Funzioni dei musei (e delle mostre) (1 Viewer)

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Oggi 10 aprile 2019, il Corriere ci informa che il gruppo che regge la Tate Gallery vuole rieducare i visitatori a visitare lentamente le sue sale, a soffermarsi quanto desiderato a contemplare un'opera senza l'assillo di ciò che resta da visitare, epperò ... mettendosi una sveglia personale sullo smartphone puntata sui 10 minuti. :piazzista: Il tutto avendo osservato che il tempo medio di permanenza di un visitatore di fronte ai quadri è di otto secondi ciascheduno. Dovendo quindi scegliere chi visionare e chi, per forza di cose, trascurare, Tate suggerisce di fidarsi del proprio istinto. "Abbandonate ogni aspettativa, cercate di dimenticare ciò che sapete, siate aperti a ogni idea." E poi, per superare le ovvie difficoltà, "Provate a esaminare la struttura del soggetto, i colori, le forme, i simboli, la storia; notate ciò che è strano o quello che richiede attenzione immediata" (?).
Il finale è la parte "migliore". Cito dall'articolo: "guai a isolarsi. Le chiacchiere di una scolaresca in visita, le suole di gomma che stridono sul pavimento fanno parte dell'habitat dell'opera, notarle è uno dei benefici di questo slow looking suggerito" "... condividete le vostre impressioni".

Allora, questi qui mi sembrano usciti di pallino. Prima ti invitano a passare 10 minuti davanti ad un'opera con modalità quasi zen, poi però suggeriscono che anche la grassona miope che non stacca il naso dal quadro che ti interessa esaminare, la coppia che per lunghissimi secondi "condivide le proprie impressioni" di fronte ad un minuscolo capolavoro mentre tu attendi di almeno scorgerlo, e conti i minuti come un carcerato conta gli anni, gli zombi con le cuffiette che - orrore - si impiantano come palizzate, o mandrie di montoni, oscurando la vista dei quadri più importanti e riesumando in te i tuoi impulsi più cavernicoli e sterminatori, ah, tutto questo farebbe "parte dell'habitat dell'opera" ? :muted: :wall:
Non sarà che alla fine si sono accorti che se ognuno sta fisso per 10 minuti di fronte allo stesso quadro la situazione sarà una pura somma delle tre appena descritte, almeno finché non entri in gioco la solita, apocalittica, classe di studenti? e allora hanno aggiunto quella postilla, che nega tutto il contenuto precedente e mostra in perfetta trasparenza la superficialità dell'assunto?

Perché qui è chiaro che manca un senso compiuto, un progetto per indicare la vera funzione di un museo.
Anticamente si intendeva che lo scopo fosse conservare le opere e permetterne la visione. Punto.
Poi si è inteso organizzare la documentazione secondo le indicazioni e le teorie degli storici d'arte.
In seguito si è inteso il museo come luogo di promozione di cultura e si sono aggiunti, soprattutto per le mostre temporanee, grandi pannelli di divulgazione storica, solitamente non scevri da errori di stampa evitabilissimi, a dimostrare la poca cura prestata a questo aspetto (di norma si inscena un percorso cronologico, all'inizio le opere più antiche, ultime le più recenti. Sembra sensato, ma magari no, visto che la conoscenza parte da ciò che ci è più vicino per esplorare poi quanto ci è più lontano - nello specifico le opere più antiche).
Ora la Tate, certamente con l'aiuto di un'equipe di maestri yoga, bramini e psicologi olistici, suggerisce all'ignorante visitatore che, finalmente, è libero di muoversi a suo arbitrio, l'importante è che digerisca bene e non si arrabbi se in 10 minuti riesce ben poco a vedere del quadro, o a scorgerne un piccolo lacerto tra braccia e ventri in estensione, il tutto per non più di un minuto, un minuto e mezzo in totale.

La mia idea è che, alla fine, un museo sia un luogo dove si propone un percorso attenzionale che alleni a fruire di un godimento estetico abbastanza specifico. Per un museo storico, si tratterà di portare informazioni atte a comprendere il periodo/i periodi. Ma se metto su un museo sull'arte del 5/600 vuol dire che tu, visitatore, devi avere qualche informazione appesa al muro sugli intenti degli artisti e su ciò che ne han detto i critici. Ove ci voglia mettere pure l'800, allora devo fare un cambio netto di sezione e di metodi
Con il 500 alleni ed impari un certo modo di vedere, di godere e di giudicare. Con l'800 un modo ben diverso.

