Grasso si è girato dall'altra parte per fare carriera (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Attilio Manca, una morte senza giustizia. La madre Angela: "Riaprire le indagini"


Venerdì, 11 ottobre 2013 - 12:08:00
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Attilio Manca

di Lorenzo Lamperti
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@LorenzoLamperti

"Mio figlio operò Provenzano alla prostata e sapeva qualcosa che non doveva sapere. Per questo è stato ucciso".

La madre di Attilio Manca, Angela, racconta la sua verità sulla misteriosa morte del medico urologo in un'intervista ad Affaritaliani.it. La Procura di Viterbo ha archiviato il caso come un suicidio ma i dubbi sono tanti: "Il suo corpo era pieno di ecchimosi, i buchi sul braccio sinistro mentre lui era mancino. Sulle siringhe non c'erano sue impronte e sono state ritrovate con ancora sopra i tappi". La famiglia Manca si è rivolta anche all'Antimafia, "ma Grasso si è girato dall'altra parte. Ha preferito evitare un'inchiesta scomoda per fare carriera. Le istituzioni mi hanno delusa". E poi altri misteri: carabinieri trasferiti, telefonate sparite dai tabulati: "Ci fu la mano dei Servizi. D'altronde la latitanza di Provenzano fu protetta da pezzi dello Stato... Ora chiedo la riapertura delle indagini..."
ATTILIO MANCA è stato ritrovato cadavere il 12 febbraio 2004 nella sua abitazione di Viterbo. La causa della sua morte è stata inizialmente ritenuta un'overdose di eroina. Il caso è stato poi archiviato come suicidio. La madre di Attilio, Angela, e la sua intera famiglia non ha mai creduto alla versione ufficiale. Com'è stato accertato, nel 2003 Bernardo Provenzano si è recato a Marsiglia per operarsi alla prostata. Proprio in quel periodo Attilio si trovava a Marsiglia. Secondo la famiglia è stato lui a operare il boss mafioso, o comunque ad assistere all'intervento. In quel periodo era tra l'altro uno dei pochissimi urologi a saper effettuare un intervento con una tecnica diversa dal tradizionale "taglio". Le indagini della Procura di Viterbo sono state lacunose, tanto che nel 2006 le indagini sono state riaperte e nel 2008 è stato disposto un ulteriore supplemento d'indagine. Qualche settimana fa sono arrivate le archiviazioni per cinque dei sei indagati. La mafia sparisce dall'inchiesta, restano solo le accuse per una ragazza romana per cessione di stupefacenti. Nel 2012 si è costituita l'Anaam (Associazione Amici di Attilio Manca) che ha tra i suoi obiettivi quello di trovare finalmente la verità su una storia che pone inquietanti interrogativi sulla nostra storia recente. Angela Manca, paiono esserci varie prove che dimostrano il fatto che suo figlio Attilio non si sia suicidato ma sia stato ucciso. Come si spiega il fatto che finora la magistratura abbia sempre ritenuto il contrario?
Invece di indagare hanno preferito voltarsi dall’altra parte. Non voglio pensare che ci sia collusione, penso però che ci sia molta superficialità e magari incapacità nel trattare un caso di alta mafia. Forse non sapevano che cosa fare però ci sono troppe cose che non hanno fatto e che non hanno voluto fare volontariamente. Io non riesco a spiegarmi il loro comportamento, così come non riesce a spiegarselo il nostro legale Fabio Repici.
Intanto qualche settimana fa sono state archiviate le posizioni di cinque indagati. Resta una sola indagata per cessione di droga ma la mafia è scomparsa dalle indagini. Perché lei è così convinta che invece la morte di suo figlio abbia a che fare con Cosa Nostra?
Sì, la mafia è scomparsa del tutto. Mio figlio è stato ucciso il 12 febbraio e già il 15, il giorno dopo il funerale, ci siamo convinti che si trattasse di un omicidio. Abbiamo subito fatto una denuncia verso questi cinque personaggi barcellonesi che secondo noi avevano un atteggiamento sospetto. Queste persone non sono mai state interrogate. Uno di loro, Angelo Porcino, è stato anche condannato per estorsione ma nessuno gli ha mai fatto domande. Vergognosamente la polizia ci ha detto addirittura che non sapevano come trovarlo perché non possedevano un suo recapito telefonico. Peccato che Porcino gestisse una sala giochi, com’è possibile che non avesse né un cellulare né un telefono fisso?

