Red Erik
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E' appena iniziato il Consiglio dei Ministri che dovrà risolvere il giallo sulla riforma del Tfr. Dopo l'ultimo botta e risposta nella CdL, sembra che, salvo colpi di scena, il provvedimento passerà. La Lega, infatti, vuole chiedere il voto a maggioranza e grazie ai voti dei ministri aennini (Alemanno, Storace, Tremaglia, Fini e Matteoli) e di alcuni di Fi (Moratti e Prestigiacomo) dovrebbe portare a casa la riforma.
All'inizio della settimana sembrava che il CdM di oggi avrebbe dato l'ok senza problemi al provvedimento, e invece mercoledì si è riacceso lo scontro nella maggioranza. Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha ribadito che "non c'è più tempo per i rinvii", argomentazione che è stata successivamente sostenuta anche dal ministro delle Politiche Agricole Gianni Alemanno, e il ministro della Funzione Pubblica Mario Baccini, che di contro ha chiesto "una pausa di riflessione".
La riforma fortemente voluta dal ministro del Welfare, Roberto Maroni, dovrebbe poter contare sull'appoggio di An ma incontrerebbe forti perplessità da parte di alcuni ministri come La Malfa, Pisanu e appunto Baccini dell'Udc.
Fondamentale la posizione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che oggi in una nota Maroni smentisce di aver definito in un'intervista a Repubblica "gran burattinaio" dell'affossamento della riforma. "In merito a quanto riportato sul quotidiano La Repubblica smentisco di aver rilasciato dichiarazioni offensive nei confronti del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi", dice oggi Maroni. "In particolare - prosegue Maroni - non ho mai detto che il Presidente del Consiglio sarebbe il gran burattinaio".
Il 'nodo' principale della riforma è rappresentato dalla portabilità del contributo da parte del datore di lavoro: secondo la riforma, il lavoratore che sceglie i fondi negoziali può contare anche su tale contributo che si aggira sull'1% del Tfr. Nel caso di fondi aperti, come quelli proposti dalle compagnie di assicurazione, il contributo verrebbe meno. Proprio su questo, si sono impuntate le assicurazioni che chiedono pari condizioni con i fondi chiusi.
A questo punto, sarebbero due le proposte di mediazione: la prima, quella di prevedere che il contributo del datore di lavoro, dopo due anni di "parcheggio" nei fondi negoziali, possa essere trasferito nei fondi aperti, sempre con il consenso del lavoratore. La seconda, che proporrà sicuramente il Ministro Maroni, di aprire un tavolo di monitoraggio nel suo primo anno di applicazione della riforma e decidere eventuali "correttivi" allo scadere dei 12 mesi, anche per quanto riguarda la cosiddetta portabilità del contributo.
Se passerà, la riforma del Tfr decollerà dal prossimo primo gennaio: lo chiedono i sindacati che hanno bollato come vergognoso un eventuale rinvio e il mondo delle imprese. Lo hanno recentemente sollecitato anche il governatore di Bankitalia Antonio Fazio e il Fondo Monetario Internazionale.
All'inizio della settimana sembrava che il CdM di oggi avrebbe dato l'ok senza problemi al provvedimento, e invece mercoledì si è riacceso lo scontro nella maggioranza. Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha ribadito che "non c'è più tempo per i rinvii", argomentazione che è stata successivamente sostenuta anche dal ministro delle Politiche Agricole Gianni Alemanno, e il ministro della Funzione Pubblica Mario Baccini, che di contro ha chiesto "una pausa di riflessione".
La riforma fortemente voluta dal ministro del Welfare, Roberto Maroni, dovrebbe poter contare sull'appoggio di An ma incontrerebbe forti perplessità da parte di alcuni ministri come La Malfa, Pisanu e appunto Baccini dell'Udc.
Fondamentale la posizione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che oggi in una nota Maroni smentisce di aver definito in un'intervista a Repubblica "gran burattinaio" dell'affossamento della riforma. "In merito a quanto riportato sul quotidiano La Repubblica smentisco di aver rilasciato dichiarazioni offensive nei confronti del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi", dice oggi Maroni. "In particolare - prosegue Maroni - non ho mai detto che il Presidente del Consiglio sarebbe il gran burattinaio".
Il 'nodo' principale della riforma è rappresentato dalla portabilità del contributo da parte del datore di lavoro: secondo la riforma, il lavoratore che sceglie i fondi negoziali può contare anche su tale contributo che si aggira sull'1% del Tfr. Nel caso di fondi aperti, come quelli proposti dalle compagnie di assicurazione, il contributo verrebbe meno. Proprio su questo, si sono impuntate le assicurazioni che chiedono pari condizioni con i fondi chiusi.
A questo punto, sarebbero due le proposte di mediazione: la prima, quella di prevedere che il contributo del datore di lavoro, dopo due anni di "parcheggio" nei fondi negoziali, possa essere trasferito nei fondi aperti, sempre con il consenso del lavoratore. La seconda, che proporrà sicuramente il Ministro Maroni, di aprire un tavolo di monitoraggio nel suo primo anno di applicazione della riforma e decidere eventuali "correttivi" allo scadere dei 12 mesi, anche per quanto riguarda la cosiddetta portabilità del contributo.
Se passerà, la riforma del Tfr decollerà dal prossimo primo gennaio: lo chiedono i sindacati che hanno bollato come vergognoso un eventuale rinvio e il mondo delle imprese. Lo hanno recentemente sollecitato anche il governatore di Bankitalia Antonio Fazio e il Fondo Monetario Internazionale.