Sarebbe importante uscire dall'edificio, o dalla mostra, almeno un po' trasformati interiormente, quasi come lo si è fisicamente dopo una seduta di ginnastiche varie.

Però, se altri hanno idee differenti, qui sotto c'è tanto spazio.
 
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baleng

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Da una mostra si pretende di più e di meno che da un museo.
Di più: concentrandosi su un argomento o un autore, si vorrebbe che lo stesso venisse trattato a fondo e fosse possibile visionare molti esempi e pezzi altrimenti difficilmente o nient'affatto raggiungibili. Si chiederebbe anche un indirizzo, non invasivo, certo, ma come aspetto di presenza culturale. Sennò la mostra è solo un sommarsi di esemplari più o meno interessanti e, soprattutto, la vicinanza tra le opere non serve a moltiplicare la comprensione. Le relazioni tra le opere esposte possono essere molto eloquenti (qualcuno lo riferisca a Goldin).
Di meno: i pezzi esposti non potranno sempre essere del massimo livello, l'accumulazione di opere ovviamente potrebbe abbassare un poco la qualità media, ed è normale. La presenza di opere normalmente non esponibili a lungo (tipicamente: quelle su carta) è assai gradita, mentre in un museo potrebbe, allora sì, abbassare il livello e confondere le informazioni (tranne che per quantità limitate).

Un'ultima osservazione sull'abitudine talora invalsa di comprendere nel prezzo della mostra anche la visita al museo stesso, se adiacente (Ravenna, Rovigo ...). Si ha la fastidiosa sensazione di pagare per una cosa già vista mille volte. Non si sa se ciò sia vero o se semplicemente la visita al museo sia in realtà un grazioso omaggio (mmmmh): fatto sta che la sensazione resta quella, tanto più che la cosa non è affatto precisata da parte dell'organizzazione.
Si aggiunge poi che se, per esempio, sei andato a guardarti una mostra sui simbolisti nordici, finita quella passi improvvisamente per una serie di ritratti del 500, o scene post tizianesche ecc., con il probabile risultato di non avere più disponibilità mentale per i lavori del museo (con il senso di colpa quando si passa veloci tra capolavori, sia pur già ben noti) o, in alternativa, di perdere il senso atmosferico della mostra appena visitata, un effetto simile al mangiar aringhe e carote dopo un tiramisù.
 

Cris70

... a prescindere
Caro Baleng, onestamente l'argomento non mi scalda. La loro "funzione" nel mio caso è proporre, poi discerno io quel che merita o meno.
In generale io sarei per una semplice divulgazione: bello, brutto, interessante o meno, ritengo valga il motto "... purché se ne parli'.
 

Barlafuss

Forumer storico
Il museo , come lo abbiamo conosciuto noi, è un concetto vecchio,superato. Io amo i musei , le chiese, i luoghi storici ,ma non sono rappresentativi di ciò che è tendenza , di quello che il pubblico desidera o crede di desiderare(che non cambia comunque la sostanza), del contemporaneo e del futuro.Io immagino i musei come luoghi di realtà virtuale,dove sarà possibile toccare . sentire ed elaborare, non solo vedere.Ci sarà la mobilità del museo, che si sposterà in tutti i dispositivi che vorremo utilizzare ed in ogni dove. Quindi non più luogo statico ma dinamico.Di certo qualcosa del genere è già nato o sta per nascere.
 