Sul corpo di Attilio sono state riscontrate varie ecchimosi, in che modo sono state giustificate?

C’è un’incredibile incoerenza tra il referto che ha fatto il medico del 118 che ha trovato il cadavere di Attilio e l’autopsia della dottoressa Ranaletta, tra l’altro moglie del primario del primario del reparto di Urologia dell’ospedale Belcolle di Viterbo. Il medico del 118 ha riscontrato che il volto di Attilio era stato fortemente compresso sul letto, varie ecchimosi soprattutto su polsi e piedi e un lago di sangue sul pavimento. L’autopsia invece non ha riscontrato né ecchimosi e né compressione del volto nonostante le foto mostrassero chiaramente il setto nasale deviato.

Che cosa le hanno detto quando le hanno riferito della morte di suo figlio?

Mi è stato detto che si trattava di un aneurisma, quando poi due giorni dopo ho saputo dell’overdose. Il primario dell’ospedale ci ha preso in giro parlando di aneurisma. L’unico a sapere dal primo momento che si trattava di droga è stato il padre di Ugo Manca e questo mi sembra strano, molto strano.

Ci sono molti dubbi anche sulle siringhe che, secondo la procura di Viterbo, Attilio avrebbe usato per drogarsi…

Per prima cosa non si sono mai trovati i materiali occorrenti alla preparazione dell’eroina. Dopo le nostre insistenze è stato fatto, dopo 8 anni, un esame sulle siringhe. Esame che non rilevato nessuna impronta di Attilio. Senza contare che sono state ritrovate con sopra il tappo e i buchi erano sul braccio sinistro di Attilio. Cosa assurda visto che lui era mancino.

E dopo il risultato di questi esami non è cambiato nulla?

Non è cambiato nulla, sono rimasti sicuri della loro convinzione che si erano fatti sin dal primo istante. Poi c’è un’altra cosa molto strana: l’ultima telefonata tra me e Attilio, datata 11 febbraio, prima confermata dalla polizia e poi scomparsa dai tabulati. Non riuscivo a capire perché e soprattutto come sia potuta scomparire. Poi mi hanno spiegato che gli unici a poter far scomparire una telefonata dai tabulati sono i servizi segreti.

Pensa che nella morte di suo figlio siano coinvolti, insieme alla mafia, anche i servizi segreti o pezzi deviati dello Stato?

Trattandosi di Provenzano posso pensare qualunque cosa. Provenzano è stato protetto dallo Stato, da alcuni organi di polizia e dei servizi segreti deviati. Si è mosso liberamente dalla Sicilia a Marsiglia e poi nel Lazio per curarsi. È evidente che aveva una grossissima protezione.
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Attilio e Angela Manca

Crede che Attilio abbia parlato con qualcuno di qualcosa di cui non doveva parlare?
Sì, credo di sì. Dopo aver operato Provenzano a Marsiglia, o comunque aver assistito all’intervento, Attilio si è confidato nelle vacanze di Natale con un amico. Dopo una settimana dalla sua morte il papà del suo migliore amico ci ha detto: “Ma non è che vostro figlio ha visitato Provenzano?”. Il tutto quando ancora nessuno sapeva che Provenzano aveva un tumore alla prostata. Purtroppo Attilio è rimasto coinvolto in un gioco molto più grande di lui, quello della trattativa Stato-mafia.

Nel corso degli anni ha mai provato a contattare l’Antimafia?

Sì, abbiamo provato a contattare Piero Grasso, ma anche lui si è voltato dall’altra parte. Parlando con un giornalista ha riconosciuto la possibilità che Attilio possa essere stato ammazzato ma ha detto che lui non poteva fare indagini e che dovevamo portare noi le prove. Quando si tratta di Stato e mafia non indaga quasi mai nessuno.

Lei prima ha detto che i magistrati di Viterbo hanno fatto errori di inesperienza. Qui però stiamo parlando del presidente del Senato, ex procuratore Antimafia e magistrato di grandissima esperienza. Come si spiega la sua risposta?

