Figurativo vs astratto. Come si crea, come si "legge" (1 Viewer)

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Dove l'uomo si confonde con la sola casualità della natura l'arte sfuma e si perde.

Isolo questa affermazione perché è da sempre uno dei miei cavalli di battaglia. Si può al massimo ammettere che, di fronte ad un frammento di natura che possa presentare un qualche interesse estetico, l'artista provi ad adoperarsi in modo da valorizzare questo tratto, dando quindi un imprinting umano a qualcosa di naturale.
Un esempio è, almeno in parte, il fotografo, che con luci, inquadrature e scelte tecniche riesce ad aggiungere qualcosa di umano anche ad un banale, seppur piacevole, paesaggio. (cerco di astrarre dalla mia idiosincrasia per le fotografia)
Ma allora ciò significa sostenere che l'arte è comunicazione solo da uomo ad uomo, e che l'aspetto artistico consiste in qualcosa che ai due uomini, il creatore e lo spettatore, sia comune. Uno di questi fattori, anche se forse non l'unico, è senz'altro il modo di operare dell'attenzione, allorché entra in "modalità lettura estetica on". Silvio Ceccato ne aveva individuato gli andamenti ritmici, così come aveva verificato che, di fronte ad un compito diverso, come per esempio una necessità urgente e concreta, l'attenzione opera in modo differente.
D'altra parte, è ben diverso vedere una nevicata al cinema o trovarvisi in mezzo di notte e lontano da qualunque punto di riferimento. E l'incidente d'auto spettacolare del film, se visto nella realtà difficilmente provocherà un'analoga emozione estetica :brr:. Per non parlare delle sculture di Cézar: poni che ti dicano che quella lì che stai ammirando è ciò che resta della tua auto che avevi parcheggiato là vicino due ore fa :titanic: :prr:
 

Cris70

... a prescindere
Letto quasi tutto.
Ragazzi siete troppo "oltre" perché qualcuno possa intervenire.
Non rimane che riscrivere la legge della relatività :eek:
 

baleng

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Letto quasi tutto.
Ragazzi siete troppo "oltre" perché qualcuno possa intervenire.
Non rimane che riscrivere la legge della relatività :eek:
Non preoccuparti.
Ogni tanto si torna terra terra.
Dopo la salita c'è la discesa ecc ecc.
A me sembra che si proceda a spirale, e ogni volta che si passa per lo stesso punto ci si sia allargati un poco.
Soprattutto, di incontestabile non c'è proprio nulla.
Salvo insinuare che non si abbia neanche un quadro a casa e si parli dicendo nulla e sbrodolandosi addosso.
Ma questi sono i frustrati.
 

HollyFabius

Nuovo forumer
Isolo questa affermazione perché è da sempre uno dei miei cavalli di battaglia. Si può al massimo ammettere che, di fronte ad un frammento di natura che possa presentare un qualche interesse estetico, l'artista provi ad adoperarsi in modo da valorizzare questo tratto, dando quindi un imprinting umano a qualcosa di naturale.
Un esempio è, almeno in parte, il fotografo, che con luci, inquadrature e scelte tecniche riesce ad aggiungere qualcosa di umano anche ad un banale, seppur piacevole, paesaggio. (cerco di astrarre dalla mia idiosincrasia per le fotografia)
Ma allora ciò significa sostenere che l'arte è comunicazione solo da uomo ad uomo, e che l'aspetto artistico consiste in qualcosa che ai due uomini, il creatore e lo spettatore, sia comune. Uno di questi fattori, anche se forse non l'unico, è senz'altro il modo di operare dell'attenzione, allorché entra in "modalità lettura estetica on". Silvio Ceccato ne aveva individuato gli andamenti ritmici, così come aveva verificato che, di fronte ad un compito diverso, come per esempio una necessità urgente e concreta, l'attenzione opera in modo differente.
D'altra parte, è ben diverso vedere una nevicata al cinema o trovarvisi in mezzo di notte e lontano da qualunque punto di riferimento. E l'incidente d'auto spettacolare del film, se visto nella realtà difficilmente provocherà un'analoga emozione estetica :brr:. Per non parlare delle sculture di Cézar: poni che ti dicano che quella lì che stai ammirando è ciò che resta della tua auto che avevi parcheggiato là vicino due ore fa :titanic: :prr:

