA LASCIATA PER CONTATTO. È QUALCOSA DI PIÙ CORPOSO''
4. QUINDI PARECCHIO SANGUE. DELLA RAGAZZA CHE DUE MESI FA IN UDIENZA PER 15 VOLTE HA DETTO DI NON RICORDARE NIENTE DI QUEL FATALE POMERIGGIO: L'SMS MANDATO AL FRATELLO E POI CANCELLATO DA ENTRAMBI, IL PIANTO A CASA, LE AVANCES RICEVUTE IN PALESTRA
5. TUTTE LE TESTIMONIANZE DICONO CHE QUANDO È ENTRATA NEL CENTRO SPORTIVO, YARA NON AVEVA LA GIACCA, SILVIA NON RICORDA DI AVERLE PARLATO, E DICE DI ESSERE ANDATA IN UN ALTRO PIANO A FARE DEGLI ESERCIZI. MA ALLORA QUEL DNA DA DOVE ARRIVA? ''NON LO SO''




1. PROCESSO A BOSSETTI, NUOVO COLPO DI SCENA: SULLA GIACCA DI YARA C’È IL SANGUE DI UNA SUA AMICA?
Giangavino Sulas per www.oggi.it


Nuovo, ennesimo colpo di scena al processo contro Massimo Giuseppe Bossetti, imputato per il delitto di Yara Gambirasio. Dopo il clamoroso scivolone sul video-falso del furgone del muratore di Mapello, ora si scopre che sulla giacca della 13enne di Brembate ci sono delle macchie di sangue. Appartengono a Silvia Brena, una delle insegnanti di ginnastica di Yara
È SANGUE – Dodicesima udienza per l’omicidio di Yara Gambirasio ed ennesimo colpo di scena. La traccia genetica scoperta sul polsino del giaccone di Yara con il Dna di Silvia Brena, una delle insegnanti di ginnatisca della ragazza, non è di saliva o di altro materiale biologico.

«È positiva al sangue, abbiamo escluso che sia saliva o altro materiale biologico», ha rivelato, incalzato dalle domande dei difensori di Bossetti, il capitano Nicola Staiti, uno degli ufficiali del Ris di Parma che ha firmato la relazione su tutte le attività di indagine scientifica. E non può che essere una traccia lasciata nelle ultime ore di vita di Yara perché ha resistito molto bene a tre mesi di intemperie, pioggia e neve.

IL DNA – «Non era stata dilavata», ha aggiunto il capitano. «Aveva un profilo complesso. L’abbiamo trovata perché sul polsino del giaccone abbiamo notato alcuni aloni scuri. Così abbiamo scoperto che si trattava di una traccia genetica. Era il Dna della Brena».
Ma può essere una traccia lasciata per contatto?, ha chiesto l’avvocato Claudio Salvagni.
«Lo escluderei», ha risposto l’ufficiale, «È qualcosa di più corposo».
silvia gazzetti e massimo salvagni avvocati di massimo bossetti




“NON RICORDO” – Silvia Brena già era comparsa in aula come testimone e ad almeno dieci domande rispose: «Non ricordo». Adesso i difensori di Bossetti quasi certamente chiederanno che torni in aula a tentare di spiegare come mai sul giaccone di Yara ha lasciato una traccia di sangue. Prima di questo colpo di scena il capitano Staiti e il suo collega Fabiano Gentile avevano parlato a lungo del Dna di Bossetti scoperto sugli slip di Yara. Lo hanno definito un «profilo perfetto e completo», non c’è margine di errore, è il Dna di Massimo Bossetti.



2. SILVIA BRENA: ''NON MI RICORDO. NÉ I MESSAGGI CON MIO FRATELLO, NÉ QUELLO CHE DISSI IN QUEI GIORNI. NON RICORDO NULLA''


Dall'articolo di Luca Telese per ''Libero Quotidiano'' del 14 settembre 2015
http://www.dagospia.com/rubrica-29/...-amiche-yara-processo-silvia-brena-108541.htm

yara gambirasio
«Sa che cosa c’è? Non so cosa risponderle: non mi ricordo». Silvia Brena è bella. Ma Silvia Brena è terribilmente evasiva. Silvia Brena sorride e allarga le braccia, sul banco dei testimoni del Tribunale di Bergamo, e tutti i riflettori si stringono su di lei. Se in questo processo non fossero vietate le riprese televisive, oggi sarebbe già diventata una star dei programmi del pomeriggio. È la quindicesima volta consecutiva che Silvia ripete di non ricordare quello che lei stessa aveva testimoniato agli agenti. Gli avvocati Paolo Camporini e Claudio Salvagni la stanno sottoponendo a un quarto grado di quelli che nemmeno Perry Mason.

