Figurativo vs astratto. Come si crea, come si "legge" (1 Viewer)

baleng

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Vorrei riprendere un argomento iniziato altrove. Per ora mi limito a riproporre qui sotto il mio intervento iniziale. Sarà però mia cura estrapolare il meglio che altri abbiano espresso e continuare poi la discussione qui (se a qualcuno interessa).

Differenza tra guardare un figurativo o un astratto
Qualcuno ha scritto che Matisse sarebbe un punto di equilibrio perfetto tra gli amanti del figurativo e quelli dell'astratto.
Io sostengo invece che al massimo si tratta di ambivalenza. Mi spiego. Ritengo che nel guardare un'opera come quadro astratto l'osservatore abbia un atteggiamento ben diverso da quello che ha chi la vede come figurativa.
Si ammetterà che i famosi lavori di Rotko danno una risposta ben diversa se li si guarda come opera astratta pura o come finestre.
Ritengo che la differenza possa consistere nell'attivazione o meno dei neuroni-specchio che sono, uscendo dall'anatomia pura, le parti del cervello che sembrano preposte al "riconoscimento" e all'empatia.
A molti di noi sarà capitato quell'episodio sconcertante, che consiste nel mostrare una tela astratta a qualcuno che subito inizia a dire: qui c'è il cielo, questo sembra un animale, ecc.
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Dove lui cerca una risposta a qualcosa che potremmo provvisoriamente definire come un'attivazione da parte sua dei propri neuroni-specchio, noi vedevamo un puro gioco di forme ... e anche molti pittori, che pure lasciano capire nei loro lavori astratti di essere partiti da un qualcosa di figurativo, non chiedono poi che il quadro venga vissuto se non come puro gioco di forme e colori.
La famosa scoperta di Kandinskij del quadro rovescio che era bello lo stesso (se andò davvero così) NON va intesa come un giudizio riferito all'opera, BENSì nello stesso senso dell'esempio iniziale su Matisse: l'opera permette che io la goda, ne usufruisca SIA attivando il riconoscimento (per il momento indichiamolo solo così) CHE non attivandolo, limitandomi a forme+colori (il che da un lato porta la visione ad avere analogie con quella dell'architetto, dall'altra, opposta, a somigliare a quella del musicista).
Insomma, Kandinskij non scopre\inventa il quadro astratto, ma l'atteggiamento di non-riconoscimento dell'osservatore.

Storicamente molti artisti si trovarono ad oscillare tra i due poli, creando, come ho scritto sopra, immagini astratte chiaramente derivate da una o più figure. L'evoluzione di Mondrian, in questo senso, resta esemplare. Oppure, abbiamo l'astrattismo lirico di un Singier dove fin dal titolo la figura viene richiamata ("Bagnante mattutina" ...). Ma durante il XX secolo gli artisti hanno pian piano fatto chiarezza, chi tornando a rielaborare la figura anche in modi estremi (Appel, Jorn) chi invece oltrepassando le angoscianti colonne d'Ercole dell'aggancio al reale (Burri, Max Bill, ovvero Vasarely, dove però l'aggancio al reale diviene comunque aggancio alla reazione materiale, fisica, dell'occhio).
Da questo punto di vista Warhol, Koons, Liechtenstein, Hirst rappresentano una retroguardia stordita, gutai un'avanguardia nostalgica (del gesto), e forse solo autori come Dorazio o Hartung hanno gettato il cuore oltre l'ostacolo (peraltro con risultati abbastanza relativi, talora scarsi).

Naturalmente i "neuroni specchio" continuano ad essere stimolati da opere di artisti quali Picasso, Bonnard, Licini, Morandi, che però ne ampliano il campo di attività. E non è nemmeno detto che la strada "giusta" consista nell'abbandono del "riconoscimento". Ciò che in realtà è avvenuto sinora è stata un'acrobatica abilità di vari geniacci di saltare da qui a là e viceversa. Impegno folle ed angoscioso, che pure ha fatto le proprie vittime (De Stael, suicidatosi). Unita all'opera perlopiù inconsapevole di astrattisti che credevano di creare solo il quadro astratto, ma dimenticavano che stavano creando anche l'"atteggiamento astratto".
 

