Gli oncologi si farebbero la chemio? (1 Viewer)

pb

Forumer attivo
Buongiorno,
da un paio di mesi a mio padre (81 anni) hanno riscontrato un tumore al fegato e pancreas e lo porto a fare una serie di chemio.

Capire che le chemioterapie sono un business non ci vuole molto, ma invece di portarlo all'ospedale cosa consigliate?


grazie



Dare un consiglio su una questione così delicata non è facile,posso dirti quello che farei se toccasse a me essere nella tua situazione.

Proverei a contattare Simoncini anche se ho delle riserve perchè ho visto tanti filmati su youtube ma statistiche zero,oppure associazioni che seguono questi malati con terapie alternative alla chemio.
 

tontolina

Forumer storico
Nel 1964 lo scienziato Raphael Mechoulan riuscì ad isolare il THC

ho trovato questo
[ame]http://www.youtube.com/watch?v=JgjifRoGiUI&feature=related[/ame]



Nel 1964 lo scienziato Raphael Mechoulan riuscì ad isolare il THC, il composto psicotropico della marijuana responsabile per il noto senso di euforia provato da chi la fuma, ma fino alla metà degli anni 80 come racconta lui stesso - nessuno era ancora riuscito a capire come facesse il THC ad interagire con il corpo umano. Fu solo con la scoperta dei cosiddetti endocannabinoidi che fu stabilita una diretta relazione fra la marijuana e gli effetti che provoca nel nostro corpo, grazie alla capacità di molti suoi composti di legarsi chimicamente ad una serie di ricettori presenti in molte delle nostre cellule, soprattutto nel cervello. (Ricettori G1 e G2, per gli esperti).

Gli endocannabinoidi sono una serie di composti chimici prodotti dal nostro organismo, con una vasta gamma di funzioni di primaria importanza, che replicano in modo assolutamente speculare i composti detti appunto cannabinoidi presenti nella pianta di cannabis. (Il resto del mistero viene spiegato dal video).

Questa apparente casualità, propostaci dalla natura, sembra celare la chiave di un rapporto millenario, ancestrale, ...

... fra la pianta e luomo, che potrebbe portare alla cura di una tale quantità di malattie da rendere del tutto inutile lindustria farmaceutica dalloggi al domani.

Questo non significa come vedremo in seguito che lindustria farmaceutica sia disposta a farsi da parte con particolare sollecitudine, anzi ...

Grazie a: http://www.luogocomune.net

http://giuseppecapparelli85.blogspot.com
 

tontolina

Forumer storico
c'è un farmaco che costa pochissimo: DCA

e per questo motivo la ricerca è ostacolata dalle case farmaceutiche

Tumori: farmaco in via sperimentale DCA L’importante è avere un titolo

appena ho avuto un po’ di tempo ho fatto qualche ricerca sull’argomento che ho riportato qui sotto.
cercando il termine italiano non ho trovato molto, cercando invece dichloroacetic acid ho trovato molte più informazioni in merito..
come già detto non esistono ricerche ufficiali sugli essere umani, il farmaco si è mostrato molto efficiente nel curare il tumore nei topi. Come dicevo nell’articolo prima esiste però qualcuno che ha provato a produrre il farmaco in proprio provandolo, a quanto pare queste persone hanno peggiorato in alcuni casi le proprie condizioni di salute.
inoltre il fatto che questo farmaco non sia coperto da brevetto non impedirebbe alle case farmaceutiche di farci dei soldi, anche se meno di quanti non ne farebbero con un farmaco coperto da brevetto (basti pensare a tutti i farmaci “generici” per cui è “scaduto” il brevetto)
Conclusione?
E un farmaco che va testato, e che va studiato.. Potrebbe in futuro portare ad una nuova classe di cure per il tumore, ci sono buone premesse.. Ma usarlo ora è prematuro e potenzialmente dannoso.
Se il mio precedente post (che lascio qui sotto per chi volesse leggerlo) ha alimentato false speranze mi scuso, non era mia intenzione.

Sono completamente off topic rispetto ai contenuti del blog ma, dopo aver letto che è stato scoperto un farmaco in grado di fermare la crescita di un tumore in meno di una settimana e di ridurne drasticamente la dimensione in qualche mese, voglio dar visibilità a questa notizia.
A questo farmaco serve dare visibilità perché non è stato brevettato e di conseguenza le case farmaceutiche non ci guadagnerebbero abbastanza a produrlo, la conseguenza è che il farmaco non è ancora stato approvato!
Il farmaco si chiama dicloroacetato o DCA, funziona riattivando i mitocondri (organelli per la respirazione cellulare) ed è stato testato sulle cavie da laboratorio con ottimi risultati. Test sull’uomo ufficiali non ve ne sono anche se esiste un personaggio che negli stati uniti ha acquistato tutto l’occorrente e si è messo a produrlo in casa vendendolo come farmaco veterinario (non può venderlo come farmaco perché non è ancora stato approvato).
Non è mia intenzione alimentare false speranze, ho letto questa notizia a voglio darle la meritata visibilità sul web.
ho trovato la notizia qui ( la rivista mi sembra affidabile, spero non si tratti di bufale ):
www.giornaletecnologico.it - 6 Aprile 2007 - Un farmaco anticancro che non piace
 