Ziig

Forumer attivo
Il museo , come lo abbiamo conosciuto noi, è un concetto vecchio,superato. Io amo i musei , le chiese, i luoghi storici ,ma non sono rappresentativi di ciò che è tendenza , di quello che il pubblico desidera o crede di desiderare(che non cambia comunque la sostanza), del contemporaneo e del futuro.Io immagino i musei come luoghi di realtà virtuale,dove sarà possibile toccare . sentire ed elaborare, non solo vedere.Ci sarà la mobilità del museo, che si sposterà in tutti i dispositivi che vorremo utilizzare ed in ogni dove. Quindi non più luogo statico ma dinamico.Di certo qualcosa del genere è già nato o sta per nascere.
Questo è un argomento interessante, penso ad esempio al filone di mostre che stanno organizzando al Mudec: poche o nulle le opere, spiegazioni dipende, nomi altisonanti, esperienze visive e sonore, costi esosi.
Detta così sembra non sia daccordo con questa politica, in realtà invece penso siano l'unico modo per proporre cultura (ok non di "alto" livello o con un contenuto molto profondo) a tante persone che altrimenti non ne usufruirebbero, a ragazzi/bambini, a chi mediamente è abbastanza disinteressato all'arte ma apprezza, appunto, un "esperienza", e magari con questa si avvicina almeno un po' a un mondo che altrimenti sembra patria solo di appassionati.
In questo senso a Milano l'offerta è abbastanza accattivante e variegata, tra Hangar Bicocca, Fondazione Prada, PAC etc etc, che offrono anche iniziative collaterali, cinema, ristoranti e altro.
Poi ok, a una mostra di arte povera ci si trova in 100 se va bene, però mi pare importante diversificare, trovando un offerta che possa dare qualcosa in più a tanti: mi pare che nel trogloditismo imperante possano essere bene accetti tutti i contributi che aprono almeno un po' la mente :)
 

baleng

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Il museo , come lo abbiamo conosciuto noi, è un concetto vecchio,superato. Io amo i musei , le chiese, i luoghi storici ,ma non sono rappresentativi di ciò che è tendenza , di quello che il pubblico desidera o crede di desiderare(che non cambia comunque la sostanza), del contemporaneo e del futuro.Io immagino i musei come luoghi di realtà virtuale,dove sarà possibile toccare . sentire ed elaborare, non solo vedere.Ci sarà la mobilità del museo, che si sposterà in tutti i dispositivi che vorremo utilizzare ed in ogni dove. Quindi non più luogo statico ma dinamico.Di certo qualcosa del genere è già nato o sta per nascere.
Come insegnante, questo discorso mi ricorda le lamentele dei colleghi nei vecchi consigli di classe "Ah, se avessimo almeno le lavagne elettroniche!" La tecnologia è, non vista, ma proprio "da sempre" utilizzata come alibi universale: come si vede, non è una novità. Però non si capisce perché ricreare in un museo quello che qualsiasi moccioso sa ricreare in casa propria. Adesso è di moda ipotizzare il museo tecnologico, ma la minestra virtuale mica la mangi. E' come dire "ascoltiamo un disco invce che andare al concerto", ma, diobbono, i dischi già ce li hanno tutti in casa (o meglio: youtube) e però mica ascoltano Messiaen o Wagner, ascoltano Jovanotti. Se voglio corrompere un supernaturista dietetico iniziandolo al cioccolato, mica gli dò il surrogato, devo usare il buon cacao 70%.
Ora a Mestre hanno creato un museo del 900 tutto virtuale. Nessuno l'ha richiesto, la città gli è estranea, nasce da una balzana idea di una parte politica, che "siccome Venezia ha tutto ed è antica, mentre Mestre non ha nulla ed è moderna (leggi: ignorante) diamole un museo virtuale". Per il quale profetizzo un fallimento economico epocale visto che: non ha parcheggi, che il virtuale è dappertutto, e che, per dirlo con ardita e sottile metafora :-D, il ragazzino stralunato a suon di pugnette su Youtube non è che cerchi un youtube gigantesco dove certe cose nemmeno le può fare. Cerca magari una compagna disponibile.
Di fronte al vuoto immateriale, che pure ha i suoi bei vantaggi, per i ragazzi serve dare esperienze fisico-reali. Le rifiutano? Non necessariamente, vanno presentate opportunamente creando interesse e guidandone la lettura. Non per passatismo :melo:, ma i computer ci sono già, magari manca qualcos'altro.

