FATEMI SANTA SENZA INDAGARE TROPPO (1 Viewer)

Val

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Forse ci siamo, ma non diciamolo troppo forte.
Pare che, a livello tecnico di delegazioni, sia stato raggiunto un primo accordo commerciale fra Cina ed USA.

Si tratta solo di un primo passaggio perchè tutto questo dovrà essere approvato dal presidente USA
che avrebbe radunato i propri esperti, ma potrebbe essere il passaggio tanto atteso per allentare le tensioni dei mercati e nella crescita mondiale.

Forse ad avere effetto nella decisione sono state le minacce di un ulteriore innalzamento delle tariffe il prossimo sabato,
a cui avrebbe risposto una inevitabile ritorsione del governo di Pechino.

Da alcune voci pare che i negoziatori americani siano stati disposti non solo a fermare le ulteriori tariffe, ma anche a ridurre del 50% i dazi precedenti.

Naturalmente ci sono dei falchi all’interno del governo di Washington vogliono fermare l’accordo.

Si dice ad esempio che Navarro, il segretario al commercio, abbia affermato che l’economia americana non ha sofferto per i dazi,per cui non ci sarebbe nessun buon motivo per interromperli.

Comunque la borsa ha risposto molto bene all’annuncio, come come possiamo vedere da questi grafici:





ed anche lo Yuan è cresciuto in modo molto sensibile



Vedremo sabato se queste premesse erano giuste.
 

Val

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Non è più l'A.P.I. (Associazione Piccole Imprese) di una volta.
Come si fa a candidare nel pd uno che lavora all'api.
Personalmente gli avrei posto un out out. O qui o con il PD.

Il PD di Lecco ha quest'oggi ufficializzato la discesa in campo di Mauro Gattinoni, classe 1977, direttore generale di API, per le amministrative 2020.
 

Val

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Vi presentiamo l’intervista a Matteo Brandi che parla della censurata intervista al presidente siriano Assad
da parte della giornalista RAI Maggioni, membro del Bilderberg, e che avrebbe dovuto andare in onda su Rainews24 il 2 dicembre, ma poi uscita solo su Raiplay.

Una situazione abbastanza ridicola, con la Rai che brucia una sua esclusiva per non far dispiacere a qualcuno, probabilmente a Parigi.

Perchè ora il vero nemico di Assad non è tanto Trump, che, più o meno, cerca un modus vivendi, ma Parigi e Londra con i propri interessi in Medio Oriente.

Una buona intervista a Brandi a cui facciamo succedere l’intervista ad Assad.

Facciamo notare che nel 2013 la stessa Maggioni aveva già intervistato il presidente Assad.
Perchè allora andava bene, e si parlava del possibile uso dei gas tossici sulla popolazione ed ora no ?
 

Val

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Si parla spesso di monetizzazione del debito come di una follia,ma se questo tipo di politica fosse già in corso e nessuno se ne fosse accorto?

In questo grafico presentiamo da un lato,





In grigio le emissioni di titoli di stato USA,
in arancione gli acquisti da parte della FED, divisi fra TOMO (blu) e POMO (rosso scuso),
le due principali operazioni di rifinanziamento del sistema bancario USA.

La FED ha pompato 437 miliardi di dollari nel sistema bancario per fornire liquidità, ma come questo è successo?

Semplicemente il sistema bancario investe il proprio attivo in titoli di stato, e poi, a corto di liquidità , si fa rifinanziare con i vari programmi POMO e TOMO dalla FED:
A questo punto i titoli finiscono alla FED, ad un rendimento inferiore, con operazioni di pronto contro termine.

Le banche non possono fare diversamente dato che si avvicina il prossimo lunedì quando ci saranno delle importanti scadenze fiscali,
oltre che i prelievi per le spese natalizie, e non si possono lasciare gli ATM vuoti, o non pagare le tasse dei clienti.

A questo punto, visto il comportamento del sistema bancario, non è neanche un grosso problema finanziare il debito pubblico.

Sino a Trump c’era una vera e propria guerra per aumentare il tetto del debito, ma , dopo la prima schermaglia nel primo anno di presidenza
con un mese di chiusura dei servizi non essenziali, sembra che il problema sia risolto, anche se il debito continua a crescere.

Del resto le banche si sono buttate a pesce nel debito pubblico USA, spesso sostituendolo (vedi JP Morgan).

Se i tedeschi capissero quello che fa la FED diventerebbero matti !!
 