tontolina

Forumer storico
video
[ame=http://www.youtube.com/watch?v=KwEAA-6VeXI&feature=related]YouTube - Nuove scoperte sul cancro snobbate da Big Pharma. Corporation RuleZ sub ITA[/ame]
 

tontolina

Forumer storico
interessante video
nell'ultima parte ci sono i consigli del governo italiano ad un medico
[ame]http://www.youtube.com/watch?v=4TV5oM4z8jM&feature=related[/ame]
 

tontolina

Forumer storico
e dire che basterebbe un clistere al caffè
e una Sana alimentazione

tutto quel che le società farmeceutiche non vogliono.... come potrebbero lucrare altrimenti sulla sofferenza altrui?


[ame]http://www.youtube.com/watch?v=WcATVdzsT3M&feature=related[/ame]
 

mostromarino

Guest
L'INTERVISTA FRANCO CAVALLI
Cancro, vinceremo la sfida: o forse no

L'oncologia tra successi scientifici ed esplosione dei tumori nel Terzo mondo



Dott. Franco Cavalli, in medicina le co­se oggi cambiano a un ritmo rapidissimo, e la popolazione è subissata di informa­zioni: ha ancora senso scrivere un libro sul cancro, come ha fatto lei con La gran­de sfida ?
«È quel che mi sono chiesto io, per primo, quando mi è giunta - dall'editore Favre di Losanna - la proposta di fermare su carta le conoscenze che ho accumulato, duran­te la mia esperienza di oncologo. È vero che, rispetto a 40 anni fa, dei tumori si par­la molto, e molti tabù sono scomparsi: ep­pure, mi accorgo quotidianamente che molti, anche se colti e preparati, si dimo­strano confusi su questo argomento. Ecco perché, alla fine, ho deciso di dare un con­tributo: per provare a chiarire le idee».
Quale approccio ha scelto?
«Ho cercato di seguire il canovaccio che adotto nelle mie conferenze pubbliche, ri­spondendo alle domande più frequenti: cosa è il cancro, come è stato affrontato nella storia della medicina, quali sono gli ultimi sviluppi della ricerca, senza dimen­ticare uno sguardo alla situazione globa­le, alle questioni etiche e alle frequenti con­troversie sulle terapie “alternative”».
In uno dei passi più sorprendenti, e im­portanti, lei spiega che «Il cancro non è il cancro». In che senso?
«Siamo abituati a parlare di questa malat­tia come di un'entità unica, quando inve­ce - sotto questa definizione - è raggrup­pata un'infinità di patologie, spesso mol­to diverse tra loro. Si tratta di un tema da tenere ben presente, soprattutto quando i media - spesso amanti delle semplifica­zioni eccessive - ci dicono che siamo vici­ni a una soluzione. In realtà, non possia­mo aspettarci nulla di simile dal futuro, perché quel che dobbiamo cercare sono piuttosto molte soluzioni specifiche».
Questa consapevolezza può aiutare an­che chi si trova confrontato a una diagno­si di tumore?
«In molti casi, i pazienti sono spaventati perché - pensando al cancro come a un'en­tità unica - tendono a fare paragoni con al­tri casi, caratterizzati però da patologie completamente diverse. Il tumore al seno, ad esempio, oggi non è più un flagello co­me in passato, e presenta tassi di mortali­tà nettamente minori rispetto ad altre ma­lattie, meno “mediatizzate” e generalmen­te considerate più benigne».
Resta il fatto che, come lei spiega, il can­cro sta diventando la prima causa di mor­te nei Paesi sviluppati. Questa ascesa a cosa è dovuta?
«Le cause sono almeno due. Anzitutto, i “grandi killer” del passato - in particolare le infezioni, ma anche le malattie cardio­vascolari - sono oggi trattati molto più ef­ficacemente dalla medicina. In secondo luogo, sebbene le patologie tumorali si pre­sentino a ogni età, la loro frequenza è stret­tamente legata all'anzianità: ed è innega­bile che oggi, in Occidente, si viva netta­mente più a lungo che in passato».
Questa tendenza all'aumento è uguale per tutte le forme di cancro?
«Niente affatto. Ci sono alcune forme tu­morali in netto aumento, ma altre che so­no addirittura scomparse. È il caso delle malattie della pelle che colpivano gli spaz­zacamini, o del cancro allo stomaco, mol­to ridotto da quando la conservazione de­gli alimenti, grazie al frigorifero, è diven­tata più efficace».
Si tratta di tendenze legate ai fattori am­bientali?
«Non siamo in grado di fornire risposte de­finitive, su questo punto. Solo in pochi ca­si - come quello del fumo - è possibile sta­bilire una correlazione diretta tra compor­tamento individuale e insorgere della ma­lattia. In generale, potremmo spingerci a dire che - con un comportamento perfet­to, ossia evitando ogni inquinamento, mangiando bene ed evitando ogni com­portamento a rischio - sarebbe possibile evitare al massimo il 50% dei tumori».
E l'altra metà?