baleng

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Mi scuseranno gli amici cui rubo qui alcune righe utili alla discussione. Provengono da Fol. La maggior parte sono del nick Accipicchia
Se uno guarda un certo tipo di arte a mio parere dovrebbe prima allenare l'occhio e studiare l'evoluzione della pittura, perchè se si guarda un'opera del 1950 con lo stesso occhio con cui si guarda la pala dell'altar maggiore si perde tempo e basta.
Concludendo piuttosto che riferirsi ad un pressochè casuale incontro tra autore astratto e fruitore, mi pare che rimanga sempre valido il famoso assioma percui "un tempo l'arte era difficile da fare e facile da capire, mentre da un certo momento in poi l'arte è diventata facile da fare ma difficile da capire". La svolta dell'astrattismo effettivamente rappresenta anche la svolta percui l'arte si è inoltrata lungo un sentiero sempre più impervio e irto di difficoltà. Credo sia abbastanza realistico affermare che per secoli e secoli l'arte è stata "semplicemente" racconto e imitazione, e che poi quasi all'improvviso si è complicata in linguaggi e simboli sempre più complicati, decodificabili solo da fruitori iniziati e competenti. E il suo percorso dall'astrattismo storico, al concettuale, dalla land art all'art now, è stato così veloce nelle sue evoluzioni quanto mai prima. Probabilmente tale velocità è stata condizionata anche dagli sviluppi della tecnologia e delle scoperte scientifiche, che guarda caso altrettanto velocemente hanno segnato il secolo breve.


Kandinsky, nelle sue opere dal '10 in avanti si rifaceva alla realtà che "astraeva" in forme semplificate e colori puri cercandoli di mettere in armonia secondo schemi anche musicali. Un esempio potrebbero essere le sue "Improvvisazioni" che non erano altro che forme astratte delle montagne di Murnau e zone limitrofe. Mi vengono in mente anche dei "rematori" , in queste opere puoi distinguere anche se solo in modo evocativo delle forme astratte o se si preferisce "estratte" da quello che lo circondava.
...
Sul discorso del "riconoscimento" , molte volte sono gli artisti stessi che dichiarano di ispirarsi alla realtà per le loro composizioni. Hartung si ispiravano ai fulmini, Kandinsky prima alle montagne e ai paesaggi di Murnau e successivamente a iniziato a guardare la realtà attraverso il microscopio ed altri artisti etc. Questi artisti secondo me hanno cercato di "semplificare" la comprensione della pittura e non di renderla più difficile. Uno spettatore medio non saprebbe spiegarsi un'opera di Kandinsky come nello stesso tempo non saprebbe spiegarsi un'opera di Raffaello come "lo sposalizio della vergine"con tutti i suoi rimandi simbolici.
...
Il nuovo per essere di "peso" devo comunque fare i conti col passato e con i vecchi schemi, perché se il nuovo non ha un passato rischia solo di essere uno sterile esercizio di stile.

Non è vero che l'opera astratta può essere vista da ognuno come gli pare. Esiste una sola lettura che è quella per cui è stata fatta. O abbiamo la giusta chiave di lettura o ci limitiamo alla nostra "sensibilità". La sensibilità essendo individuale non può essere un metro di giudizio: è "solo", e ripeto "solo", un'emozione. Ma la nostra emozione è del tutto ininfluente sulla storia.

Un'opera figurativa lascia relativamente poco spazio all'interpretazione (non è così in effetti perchè anche un'opera figurativa va letta, capita e collocata per quello che è nel suo contesto storico). Ma per un'opera astratta c'è poco da fare: deve essere letta "esattamente". Che piaccia e dia godimento non basta. Secondo questi criteri, un capolavoro può essere confuso con un lavoro mediocre. Anzi magari induce a preferire il lavoro mediocre solo perchè è più colorato! Se non cogliamo l'equilibrio, la composizione, lo studio, le armonie o le dissonanze dei segni, cosa capiamo? Se risulta piacevole a un livello "elementare" c'è la forte probabilità che sia "decorazione".
 
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baleng

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Cito cose mie
L'autore, l'artista una volta poteva solo vedere il suo lavoro in funzione di una realtà esterna cui riferirsi.
Poi creava l'opera.
In quest'opera lo spettatore ritrovava, certo, la realtà esterna iniziale
ma era BEN conscio che i valori della pittura NON dipendendevano né dalla fedeltà a questa realtà né dalla semplice piacevolezza, ecc.
Allora i critici del tempo andavano cercando dove cavolo si nascondessero questi valori, ma ricadevano in osservazioni come "nobile portamento", "smaglianti colori" "dolcissimo sorriso" ecc. In pratica, ridescrivevano la realtà esterna riportata dall'artista, magari aggiungendovi qualche qualità aggettivale da questi evidentemente aggiunta.
Ma si trattava sempre di discutere di un oggetto di cui erano chiari (macché, lo sembravano) i rapporti con il modello, oscuri quelli con l'intimo dello spettatore.