La frase completa però aggiunge qualcosa e questo qualcosa allarga un poco i termini del discorso:
L'uomo, nell'oggetto della creazione artistica, si deve sempre percepire. Dove l'uomo si confonde con la sola casualità della natura l'arte sfuma e si perde. Questo è l'unico limite e confine che io riesco ad immaginare nell'azione del fare arte.
Io mi sto convincendo sempre più che l'arte è linguaggio, e in quanto tale è evidentemente anche comunicazione da uomo ad uomo, però prima della comunicazione passa anche (viene condiviso) l'aspetto simbolico (l'alfabeto) del linguaggio.
Insomma, l'artista crea un linguaggio e con questo si esprime, poi lo condivide con altri e solo dopo passano i messaggi, la comunicazione.
E' sulla base anche di queste considerazioni che ritengo alcune forme artistiche involute ed altre rivolte verso ulteriori sviluppi, perché i linguaggi possono permettere di guardare il dito o la luna, possono rivolgersi alla rarefazione dell'arte (al piccolo, al nichilismo) oppure rivolgersi al superamento di confini aperti (al grande, alla costruzione intellettuale).
 

baleng

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Segnalo per ora solo due punti di sviluppo.
1 - che l'artista crei un linguaggio è fatto abbastanza recente. Prima creava delle variazioni nel linguaggio. La frammentazione sino al singolo individuo delle scale di valori (e dei criteri di osservazione) è cosa che nasce con l'arte moderna.
2 - Adottare un linguaggio è in sé cosa non complicata. Il fatto è, come già messo in evidenza, che il giudizio di valore (nel senso: va/non va) non è più spostato sul momento realizzativo, bensì sul momento ideativo. Se accetto un linguaggio ho già, in molti casi (quelli in cui l'opera compiuta è manufatto piuttosto semplice) posto un giudizio positivo. C'è qualcosa dell'ipnotizzatore, in tutto ciò, che ti chiede di fare certe azioni e tu, per obbedirgli, non ti rendi conto di quanto ti mettano in ridicolo. Una convenzione che subdolamente diviene manipolazione.
 

