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Tutto o niente
14 Aprile 2016 Scritto da Piero Cammerinesi
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Che il potere usi la menzogna e l’inganno per conseguire i suoi scopi non è certo una novità. Ma che lo faccia premeditatamente e sistematicamente è qualcosa che la gran parte della gente si rifiuta di credere.


di Piero Cammerinesi

La propaganda è servita esattamente a questo; attraverso la scuola, la chiesa, i giornali e la televisione si è sapientemente instillato un dogma virale nei popoli: chi comanda è più capace di te e agisce per il tuo bene.

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Prendiamo ad esempio l’11 settembre.

Anche di fronte alle palesi incongruenze – spiegazioni scientificamente e tecnicamente insostenibili – della versione ufficiale la maggior parte dei benpensanti si rifiuta di credere che si sia trattato di un inside job.

Gran parte delle persone è convinta che il governo non sacrificherebbe mai migliaia di propri cittadini per delle finalità geopolitiche come quelle della programmata invasione di Afghanistan e Iraq e della creazione ad arte di una war on terror programmata a tavolino.

E ciò nonostante sia accaduto proprio questo innumerevoli volte nella storia mondiale in generale e americana in particolare.

Solo alcuni esempi:

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Nei libri di storia si parla di un attacco a sorpresa giapponese a Pearl Harbor con 2471 vittime americane.

Ma nel 2000 il lavoro di Robert B.Stinett, Il giorno dell’inganno, ha dimostrato, documenti alla mano, che il presidente Roosvelt sapeva perfettamente dell’attacco, che doveva servire a trascinare gli USA nel secondo conflitto mondiale.

Questa oggi è storia, non fantasie di complottisti.

Facciamo un passo indietro, torniamo alla prima guerra mondiale, ed esattamente al 7 Maggio 1915. Quel giorno venne affondato da un sommergibile tedesco il piroscafo americano Lusitania, evento – l’America non era ancora belligerante - che ancora una volta servì a trascinare gli USA nel conflitto. Nei libri di storia è sempre stato affermato che fu un attacco a sorpresa a una nave disarmata.

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Ma nel 1982, ed esattamente il 30 luglio, il governo inglese ha messo in guardia le imprese che intendevano scendere nel relitto del Lusitania, ammettendo che esso era pieno di materiale bellico inesploso.

Anche questa oggi è storia, non fantasie di complottisti.

Facciamo un salto più indietro nel tempo, esattamente nel 1898. Il 15 Febbraio di quell’anno avviene un’esplosione nella stiva del Maine, una nave da guerra USA che si trova al largo di Cuba. Gli Stati Uniti attribuiscono la responsabilità alla Spagna e gli dichiarano guerra, per poter sottrarre agli spagnoli i possedimenti d’oltremare, Portorico, Cuba e le Filippine.

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Ma nel 1976 una commissione d’inchiesta USA ha stabilito che la Spagna non aveva alcuna responsabilità nell’affondamento del Maine.

Anche questa oggi è storia, non fantasie di complottisti.

Parliamo di un’altra guerra in cui gli USA volevano entrare, quella del Vietnam.

Nei libri di storia leggiamo che il 2 e il 4 Agosto 1964 il cacciatorpediniere USS Maddox fu attaccato in acque internazionali da unità nordvietnamite, permettendo al presidente L.Johnson di entrare a pieno titolo in guerra.

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Ma nel 2010 la stessa NSA ammise che si trattò di un falso; in realtà furono le navi americane ad aprire il fuoco.

Anche questa oggi è storia, non fantasie di complottisti.

E ancora, tutti noi ricordiamo la provetta esibita da Colin Powell davanti alle telecamere come prova irrefutabile delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Fu il pretesto per aggredire l’Iraq, guerra che causò oltre un milione e mezzo di morti e l’instabilità di tutto il quadrante mediorientale.

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Ma oggi sappiamo per stessa ammissione di alcuni dei protagonisti che quella fu una menzogna che doveva servire a trascinare ancora una volta gli USA in una guerra di aggressione.

Anche questa oggi è storia, non fantasie di complottisti.

Potremmo tranquillamente estendere questo stesso discorso agli eventi italiani, dalla strategia della tensione ai misteri irrisolti che costellano la storia recente del nostro Paese, o a quelli di altri Paesi, ma penso che questi elementi possano bastare come prove delle menzogne e della intrinseca criminalità delle élite che hanno pianificato e realizzato tali inganni.