Il problema sta nel fatto di credere che le cose stiano là, oppure qua. Invece il sugo sta nell'azione, nell'operazione dell'artista, che poi viene ripercorsa dall'operazione dello spettatore (e qui si pone il problema della preparazione di quest'ultimo).

In effetti il problema è: quali operazioni mi stimola, o mi permette di fare il quadro che ho di fronte (quadro, o scultura, ecc) ? L'arte astratta comincia a capire che le stesse operazioni le posso fare anche senza dovermi riferire ad un modello, proprio come non serve un modello per godere (=operare su) della musica di un buon autore. Ma sono le stesse? Certo. Sono le stesse, c'erano anche prima, mentre vengono a mancare quelle per cui mi riferisco ad un modello reale, o anche immaginario.
Come conseguenza, tra l'altro, non c'è più bisogno di "fingere" la gravità entro il quadro, e pure la terza dimensione se ne può andare. Restano forme e colori. Ma per dipingere queste nuove forme e questi colori quali operazioni farà ora l'artista? Non è facile sganciare tutte le forme dal richiamo del reale. Subito, poi, le forme elementari della geometria mostrano la loro potenza, tendono ad imporsi come nuovi modelli: il quadrato di Albers, i triangoli di Licini, o di Magnelli, i cerchi dei Delaunay ... fino ai cerchi di Kenneth Noland o alle bandiere di J. Johns, che sono varianti minimali di forme elementari. O ai "rettangoli" di Rothko.

Qualcuno fugge dall'angoscia del nulla che ne deriva valorizzando il proprio gesto stesso. Pollock, Mathieu: il quadro non può più riferirsi ad un modello? E allora esso sarà una traccia del mio stesso "muovermi" nel mondo. Su questa linea si arriva alle impronte di Manzoni (poi riproposte in vari modi dagli epigoni
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). E a Tapiès.
Un altro modo di "non rappresentare più" consiste nel valorizzare la materia stessa dell'opera (Burri, per esempio, o Fautrier); o nel regredire volontariamente a livello infantile (Dubuffet, da cui discende Basquiat).

Ricapitolando: il pittore che non voglia più riferirsi al modello, anzi, che senta questo riferimento come un peso, un intralcio, è costretto a "ripartire da zero", inventarsi un nuovo percorso operativo. Ovviamente lo spettatore dovrebbe anch'egli passare, più o meno, per lo stesso sentiero. Ma nessuno gli ha chiesto il suo parere. Potrebbe non esserne capace, per carattere o per impreparazione. In fin dei conti, prima tutta la pittura era figurativa. Ora, astratto è una non-definizione, vuol dire solo NO, non ci si riconosce più, potete "rinunciare all'uso dei neuroni specchio"
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Pittura materica, pittura surreale, pittura geometrica, classicismo, sono definizioni in positivo, affermano qualcosa, cioè un altro cammino da fare, che l'artista ha prima percorso per noi. Capiamo bene che nella pittura di Sironi non possiamo cercare le trasparenze del colore, si tratta di masse. Se cerchiamo i crateri in Burri (Turcato è moooolto più ambiguo, ehm) o le sfumature in Castellani, semplicemente non troveremo nulla. Ma questo è abbastanza chiaro.

Lì, Duchamp dice: cerchiamo solo forme, rapporti di forme e/o colore? Allora qualunque oggetto ne ha, anche il più umile. Ed anche questo è un modo per sfuggire alla rappresentazione. L'orinatoio di Duchamp, proprio come il paesaggio - o quel che era - di Kandinskij, diventa "astratto" rovesciandolo.
Il messaggio è: non conta l'oggetto, rappresentato o proprio visto concretamente: contano i rapporti, cioè le operazioni, le "danze" che l'occhio dello spettatore opererà sulle forme, con le forme. Pura musica, in certo senso, e questo viene pure più volte ribadito da molti altri. O pura architettura, se la geometria si impone.

[Duchamp mostra la luna e Warhol guarda al dito: gli oggetti vengono riproposti nella loro banalità senza neanche più scomodarsi a rovesciarli: come dire che quell'atteggiamento, quelle operazioni, quel percorso che prima l'artista preparava per noi, ora ce lo dovremmo costruire da soli, grazie: ma senza più averne la forza, il denaro e la merce hanno già vinto].