Credo che Grasso sia una persona che vuole vivere quietamente. Lui sta facendo carriera e vuole andare avanti senza disturbare nessuno. Non ha voluto occuparsi di un’inchiesta scomoda che magari gli avrebbe creato dei fastidi. Magari ce lo ritroveremo tra qualche anno Presidente della Repubblica…
LO SPECIALE DI AFFARI
IL RETROSCENA/ Ipotizza doppia bomba e mano dei Servizi a Capaci. Rimosso il pm antimafia Donadio
L'INTERVISTA 1/ Da Moro a Falcone, dal Kgb alla Cia. Le verità di Imposimato sulle stragi
L'INTERVISTA 2/ Parla Amato, l'ex direttore del Dap: "Lo Stato ha ceduto alla mafia"
Perché lei e la sua famiglia avete deciso di affidare il caso ad Antonio Ingroia?

È nato tutto per caso. Ci siamo incontrati a un corteo in memoria di mio figlio e gli ho chiesto se ci poteva aiutare. Lui mi ha risposto che a breve sarebbe diventato avvocato e che ci avrebbe aiutato volentieri. Ingroia affiancherà Repici, che è bravissimo. Però Ingroia credo possa darci una grossa mano perché conosce bene i fatti legati alla trattativa e a Provenzano.

Però Ingroia nel giro di un anno e mezzo è passato da pm a Palermo a leader politico e ora ad avvocato. Crede davvero sia l’uomo giusto?

Credo proprio di sì. Però moltissimo che possano attaccarlo, distruggerlo e questo perché lo temono. Ingroia è una persona retta e onesta e mi auguro riesca a uscire bene da tutte le difficoltà. E difficoltà ce ne saranno perché di sicuro non gli daranno pace. Loro fanno così: delegittimano, isolano e trasferiscono. A Barcellona ogni volta che un capitano dei carabinieri si avvicinava a noi veniva trasferito.

A Barcellona è stato latitante anche Nitto Santapaola. Com’è il clima verso la vostra famiglia?

Una parte ci è ostile, perché noi continuiamo a parlare. Credono che noi infanghiamo la città perché cerchiamo la verità. Barcellona è al centro delle strategie di Cosa Nostra, ha avuto un ruolo anche nella strage di Capaci. Siamo guardati male perché abbiamo scoperto cose che dieci anni fa nessuno conosceva. E poi c’è un’altra parte che si fa i fatti suoi e non dice niente perché ha paura. Siamo molto isolati.

Qual è l’istituzione che più l’ha delusa e qual è invece quella della quale si fida di più?

Mi fido di alcune associazioni come quella di Don Ciotti, che ci è sempre stato vicino. Della politica sicuramente non mi fido. Alcuni politici si avvicinano per interesse poi magari si allontanano. Ho ricevuto grosse delusioni dalla politica. All’inizio mi ha aiutata Sonia Alfano, dico la verità, però poi è stata assorbita da altri impegni. La delusione più grande me l’ha data la città di Barcellona.

Pensa che potrà cambiare qualcosa e che la verità possa venire fuori?

Il nostro obiettivo è far riaprire le indagini e sono convinta che ci riusciremo.
 