Pertanto se tutto questo è vero – e abbiamo visto che è vero – oggi sappiamo che il potere non solo mente sistematicamente al popolo ma, per propri fini occulti, massacra (o lascia massacrare) intenzionalmente – e impunemente - un gran numero di propri cittadini che hanno la sfortuna di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

Così, tra qualche decina di anni, non prima che tutti i protagonisti della vicenda delle Twin Towers saranno usciti di scena, da qualche parte verrà l’ammissione che tutta la storia dei dirottamenti e del crollo delle Torri non era altro che una false flag, come il Lusitania, la USS Maddox, il Maine, Pearl Harbor e via dicendo.

E questa è logica, non fantasie di complottisti.

Rifiutarsi di vedere questo, rifiutarsi di ammetterlo, equivale ad essere in minima parte corresponsabili di tali crimini.

E non solo da un punto di vista politico-sociale, ma anche spirituale.

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“Gli uomini, in un certo senso, hanno perso la buona volontà di guardare se ciò che esiste nella realtà affonda le sue radici nel vero. Ma ci si deve appropriare di questo sentimento per la verità nella vita quotidiana, altrimenti non lo si potrà portare con sé nella comprensione dei mondi spirituali.


In modo che vediate cosa intendo, vorrei farvi un esempio: sulle onde della civiltà presente galleggia non solo la mistificazione delle frasi fatte, ma la menzogna vera e propria. Si riversa nella vita – e, come menzogna, intacca la vita”. (R.Steiner, Riscatto dai poteri forti)

Non è un complottista qualunque a scrivere queste parole, ma Rudolf Steiner, che dichiara espressamente che la menzogna e l’inganno sono la regola da parte dei poteri forti.

Più volte nelle sue conferenze ha esortato i ricercatori spirituali a tenere gli occhi aperti di fonte agli inganni delle élite.

Parlando della prima guerra mondiale afferma espressamente: “Sono convinto che uno dei motivi principali per cui una tragedia come quella che accadeoggi può abbattersi sul mondo, sta nel chiudere gli occhi davanti a queste realtà e nel parlare di quello cheaccade su basi del tutto inadeguate. Infatti anche di fronte ad eventi così grandi ognuno dovrebbe iniziaredalla conoscenza di sé”. (ibid.)

Spesso infatti certe verità non vengono rifiutate – o semplicemente evitate – solo da parte di persone che non hanno voglia di approfondire le cose o sono troppo condizionate dalla propaganda mediatica, ma anche da chi, come ricercatore spirituale, avrebbe le capacità ed il dovere di utilizzare un pensiero libero per indagare gli eventi del mondo che gli sta intorno.

A questi ultimi si rivolge Steiner con queste parole: “E un frammento di conoscenza di sé è anche sapere che, nel momento in cui si dice:‘Cose simili non ci riguardano, vogliamo solo sentir parlare di fenomeni occulti’, in questo momento si rafforzano, anche se in piccolo, quelle forze che, articolandosi in tutte le loro diramazioni e assommandosi, portano a catastrofi come quella che viviamo oggi”. (ibid.)

Dunque anche il fatto di girare la testa, di guardare agli eventi del mondo esteriore con disdegno o malinteso senso di superiorità – io penso solo allo spirito, non mi interessano i fatti esteriori, la politica, la società – si rivela un atto di corresponsabilità con quanto di negativo accade intorno a noi.

Che fare dunque?

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Pensare a fondo la realtà che ci circonda – in modo spregiudicato e libero – è allora un dovere di ogni libero pensatore e di ogni ricercatore spirituale.

La ricerca della verità ‘occulta’, nascosta, non è un obiettivo da perseguire solo nei confronti del mondo spirituale, ma anche del mondo fisico in cui viviamo.

Ancora Steiner: Occulto, miei cari amici, non è solo ciò che riguarda i mondi superiori – inizialmente questi sono certo nascosti, occulti per tutti gli uomini. Ma per molti uomini è già occulto anche quello che avviene nel mondo fisico! E vogliamo augurarci che molto di ciò che è nascosto qui da noi diventi visibile! Che così tanti fatti rimangano nascosti a così tanta gente, costituisce una delle fonti della miseria in cui viviamo”. (ibid.)

Alla luce delle premesse e di queste linee-guida, è pertanto doveroso indagare con questo atteggiamento interiore anche gli eventi geopolitici più recenti.