La conclusione è che la nascita dell'astrattismo ha solo, logicamente, permesso di capire che il "riconoscimento" non è sostanza nell'arte, ma solo accidente, occasione. L'operazione artistica vera è un'altra (quel "danzare" di cui dicevo), e può farsi sia sulla scena di genere che sul geometrico puro, su Renoir o su Mondrian. Se non ci riesci, rovescia il quadro, o almeno guardalo allo specchio - saltan fuori cose che non si riusciva a vedere - così ti liberi dai condizionamenti dei tuoi neuroni-specchio, che non riguardano i valori artistici, bensì quelli umani.

E da questo punto di vista, Kandinskij fu il Machiavelli dell'arte. Quello separa morale e politica, questi separa arte da umanità (nel senso di comprensione, fratellanza, riconoscimento).

Dove sono equilibrio, composizione ecc? Nel quadro? Solo lì? Non erano anche prima nella mente del creatore? Non rivivono ad ogni volta nell'operare dello spettatore, che segue l'artista come un cagnolino a guinzaglio segue il padrone, ora precedendolo, ora divagando, ora cercando di fermarsi a pisc
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Dunque bisognerà che l'artista sappia riportare i propri progetti sul supporto dell'opera, e che lo spettatore sappia farsene trasportare in modo adeguato.
Ma come il comune ascoltatore percepisce della sinfonia di Beethoven qualcosa o molto, ma sempre meno del musicista che sappia seguire lo svilupparsi dei temi e delle forme ecc.
così l'opera dovrebbe essere come uno stivale che si adatta e permette di camminare bene ad ogni tipo di spettatore.
Quanto alla distinzione tra arte e decorazione, può essere che l'arte miri anche al sentimento mobile dello spettatore, e attraverso questo al suo io, mentre la decorazione si limita a rendere piacevole l'ambiente in cui si vive, e i suoi problemi sono tutti per "fuori". Essa dialoga con l'umore dell'uomo e cerca di evitare i problemi che invece l'artista vuole affrontare, per "vincere".

Un vero uomo si riconosce da come affronta i problemi, una vera donna da come li evita :-D. Basta sostituire artista a uomo e decoratore a donna, ed ecco chiarito l'inghippo.

Quanto al problema della differenza di atteggiamento possibile tra differenti spettatori, si forniva l'esempio del valzer, che ognuno balla secondo le proprie capacità e il proprio stile, ma nessuno può ballarlo come un tango. Fuor di metafora, vedere in un sacco di Burri la rappresentazione di un cratere non va proprio bene.
 
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baleng

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Intervento del nick Accipicchia
I valori di certa pittura figurativa classica in realtà dipendevano eccome in grande parte da criteri di fedeltà e piacevolezza. Questo almeno fino all’impressionismo, una pittura più libera, che ha avuto il grandissimo merito storico di scardinare il disegno, di rompere le pennellate e di creare in buona parte i presupposti che avrebbe portato poi le naturali conseguenze dell’espressionismo e della grande rivoluzione astratta. ... Tra il 1860 e il 1900 si è creata la civiltà artistica moderna. ... Qui i “modelli” ci sono eccome, solo che nessuno vuole più usarli per “copiarli”. La “veri-somiglianza” non è più il valore primario. E’ semmai la somiglianza quella che conta, il riferimento percepibile che fa pensare proprio a quel qualcosa che interessa al pittore. ... Ma da qui in avanti, la strabordante personalità degli artisti prende il sopravvento. ... I “modelli” non servono più. L’artista crea un suo stile e produce un suo linguaggio. ... Chi resta escluso, molto spesso non dice “non capisco”. Per reazione dice “non mi piace. ... Il problema vero non è l’artista, ma proprio lo spettatore che prima poteva guardare l’opera anche un po’ passivamente. D’ora in avanti lo spettatore deve “impegnarsi” di più. Deve superare gli schemi dell’immediatezza e rinunciare a far lavorare i neuronispecchio. Deve rincorrere un’arte nuova che corre veloce e che non gli dà fiato. Idee sempre più innovative spostano continuamente il confine della ricerca. I neuronispecchio non servono più a niente. ... Nella seconda metà del Novecento, artisti straordinari operano un ulteriore balzo in avanti: non usano più nemmeno gli strumenti tradizionali della pittura (supporti, colori e pennelli), ma fanno arte con concetti, idee, materiali. Lo spettatore è spiazzato. I neuronispecchio diventano una palla al piede.
 