Val

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La negoziazione di un trattato in modo autonomo, e in certa parte segreto, gestita da una piccola parte dell’esecutivo;
l’elusione dei doveri di tempestiva informazione nei confronti del parlamento;
il sostanziale disallineamento della condotta negoziale rispetto ai contenuti di un atto di indirizzo approvato dalla Camera;
la presentazione al parlamento di un accordo già chiuso in tutti gli aspetti rilevanti, con la conseguente imposizione a quest’ultimo di un sostanziale aut-aut:

questi elementi, emersi nella vicenda relativa alla modifica del MES, ricordano – mutatis mutandis – la stagione della storia d’Italia in cui maturò il Patto di Londra (1915),
atto con cui il nostro Paese s’impegnò, nell’arco di un mese, a entrare nel primo conflitto mondiale a fianco della Triplice Intesa.

Riprendendo considerazioni altrove già svolte in linea generale, ricordiamo dunque una serie di eventi significativi della storia italiana,
che dimostrano oggi molto meno dei loro oltre cent’anni d’età, tanto che di loro si potrebbe dire, secondo il lessico dei vecchi almanacchi: “accaddero ieri”.

Il Patto di Londra fu negoziato principalmente dall’allora presidente del Consiglio Antonio Salandra e dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino,
con il consenso del re Vittorio Emanuele III, a cui spettava, per prescrizioni statutarie, la stipula dei trattati.

Già allora, seppur soltanto per prassi costituzionale, l’azione del governo sul fronte della politica estera doveva attenersi agli atti di indirizzo del Parlamento; e tali atti ci furono.

Nell’agosto del 1914 fu infatti approvato, con 413 voti favorevoli e 49 contrari, un ordine del giorno presentato dall’ammiraglio Bettolo, che recitava:

“La Camera, riconoscendo che la neutralità dell’Italia fu proclamata con pieno diritto e ponderato giudizio, confida che il Governo,
conscio delle sue gravi responsabilità, saprà spiegare, nei modi e con i mezzi più adatti, un’azione conforme ai supremi interessi nazionali”.

Questo atto ricorda molto da vicino quello con cui, nel giugno 2019, la Camera ha impegnato il governo ad opporsi alla revisione del Meccanismo europeo di stabilità:
entrambi i documenti, infatti, rappresentano l’espressione di un indirizzo molto chiaro :
nel caso del 1914, l’orientamento neutralista;
nel caso del 2019, il mandato a non procedere a modifiche peggiorative del MES.

Tuttavia, una parte di entrambe le formulazioni, assoggettata a una chiara distorsione interpretativa, è stata utilizzata dall’esecutivo
come appiglio formale per legittimare una elusione sostanziale del mandato ricevuto.

Per quanto riguarda i fatti del 1914-1915, Salandra e Sonnino approfittarono della loro piena facoltà di “gestire la neutralità”,
secondo i modi e i mezzi da loro ritenuti più opportuni, per preparare surrettiziamente il voltafaccia italiano e l’ingresso in guerra;

nel 2019, il presidente del Consiglio si è invece aggrappato alla “logica di pacchetto”, inserita nella risoluzione parlamentare proprio su sua iniziativa,
per legittimare una condotta negoziale per molti versi difforme dalla sostanza dell’atto di indirizzo.

Da notare, in entrambi i casi, come il difetto di tempestiva informazione sullo stato delle trattative abbia riguardato non solo il parlamento,
ma anche il governo in quanto organo collegiale, essendo i due negoziati stati sostanzialmente condotti in toto da due soli membri dell’esecutivo.

Le affinità fra i due casi, infine, riguardano l’imposizione alle Camere di due trattati ormai completamente formati in tutte le loro parti rilevanti:
nel caso del patto di Londra, il parlamento poté votare soltanto sui crediti di guerra e sul conferimento al governo dei pieni poteri;
nel caso della riforma del MES, sono state direttamente le autorità europee – a cominciare dal presidente dell’Eurogruppo Centeno –
a far sapere che l’accordo politico era stato chiuso già a giugno, che non vi erano margini per cambiare il testo e che si trattava al massimo di affinare “dettagli tecnici”.

Il caso della riforma del MES configura tuttavia due profili aggiuntivi di gravità.

Il primo riguarda le prerogative del parlamento in materia di informazione e partecipazione alla formazione di trattati internazionali,
che oggi sono definite da una legge dello Stato e non da mere prassi prive di consolidamento normativo.

Il secondo è stato sollevato da un intervento parlamentare dell’11 dicembre scorso: l’allora senatore del Movimento 5 stelle Stefano Lucidi,
intervenendo in dissenso dal suo gruppo, ha rivelato che la risoluzione con cui le Camere in quella stessa giornata impartivano i loro indirizzi al governo
era stata scritta dal governo stesso
: il parlamento, pertanto, era stato utilizzato come mero avatar dell’esecutivo, per inscenare una dialettica democratica che non c’era e non poteva esserci,
essendo la riforma del MES un fatto ormai compiuto, salvo rovesciamenti di tavolo che questo governo non vuole né tantomeno può permettersi.

Come andrà a finire la vicenda MES, non possiamo saperlo con certezza, essendo sempre possibili atti di resipiscenza.

Come sia finita la vicenda del patto di Londra è invece noto.

