MF Online 07/01/2016 10:47
di Elena Dal Maso e Paola Valentini
Economisti e banche d'affari iniziano a guardare ora con interesse alla Cina, dopo l'avvio burrascoso del 2016 che ha fatto perdere alla borsa di Shanghai il 12% in sole quattro sedute. Secondo gli esperti, i prezzi delle azioni cinesi cominciano a essere interessanti, anche perché da oggi vige il divieto per i grandi azionisti di vendere titoli in portafoglio oltre l'1% complessivo nei prossimi tre mesi.
A questo si aggiunga, nota Goldman Sachs, che nel primo semestre 2016 verrà attivata la connessione fra le borse di Hong Kong e Shenzhen dopo quella fra Shanghai e Hong Kong, partita un anno fa. E resta attuale la possibilità che le azioni di tipo A (quelle scambiate solo dai residenti cinesi) siano inserite nei giganteschi indici Msci. La banca d'affari americana confida inoltre nella forte campagna anticorruzione avviata in Cina la scorsa estate partita dopo il violento selloff sulle borse, che ha come scopo quello di riportare equilibrio nei listini.
Ed è peraltro il tema trattato oggi dalla Banca centrale cinese in un documento ufficiale pubblicato sul proprio.
Gli analisti guardano con attenzione soprattutto alcuni settori legati ai beni e ai servizi di qualità qualità sostenuti dagli investimenti del governo. Positivi, quindi, sul Paese e con una certa moderazione sull'area degli emergenti Nomura, Ubs, Goldman Sachs, Natixis e Syz Asset Management.
Wendy Liu, responsabile della Ricerca su settore azionario cinese di Nomura, ha spiegato questa mattina in conference call che il settore servizi cinese offre opportunità interessanti di investimento considerata la richiesta interna, non del tutto soddisfatta, di beni e servizi di elevata qualità. Fra questi il settore sportivo, di intrattenimento (soprattutto film), il il divertimento e il tempo libero, la cultura, la bellezza e cura della persona oltre al comparto tecnologico.
Il settore servizi pesa per il 51,4% del pil del Paese rispetto al 49,1% di un anno fa e rappresenta per ora l’unico indicatore in relativa crescita nel 2015 (a parte la frenata di dicembre), spinto in maniera scientifica da una serie di interventi mirati del governo.
Ubs inizia il 2016 con una posizione di sovrappeso sulle azioni asiatiche che "restano vicine ai minimi di valutazione degli ultimi dieci anni rispetto ai Paesi sviluppati", spiega in una nota pubblicata oggi la banca svizzera.
Tra i Paesi emergenti le maggiori esposizioni di Ubs rispetto all'indice sono sulla Cina, India, Colombia, Russia, Polonia e Turchia. Prevale la cautela sul resto degli emerging market, soprattutto su alcuni grandi mercati dell'America latina. Neutrale l'allocazione dei portafogli su Taiwan, Corea, Messico, Perù, e Repubblica Ceca e hanno un peso inferiore all'indice Paesi come il Brasile, il Sud Africa, l'Indonesia, la Malesia, la Tailandia, le Filippine e l'Ungheria.
"Riteniamo che le azioni dei mercati emergenti nel 2016 possano avere un potenziale rialzo del 9% guidate dai mercati asiatici, mentre l'America Latina resterà indietro, grazie a una ripresa della crescita degli utili sulla scia di una modesta crescita del dollaro e per l'arresto del forte calo del prezzo delle commodity registrato nel 2015", spiega Ubs.
La banca elvetica sottolinea che "dopo il loro peggior quinto anno di fila, la peggior performance triennale dopo quella del 2000-2002 e dopo cinque anni di rendimento peggiore rispetto ai listini dei Paesi sviluppati, l'indice Msci Global Emerging Market ha iniziato l'anno con il suo più basso punto di ingresso dal 2009".