baleng

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aggiungevo
I criteri di fedeltà e piacevolezza contavano. Però c'è stato un percorso. Già con Michelangelo e Tintoretto diciamo in sintesi che volutamente "si esagera"... la pittura ha certamente piena coscienza di non essere solo imitazione. Le basta che dentro l'osservatore si formino delle conoscenze su cui appoggiare l'espressione artistica: riconosco che questo è un paesaggio, indi vedo che è un bel paesaggio. Ma non è "identico" al paesaggio visto nella realtà.
Tant'è vero che l'Impressionismo, contrariamente alla vulgata, voleva proprio rendere il reale così com'è, altro che libere pennellate: solo che si trattava della realtà nella luce, ancora più concreta di quella ricreata negli studi dei pittori, di una "realtà.2", non ricreata nella tela, ma nell'occhio da essa stimolato. Però la gente vide le ombre viola e le pennellate grasse, cioè l'oggetto-quadro, non il soggetto-occhio. Ed anche gli altri pittori videro questo, acquisendo nuovi strumenti per raggiungere nuovi e diversi obiettivi, e questo era il secondo punto che volevo notare.

Da qui in poi è il pubblico che deve imparare. Che cosa deve imparare? Poiché i linguaggi nuovi presuppongono regole e mete nuove, lo spettatore deve imparare a cercare e capire quali siano queste "leggi", questi percorsi.
Per capire i quadri futuristi deve concepire il movimento nel quadro stesso; e il movimento fa già parte della sua esperienza.
Per capire i simbolisti deve accettare che il quadro possa evocare qualcosa di non visibile, ma anche questo è qualcosa che ha già sperimentato. Per capire gli espressionisti deve rendersi conto che un quadro non guarda solo verso l'esterno, ma anche verso l'interno, dove vigono leggi diverse da quelle spaziali, e ciò pure trova appoggio sul suo vissuto.
Certamente per tutti questi movimenti rimane come viatico il riconoscimento di persone cose e animali, sia pure deformati, sia pure sintetizzati o ambigui.

Però già con l'astrattismo è arduo definire a quale tipo di esperienza personale precedente ci si debba riferire. Astrattismo significa, come ho già detto, che non si deve riconoscere più nulla. Una definizione in negativo. Ma, in positivo, qual è la proposta? Quale il riferimento al vissuto? Perché, se vuoi che lo spettatore ti venga dietro, un po' devi pur riferirti a lui, al suo vissuto.
Kandinskij fa esplicito riferimento all'esperienza musicale, ai ritmi, alle altezze dei suoni, alle durate, ma la cosa, questo parallelismo tra percezioni di sensi diversi, era all'epoca abbondantemente nell'aria.
Kandinskij, ma non Malevitch, che fa riferimento ad una "sensibilità plastica" che dovremmo immaginare vicina all'esperienza del tatto spiritualizzata ed organizzata. Certo, finché riconosco forme geometriche, non sono tutto fuori dall'attività, appunto, del riconoscere. Ma è anche vero che lo spettatore che dice: questo lo potrei fare anch'io, non ha tutti i torti. Insomma, siamo ancora nel campo dell'arte?
Qui si complica anche la questione del giudizio, senza il quale qualunque "cosa" nuova o anche meno nuova può pretendersi artistica.
Dopodiché può nascere la questione della buona fede riferita all'arte più recente, che comunque è condizionata dal mercato, e soprattutto dalla comunicazione di mercato, molto più che una volta.
E' del poeta il fin la meraviglia, diceva Marino (chi si è mai letto un libro di sue poesie?
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). Così dicendo invertiva l'ordine delle cose, per cui la poesia nasce dalla meraviglia, ma questa non ne è certo lo scopo centrale.

Glenn Gould ebbe a dire che
lo scopo dell’arte non è quello di farci produrre una scarica di adrenalina, ma la costruzione graduale, protratta nel corso della vita intera di uno stato di serenità mista a meraviglia.
Io sottoscrivo al 100%, sia come autore che come spettatore
.
 

baleng

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Da wikipedia

I neuronispecchio sono una classe di neuroni che si attivano quando un animale compie un'azione e quando l'animale osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto.