tontolina

Forumer storico
lunedì 28 ottobre 2013

LETTERA APERTA DI UN CARABINIERE


È con grande emozione che pubblichiamo questa lettera aperta di un carabiniere che conosciamo, una lettera che ha voluto affidare a noi affinché altri, molti altri, la potessero leggere.
E perché il maggior numero di suoi e nostri fratelli, che hanno prestato e prestano Servizio nelle Forze dell’Ordine, sappiano di non essere soli a provare quel che provano in alcuni momenti del loro Servizio, quando sono portati a compiere cose che senza la divisa che indossano, da esseri umani liberi, non compirebbero mai.
Una lettera che è uno straziante grido di dolore, nato dalla volontà di ridare alla propria integrità e dignità di essere umano un volto presentabile di fronte ai propri cari.
Ognuno di noi in questa vita esiste se è sostenuto dall’amore di tutti gli altri, ne ha assoluta necessità come per l’aria che respira.
Pertanto la situazione di solitudine e disagio con sé stessi che prova chi si accorge che la causa per cui ha giurato alla sua entrata nelle Forze dell’Ordine è in realtà qualcosa di diverso da quanto credeva, è davvero drammatica.
I militari, e gli agenti di ogni Arma ricoprono il ruolo di cerniera sempre più sollecitata tra il potere e la popolazione che dal potere è governata.
E in questo tempo, in cui i miti cadono a velocità crescente per mostrare la realtà disonorevole nella quale il potere reale si muove ed agisce, il loro ruolo è quello più sotto pressione.
È infatti nei loro cuori di Esseri Umani che si gioca la partita più critica della Consapevolezza. Per questo è bene diffondere questa lettera facendola conoscere a coloro che, tra i nostri amici e conoscenti, vestono la divisa.
Se ciò che nel profondo essi già SANNO emergerà alla superficie della loro Coscienza, allora diventerà impossibile, da quel momento in poi, difendere, servire e supportare ciò che non merita di essere difeso, servito e supportato.
Ed è in quel momento che la Fratellanza cesserà di essere un concetto di vuota retorica per manifestarsi come realtà concreta di vita nuova, finalmente umana, per gli umani.
Jervé






Mi Vergogno

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Di essere stato comandato, ignorando i veri ordini
Di non aver sentito le grida di chi chiedeva Giustizia
Di non aver contribuito ad allentare il giogo
Di aver permesso ai Padroni di comandare
Di aver difeso gli Indifendibili
Di non aver dato voce a chi già non ne aveva
Di aver taciuto quando sarebbe stata ora di parlare
Di aver contribuito involontariamente ad opprimere gli oppressi
Di aver zittito quanto c’era da urlare
Di aver negato quanto c’era da affermare
Di non aver ascoltato quanto c’era da ascoltare
Di aver guardato in una unica e sola direzione
Di aver favorito anziché arrestare chi veramente lo meritava
Di essere rimasto in vigile attesa quando non v’era nulla per cui ne valesse la pena
Di non aver compreso quanto c’era da comprendere
Di non aver saputo piangere quanto chi mi stava di fronte
Di non aver ascoltato chi meritava di esserlo
Di aver fatto tacere chi già, non aveva voce
Di aver fatto gridare chi non ne aveva diritto
Di aver fatto rispettare regole che di fatti, non lo sono
Di aver sacrificato chi con Amore mi è affianco da una vita
Di aver detto sempre la verità, scoprendo che essa era solo una grande Bugia
Di tutto questo e di tanto altro mi VERGOGNO e chiedo PERDONO a Dio ed agli Uomini.
Ma soprattutto chiedo perdono ai miei Figli, perché il loro padre non sapeva quel che faceva.
Un Carabiniere
Un Padre
Opera di copertina: “Autorità” © Mauro Martoriati




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tontolina

Forumer storico
qui si fanno i nomi e si allegano immagini del colpevole

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Deve seguirmi in caserma per un controllo. Poi le violentava…

AuthorAndrea Mavilla
Published on11 dicembre 2013 Categories Abusi e Poteri
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Cari amici,
l’uomo che vedete in foto si chiama Massimo Gatto, Comandante dei Carabinieri di Parabiago, comune alle porte di Milano.
Il Comandante Gatto fermava le sue vittime con la scusa di un controllo, successivamente invitava le donne a seguirlo in Caserma per effettuare dei controlli più approfonditi.
Una volta accompagnate in Caserma, il Comandante Gatto le denudava con la scusa della perquisizione e subito dopo le violentava.
Il Comandante Gatto in questi anni aveva collezionato non una e nemmeno due denunce, bensì 15…. In 4 casi è stato assolto, ma dopo l’ennesima denuncia da parte di una giovane ragazza poco più che 18enne, il Comandante viene condannato per violenza sessuale, abuso di potere e concussione.
La prima denuncia fu fatta nel 2010, ma il Comandante Gatto fu sempre assolto. Anche questa mancanza da parte della magistratura è stata una costante che, fino ad oggi, ha permesso la reiterazione dei reati.
La domanda sorge spontanea:
Ma è mai possibile che in 3 anni di continue violenze, nessuno dei Militari presenti all’interno della Caserma di Parabiago, abbia sentito o visto qualcosa?
Anche perché chi vede e chi sa, ma non denuncia, ne diventa complice complice a tutti gli effetti.
Andrea Mavilla.