Per Ubs dopo il calo del 31% da fine 2010 e una caduta del rapporto utile per azione dell'area del 29%, le azioni dei mercati emergenti sono "valutate equamente". Ma l'attesa di una ripresa degli utili rappresenta un fattore di sostegno per una performance migliore delle azioni degli emergenti. Ubs stima un rapporto utile per azione in aumento del 5% nel 2016, dal momento che si allenterà la forte pressione sui bilanci delle società esercitata nel 2015 dal dollaro forte e dai massicci cali dei prezzi delle materie prime.
In questo scenario, Ubs considera anche i rischi di ribasso rappresentati da una crescita della Cina inferiore alle attese, ovvero del 4%, rispetto al 6,5% circa stimato dagli analisti, da un dollaro ancora in rialzo e da commodity ancora deboli, da un picco dei rendimenti nei bond yield hield emergenti e dalla situazione politica ed economica del Brasile. Preoccupa invece molto meno l'azione della Fed che per Ubs hanno già scontato a dicembre l'inizio della politica monetaria restrittiva Usa.
Per David Lafferty, Chief Market Strategist di Natixis Global Asset Management, i mercati emergenti, specialmente sul fronte azionario, restano sotto pressione "in virtù di una tempesta quasi perfetta di fattori, tra cui il rallentamento cinese, il crollo dei prezzi delle commodity a livello globale e il tightening della Fed". Una delle conseguenze di questo fatto è che gli indici azionari dei mercati emergenti "hanno sottoperformato i corrispondenti mercati sviluppati non-Usa per 5 anni di fila, sulla base della valuta locale"
E di conseguenza "i prezzi di mercato già riflettono adeguatamente tali rischi. Sebbene la differenza relativa di valutazione tra titoli azionari emergenti e sviluppati non sia ampia, costituisce comunque una qualche forma di sostegno ai prezzi. Ci aspettiamo che gli emergenti sovraperformeranno nel 2016, specialmente nella seconda metà dell'anno".
Anche Michele Pedroni, analista senior di Syz Asset Management, concorda sulle possibilità di investimento nel settore servizi e anche nei consumi di massa, grazie al sostegno delle politiche governative. L'esperto, dopo aver incontrato a Hong Kong lo scorso novembre una ventina di dirigenti di società cinesi, riporta una certa cautela sulla Cina.
Uno dei motivi è legato alla riduzione dei margini di profitto delle società cinesi a causa del calo dei prezzi dei beni e del contemporaneo aumento del costo del lavoro, con una crescita della produttività inferiore al ritmo di crescita dei salari.
A questo si aggiunga il deterioramento dello scenario economico globale (la Banca Mondiale ha tagliato proprio oggi le stime di crescita globali per il 2016 al +2,9%, in ribasso dello 0,4% sulle previsioni precedenti).
Inoltre "il declino degli utili societari potrebbe aumentare la pressione sulla qualità della situazione patrimoniale e incidere pesantemente sulla liquidità", spiega Pedroni.
Se il deprezzamento dello yuan diventasse poi una tendenza di lungo periodo, i settori fortemente dipendenti dall'estero potrebbero essere penalizzati. "Possiamo citare in particolare gli importatori di materie prime, i produttori del settore petrolchimico o cartario, le compagnie aeree e i costruttori navali. Anche il mercato immobiliare potrebbe subire modifiche fondamentali", spiega l'esperto.
Gli immobili, poi, che costituiscono il 40% della ricchezza delle famiglie, sono i più importanti asset denominati in yuan onshore (la valuta scambiata all'interno del Paese, il cui andamento è tenuto sotto controllo dalla Banca centrale) per le famiglie cinesi. "Un persistente deprezzamento della moneta cinese scoraggerebbe l'acquisto di case e accelererebbe la fuga di capitali", conclude Pedroni. Investire sì, quindi, ma con grande oculatezza.
Le banche d'affari: è il momento di investire in Cina - MilanoFinanza.it