Per dare un esempio: la vecchia mostra di Brescia sull'arte americana utilizzava anche filmati e didascalie su Buffalo Bill e gli indiani, quelli veri. Funzionava per tutti, era accattivante. Se invece si prescinde dalle persone e, magari, come a Mestre, si decide di "sfruttare uno spazio inutilizzato" per creare "qualcosa" per la cittadinanza, invece che partire da quello che la cittadinanza è e poi cercare gli spazi, sempre, ripeto sempre, si otterrà un fallimento definitivo.
Non si crea un teatro prima e la compagnia dopo, ma viceversa..
 

cassettone

In stand by
Il virtuale andrebbe bene se ricostruisse l'ambientazione dove era nati i quadri.

Quello di mettere foto digitali al posto dei quadri, mi fa pensare, chissà chi ci ha mangiato in questa idea di modernismo spinto.
 

baleng

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Oggi, comunque, va di moda l' "evento", la parola "imperdibile" si trova come il prezzemolo, però negli ultimi anni più di uno di questi "eventi" mi ha deluso o_O Oltretutto, funziona come una droga: sempre più, sempre più forte. Così poi in pochi vanno a vedere la mostra su un maestro secondario.Se non c'è Picasso-Monet-Matisse stanno pure a casa. E se spacci per evento quello che in sostanza non lo è, perdi visitatori futuri.
Poi occorre ricordare che, se nell'epoca della riproducibilità
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L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica
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L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica
Titolo originale
Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit
Autore Walter Benjamin
1ª ed. originale 1936
1ª ed. italiana 1966 Genere saggio Sottogenere filosofia dell'arte, estetica Lingua originale tedesco
L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica è un saggio di critica culturale di Walter Benjamin nel quale propone che l'aura di un lavoro artistico venga svalutata dalla sua riproduzione meccanica. Il soggetto e i temi del saggio influenzarono vastamente campi come la storia dell'arte e la teoria dell'architettura, gli studi culturali e quelli sul ruolo dei massmedia.[1].
Negli anni del regime nazista in Germania, Benjamin intese produrre una teoria dell'arte che fosse utilizzabile «per la formulazione di esigenze rivoluzionarie nella politica culturale[2]». Nell'epoca della riproduzione meccanica, tali esigenze, nonché l'assenza del valore tradizionale e rituale dell'arte, avrebbero fatto sì che la produzione artistica fosse intrinsecamente basata sulla prassi della politica[3].
Del saggio esistono 5 differenti versioni, a vario livello di incompiutezza, elaborate da Benjamin tra il 1935 e il 1939: 4 in lingua tedesca; una in francese, l'unica pubblicata dall'autore vivente, con la traduzione di Pierre Klossowski, ma sconfessata dall'autore per i tagli redazionali apportati senza il suo consenso e le manipolazioni del suo pensiero.

anche senza soffermarsi sulla famosa "perdita dell'aura", basta un computer per prendere conoscenza di centinaia di immagini relative a quanto ci interessa. Relative, non sono gli originali, e la percezione ci perde, mentre la conoscenza molto meno, in quanto ci si rende in grado di formarsi un giudizio (in arte si sente ancora la differenza tra riproduzione e originale: purtroppo in musica questa sensibilità si è molto perduta, e la gente usa le riproduzioni, che dovrebbero servire alla sola "conoscenza", come surrogato del piacere originale. Perduta la sensibilità verso i suoni "naturali" originari, il surrogato elettronico con membrane sorregge forme di onanismo auscultatorio - peggio di tutto le cuffiette, con le quali diventa impossibile percepire le dissonanze).

Insomma, musei e curatori dovrebbero ri-sottolineare la forza degli originali, che solo loro possono far conoscere. La via non è quella dell'evento, cioè non strombazzare ai 4 venti che "oh, abbiamo a farvi vedere il campione del mondo". Piuttosto, cercare lo specifico degli autori e far capire che lo spettatore avrà la possibilità di vivere dal vivo l'esperienza emozionale, come l'aria di montagna o il sole dei tropici. Non importa che tutti vadano a Saint-Tropez: anche Bordighera dà molto. Basta specificarlo.
 