Attraverso studi di risonanza magnetica, si è potuto constatare che i medesimi neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione, vengono attivati anche nell'osservatore della medesima azione. Ulteriori indagini estese agli esseri umani non solo hanno confermato le attività neuronali sulla base di studi di neuroimmagine, ma hanno anche condotto a concludere che tali neuroni vengono attivati anche nei portatori di amputazioni o plegie degli arti, nel caso di movimenti degli arti, nonché in soggetti ipovedenti o ciechi: per esempio basta il rumore dell'acqua versata da una brocca in un bicchiere per l'attivazione, nell'individuo cieco, dei medesimi neuroni che sono attivati in chi esegue l'azione del versare l'acqua nel bicchiere o comunque sia in qualsiasi altro tipo di contenitore inventato per contenere un liquido.
...
Ramachandran ha scritto un saggio sulla loro importanza potenziale nello studio dell'imitazione e del linguaggio.
...
Alcuni ricercatori ritengono che il sistema specchio possa simulare le azioni osservate e perciò contribuire a una teoria della conoscenza o, come qualcuno la chiama, teoria della mente. Altri pongono i neuroni specchio in relazione con le caratteristiche del linguaggio. È stato anche proposto il collegamento tra il sistema specchio con le patologie della conoscenza e della comunicazione, in particolare l'autismo
...
Ormai è certo che tale sistema ha tutto il potenziale necessario per fornire un meccanismo di comprensione delle azioni e per l'apprendimento attraverso l'imitazione e la simulazione del comportamento altrui. In questo senso è opportuno ribadire che il riconoscimento non avviene soltanto a livello motorio ma con il riconoscimento vero e proprio dell'azione, intesa come evento biofisico.
...
La capacità di parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui, espresse con moti del volto, gesti e suoni; la capacità di codificare istantaneamente questa percezione in termini "viscero-motori", rende ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale per ottenere quella che gli scopritori chiamano "partecipazione empatica".
...
Ancora oggi si tengono corsi di formazione nei quali si "impone" di sorridere sempre. ... se prima non si è intrapreso un accurato percorso di motivazione, il risultato potrebbe essere il famigerato sorriso falso, il quale ha una caratteristica eccezionale: si coglie, si individua, si cataloga pressoché immediatamente, sempre in virtù delle capacità dei neuroni specchio.
...
Altro aspetto interessante, che ci fa notare ancora una volta la nostra responsabilità sociale a livello biologico, sulla base dei neuroni specchio, è che quando esprimiamo uno stato d'animo negativo modifichiamo anche l'umore e le percezioni di tutti coloro che vengono in contatto con noi e si predispongono ad imitarci in modo automatico.
Ritengo che la funzione preceda l'organo, e che anche i neuroni specchio non siano che la parte materiale che un processo avente origine, e qui semplifico troppo, nella mente, si crea per potersi materializzare, cioè per "appoggiarvisi". Di per sé il neurone non determina nulla, così come la bicicletta non "decide" dove io devo andare, pur avendo un'importanza condizionante - se si rompe non posso proprio andare da nessuna parte.

Credo allora di dover chiarire perché i neuroni specchio sarebbero coinvolti nell'osservare un quadro come riferito ad una realtà esterna ad esso.
 

baleng

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ed appunto aggiunsi
Nel test di Rorschach il soggetto viene valutato a seconda di come interpreta delle macchie ambigue. Nel far ciò egli proietterà nell'interpretazione scelta le proprie stesse caratteristiche, stante appunto l'ambiguità del disegno che lo lascia libero. Facendo il percorso inverso, cioè dall'interpretazione alle caratteristiche che hanno agito nell'atto di interpretare, lo psicologo ottiene delle informazioni sul testato.

Uno degli aspetti più importanti è il riconoscere, da parte del soggetto, forme dotate di individualità, di unità. E' come se le ricostruisse lui stesso, con modalità cui il suo stesso modo di essere dà l'impronta. Per riconoscere l'individualità di un'altra persona occorre che sia attiva anche la mia individualità. Ciò vale anche limitatamente a solo alcuni degli aspetti di questa.

Nel riconoscere che un nudo di modella rappresenta una unità esterna al quadro devo da una parte rifarmi alla percezione della mia individualità, dall'altra operare un processo di conoscenza fuori, nel mondo, sentendomi parte di quel mondo, spazialmente e non solo. Poiché la mia presenza nello spazio è legata al mio corpo, ecco che il riconoscimento di questa realtà esterna al quadro avviene tenendo come termine di paragone proprio quel mio corpo fisico. (magari il paesaggio è più rilassante in quanto lascia maggiore spazio al mio movimento immaginato, senza presenze umane che lo condizionino).

A farla breve: mi sembra probabile che in tutto ciò agiscano i neuroni specchio, ed agiscano non solo se vi è il dipinto di un corpo, ma anche per un semplice paesaggio. Perché io in quel paesaggio mi ci potrei muovere. Per il neurone specchio il solo immaginare l'azione è lo stesso che farla (e lo sapeva bene quel tale il quale sosteneva che commettere adulterio in cuor proprio è esattamente come commetterlo nei fatti
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).

