GERMANIA: la locomotiva tedesca rischia di travolgerci (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Svolta tedesca: sì alla garanzia unica dei depositi bancari
In un intervento sul Financial Times il ministro delle Finanze Scholz apre a uno schema condiviso per tutelare i conti correnti all’interno dell’Unione bancaria ma pone condizioni molto severe di revisione delle regole
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(EPA)
https://www.ilsole24ore.com/art/svolta-tedesca-si-garanzia-unica-depositi-bancari-ACqEJ3w

Olaf Scholz ha fatto «un passo per niente piccolo per un ministro delle Finanze tedesco» aprendo a uno schema comune per la garanzia dei depositi dei risparmiatori all’interno dell’Eurozona dopo anni di ostilità della Germania che hanno bloccato il completamento dell’unione bancaria. Nell’intervento sul Financial Times, Scholz ammette che il ruolo dell’Europa verrebbe messo a rischio se non riuscisse a completare l’integrazione del suo sistema finanziario.
L’UNIONE BANCARIA SECONDO OLAF SCHOLZ (di Domenico Caruso)



Riforma del MES e unione bancaria: due argomenti complementari legati da una sottile linea rossa, la stessa che fornisce una chiave di lettura dei recenti avvenimenti politici in Italia e che, al tempo stesso, evidenzia interessi, manovre, intrecci dannosi per il nostro Paese.

Nella sua recente visita in Italia, Pierre Moscovici ha affermato che la riforma del MES rappresenta un passo avanti verso l’unione bancaria da completare con la creazione della garanzia europea dei depositi da affiancare alla vigilanza unica e al meccanismo di risoluzione per gli istituti di credito in dissesto.

Anche Olaf Scholz ha “aperto” alla possibilità di creare un sistema comune per tutelare i risparmiatori che possiedono fino a 100.000 euro in una banca in fallimento e molti commentatori hanno parlato di un piccolo balzo per l’unione bancaria ma di un balzo gigantesco per un ministro delle Finanze tedesco dal momento che il governo Merkel ha sempre sostenuto di non voler assumere obblighi di garanzia in caso di dissesti bancari per non mettere a carico dei suoi contribuenti fallimenti derivanti da situazioni di rischio che non può controllare direttamente.

Poiché i ministri delle finanze tedeschi non sono scelti né per la loro duttilità né per un sincero spirito europeista è necessario fare molta attenzione alla proposta di Scholz che contiene molti caveat e non è affatto da intendere come una apertura a favore di un sistema di condivisione dei rischi a tutela dei risparmiatori, anzi!

La proposta prevede, infatti, l’intervento in prima battuta dei fondi di tutela nazionali e solo in caso di incapienza si potrà accedere ai fondi europei ma presi a prestito e questa è già di per sé una incongruenza dal momento che le risorse per rimborsare i depositanti (fino a 100.000 euro), dovrebbero essere erogate a fondo perduto e non a titolo di prestito.

Un altro punto della proposta di Scholz è la richiesta alle banche di ridurre i crediti deteriorati al di sotto del 5% dei crediti totali con regole più stringenti di quelle attuali che, però, implicherebbero una rapida svalutazione degli asset e la cessione sui mercati secondari dei crediti a prezzi irrisori con effetti negativi sui conti economici e sulle quotazioni delle banche più esposte con gli NPL.

Ma il punto più critico e inaccettabile della proposta di Scholz è quello che prevede l’introduzione di requisiti di capitale per compensare l’eccessiva esposizione delle banche sui titoli del debito sovrano, attualmente considerati a rischio zero, dal momento che le regole di Basilea impongono alle banche requisiti patrimoniali ponderati in base al rischio delle operazioni ma non per gli acquisti di titoli di Stato.

Se si introducessero ulteriori obblighi di rafforzamento del patrimonio in relazione allo stock di titoli di Stato posseduti e al rating dell’emittente, le banche italiane sarebbero molto danneggiate dal momento che, possedendo circa 400 miliardi di euro in BTP, l’aumento del fabbisogno di capitale può essere stimato nell’ordine di quasi 6 miliardi di euro che determinerebbe un ulteriore svantaggio competitivo per le nostre banche a favore delle banche nord europee e tedesche in particolare che ancora oggi, nonostante gli accordi di Basilea, utilizzano per la determinazione dei coefficienti patrimoniali modelli interni meno severi delle regole standard utilizzate dagli istituti di credito italiani.