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tontolina

Forumer storico
MALARAZZA

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti?

Cristo me rispunne dalla croci:
?Forse si so spezzate li to brazza?
Cu vole la giustizia si la fazza!
Nisciun?ormai ?cchiù la farà pi ttia!

Si tu si ?n?uomo e nun si testa pazza,
ascolta bene sta sintenzia mia,
ca iu ?nchiudatu in cruce nun saria
s?avissi fattu ciò ca ricu a ttia?
ca iu ?nchiudatu in cruce nun saria!?

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti?
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti?
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti?
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti?

Domenico Modugno - Malarazza - YouTube
 

tontolina

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Marcello Lonzi, morto in carcere per “infarto”. Un ex detenuto: “Nelle celle lisce ora usano il ‘metodo Lonzi’”

Inserito da admin - 20 dicembre 2013


La sua storia la conoscono in pochi. Coloro che la conoscono la paragonano a quella di Giuseppe Uva o di Stefano Cucchi. E’ quella di Marcello Lonzi, morto nel carcere Le Sughere di Livorno l’11 luglio del 2003, a ad appena trent’anni.
Marcello era finito in carcere per tentato furto. Aveva quasi finito di scontare la sua pena:mancavano tre mesi alla sua scarcerazione. Eppure, quella libertà, lui la ritrovò. Morì lì, e la madre Maria lo scoprì solo il giorno dopo. Ci sono fotografie che suggeriscono un pestaggio in carcere -non adatte ad un pubblico sensibile, ma disponibili in Rete- ma tre diverse procure, nel corso degli anni, hanno archiviato il caso, smentendo la morte violenta. Per il medico legale, Marcello è morto per cause naturali, un infarto. Ed effettivamente anche il perito nominato dalla famiglia è dello stesso parere: ma cosa accadde, prima, nessuno lo sa.
Sul corpo di Marcello vennero dapprima rinvenute “un’unica frattura costale e tre lesioni occipitali, ma senza nessuna incidenza”. Poi, successivamente, un nuovo esame autoptico confutò quanto precedentemente detto: le costole rotte erano sette, e lo sterno fratturato. Per il consulente medico si trattò di conseguenze di un massaggio cardiaco. Eppure c’è ancora qualcosa che non torna: altre lesioni, tracce di vernice blu nella testa ferita, polso fratturato, mandibola rotta. Così spiega la madre, che cerca tutt’ora verità.
Inizialmente, un testimone, le disse che il figlio era caduto dal letto. Ora, un altro, un ex detenuto di Le Sughere, intervistato ai microfoni di Linea Gialla, spiega quanto sa al riguardo e ricorda l’esistenza delle “celle bianche”, stanze in cui i carcerati vengono massacrati di botte.
“C’era un detenuto accanto a me, chiedeva del dottore”, racconta l’uomo. “Una guardia fece: ‘Il dottore viene appena ha voglia’. Poi passa un’altra guardia, più giovane, che chiede: ‘Ma cosa vuole questo qui che urla, urla, urla’. Gli risposero: ‘Vuole il dottore’.
Questo qua, il poliziotto giovane, si girò verso il detenuto e disse: ‘Cosa vuoi che ti curiamo noi, come si è fatto al Lonzi?’. E io questo l’ho dichiarato al pm”.
“A Livorno esistono le cosiddette celle lisce”, ha poi proseguito il testimone. “Sono celle in cui non c’è né il letto né altro. Solo un materasso in terra. È lì dove ti menano. A me hanno spaccato i denti davanti solo per essere tornato con dieci minuti di ritardo da un permesso. Quando sei giù all’isolamento prendono il telefono e dicono: ‘Mi mandi la squadretta?’. Vengono in quattro, cinque, sei. E vengono con le tute mimetiche, gli scarponi, i manganelli, i sacchi pieni di sabbia. E te le danno anche con quelli. Perché all’esterno non vedi l’ematoma, con quelli”, ha concluso. FONTE www.articolotre.com
 

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