L'ASTRAZIONE

Per capire un quadro astratto devo rinunciare all'uso dei neuroni specchio?
E prima ancora: nel creare un quadro astratto l'artista fa la stessa rinuncia?
Un quadro astratto dovrebbe essere un dipinto che si può (o: si deve) capire, apprezzare e valutare senza far riferimento a nulla di quanto esiste all'infuori di esso. Due linee leggermente convergenti non dovranno richiamare esplicitamente l'immagine di un palo o di una gamba, ma solo esprimere una situazione di rapporti all'interno del quadro-recinto. E' vero che inconsciamente certi frammenti di immagine possono continuare ad agire, e una specie di luna messa orizzontale potrà richiamare alla mia anima il segno o simbolo del sorriso. Questo ha a che fare con l'inconscio, con fattori subliminali, ma non naturali (per es. se un segno più volte ripetuto richiama una corona, ciò influenzerà il tono della mia lettura dell'opera in modo un po' magico..)

Il pittore astratto dunque normalmente ci chiede proprio di sospendere l'azione di quegli speciali neuroni. Però, attenzione, una simile cessazione avviene anche nello schizofrenico: occorrerà trovare una differenza.
 

baleng

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Tornando alla metafora della "danza con il quadro", la storia dell'arte ci mostra un primo lunghissimo periodo in cui la raffigurazione aveva soprattutto un senso magico-religioso. In tal caso, il riconoscimento (con l'attivazione dei neuroni specchio) dell'oggetto era alla base di tutto: se il dio ha fattezze di toro, devo riconoscere nella raffigurazione un toro.

L'atteggiamento estetico è una conquista più recente: prima agito per il tramite del riconoscimento stesso (a partire dai Greci, poi abbiamo gli affreschi pompeiani, poi le madonne ...). Però in seguito agito per sé stesso: l'arte si separa dalla religione (e si avvicina alla scienza, ma non più vissuta quale informazione - per es. sulla storia, sul soggetto - ma in rapporto alla comunicazione, al vedere). L'arte diviene autonoma.

Probabilmente l'attuale sovraccarico di informazioni ha contribuito a far nascere l'atteggiamento di Umbisam. Che dice: le cose le so già, mostratemi un altro modo di interpretarle. Cioè:"le cose le sappiamo già ... mostratemi il vs modo di interpretarle"
Per saperle, però, i famosi neuroncini devi averli attivati prima
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, e ora chiedi ti sia offerta una variante.
Non so come rapportare all'arte tutto ciò, ma magari è un mio limite strutturale. Intanto ne prendo atto. E credo anche che la novità dell'esistenza di immagini in movimento abbia influito su tutto questo.

risponde acci

L’Astrattismo è stato una vera rivoluzione, un diverso modo di approcciare l’arte di sempre, una creazione di stimoli nuovi per chi fa e per chi guarda. Non mi soffermerei soltanto al vissuto (anche se ovviamente proporre qualcosa, significa per forza tirar fuori qualcosa che si ha dentro), ma piuttosto sull’atteggiamento estetico che vale almeno altrettanto se non di più del vissuto. E’ l’invenzione pura di un nuovo linguaggio. Un linguaggio personale, elaborato, a volte complesso, che l’artista riesce a proporre con intelligenza e coerenza (per questo escludo che abbiano un qualsiasi valore artistico le innumerevoli “trovate” ad effetto, fatte solo per creare stupore ma del tutto prive senso) e che il fruitore deve “imparare” a capire.
In fin dei conti questo lavoro di decodifica di un linguaggio per iniziati non è una novità.
Anticamente, la pittura serviva a divulgare messaggi relativamente semplici come quelli religiosi ma anche complessi come quelli teologici. Serviva anche a divulgare messaggi politici affermando per esempio la grandezza di regnanti o di casati nobili. O serviva a trasmettere informazioni su nazioni lontane, su altri continenti o su culture diverse (non esistevano certo le comunicazioni audiovisive di oggi). Queste “narrazioni” secondo me potevano all’epoca risultare in buona parte incomprensibili a un popolano di bassa cultura che non sapeva granchè di religione, quasi nulla di politica, praticamente niente di altre culture.
Oggi il mondo è del tutto diverso: i mezzi di comunicazione sono straordinari e straordinariamente veloci: non c’è da descrivere niente che non sia già noto e già stato visto. Ma l’arte per definizione non può essere una retroguardia. L’arte infatti ha più che mai un ruolo trainante di “scoperta”, di crescita di idee e valori. Il suo ruolo nelle società evolute è semmai sempre più amplificato e deve avere capacità sempre nuove di colpire intelligenze e coscienze di livello sempre più alto. L'arte è più difficile da capire. Ma oggi tutto è più difficile: vita sociale, progresso, scoperte scientifiche
 

baleng

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(continuo)
Quanto alla differenza tra chi sospende - o limita - volontariamente l'azione dei neuronispecchio e lo schizofrenico, evidentemente essa sta appunto nella volontarietà.
Lo schizofrenico è in balia di tali non-scelte, non riesce, o riesce con enorme difficoltà, a riconoscersi "uguale all'altro", non controlla le sue identificazioni. Alla persona sana è richiesto invece di avere una certa dose di controllo su una lunga serie di comportamenti. Se rinuncia a certi comportamenti "naturali" entra in una dimensione "alterata", da cui deve comunque essere in grado di uscire quando lo desideri e scelga.