La domanda è una di quelle importanti: «Ricorda di essersi scambiata un messaggio con suo fratello, alle 18.35?». Risposta: «No». Domanda: «E ricorda di averlo cancellato subito dopo?». E lei: «No, non ricordo». Domanda: «Ma non è strano che sia lei che suo fratello abbiate entrambi cancellato solo quello?». Risposta: «Sì, forse. Ma se io non ricordo….». Le chiedono: «Ricorda di aver visto Yara, seduta in palestra?». «Se l’ho detto doveva essere così».

Ancora gli avvocati: «Ma si ricorda almeno di aver detto di aver ricevuto delle avances in palestra?». «No, non ricordo». Salvagni cela nei toni garbati uno moto di stizza: «Ma come può aver dimenticato? Le leggo la sua deposizione!». E allora lei: «Ah, sì, adesso che me lo dice, mi ricordo». Si ricorda di aver pianto, a casa, la sera della scomparsa, come ha raccontato suo padre?
«No, non ricordo. Ma se lui l’ha detto è possibile». È come un giallo, un mistero, ma anche come un film. È come un labirinto in cui si perde, come una lavagna cancellata. Le amiche di Yara, le sue compagne di palestra. Tutte carine, tutte sveglie, tutte capaci di esprimersi in un italiano compito, forbito, prive di qualsiasi inflessione dialettale.
Sono l’altra faccia di questo processo: nulla a che vedere con la bergamasca tribale, segreta, talvolta torbida, rivelata dall’inchiesta: sono perfette, si assomigliano, potrebbero essere uscite dal casting una serie americana, hanno i capelli giusti, gli occhi che brillano, un look acqua e sapone. Solo che c’è anche questo dettaglio: dicono tutte di non ricordarsi nulla.



Silvia Brena ha un sorriso solare, disarmante, che non corrisponde con l’espressione corrucciata del suo viso, a tratti terreo e pietrificato. Silvia in tribunale a Bergamo usa quel sorriso come un soldato spartano incastrato in una falange userebbe il suo scudo: per proteggersi. Silvia è una delle testimoni chiave che sfilano tra il pomeriggio e la sera della seconda giornata del processo per il delitto Yara.

Silvia è l’unica persona - oltre a Massimo Bossetti - che ha lasciato il suo Dna sui vestiti di Yara. Sulla manica del giaccone, per l’esattezza.

Tutte le testimonianze dicono che quando lei è entrata in palestra Yara non aveva la giacca, lei non ricorda di averle parlato, e dice di essere andata in un altro piano a fare degli esercizi. Ma allora quel Dna da dove arriva? «Non lo so».

È un processo strano, quello di Bergamo: la mattina di venerdì si faceva a pugni per entrare in aula, il recinto dei giornalisti era affollato, le parabole dei tiggì hanno fatto gli straordinari per coprire le testimonianze del padre e della madre. Ma quando dopo una maratona devastante iniziano a sfilare le amiche e le ex compagne di corso di Yara, a sentirle non c’è quasi più nessuno. Ecco Daniela Rossi, una delle maestre: «Quando la mamma di Yara mi chiamò la prima volta non mi sono preoccupata, pensavo che Yara si fosse fermata a salutare qualcuno».


Ecco una ex compagna, Ilaria Ravasio, due di loro sono ancora minorenni. Durante l’udienza la testimonianza della Brena diventa il pretesto per un corpo a corpo tra legali e presidente della corte degno di un capitolo di Grisham: «Signorina Brena, vorrei chiederle. Lei ha usato la macchina tornando a casa?». E la presidente: «Avvocato Salvagni, questa domanda non è attinente!». E il legale di Bossetti: «Mi oppongo, signor presidente: se non è attinente la testimonianza dell’istruttrice di Yara, che cosa lo è?». Risposta: «Allora faccia domande su Yara, non sul privato della teste». Mugugno: «Allora riformulo: Signorina Brena, dopo aver lasciato Yara, che mezzo ha usato per uscire…?».

yara gambirasio

E si continua così, con toni da legal thriller, ma con l’inesorabile consequenzialità di ogni mossa, come se si trattasse di una partita a scacchi. Avevo letto le testimonianze rese nel 2010 da Silvia e dalle altre ragazze. Ma fino a che non ho sentito il racconto della mamma di Yara, e fino a che non le ho viste in Aula, non avevo capito quanto potessero essere importanti. Intanto c’è un dato anagrafico: leggevi maestra, nei fascicoli, ma solo con il processo capisci che le «maestre» non erano donne fatte, ma ragazze di diciotto-venti anni, che imparavano dai grandi e insegnavano alle piccole. Oggi le amiche di Yara sono appena diventate maggiorenni, e hanno l’età che il giorno del delitto avevano le loro istruttrici: anche Yara oggi avrebbe diciotto anni.