«È legata a diverse altre cause: ai geni, a certi virus non evitabili, a elementi anco­ra sconosciuti e - naturalmente - anche al caso. Non c'è modo quindi di essere del tutto al riparo da un evento del genere, tan­to più che all'origine della malattia c'è sem­pre un'interazione complessa di numero­si fattori. Il cancro ha infatti origine dal mal­funzionamento di una sola cellula, che rie­sce a sfuggire ai meccanismi di controllo del nostro corpo e dà origine a una proli­ferazione nefasta. E ciò può avvenire an­che per caso, per quanto ciò sia difficile da accettare, soprattutto per il paziente».
Questa risposta introduce il tema del rap­porto tra oncologo e ammalato.
«La nostra specialità implica un contatto prolungato e intenso con i pazienti, che a volte si protrae per anni, e implica la con­divisione di dubbi e paure esistenziali. Quel che cerco di insegnare, ai giovani medici, è che un approccio scientista “duro” non è possibile nella realtà quotidiana del no­stro mestiere; bisogna avere il coraggio di farsi carico - nel limite del possibile - dei problemi della persona che abbiamo da­vanti».
Si tratta quindi di combinare il rigore scientifico con l'empatia.
«A livello filosofico, l'oncologo è legato al da­to sperimentale come pochi altri medici. Nella pratica di tutti i giorni, invece, ha qua­le obiettivo il benessere del paziente, e que­sto lo obbliga a non perdere di vista la di­mensione umana. Questo significa anche accettare - quando in gioco non c'è più una guarigione, ma solo la qualità della vita - che il paziente possa anche far ricorso a tera­pie alternative, almeno a certune. Se voglia­mo tracciare un parallelo, questo tipo di me­diazione è la stessa che serve in politica».
A proposito di politica, lei ha argomen­tato - in contrasto con altri esponenti del­la ricerca di punta - a favore della possi­bilità, per il popolo, di esprimersi in vo­tazione anche su temi scientifici.
«Non si tratta di fare in modo che la mag­gioranza determini il contenuto degli espe­rimenti scientifici: questo è di esclusiva competenza degli specialisti, e ogni inge­renza sarebbe un'aberrazione. Tuttavia, la ricerca non avviene in una torre d'avorio: ha un preciso quadro di riferimento socia­le, etico e anche finanziario. La politica è chiamata a sostenere e finanziare la scien­za, perciò è giusto che i cittadini indichi­no la direzione di fondo che desiderano sia intrapresa. Voler agire diversamente, per il nostro settore, comporterebbe il ri­schio di perdere il consenso e il sostegno della popolazione».
Ha già provato la sensazione che la scien­za possa spingersi troppo in avanti?
«Sono convinto che sia impossibile met­tere dei limiti a quel che possiamo cono­scere. Da quando è apparso sul Pianeta, l'uomo ha mostrato una inestinguibile se­te di sapere: noi siamo fatti per porci delle domande. Quel che serve, piuttosto, sono limiti all'uso delle cose che impariamo. Mi pongo il problema, in particolare, per quanto riguarda la ricerca genetica: sono contrario a che questa branca della scien­za porti a dei “brevetti sulla vita”, che ne consentano lo sfruttamento economico. Purtroppo, come nel caso degli Organismi geneticamente modificati, una perversio­ne del genere è già in atto: e le ripercussio­ni economiche di questo fenomeno - ad esempio sugli agricoltori del Terzo mon­do - mi preoccupano molto più che non gli ipotetici rischi per la salute legati al con­sumo di OGM».
E allora, cosa dovremo fare?
«Bisognerà che siano stabiliti dei chiari confini, a livello di società. Ecco perché è un peccato, e un pericolo, che nel no­stro Parlamento federale - ne parlo per conoscenza diretta - ci siano pochissi­me persone ferrate in ambito scientifi­co. I miei colleghi ricercatori dovrebbe­ro tornare a “sporcarsi le mani”, e con­tribuire al dibattito, anziché snobbare la politica».
A proposito di dibattito politico, un tema spesso evocato è quello dell'eutanasia.
«Le polemiche attorno a questo argomen­to sono esemplari. A dettare i termini del­la discussione sono i pregiudizi, perché po­chi - quasi nessuno - sono al corrente di quanto accade ogni giorno negli ospedali. La mancanza di chiarezza della nostra leg­ge, oggi, produce situazioni - come quelle legate alla sedazione terminale dei pazien­ti, quando la dose di narcotico viene gra­dualmente aumentata, fino all'arresto del­le funzioni respiratorie - dove in certi casi, in assenza di un chiaro consenso del pa­ziente, potrebbe configurarsi a norma di Codice perlomeno il reato di omicidio col­poso. Purtroppo, per il momento abbiamo scelto di mettere la testa sotto la sabbia, per non affrontare seriamente il problema».