Ciò non toglie che talune opere figurative ci propongano immagini che usano procedimenti "malati" (alla Biennale di Venezia vi era una intera sezione su ciò: ma riguardava forse più personaggi malati che artisti autonomi). Uno di questi procedimenti è, per esempio, quando una linea fa da contorno esterno comune a due figure appiccicate

Un uso da "sano" di questo ritrovato è spesso presente in Escher.

In generale, molta arte del 900 ha fatto ricorso a procedimenti riferibili a disegni di malati mentali, Dubuffet su tutti. Raramente, però, si trattò di pittori astrattisti (magari tra questi emerge proprio Dubuffet ). Comunque, da qui vennero le accuse di arte degenerata, di arte folle ecc.
Oggi, un artista che lavora con forza su questo crinale a metà tra sano e folle, crinale che di conseguenza ci appare magico, è Simone Pellegrini
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Diciamo che ad impegnare i propri neuroni specchio con quadri come questo si rischia un po' di disagio mentale, perché l'artista tiene tutto sotto controllo, ma ... lo spettatore?
 

baleng

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acci
Magnelli è ricerca di equilibri compositivi, non raffigura niente.
Rothko è la ricerca di una dimensione differente di luce.
Hartung si esprime con i suoi "graffi" e coi suoi colori tipici. E' un linguaggio studiato e inconfondibile.
Vedova è gesto e diventa grande quando si libera di tutto e entra nel quadro per dipingerlo. Sembra istinto ma sa bene come ottenere il risultato che ha in mente.
Se ne possono citare a decine e decine, ma il sunto è sempre lo stesso: ha senso cercare quasi a forza qualcosa che non avevano nessuna intenzione di dire? Anzi: che non volevano dire proprio.
Nessun neurone specchio. Guardiamo le loro opere per quello che sono: invenzioni di stili personalissimi. In questi artisti c'è sicuramente un moto proprio che esprime una ribellione, o una denuncia, o una tensione. Cerchiamo di capire queste spinte, cercare altro sarebbe solo una nostra contaminazione.
Poi i vari linguaggi posso piacere o non piacere, possono convincere o meno, ma dobbiamo interpretarli con la loro chiave di lettura, non con la nostra fantasia.
Se guardo in cielo una rondine non penso "però l'elefante è più forte". Così come se guardo un elefante non mi metto a pensare "però la rondine è più leggera". Altrimenti il malato sono io!
io
Quanto a 'sti benedetti neuronispecchio: semplicemente, ci si può educare a non attivarli, proprio perché i pittori "astratti" han fatto lo stesso, e non va cercato in loro quello che non ci hanno messo. Ma sia i surrealisti che Klee o Mirò usano dei procedimenti di allontanamento dalla figura che li possono portare in ambito che sembra astratto, ma non lo è: è un figurativo rarefatto, che usa di segni e simboli i quali agiscono comunque sul nostro inconscio per via di analogie formali le quali vengono comunque riconosciute e si rifanno ad oggetti, o magari a simboli esterni al quadro.
Ciò paradossalmente non toglie che certuni possano leggerli come astratti, non riuscendo a ripercorrere tutto il percorso che li ha portati al risultato finale visibile.

Infine, poiché il pittore astratto, chiamiamolo così, crea comunque forme, alla fine del processo queste possono ricreare un nuovo mondo, sia casualmente semifigurativo, sia totalmente risolto all'interno, sia, infine, rapportato alla realtà non più per la via della rappresentazione ma per quella, diciamo, muscolare, dove ogni artista ha la sua scrittura, la sua grafia, che nasce nelle profondità del corpo fisico - come sapeva e ricercava già il Cavalcaselle (o, nel campo dell'analisi calligrafica, il Moretti).
Chiaramente, non si tratta più di un rappresentare, semmai di un presentarsi.
Viene poi da altri osservato che gli artisti citati (Magnelli, Rothko ecc.)
non raffigurano la realtà, ma comunque in modo o nell'altro tutti dico tutti la evocano... partono tutti da un dato reale sempre!!!
 

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