Le prime e le seconde, e la media tra ieri e oggi è il punto medio di una generazione. Mi colpisce moltissimo anche la testimonianza di Martina Dolci. Ha diciotto anni, uno sguardo spaurito da cerbiatta. Martina in questo processo è un teste decisivo perché è lei che ha ricevuto l’ultimo messaggio di Yara, l’ultimo contatto in vita. La mattina mamma Maura Panarese, la signora Gambirasio aveva descritto il legame di ferro di queste tre amiche, che con regolarità sorprendente mangiavano insieme, andavano in palestra insieme, giocavano insieme, partecipavano alle gare insieme. L’avvocato Camporini chiede a Martina: «Ricorda di aver ricevuto il messaggio di Yara?».

E alllora anche lei allarga i suoi occhi stupiti da cerbiatta: «No, non ricordo». Mi chiedo: ma come è possibile? L’evento più grande e terribile della sua vita, dimenticato così? «Ricorda se Yara aveva degli amori, se parlava di ragazzi?». E lei: «Veramente noi parlavamo poco di cose private, solo di ginnastica». L’avvocato è incredulo: «Ma non eravate amiche per la pelle?». E lei: «I nostri rapporti dipendevano soprattutto dalla ginnastica».


È a questo punto del pomeriggio che mi chiedo: hanno solo paura o nascondono qualcosa? Anche Laura Capelli era stata una maestra di Yara, anche lei ha oggi venticinque anni. È lei che aveva avvisato Silvia Brena, quella sera. Anche Laura è carina, seria, scrupolosa. Ma a tratti anche lei non ricorda bene: «Capisce, è passato tanto tempo». Le chiedono: «Ricorda che il fratello della Brena frequentasse il centro?». Risposta: «No, assolutamente». Allora l'avvocato Camporini si spazientisce: «Ma come? Se nella testimonianza aveva detto che aveva lavorato al bar!».

E lei: «Ha ragione, avevo dimenticato».

La mattina, la signora Gambirasio aveva rivelato una circostanza incredibile: la tata di Yara, che le dava una mano a casa, e che nel tempo era diventata una delle sue migliori amiche, era la signora Aurora Zanni. Ma la signora Zanni era anche la moglie del cugino di Giuseppe Guerinoni, l’autista che nel 1969 aveva avuto una storia con Ester Arzuffi. Guerinoni è il padre naturale di Massimo Bossetti.


Fa un po’ di impressione scoprire che il figlio di Aurora, Damiano, all’epoca ventenne, fosse un habituè della casa dei Gambirasio. Il ragazzo nei giorni del delitto era nel Mato Grosso, ma frequentava un luogo cruciale di questo delitto, la discoteca «Sabbie mobili». Sarebbe sua la traccia di Dna da cui si è risaliti alla Arzuffi, e quindi a Bossetti. Anche Silvia Brena in aula ripete: «Frequentavo la discoteca Sabbie mobili».

Il corpo di Yara è stato ritrovato nel campo di Chignolo, esattamente di fronte alla discoteca.
Chiedono alla Brena, ancora una volta: «Si ricorda dove è stato ritrovato il corpo di Yara?».
La risposta, so che non ci crederete, è: «No, non mi ricordo».
Ho ascoltato con attenzione la mamma di Yara. Mentre parla Silvia ripenso alle sue parole. Sono rimasto stupito dal rigore della signora Maura, dalla sua meticolosità, dalla sua precisione.
 