Il che, produce situazioni controverse co­me quelle delle organizzazioni per l'aiu­to al suicidio.
«Si tratta di fenomeni collaterali, che scom­parirebbero da sé non appena disciplinas­simo la materia: se il suicidio assistito di­ventasse un compito medico, Exit e Digni­tas non avrebbero più ragione di esistere, e sapremmo esattamente cosa accade ad ogni paziente».
Tornando ad allargare lo sguardo dalla Svizzera al mondo, lei ammonisce riguar­do a un «disastro annunciato» e tuttavia ignorato: l'esplosione dei tumori nel Sud del mondo.
«Per fortuna rispetto a quando ero presi­dente dell'Unione internazionale contro il cancro, nel 2005, la situazione sembra volgere verso una maggiore presa di co­scienza. L'ONU ha deciso di dedicare il suo prossimo summit, nel settembre del 2011, alle malattie non trasmissibili, con un'attenzione particolare al cancro. Ciò significa che, perlomeno, sarà possibile introdurre il problema nell'agenda della politica mondiale. È un passo necessario, poiché entro il 2050 - se continuiamo ai ritmi attuali - i quattro quinti dei decessi per cancro avverrà nei Paesi del Terzo mondo».
Veniamo quindi alla domanda «giorna­listica» per eccellenza. Lei ha intitolato il suo libro La grande sfida , perciò è lecito chiedersi: vinceremo, oppure no?
«La mia convinzione profonda è che la ri­sposta sia affermativa, dal punto di vista medico e scientifico. Vinceremo la sfida, perché negli ultimi 20 anni abbiamo im­parato sui tumori più che in tutto il resto della Storia. Purtroppo, è però altrettanto vero che - dal punto di vista globale - que­sta sfida la stiamo perdendo: e non solo perché nel Terzo mondo i casi di tumore esplodono. Anche nei Paesi ricchi, infatti, le spese sanitarie aumentano a un ritmo ormai insostenibile: le terapie all'avanguar­dia, brevettate e controllate dai monopoli farmaceutici, hanno costi esorbitanti e non più sopportabili dal sistema. Prendiamo il caso dei medicinali: nell'ultimo venten­nio, i prezzi di alcuni prodotti sono aumen­tati di 30-50 volte (!) senza una proporzio­nale crescita dei risultati terapeutici: a im­pennarsi sono soltanto gli utili netti delle aziende, che continuano a crescere del 15-20% l'anno, a dispetto di ogni crisi. Così non possiamo più andare avanti, è certo».
Quali speranze ci sono di vincere la sfida anche globalmente?
«Un primo passo potrebbe essere mosso proprio nel nostro Cantone. Grazie alla Scuola europea di oncologia - fondata da Umberto Veronesi, e della quale oggi diri­go il Comitato scientifico - abbiamo inten­zione di organizzare a Lugano, nel 2012, la prima edizione del WOF».
WOF?
« Il World oncology forum : l'obiettivo è di raccogliere i migliori esperti di tumori da tutto il mondo, e sottoporre loro una sem­plice domanda: “Come potremo vincere la sfida?”».
OLIVER BROGGINI





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Non esiste «il cancro»: questa definizione raggruppa patologie molto diverse tra loro




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L'oncologo è un uomo di scienza, ma non de­ve mai perdere di vista la dimensione umana




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L'intenzione è di orga­nizzare a Lugano, per la prima volta, un World oncology forum




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PIONIERE Il dott. Franco Cavalli ha diretto, dal 1978, il reparto di oncologia dell'ospe­dale San Giovanni di Bellinzona. Alla fine degli anni '90, ha fondato l'Istituto oncolo­gico della Svizzera italiana.
(Foto Crinari)




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tontolina

Forumer storico
video interessante di una conferenza tenuta dal dott.Mondini prtesidente dell'ARPG

che identifica la causa del cancro e l'efficacia delle vitamine
[a me questo ricorda il codex alimentarius che proibisce l'uso dellle vitamine considerandole pericolose..... per chi?... ovvio per le case farmaceutiche]


[ame]http://www.youtube.com/watch?v=1XU2xeq5oBo&list=ULUAGmEmbv520&playnext=4[/ame]
 

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