La proposta di Scholz è da rispedire al mittente poichè ispirata dalla convinzione che l’esposizione sul fronte del debito sovrano costituisca un fattore di indebolimento per le banche che sarebbero così esposte ad un rischio sistemico fatale per la costruzione eurocratica.

Il successore di Schauble non arriva a comprendere che qualora fosse accolta la sua proposta ed in caso di crisi dello spread innescata dalla speculazione le stesse banche verrebbero travolte dalla necessità di reperire capitali per far fronte alla svalutazione dei titoli e per compensare l’ulteriore aumento dei rischi.

Da buon ministro delle finanze tedesco, privo di duttilità, Scholz focalizza la propria attenzione sulla riduzione dei rischi altrui (Italia in primis) ma non dei propri: Deutsche Bank e Commerzbank sono in agonia e altre banche tedesche sono state salvate grazie ad interventi pubblici sempre negati alle banche italiane.

Da governatore del Lander di Amburgo, Olaf Scholz ha sprecato 20 miliardi di euro nel tentativo fallito di salvare HSH Nordbank entrata in crisi a causa di crediti deteriorati concessi per finanziare l’acquisto di navi portacontainer e per fare del porto di Amburgo il polo più importante dello shipping navale.

Diceva De Andrè che la gente dà buoni consigli quando non può dare il cattivo esempio. Olaf Scholz, dopo aver dato il cattivo esempio ora si mette a dare pessimi consigli. E’ la persona meno indicata per fare proposte in materia di banche!
 

tontolina

Forumer storico
LA GERMANIA SI AVVIA AD UNA RAPIDA DECADENZA INDUSTRIALE.

Se non ci stacchiamo la seguiremo presto


La Welt ha riportato una notizia non proprio positiva per l’economia tedesca, non tanto per il fatto in sé, ma come elemento indicatore di una regressione economica che inizia ad essere preoccupante.

La capitalizzazione di tutte le aziende tedesche quotate in borsa è inferiore a quella dei soli due colossi americani Apple e Microsoft, come si può vedere in questa successiva immagine. Basterebbe far notare che Tesla, il pioniere americano dell’auto elettrica ora vale 78 miliardi di dollari, quasi 20 miliardi in più di Daimler e circa 25 miliardi in più di BMW. E il divario con la Volkswagen si è ridotto a ben $ 20 miliardi. Un anno fa il vantaggio del Wolfsburg era di $ 30 miliardi.


Le aziende tedesche sono fuori dalle prime 50, con l’eccezione di SAP, che ancora rimane fra i top. La borsa non misura il valore attuale di un’azienda, ma cerca di darne una valutazione prospettica, legata al futuro, e questo non appare quindi per nulla roseo per le aziende tedesche. Del resto, con l’eccezione parziale di SAP, sono molto lontane dalle nuove tecnologie che attualmente sembrano le più promettenti nel futuro. La Germania sta perdendo posizioni non da oggi, ma dal 2014, proprio quando il suo modello export led sembrava vincente. In realtà i facili profitti derivanti dall’euro svalutato non hanno fatto altro che impigrire le società tedesche non spingendo verso l’innovazione, ma verso la tradizione. La Germania è diventata come l’Italia degli anni 90: un’economia dove i gruppi maggiori crescevano in modo passivo.

Ed Ora ? Le prospettive sono anche peggiori della realtà, e queste influenzano le quotazioni delle aziende tedesche.
La politica verde, l’imposizioni di limiti incoerenti sulle emissioni sia a livello nazionale sia europeo, il calo della capacità di acquisto dei cittadini legata alle nuove imposte “Verdi”, tutto questo non farà che deprimere le prospettive di utili delle società tedesche e, quindi, anche le loro quotazioni di borsa, oltre alla loro capacità di trovare capitali ad un costo conveniente. La necessità del governo di nascondere le proprie mancanze dietro il paravento ecologista porterà a fondo anche l’economia tedesca.
L’Italia, se vuole almeno parzialmente salvarsi deve cercare di staccarsene al più presto.
 

tontolina

Forumer storico
Tensioni sull’euro dopo l’accordo USA-Cina, ecco il possibile scherzetto di Pechino
Tra Europa e Cina saranno possibili tensioni commerciali originate dall'euro dopo la firma dell'accordo tra USA e Pechino.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 22 Gennaio 2020 alle ore 07:54https://www.investireoggi.it/economia/tensioni-sulleuro-dopo-laccordo-usa-cina-ecco-il-possibile-scherzetto-di-pechino/



Tre dei principali fattori di debolezza dell’euro di questi ultimi tempi stanno svanendo tutti contemporaneamente. La Brexit sarà realtà tra pochi giorni e, sebbene un accordo commerciale tra Regno Unito e Unione Europea non sia ancora alla portata, lo scenario peggiore sembra allontanarsi con la vittoria di Boris Johnson alle elezioni generali di dicembre.