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YARA: CANI MOLECOLARI E ARRESTO DI UN INNOCENTE PER PROTEGGERE I POTENTI
A BREMBATE SANNO DA 4 ANNI CHE YARA E' STATA UCCISA DENTRO GLI SPOGLIATOI DEL…
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1. COLPO DI SCENA AL PROCESSO YARA: IL DNA TROVATO SU UNO DEI CAPELLI INCASTRATI TRA IL GIUBBINO DI YARA E IL CAMPO DI CHIGNOLO COINCIDE CON QUELLO DI TALE ROSITA BRENA
2. HA LO STESSO COGNOME DI SILVIA, L’INSEGNANTE DI GINNASTICA IL CUI SANGUE E’ STATO TROVATO SUL CAPPOTTO DELLA 13ENNE UCCISA IL 26 NOVEMBRE 2010 A CHIGNOLO D’ISOLA
3. A PARTE I PM, NESSUNO SA CHI SIA QUESTA DONNA. È UNA PARENTE DELLA MAESTRA? DOVE ABITA? MISTERO ASSOLUTO. LA PROCURA LE HA DEDICATO, IN 60 MILA PAGINE, UNA SOLA RIGA
4. FINITA L’UDIENZA È SCATTATA LA CACCIA A ROSITA BRENA. CHI È? COME MAI HA AVUTO UN CONTATTO CON YARA? SARÀ INTERROGATA? PER IL MOMENTO SOLO BOCCHE CUCITE


colpo di scena al processo yara: scoperto di chi e' uno dei capelli trovati sul corpo di yara - Cronache
 

tontolina

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In Italia si tortura e il governo si dice pronto a risarcire due vittime

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Associazione AntigoneRoma, Italia



1 dic 2015 — Nel 2004 due detenuti vennero torturati nel carcere di Asti. Antigone si costituì parte civile in quel procedimento che, nei mesi scorsi è arrivato davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani che, il 23 novembre, ha dichiarato ammissibile il ricorso.
Lo stato italiano ha proposto una composizione amichevole di 45.000 euro per ciascuno dei due ricorrenti.

"Quella della Corte europea è una decisione di importanza enorme che riguarda la tortura in un carcere italiano. Il Governo ammette sostanzialmente le responsabilità e si rende disponibile a risarcire i due detenuti torturati ad Asti. Come aveva scritto a chiare lettere il giudice di Asti nella sentenza del 2012, si era trattato di un caso inequivocabile, e impunito, di tortura” – ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

Noi chiediamo al Governo di approvare subito una legge che punisca questo crimini contro l'umanità.

Il Caso di due detenuti torturati ad Asti nel 2004 davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani: il governo pronto a risarcire le vittime

IL CASO DI DUE DETENUTI TORTURATI AD ASTI NEL 2004 DAVANTI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI: IL GOVERNO PRONTO A RISARCIRE LE VITTIME Amnesty International Italia e Antigone hanno...

http://www.associazioneantigone.it


 

lorenzo63

Age quod Agis
1. COLPO DI SCENA AL PROCESSO YARA: IL DNA TROVATO SU UNO DEI CAPELLI INCASTRATI TRA IL GIUBBINO DI YARA E IL CAMPO DI CHIGNOLO COINCIDE CON QUELLO DI TALE ROSITA BRENA
2. HA LO STESSO COGNOME DI SILVIA, L’INSEGNANTE DI GINNASTICA IL CUI SANGUE E’ STATO TROVATO SUL CAPPOTTO DELLA 13ENNE UCCISA IL 26 NOVEMBRE 2010 A CHIGNOLO D’ISOLA
3. A PARTE I PM, NESSUNO SA CHI SIA QUESTA DONNA. È UNA PARENTE DELLA MAESTRA? DOVE ABITA? MISTERO ASSOLUTO. LA PROCURA LE HA DEDICATO, IN 60 MILA PAGINE, UNA SOLA RIGA
4. FINITA L’UDIENZA È SCATTATA LA CACCIA A ROSITA BRENA. CHI È? COME MAI HA AVUTO UN CONTATTO CON YARA? SARÀ INTERROGATA? PER IL MOMENTO SOLO BOCCHE CUCITE


colpo di scena al processo yara: scoperto di chi e' uno dei capelli trovati sul corpo di yara - Cronache

Non so come sia la cosa - Ma quello che è scandaloso è stata la fuga di notizie che ha messo al pubblico lubidrio faccende private che nulla avevano che vedere con il procedimento in atto quali i presunti amanti della moglie, la presunta relazione della madre e così via ...
 

tontolina

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Roma, agente nocs morì durante blitz Soffiantini ; rinviati a giudizio due colleghi: Stefano Miscali e Claudio Sorrentino

Secondo l'accusa depistarono le indagini sulla morte di Samuele Donatoni avvenuta nel '97 durante le operazioni per liberare l'imprenditore rapito
di FEDERICA ANGELI, GIUSEPPE SCARPA

Roma, agente nocs morì durante blitz Soffiantini: rinviati a giudizio due colleghi - Repubblica.it