Naturalmente il grado di disvelamento che riusciamo a realizzare è direttamente proporzionale al nostro livello evolutivo, all’impegno che profondiamo nella ricerca e alle nostre capacità di applicare il pensiero alla realtà.

Il disvelamento, poi, è per sua natura progressivo, il che significa che passare dall’essere vittime della manipolazione e della propaganda – come siamo tutti all’inizio del percorso – all’alétheia non è cosa che può avvenire d’un colpo.

Le illuminazioni sulla via di Damasco accadono, ma non sono poi così frequenti.

Ci vogliono spesso anni di studio e soprattutto una ferrea volontà d’indipendenza dalle verità dominanti, dal pensiero unico che domina incontrastato la vita della maggior parte delle persone, dalla culla alla tomba.

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Per questo motivo, anche se siamo giunti a livelli abbastanza avanzati di disvelamento degli eventi del mondo sensibile – tanto da farci chiamare complottisti dai nostri amici, che magari ci tolgono l’amicizia su Facebook o addirittura il saluto - abbiamo tuttavia la responsabilità di essere tolleranti nei confronti di chi ancora crede parzialmente alle verità dominanti.

Per farlo, un aiuto pratico: basta pensare a come eravamo noi stessi prima di iniziare questo percorso.

Un percorso che a volte abbiamo vissuto come una vera e propria discesa agli inferi, tanto è stato l’orrore che ci ha afferrato quando – dopo aver smantellato i dogmi del pensiero unico – abbiamo iniziato a renderci conto di “che lacrime grondi e di che sangue” il reale volto del potere.

Insomma, dobbiamo imparare a non pretendere dagli altri - come non l'abbiamo preteso da noi stessi - il ‘tutto o niente’.

È vero, a livello dei poteri forti la cospirazione, il complotto, non sono l’eccezione, bensì la regola e spesso chi li ridicolizza ne è complice, ma dobbiamo anche imparare a non fare di ogni erba un fascio, tacciando di correità con il sistema tutti coloro cui ancora non si sono disvelati alcuni scenari.

Creare e alimentare opposizioni all’interno di chi si sta destando dal sopore del neo-pensiero, fa il gioco delle Entità – occulte e manifeste – che vogliono l’asservimento e la rovina dell’uomo.

Ricordiamocene sempre.

Tutto o niente
 

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il problema e' che oggi cercano la guerra con russia e cina
hanno preso delle legnate nei denti con il vietnam cosa potebbe succedere con russia e cina?
 

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Profughi? Quanto è ipocrita Obama!

Dunque Barack Obama dà lezioni all’Europa ricordando che “il mondo non ha bisogno di muri” e invitandola ad aprire le porte agli immigrati. Il discorso è molto politically correct e perfettamente in linea con i desideri dell’establishment transnazionale, di cui peraltro lo stesso Obama è espressione. Nessuna sorpresa, ma, pronunciato dal presidente degli Stati Uniti suona piuttosto strano.

Se c’è un Paese che da diversi anni cerca di tener le porte ben chiuse e che frappone ogni forma di ostacolo burocratico alla libera circolazione delle persone, è proprio l’America, come sa chiunque cerchi di trasferirsi negli Stati Uniti.
Provate a chiedere la famosa green card. E’ come vincere alla lotteria.
E la green card viene concessa prevalentemente ai Paesi occidentali, figuriamoci se sei originario del Nord Africa!
L’Obama che si commuove per i rifugiati ed elogia la Merkel, collocandola “dalla parte giusta della storia”, si guarda bene dall’accogliere siriani, iracheni, afghani o libici. Quella gente in America non potrà mai arrivarci. Però è bene che sbarchi nell’Unione europea.

Non ci sarebbe dispiaciuto se, durante il suo periplo europeo, il presidente americano avesse riconosciuto, anche solo velatamente (non siamo così ingenui dall’immaginare una piena ammissione) che il dramma dei rifugiati non è dovuto a ineluttabili fatalità, bensì a ben programmate decisione militari e geostrategiche, volute, realizzate e imposte dai raffinati strateghi di Washington e sempre avallate dal Commander in Chief ovvero dapprima da Bush e poi dallo stesso Obama.