baleng

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Io mi sto convincendo sempre più che l'arte è linguaggio, e in quanto tale è evidentemente anche comunicazione da uomo ad uomo, però prima della comunicazione passa anche (viene condiviso) l'aspetto simbolico (l'alfabeto) del linguaggio.
Insomma, l'artista crea un linguaggio e con questo si esprime, poi lo condivide con altri e solo dopo passano i messaggi, la comunicazione.
E' sulla base anche di queste considerazioni che ritengo alcune forme artistiche involute ed altre rivolte verso ulteriori sviluppi, perché i linguaggi possono permettere di guardare il dito o la luna, possono rivolgersi alla rarefazione dell'arte (al piccolo, al nichilismo) oppure rivolgersi al superamento di confini aperti (al grande, alla costruzione intellettuale).
Magari non te ne sei accorto, ma hai anche pizzicato un problema che una volta era grosso come una cattedrale, ed ora lo è ancora, ma viene ignorato e sbeffeggiato in quanto non redditizio per i mercanti.
E' il problema dell'eternità (presunta/reale) dell'opera d'arte. Innegabile che per molti secoli questo sia stato un aspetto assai considerato, soprattutto quando all'idea del lavoro artigianale si sommò il desiderio dell'artista di esprimere una realtà ideale, spirituale. Il tutto, ovviamente, facilitato dal preponderante peso delle opere a soggetto religioso.
Certo, si potrebbe osservare che quello che per la ristretta visione degli uomini è o pare eterno, in realtà abbraccia una quantità di anni e secoli sicuramente minima rispetto alla presenza dell'uomo sulla terra, o all'esistenza stessa di quest'ultima. Però sentiamo bene, almeno di fronte ai capolavori dei massimi artisti, che relativizzare tutto sarebbe nient'altro che imboccare una facile via di fuga rispetto al problema.
Per quanto la lingua tenda a conservarsi, ad esempio, essa evolve. Per godere di Dante spesso abbiamo bisogno di un aiutino critico o linguistico. Abbiamo pure bisogno di conoscenze storiche ecc ecc. E tuttavia, una volta soddisfatte alcune esigenze relative alla comprensione, restiamo stupefatti di fronte a certe vette artistiche. Se, invece, uno dice che Dante non è più attuale e non ci dice più niente, l'uomo di cultura, quantomeno, si ribella. E' come se l'artista cogliesse una specie di eternità nell'istante transeunte. Credo che in modo simile la vedesse anche il Croce, ma forse attraverso ragionamenti diversi da questo.
Ecco allora che il problema dell'alfabeto artistico si collega con quello dell'evoluzione dell'umanità. Perché sarebbe proprio assurdo pensare che il cavernicolo, l'egiziano antico, il romano dei tempi imperiali, l'uomo del Medioevo, tutti pensassero nello stesso modo, e magari in modo simile a quello di oggi. Non è così, esistono profonde differenze, la nostra mente (ma anche il corpo, e dunque il rapporto tra i due, e quello con i sentimenti) si nutre dell'ambiente e del passato. Tutto cambia, cambiamo anche noi umani. Ed evolvono pure gli alfabeti artistici. Ciò che un tempo era custodito nei misteri, patrimonio di pochi eletti (regole geometriche, principi filosofici ...), ora fa parte delle semplici nozioni scolastiche di alunni assai giovani: come pensare che ciò non abbia influito profondamente nel loro patrimonio generalmente umano? La psicanalisi cent'anni fa era una provocazione per salotti, oggi è il prezzemolo di quasi ogni discorso sull'uomo e sui suoi sentimenti. Vuoi che questo assorbimento non abbia modificato nel profondo i percorsi mentali, emotivi ecc. delle persone?
Altro piccolo esempio: quando si vedono le prime creazioni del cinema muto, quelle di cent'anni fa solamente, si resta stupiti di fronte all'eccesso di teatralizzazione, di drammatizzazione delle scene, artifizio creato in modo che un pubblico inesperto o poco avvezzo al tipo di spettacolo potesse orientarsi con sufficiente facilità. Questo pubblico non avrebbe capito nulla di un film di Antonioni, creato solamente 50 anni dopo.
Eppure a certi filmati del muto diamo senza esitazioni la patente di capolavoro. Le eventuali goffaggini non hanno per noi, almeno dopo il primo impatto, maggior peso che i cavi telefonici o elettrici esterni agli edifici dei quali stiamo valutando la qualità architettonica.
Dunque il linguaggio (artistico, linguistico) evolve, il mondo evolve, ma l'artista cerca di puntare lo spillo su di momento particolare nel tentativo di ampliarne la valenza verso "tutti i tempi e tutti gli uomini". Verso, eh. Ma lo può fare solo nel presente, con lo strumento a lui contemporaneo. Questo comporta una lotta, ed è il dramma del creatore.
Credo che se si rinuncia a questa lotta non si faccia arte, ma solo comunicazione.
 