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Samuele Donatoni (ansa) L’omicidio dell’agente speciale del nocs Samuele Donatoni è arrivato oggi a una svolta. Fu fuoco amico ad uccidere Donatoni durante il blitz, il 17 ottobre del 1997 a Riofreddo, per la liberazione dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini, sequestrato da carcerieri sardi. Ma questa verità fu taciuta per anni. Per quell’omicidio scontano il carcere in Sardegna coloro che lo sequestrarono, ma non furono loro ad uccidere il poliziotto.
Due teste di cuoio, con le mani ancora lorde del sangue del loro collega, decisero di fuggire dalle proprie responsabilità e di siglare un patto d’acciaio inventando una falsa dinamica dell’assalto. Samuele Donatoni, questa la “verità” sempre raccontata ai magistrati dai due uomini del reparto d’elite della polizia, è stato ucciso durante l’assalto per la liberazione dell’ostaggio da parte di uno dei sequestratori, Mario Moro.
Per la procura questa sarebbe una menzogna preconfezionata. Tanto che i pm Elisabetta Ceniccola ed Erminio Amelio hanno ottenuto il rinvio a giudizio dei due componenti del Nocs (Nucleo operativo centrale di sicurezza): Stefano Miscali e Claudio Sorrentino accusati dei reati che vanno dalla calunnia alla falsa testimonianza.
Fu da un’inchiesta sulle pagine di Repubblica che il caso, ormai seppellito, fu riaperto dalla Procura di Roma e così si è arrivati a un’altra verità giudiziaria. Quei due superpoliziotti mentirono ed è per questo che ora dovranno affrontare un nuovo processo, non come testimoni ma da imputati.

Sarebbe stato Miscali, per la procura, l’involontario killer del collega. Lo avrebbe ucciso sparando un colpo, per sbaglio, con la beretta d’ordinanza. Una reazione del poliziotto alla sventagliata di kalashnikov di Mario Moro, uno dei carcerieri di Soffiantini.
Moro, assieme agli altri banditi che avevano sequestrato l’imprenditore, avevano stabilito un incontro il 17 ottobre 1997 a Riofreddo per poter incassare il riscatto. Appuntamento al quale si presentarono le teste di cuoio che avevano pianificato l’imboscata per catturare i carcerieri e liberare Soffiantini.
Un assalto dei Nocs che andò in fumo quando Moro si accorse che c’era qualcuno nascosto nella boscaglia. Il sequestratore fece partire una raffica di AK47 a cui uno delle teste di cuoio, Stefano Miscali, rispose a colpi di beretta lasciando sul terreno il collega Donatoni.

L’omicidio colposo però, è un reato per il quale i pm non procederanno contro Miscali, dal momento che è prescritto. Diversa invece la calunnia per la quale la procura ha deciso di procedere: “Miscali incolpava falsamente gli stessi (i sequestratori ndr)” dell’omicidio di Dontaoni “sapendoli innocenti”. Questa la versione mendace, per i pm, più volte ripetuta da Stefano Miscali, sia in sede di indagine preliminare che successivamente a processo contro i tre banditi comunque responsabili del sequestro di Soffiantini ma accusati ingiustamente anche della morte di Donatoni.

Condotta simile tenuta anche da Claudio Sorrentino che in tutti i modi cercò di coprire davanti ai magistrati il collega sostenendo che durante il blitz, Miscali imbracciasse un fucile a pompa e non una beretta. Arma, quest’ultima, che si è rivelata essere quella da cui fu esploso il colpo fatale che uccise Samuele Donatoni. Il processo inizierà il prossimo 19 ottobre.
 

tontolina

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Tutti assolti perchè il fatto NON SUSSISTE ... eggià il sig. UVA è solo morto
e perchè il fatto NON costituisce reato .... insomma chi se ne frega se una persona è morta


Processo Uva, imputati tutti assolti. La rabbia dei parenti: "Maledetti"
Si è concluso con una totale assoluzione il processo di primo grado per la morte di Giuseppe Uva. Assolti tutti gli agenti di polizia e i carabinieri che erano a giudizio per la morte dell'operaio di 43 anni, deceduto in ospedale il 14 giugno del 2008, dopo essere stato portato nella caserma dei carabinieri di Varese e sottoposto a un Tso (trattamento sanitario obbligatorio). Dopo la lettura della sentenza, l'indignazione dei parenti di Giuseppe Uva: la figlia di Lucia Uva - sorella di Giuseppe - si è rivolta verso gli imputati augurando loro che la stessa cosa accada ai propri figli. "Maledetti e bastardi", ha urlato la donna.

(Video di Tiziano Scolari)
Processo Uva, imputati tutti assolti. La rabbia dei parenti: 'Maledetti'
 

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