L’elenco è piuttosto lungo:
guerra in Afghanistan,
guerra in Irak,
guerra in Libia,
destabilizzazione tramite le finte primavere arabe di Egitto e Tunisia,
guerra civile in Siria con addestramento e finanziamento, talvolta diretti e talaltra indiretti, dei gentiluomini dell’Isis e affini.
Sono riusciti persino a sostenere quel che resta di Al Qaida.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: dolore, disperazione, morte, distruzione di città, di famiglie, di vite umane. Di civili che nulla chiedevano se non di vivere in pace. Vittime innocenti, vittime sacrificali di irrazionali e non comprensibili disegni di potere.


Questa crisi è Cosa loro; è Cosa dei nostri “amici” americani, che dall’11 settembre 2001 continuano a commettere errori su errori.
Loro sbagliano e noi dobbiamo pagarne il prezzo. Loro distruggono mezzo mondo ma non se ne pentono e pretendono di impartire lezioni di morale a noi europei, indicandoci cos’è giusto e cos’è sbagliato.
Con tutto il rispetto, ma questa è ipocrisia, President Obama, che solo un’Europa smidollata e servile può accettare senza nemmeno l’intenzione di una rimostranza.

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Profughi? Quanto è ipocrita Obama! – il Blog di Marcello Foa
 

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informazione di destra, notizie che non si possono leggere su repubblica:
senatore americano in visita a Damasco: “Il nostro governo appoggia i terroristi”
Siria, senatore americano in visita a Damasco: "Il nostro governo appoggia i terroristi"
Hitler era più umano

Siria, senatore americano in visita a Damasco: “Il nostro governo appoggia i terroristi”
Aggiunto da Eugenio Palazzini il 29 aprile 2016.
Damasco, 29 apr – Tutto si può dire tranne che al senatore repubblicano Richard Black manchi il coraggio. Ricevuto ieri a Damasco dal presidente siriano Assad non ha avuto alcuna remora nel condannare il proprio governo: “I terroristi che agiscono in Siria contro il legittimo governo di Bashar al-Assad e contro il popolo siriano sono sostenuti dagli Stati Uniti”, ha detto Black. “Questi terroristi – ha poi aggiunto il senatore Usa – oltre che dal nostro governo sono aiutati da Francia, Gran Bretagna, NATO, Unione Europea, e dagli stati del Golfo. Uomini armati di tutto punto che stanno distruggendo la civiltà. Nel loro desiderio di rovesciare quella laica nazione libera in Medio Oriente che è la Siria, hanno causato distruzione e devastazione. Sono orgoglioso di essere qui con Assad, sarò la voce del popolo e del governo siriano negli Stati Uniti”.
Parole pesantissime quelle di Black, che intervistato dall’agenzia di stampa Sana ha poi precisato come la crisi in Siria è stata progettata dai governi occidentali attraverso i propri servizi di intelligence. Il senatore repubblicano che nei giorni scorsi ha fatto visita a Palmira eHoms, si è poi recato nei campi profughi interni dove il governo siriano assiste gli sfollati dalle zone di guerra. Prima di essere ricevuto dal presidente Assad è stato inoltre ospite del Gran Muftì di Siria.
Incontri avvenuti proprio nei giorni in cui in una base in mano alle forze curde, a Rmelian nella provincia di Hasakah, zona nord-orientale della Siria, giungevano i primi 150 soldati delle forze speciali statunitensi. Ne arriveranno altri 100 nei prossimi giorni, stando a quanto dichiarato dalla Casa Bianca. A riguardo il governo siriano ha le idee chiare, si tratta di un deliberato “atto di aggressione” da parte degli Stati Uniti. Nonostante l’invio dei propri soldati deciso unilateralmente da Washington, è il governo americano ad avere le idee poco chiare. Proprio ieri il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Ashton Carter ha precisato: “I nostri soldati e le forze speciali in Iraq e Siria sono in combattimento, credo si debba dirlo chiaramente”. Carter ha di fatto contraddetto l’amministrazione Obama, che nei giorni scorsi aveva ammesso che i militari americani non sono impegnati in Siria nei combattimenti contro l’Isis. A questo punto viene da chiedersi: se i soldati Usa non sono al fianco di Assad e allo stesso tempo non combattono i terroristi, cosa ci fanno in Siria? Mentre 400 civili sono stati uccisi da lunedì ad Aleppo dalle bombe degli arsenali occidentali che riforniscono i terroristi “moderati”, il senatore Richard Black una risposta sembra averla.
Eugenio Palazzini