HollyFabius

Nuovo forumer
Magari non te ne sei accorto, ma hai anche pizzicato un problema che una volta era grosso come una cattedrale, ed ora lo è ancora, ma viene ignorato e sbeffeggiato in quanto non redditizio per i mercanti.
E' il problema dell'eternità (presunta/reale) dell'opera d'arte. Innegabile che per molti secoli questo sia stato un aspetto assai considerato, soprattutto quando all'idea del lavoro artigianale si sommò il desiderio dell'artista di esprimere una realtà ideale, spirituale. Il tutto, ovviamente, facilitato dal preponderante peso delle opere a soggetto religioso.
Certo, si potrebbe osservare che quello che per la ristretta visione degli uomini è o pare eterno, in realtà abbraccia una quantità di anni e secoli sicuramente minima rispetto alla presenza dell'uomo sulla terra, o all'esistenza stessa di quest'ultima. Però sentiamo bene, almeno di fronte ai capolavori dei massimi artisti, che relativizzare tutto sarebbe nient'altro che imboccare una facile via di fuga rispetto al problema.
Per quanto la lingua tenda a conservarsi, ad esempio, essa evolve. (...) Dunque il linguaggio (artistico, linguistico) evolve, il mondo evolve, ma l'artista cerca di puntare lo spillo su di momento particolare nel tentativo di ampliarne la valenza verso "tutti i tempi e tutti gli uomini". Verso, eh. Ma lo può fare solo nel presente, con lo strumento a lui contemporaneo. Questo comporta una lotta, ed è il dramma del creatore.
Credo che se si rinuncia a questa lotta non si faccia arte, ma solo comunicazione.
In realtà, Gino, questo è un tema a me caro.
Interrogandomi su cosa sia Arte con la a maiuscola e arte con la a minuscola ho nel tempo costruito delle mie scale di valori, prima incerte, poi via via più legate ad una riflessione cosciente e coerente.
Se l'Arte può venire identificata in un corpo che cresce e si sviluppa, alcune sue parti saranno criticabili, quasi fossero dei raffreddori da curare velocemente, altre saranno degeneri, quasi fossero dei tumori da estirpare, altre ancora per fortuna augurabili e sane, alcune necessarie allo sviluppo. L'illusione forse è che questo corpo possa crescere indefinitamente perché legato allo spirito umano e non alla sua natura carnale ma come hai sottolineato noi dobbiamo per necessità fare nostra questa illusione, pena la vittoria del vittimismo o del pessimismo, fonti di aridità e principio di morte.
Il punto è come si possa riconoscere quelle forme d'arte positive per lo sviluppo per portarle alla luce e rafforzarle, in una realtà sempre più complessa e condizionata dalla dimensione puramente mercantile. Non dobbiamo dimenticare che del mercato si nutre l'arte ma nel mercato l'arte può anche soffocare alla stregua di un fuoco cui venga tolto l'ossigeno.
Quando identifico alcune ricerche estetiche, quali le ricerche monocromatiche o quelle di puro uso dei materiali non critico la loro dimensione originale, che ritengo utile bensì la loro dimensione prospettica che ritengo arida. L'approccio alla conoscenza dell'effetto estetico dei materiali o delle purezze monocromatiche ha la sua valenza, e lo ricordava per esempio Munari, che nell'atto di conoscenza della novità materiale od oggettuale, approcciava lentamente, ripetutamente per assorbire la migliore relazione con l'oggetto, tendenzialmente per assorbire la sua migliore finalità estetica. Il suo 'cosa posso fare d'altro con questo' era ragione di indagine curiosa ed intellettuale per capire, comprendere e poi utilizzare al meglio. Poi però, una volta identificata la strada, l'indagine si trasformava in uso estetico veloce ed esplicativo. Di lui non rimangono, se non per ragioni storiche o di documentazione, le sperimentazioni lente sui materiali o sugli oggetti, bensì le conclusioni estetiche.
Ricordando la descrizione dell'arte come linguaggio, nella prima fase costruiva il proprio alfabeto e nella seconda lo usava per esprimersi.
Io ho affinità con artisti che indaghino i confini esterni, ma capisco che i procedimenti debbano essere simili anche per artisti che indagano l'interno. In entrambi i casi la direzione di indagine può essere il piccolo (intellettualmente) o il grande (sempre intellettualmente).
L'Arte con la A maiuscola è quella che, nell'esprimere il linguaggio dell'autore, rappresenta la base per ulteriori sviluppi, è quella che si pone in una dimensione, si figlia del proprio tempo (perchè nulla può venire generato culturalmente fuori dal proprio tempo), però con finalità di accrescere il corpo complessivo dei linguaggi espressivi. In questo senso quindi si pone 'fuori' dal proprio tempo. E le due cose non sono in contraddizione, L'Arte (con la A maiuscola) ha una natura olistica, espansiva, non riduzionista e riduttiva. Ecco il senso del guardare la luna e non il dito.
 