E la stessa BCE ha ammesso che l’economia dell’Eurozona, per quanto non entusiasmi, starebbe inviando “segnali di stabilizzazione della crescita”. La Germania, in particolare, non è caduta in recessione come si temeva e, anzi, sarebbe cresciuta dello 0,6% nel 2019, mentre quest’anno dovrebbe superare l’1%. Poco, ma non è crisi per la locomotiva d’Europa.
Infine, l’accordo USA-Cina. Siglata la “Phase One” nei giorni scorsi, la “guerra” dei dazi tra le due superpotenze può considerarsi sospesa, se non conclusa. Certo, la “Phase Two” non implicherà a priori la cancellazione delle tariffe innalzate nel corso del 2019 per ammissione dello stesso governo americano, ma a parte il dubbio che si tratti di retorica da tattica negoziale, il peggio sembra davvero alle spalle. E tutte queste buone notizie depongono a favore dell’euro, che contro il dollaro scambia ancora a 1,11, restando del 20% più debole rispetto all’era pre-QE.

Gli stessi rendimenti bassissimi, perlopiù negativi, vigenti sui mercati sovrani dell’area segnalano le aspettative rialziste degli investitori sulla moneta unica, specie contro il biglietto verde. Per la Cina, se l’euro si rafforzasse non sarebbe un evento secondario. Pechino ha accumulato 3.100 miliardi di dollari di riserve valutarie, grazie ai suoi avanzi commerciali e agli afflussi dei capitali negli anni. Di questi, quasi i due terzi sarebbero denominati in dollari e appena un quinto in euro.

I dazi di Trump su prosciutto e parmigiano mettono in crisi l’Italia nell’euro

I rischi per l’Eurozona
Se il dollaro si sgonfia e l’euro si rafforza, la Cina avrà un certo interesse a convertire una quota crescente delle sue riserve nella nostra divisa, anziché in quella americana. Non solo diversificherebbe, ma oltre tutto incrementerebbe il valore delle sue stesse riserve, magari rivendendo in futuro gli assets acquistati nell’Eurozona a un cambio più alto e maturando plusvalenze.

Ma questa operazione, in sé legittima, avrebbe ripercussioni immediate sull’euro, accentuandone l’apprezzamento contro lo yuan. Al momento, il rapporto tra le due valute si attesta a 7,67 e dal settembre del 2018 è sceso sotto 8. Tale quota, però, verrebbe riagganciata e chissà in quale misura superata nel caso di investimenti per qualche centinaio di miliardi da dollari a euro.
Un euro più forte è scontato che vi sarà nei prossimi anni, ma il ritmo con cui si rafforzerà sui mercati determinerà la sostenibilità o meno di tale percorso per le economie dell’area, specie le più deboli e dipendenti dalle esportazioni come l’Italia. Già l’accordo USA-Cina metterà a dura prova il comparto agroalimentare europeo, immaginate se ci si mettesse pure l’euro a correre troppo con yuan, dollaro, etc., finendo per arrestare o rallentare decisamente la crescita economica dei 19 stati membri.

Pechino ha rassicurato nell’estate scorsa che gestirà la diversificazione delle sue riserve con la dovuta prudenza. Sinora, lo ha fatto. Per il futuro, nulla è scolpito sulla roccia, anche perché forte è la tentazione in Asia di colpire il “super dollaro” per punire il governo americano ed esibire una certa forza negoziale con esso. Del resto, l’euro è nato con l’ambizione di affiancarsi al dollaro come valuta di riserva mondiale. Non c’è riuscito, anzi ha creato molti dubbi sulla sua sopravvivenza nel lungo periodo tra gli investitori. Ciò non significa, però, che nel breve e medio periodo qualche paese non vi speculi al rialzo, ma finendo con l’accentuare la debolezza dell’unione monetaria.

Mercato immobiliare estero come risposta alla crisi strutturale dell’euro

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