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Gli Usa vogliono sciogliere la Nato?
Pubblicato 26 aprile 2016 - 17.34 - Da Claudio Messora
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George Friedman è un analista geopolitico statunitense con un suo think-tank personale, definito dal New York Times un’”autorità in materia di intelligence tattica e strategica globale”. I lettori di Byoblu lo conoscono perché in questo post raccontai le sue parole, riferite alla politica estera degli Stati Uniti: ”La destabilizzazione è il vero scopo delle nostre azioni estere. Non instaurare una democrazia. Una volta destabilizzato un paese, dobbiamo dire ‘missione compiuta’ e tornarcene a casa”. Nello stesso discorso, Friedman ammetteva che dietro alle rivoluzioni colorate nate per contrastare la Russia (come quella arancione in Ucraina) c’erano gli USA, e che l’Unione Europea stessa era una creatura americana.

Il 16 aprile scorso, Friedman ha scritto un editoriale su “Mauldin Economics“, un sito di business intelligence, poi ripreso da Business Insider in Uk, occupandosi di NATO.
La tesi è la seguente: la NATO è nata come alleanza militare per contrastare la minaccia sovietica, ma l’Europa non ha mai investito nella costruzione di un’organizzazione militare adeguata. Il suo Prodotto Interno Lordo aggregato supera quello degli Stati Uniti, ma per la sua protezione si è sempre affidata al comando militare degli americani, sviluppando un sistema di “potere morbido” basato sulla diplomazia e sulle sanzioni. Oggi, quell’alleanza militare non ha più senso e gli USA non possono più sopperire all’inadeguatezza militare dell’Unione Europea, che non ha ancora sviluppato un’unica struttura di comando. Quindi la Nato andrebbe sciolta. L’articolo di Friedman segue le dichiarazioni del candidato alle presidenziali USA Trump, sulla stessa linea.

Simone Zanette ha tradotto per Byoblu l’articolo del Business Insider.

GEORGE FRIEDMAN: LA NATO È UN’ILLUSIONE
“L’affermazione di Donald Trump in base alla quale l’Europa non sta pagando la sua “giusta quota” e che lo scioglimento della NATO sarebbe auspicabile, è stata accolta con grande preoccupazione in Europa. La Russia ed il Medio Oriente rappresentano oggi serie minacce per la sicurezza del vecchio continente che, ad eccezione di una NATO in pieno stato confusionale, non è in grado di opporre una risposta militare integrata. La NATO è un’alleanza militare, ma l’Europa ha permesso che la sua capacità militare si indebolisse drammaticamente. Molti Stati Euopei vedono nella NATO il pilastro della loro sicurezza nazionale. In altre parole, dipendono dagli Stati uniti che sono l’unico membro NATO in possesso di una capacità militare capace di imporsi a livello mondiale. Oggi in Europa ci si preoccupa del fatto che gli Stati Uniti abbiano perso fiducia nella NATO e che questa, a sua volta, abbia perso il suo ruolo storico di garante delle sicurezze nazionali. Io penso che abbiano ragione e vi spiego il perché”. http://www.byoblu.com/post/2016/04/26/gli-usa-vogliono-sciogliere-la-nato.aspx#more-40488

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Prendiamo Obama. Mentre si prepara a lasciare l'ufficio, il servilismo è ricominciato. Lui è "cool". Uno dei presidenti più violenti, Obama ha dato il suo pieno appoggio all'apparato guerrafondaio del Pentagono del suo disonorato predecessore. Ha perseguito più informatori – svelatori di verità – di ogni altro presidente. Ha pronunciato Bradley (Chelsea) Manning colpevole prima che fosse processata. Attualmente, Obama svolge a livello mondiale una campagna senza precedenti di terrorismo e omicidio da drone.

Nel 2009, Obama promise di aiutare "a liberare il mondo dalle armi nucleari" ed è stato insignito del premio Nobel per la pace. Nessun presidente americano ha costruito più testate nucleari di Obama. Sta "modernizzando" l'arsenale da giorno del giudizio degli Stati Uniti, tra cui una nuova "mini" arma nucleare, le cui dimensioni e la cui tecnologia "intelligente", dice un importante generale, garantisce che il suo uso "non è più impensabile".