baleng

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Breve risposta @HollyFabius
poiché con questo post sei un po' sconfinato nel campo del giudicare (e non sei il primo, lo so :d: ) mi permetto di suggerirti se puoi usarlo copiandolo in gran parte per iniziare un nuovo 3d "cugino" sul giudizio verso l'opera d'arte.
In pratica questo 3d continuerebbe ad occuparsi del "come si legge" e il nuovo verterebbe sul dopo, sulla valutazione di quanto si è stati a guardare.
Anche piccantino, direi :D
 

baleng

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Vedo che col tempo ci siamo messi dalla parte del solo fruitore. Però il 3d si chiama "come si crea, come si legge".
Credo sia ora di porci dalla parte dell'artista.
Il quale, quando crea un'opera anche lontanamente figurativa, fa certo riferimento ad alcune "linee" a lui visibili (dal vivo, in fotografia, in immaginazione ecc.) che racchiudono o comunque caratterizzano un soggetto a lui esterno.
Se il soggetto è privo di vita egli può affrontare la "riproduzione" a partire dal punto che più gli comoda.
Se il soggetto è vegetale, abbiamo l'alternativa dell'iniziare dall'alto o dal basso. Immagino che iniziare dall'alto sia più comune, però si dovrebbe tener presente che nel vegetale la vita parte dal basso e va verso l'alto.
Normalmente si osserva che chi disegna una figura umana (saltiamo per ora l'animale) parte dalla testa e poi disegna tutto il resto del corpo. Questo corrisponde alla realtà dello scorrere del flusso vitale nell'essere vivente, che va dal capo verso il corpo. Si va dallo spermatozoo, che è quasi tutto capo, al neonato, in cui il capo è preponderante, sino all'adolescente, che sviluppa appunto il corpo, allungandolo in membra e tronco, sino ad assumere le proporzioni dell'adulto, dove la testa è proporzionalmente minore che nel neonato.
A suo tempo effettuai degli esperimenti, che coinvolsero anche terzi, in cui il pittore doveva partire, nel disegnare la modella, dal basso: il risultato furono corpi più gonfi e in qualche modo più "vegetali" nella loro staticità.

(continua)
 
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baleng

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(continua)

Dunque l'esperienza e l'osservazione suggeriscono che il pittore, il quale riproduca in qualche modo la realtà, anche modificandola di molto, tende sempre a partire da un centro di importanza, un centro di energia, potremmo dire, proiettando però le proprie percezioni umane su tutto il visibile.
Perciò inizierà dall'alto, come se fosse dalla testa, a disegnare sia un palo in cemento che una casa, e anche un albero, nel quale invece l'energia parte dal basso..
Inoltre, nel caso della figura umana, egli tenderà a disegnare prima il tronco e le parti più grosse rispetto, per esempio, alle mani o ai piedi, cioè dal centro alla periferia. Nel caso degli alberi, invece, non è infrequente il caso che il pittore schizzi la massa delle foglie, che magari nascondono i rami, prima di questi ultimi, che ne sono la struttura sottostante.
Abbreviare il tempo di attenzione relativo a parti come arti o rami può produrre, sia detto di passaggio, un senso di maggiore leggerezza nel disegno.

Però ora chiediamoci: come si organizza psicologicamente il lavoro di chi crea un quadro astratto? Pertirà da un centro di movimento energetico o tratterà la superficie come quando si disegna un minerale senza una dimensione predominante, cioè con scelte ad libitum?
Ovviamente, l'ideale sarebbe che i pittori che leggono qui partecipassero indicando la loro esperienza. Io voglio per ora solo far presente che il punto di partenza del nostro astrattista probabilmente non sarà legato a fenomeni naturali ma a scelte personali. Sarà allora compito nuovo dell'astrattista non solo dare delle forme (nel caso del figurativo sono le forme stesse ad organizzare la "lettura": per esempio due persone in primo piano e alberi sullo sfondo, più cielo, sole ecc, l'osservatore partirà allora dal capo delle due figure, poi scendendo, poi risollevandosi alla cima degli alberi ecc.), ma a guidare il percorso dell'osservatore in modo che le proprie intenzioni vengano percepite al meglio.

(continua)
 

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