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mantegna

Forumer attivo
Oggi, comunque, va di moda l' "evento", la parola "imperdibile" si trova come il prezzemolo, però negli ultimi anni più di uno di questi "eventi" mi ha deluso o_O Oltretutto, funziona come una droga: sempre più, sempre più forte. Così poi in pochi vanno a vedere la mostra su un maestro secondario.Se non c'è Picasso-Monet-Matisse stanno pure a casa. E se spacci per evento quello che in sostanza non lo è, perdi visitatori futuri.
Poi occorre ricordare che, se nell'epoca della riproducibilità
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anche senza soffermarsi sulla famosa "perdita dell'aura", basta un computer per prendere conoscenza di centinaia di immagini relative a quanto ci interessa. Relative, non sono gli originali, e la percezione di perde, mentre la conoscenza molto meno, in quanto ci si rende in grado di formarsi un giudizio (in arte si sente ancora la differenza tra riproduzione e originale: purtroppo in musica questa sensibilità si è molto perduta, e la gente usa le riproduzioni, che dovrebbero servire alla sola "conoscenza", come surrogato del piacere originale. Perduta la sensibilità verso i suoni "naturali" originari, il surrogato elettronico con membrane sorregge forme di onanismo auscultatorio - peggio di tutto le cuffiette, con le quali diventa impossibile percepire le dissonanze).

Insomma, musei e curatori dovrebbero ri-sottolineare la forza degli originali, che solo loro possono far conoscere. La via non è quella dell'evento, cioè non strombazzare ai 4 venti che "oh, abbiamo a farvi vedere il campione del mondo". Piuttosto, cercare lo specifico degli autori e far capire che lo spettatore avrà la possibilità di vivere dal vivo l'esperienza emozionale, come l'aria di montagna o il sole dei tropici. Non importa che tutti vadano a Saint-Tropez: anche Bordighera dà molto. Basta specificarlo.

Difficile forzare chi è abituato al meglio a scendere di livello, se uno va a fare il bagno a Cuba hai voglia di convincerlo che Rimini è meglio. Oggettivamente ci sarà un motivo perchè le mostre più visitate sono state quelle di Goldin. E come dar torto a chi vuol vedere Picasso, gli impressionisti e magari snobba i macchiaioli o l'ottocento italiano, non sapendo che al massimo ci potranno essere due o tre quadri di grande livello. Senza marketing non si fa nulla e gli artisti promossi dal sistema sono ben piantati nelle menti del pubblico. Il quale non vede il motivo per preferire una partita di serie B del Padova ad una di Champions league della Juventus. Dovrebbe essere la TV italiana in primis a parlare anche dei nostri artisti e non solo di quelli calati dalla Reuters. Ma occorre fare uno sforzo e i nostri giornalisti trovano più comodo restare avvinghiati al grande fratello. Quando ci fu la serie televisiva su Ligabue le quotazioni salirono molto, dopo anni di silenzio da allora sono tornate sulla terra. Questo testimonia che manca un piano nazionale di promozione dell'arte.
Poi chi fa il curatore deve adeguarsi allo status quo se non vuole essere cacciato a calci in culo.

Una cosa da fare sarebbe far comprendere al pubblico che i grandi artisti non sono come le grandi firme della moda, in arte vale anche un ottimo quadro di un artista secondario, anzi può valere più di un quadro seriale di una grande firma. Manca nel pubblico la consapevolezza che il capolavoro può essere anche realizzato da un signor nessuno, oramai siamo tutti sull'onda della marca vincente, la squadra vincente, vogliamo un mondo di vincitori e a morte i perdenti. Far capire che non funziona così è difficile perchè va contro il sistema, quello che ogni giorno viene predicato sui mezzi di informazione.
 

lastra.biffata

Forumer attivo
io son stato sia a Saint-tropez che a Bordighera e tra le due continuo a preferire la località francese per mille motivi
tra i tanti motivi, di passaggio c'è anche la fondazione Hartung e la fondazione Maeght che a Bordighera non ci sono

che piaccia o meno se in qualsiasi ambito esiste la serie A e la serie B, ed è sempre esistita, ci sarà anche un motivo...
@mantegna mi dici dei nomi di artisti del 900 o meglio postwar che pensi siano sopravvalutati e perchè?
stesso discorso quelli che pensi siano ingiustamente finiti in serie B
 

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