James Bradley, autore del best-seller “Flags of Our Fathers” e figlio di uno dei marines statunitensi che ha innalzato la bandiera su Iwo Jima, ha detto, "[Una] grande fola sta svolgendosi sotto i nostri occhi, quella che vede in Obama una specie di ragazzo pacifico che sta cercando di sbarazzarsi delle armi nucleari. Invece è il più grande guerriero nucleare che ci sia. Ci ha impegnato in una corsa rovinosa alla spesa di un trilione di dollari in più per le armi nucleari. In qualche modo, la gente vive in questa fantasia perché lui dà notizie vaghe nelle sue conferenze stampa, nei suoi discorsi e nelle sue simpatiche sedute fotografiche, e [fa pensare che] in qualche modo tutto ciò sia collegato alla politica reale. Non lo è".

Sotto Obama, è in corso una seconda guerra fredda. Il Presidente Russo è rappresentato come un cattivo da pantomima; i Cinesi non sono ancora tornati alla loro sinistra caricatura con le trecce – come quando tutti i cinesi furono banditi dagli Stati Uniti – ma i guerrieri mediatici ci stanno lavorando su.

Né Hillary Clinton né Bernie Sanders ne hanno mai parlato. Non vi è alcun rischio né pericolo per gli Stati Uniti e per tutti noi; per loro, il più grande assembramento militare ai confini della Russia dalla seconda guerra mondiale non è avvenuto. L'11 maggio, la Romania ha mostrato "una diretta" da una base Nato sulla "difesa missilistica", con missili americani puntati al cuore della Russia, la seconda potenza nucleare del mondo.

In Asia, il Pentagono sta inviando navi, aerei e forze speciali nelle Filippine per minacciare la Cina. Gli Stati Uniti già circondano la Cina con centinaia di basi militari che curvano ad arco dall'Australia all'Asia attraverso l'Afghanistan. Obama lo definisce “un perno".

Come diretta conseguenza, si riferisce che la Cina abbia cambiato la sua posizione politica sul nucleare da sola difesa a quello di massima allerta e messo in mare sottomarini nucleari. L'inasprimento sta accelerando.


Come Don Chisciotte - METTERE A TACERE L'AMERICA MENTRE SI PREPARA ALLA GUERRA
 

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Americani Talebani
02 Giugno 2016 Scritto da Piero Cammerinesi
Americani Talebani

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Daoud è molto contento della promozione appena ricevuta. Agente di polizia in un villaggio vicino Gardez, nella provincia di Paktia, Afghanistan sud-orientale, Mohammed Daoud Sharabuddin invita allora amici e parenti a casa sua per festeggiare.


di Piero Cammerinesi

Daoud – la cui etnia è Tagika, a differenza di quella Pashtun cui appartiene la maggioranza dei Talebani - ha una vera passione per gli americani, ha partecipato a molti loro corsi di addestramento e la sua casa è piena di fotografie che lo ritraggono insieme a militari USA. Un membro della sua famiglia è un procuratore del governo locale appoggiato dagli USA e un altro addirittura un dirigente della vicina Università.

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È il 12 Febbraio 2010 e una ventina di persone tra amici e famigliari di Daoud stanno facendo festa, con balli e canti, quando, verso le 3.30 di mattina, si sentono dei rumori all’esterno e Daoud, insieme a Sediqullah, il figlio quindicenne, escono fuori armati temendo un attacco da parte dei Talebani.

Da quel momento una festa di famiglia si trasforma in una mattanza.

I due vengono immediatamente abbattuti da colpi d’arma da fuoco.

Altre persone richiamate dagli spari escono di casa per vedere cosa sta succedendo, comprese due donne incinte che cercano di trattenere un familiare, Zahir, dall’uscire all’aperto. Tutti vengono subito colpiti; sette persone restano sul terreno morti o agonizzanti, tra cui tre donne.

Talebani?


No, forze speciali americane del JSOC (Joint Special Operations Command) agli ordini dell’Ammiraglio William McRaven.


Subito dopo gli americani irrompono in casa e separano donne e uomini, portando via questi ultimi legati e bendati, senza portare i feriti in ospedale nonostante le suppliche dei sopravvissuti.

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Poi, alcuni di loro, infilano dei coltelli nelle ferite delle donne incinte massacrate per rimuovere i proiettili, in modo da non far risultare la responsabilità della squadra di assalto.

Incatenato e incappucciato, Mohammed Sabir, ancora inzuppato del sangue dei suoi cari massacrati, è uno degli uomini trascinati via e caricati sugli elicotteri del JSOC.

Sabir viene separato dagli altri, non riceve cibo né acqua – neppure per togliersi di dosso il sangue dei suoi famigliari macellati - per tre giorni e tre notti.