La guerra ne fu solo l’effetto più macroscopico; ve ne fu infatti un altro, politicamente ancor più rilevante.

Quando infatti Mussolini, nel presentarsi alle Camere nel novembre del 1922, dovette giustificare la propria ascesa al potere per vie non esattamente congruenti con la dialettica democratica,
poté riferirsi ai fatti del 1915 come a un illustre precedente in cui l’Italia si era data un governo “al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del parlamento”.

Qualcuno, a un secolo di distanza, ha ancora voglia di giocare col fuoco.
 

Val

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Val

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Sintomo fra i più gravi e riconoscibili di una crisi politica è, da sempre, l’abbandono di parlamentari dal partito d’origine e l’approdo su altre sponde.

Ovviamente, da sempre, s’ergono alte e forti le condanne per i reprobi scagliate dal partito di provenienza
con l’accusa principe insita nell’immancabile mercato delle vacche che richiama le pratiche di compravendita,
di mercimonio, di traffici illeciti, di intrallazzi in nome e per conto di quella pratica che va sotto il nome di trasformismo.

E non è dunque un caso che il ministro Luigi Di Maio abbia tuonato contro l’uscita di un senatore pentastellato verso i lidi leghisti evocando, per l’appunto,
in una con le contrattazioni di cui sopra, l’antica piaga del trasformismo omettendo tuttavia, l’uso da parte del Movimento 5 Stelle medesimo
di quella stessa pratica nel cambio di alleanze politiche, dalla Lega al Partito Democratico, dimentichi probabilmente della sempre attuale massima del “chi di trasformismo ferisce, di trasformismo perisce”.

Invece di interrogarsi sulle motivazioni politiche che stanno alla base di una scelta comunque esposta a critiche,
il M5S si illude di trovare nelle contumelie criptoetiche liquidatorie un rifugio per gli errori vistosi commessi fino ad ora nel Governo,
una scusa, una sorta di ragione ribaltata pro domo sua quando, invece, una riflessione severa e autocritica sarebbe, se non il toccasana,
per lo meno l’inizio di un recupero per lo meno di credibilità.

Del resto, lo spettacolo rappresentato in questi giorni in occasione dalla presentazione della Legge di Bilancio, e soprattutto del Mes,
ha oscillato fra un film del leggendario Totò e una pellicola dei mitici Franco Franchi e Ciccio Ingrassia,
riaggiornati dalla loro assenza dal rincorrersi senza tregua e senza logica di modifiche, nuove proposte, rifacimenti,
verifiche diurne e notturne sullo sfondo di una maggioranza traballante e di una situazione economica che sta peggiorando
e alla quale non sembrano essere stati posti rimedi, progetti e interventi degni di questo nome.

Per l’appunto il Mes: passato dopo sedute, riunioni, giorni, settimane di incontri e scontri, di accuse e di polemiche abbastanza inutili e a volte pretestuose
– con al fondo l’intramontabile cartello con su scritto “i giochi sono fatti” – sembrava imboccare la svolta pericolosa della crisi arrestandosi, per ora,
con la sua approvazione ma mostrando, proprio nelle perdite di tempo in quelli che qualcuno ha chiamato problemi immaginari,
i rischi concreti e gli impegni urgentissimi tralasciati e rinviati per insipienza e incapacità.

Bastano due nomi per evidenziarne la gravità, dall’Ilva all’Alitalia, e le responsabilità di una maggioranza e di un Governo
che poco o nulla hanno fatto per porvi rimedi credibili giacché, prendendo ad esempio la situazione dell’Ilva,
il “Governo ha fatto finta che non fosse un problema reale” e per di più giocando a rimpiattino con le varie anime pentastellate locali,
nel solco delle idiozie pronunciate irresponsabilmente dal loro boss che pretendeva su quell’area verdeggiante la realizzazione di giardini pubblici.

E quanto all’Alitalia, i messaggi e gli avvertimenti sulla sua situazione sempre più grave erano noti a tutti, ma non a questo Governo che ha rivelato,
se ce ne fosse ancora bisogno, una impreparazione tanto più colpevole quanto più quei problemi erano prevedibili.

Da più parti si invoca l’intervento del Quirinale per tagliare il nodo gordiano di Giuseppe Conte mandando il Paese alle elezioni anticipate.

L’impressione, tuttavia, è che pur con la consapevolezza della estrema fragilità della coalizione, il presidente Sergio Mattarella
sia restio a forzare la situazione preferendo prendere atto della crisi piuttosto che “provocarla”, con una maggioranza ancora c’è in Parlamento.

Ma non può ignorare che la tenuta parlamentare – con una maggioranza difficile da tenere insieme
e col rischio concreto di fuoriuscite di deputati e senatori – sia un miraggio di fronte ai problemi reali del Paese.

En attendant Mattarella, non Godot.
 

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