Ripete all’infinito di fronte a interrogatori pressanti che lui non è un Talebano, che i Talebani sono suoi nemici, che lui combatte i Talebani, che i Talebani hanno rapito dei suoi cari.

“Gli interrogatori – ricorda Sabir - venivano condotti da persone con la barba corta e senza uniforme. Avevano scatti di violenza improvvisi. Io ripetevo loro la verità, vale a dire che non c’erano talebani nella nostra casa”.

Uno degli americani gli dice che avevano ricevuto da fonti d’intelligence la soffiata che un attentatore suicida si era nascosto in casa loro e che stava progettando un attentato.

Sabir gli risponde: “Se avessimo avuto un attentatore suicida tra noi, avremmo suonato e cantato in casa nostra? Quasi tutti gli ospiti di quella festa erano dipendenti del governo”.

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Quando Mohammed Sabir ritorna a casa, dopo essere stato imprigionato e interrogato dagli americani, è troppo tardi per assistere alla sepoltura della moglie e degli altri membri della famiglia trucidati.

Il raid non passa inosservato alla stampa di regime che rilancia la versione ufficiale secondo la quale un gruppo di eroiche forze speciali aveva avuto uno scontro con dei Talebani in un villaggio vicino Gardez.

Un comunicato dell’ISAF, forza NATO, aggiunge che, nel corso dell’eroica missione, era stata fatta una macabra scoperta. Secondo la NATO, infatti, i militari erano entrati in un compound vicino al villaggio di Khataba dopo che fonti d’intelligence avevano “confermato” che si trattava di un sito in cui erano stati individuati dei ribelli.

Mentre si avvicinava – così la versione NATO – la squadra era stata coinvolta in un “conflitto a fuoco” con “parecchi insorti”.

Eliminati i ribelli gli americani avevano trovato tre donne legate e imbavagliate e poi giustiziate all’interno del complesso. Le forze USA - così il comunicato stampa - avevano trovato le donne “nascoste in una stanza vicina”.

Questa versione dei fatti venne ripresa e diffusa, nei giorni successivi al raid, da tutti i media.

Un “alto funzionario militare americano” affermò alla CNN che i corpi portavano su di sé “le caratteristiche di un tradizionale delitto d'onore”.

Del massacro di Khataba – come di cento altri simili - si sarebbe saputo solo questo se due giornalisti coraggiosi - Jerome Starkey e Jeremy Scahill - non avessero voluto andare fino in fondo, raccogliendo elementi e intervistando i superstiti dell’orrore.

Le indagini di Jerome Starkey costrinsero ben presto la NATO a riconoscere che la storia del “delitto d’onore” e delle donne uccise “trovate legate e imbavagliate” era un falso, obbligando gli americani ad aprire un’inchiesta.

Jeremy Scahill amplificò ulteriormente lo scandalo con il suo libro - e relativo film - Dirty Wars (guerre sporche).




Da quel giorno di Febbraio sono trascorsi sei anni e solo oggi la commissione d’inchiesta del Dipartimento della Difesa ha concluso la sua indagine.

E il verdetto è – avevate qualche dubbio? - che “tutti i militari hanno seguito le regole d’ingaggio” e che quindi non c’è nessun colpevole, nessuno da punire.

Nonostante due bambini colpiti, due donne incinte crivellate di colpi e testimoni che raccontano che dei militari americani aprivano i loro corpi per estrarre i proiettili, gli inquirenti del Dipartimento della Difesa hanno concluso l’inchiesta affermando letteralmente – pur riconoscendo qualche “errore tattico” - che “la forza utilizzata era necessaria, proporzionale e applicata al momento opportuno”.

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Ci racconta Scahill, tornato sul luogo del massacro, che la famiglia delle vittime non può perdonare gli americani. Mesi dopo Hajji Sharabuddin, l’anziano della famiglia, che va a trovare a casa sua, gli dice: “Non accetto le loro scuse. Non scambierei i miei figli per tutto il regno degli Stati Uniti ... Dapprima credevamo che gli americani fossero amici degli afghani, ma ora sappiamo che gli americani sono terroristi come gli altri. Gli americani sono nostri nemici. Portano terrore e distruzione; non hanno solo distrutto la mia casa ma anche la mia famiglia”.

Aggiunge Mohammed Tahir, il padre di una delle donne massacrate: “Noi li chiamiamo ‘Americani Talebani’”.

Come dargli torto?
 

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