FATEMI SANTA SENZA INDAGARE TROPPO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
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Così potrebbe essere il nuovo parlamento inglese.
 

Val

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Un’altra vittoria dei “cattivi”.

Può essere sintetizzato così il voto della Gran Bretagna, dove i primi risultati danno una vittoria schiacciante per Johnson
e indicano una netta presa di posizione da parte dell’elettorato britannico che, a questo punto, sceglie definitivamente la fine dell’impasse.

Piaccia o meno, la Brexit deve finire. E queste elezioni di dicembre hanno dato un netto mandato al primo ministro per concludere le trattative,
giungere il prima possibile a un accordo di divorzio con Bruxelles e farlo con un parlamento che possa dare il via libera a quanto concordato tra Londra e Ue.

La notte scorre frenetica in tutto il territorio britannico.
E la paura e l’entusiasmo si contendono gli animi della politica e del popolo del Regno Unito.
Molti prevedevano una vittoria di Johnson, ma nessuno si aspettava un distacco così netto con i laburisti.

Bravura di Bojo o negligenze di Corbyn? Difficile da dire con certezze.

L’unico dato rilevante è che il primo ministro uscente ha saputo fare due cose: blindare l’elettorato di centrodestra
e soprattutto sfruttare gli errori della sinistra, specialmente nel campo della Brexit.
Corbyn ha provato a calcare la mano sul ritorno alle urne, sperando che l’elettorato si facesse ammaliare dall’ipotesi di un nuovo referendum sull’uscita dall’Unione europea.

Ma a quanto pare le sue previsioni sono fallite: e il primo segnale di questo cambiamento del pensiero collettivo inglese
arriva proprio da uno dei feudi storici del Partito laburista, il collegio di Blyth Valley, dove i conservatori hanno strappato una vittoria che non avveniva da mezzo secolo.


Segnali importanti, gli stessi che da tempo gli elettori inviano a governi ed establishment di mezzo mondo e che, nonostante tutto, continuano a puntare sui cavalli sbagliati.

La vittoria di Johnson, in questo senso, assume per il Regno Unito il valore che ebbe la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti:
gli elettori non seguono le logiche delle élite, ma ragionano con parametri del tutto diversi.

Sotto quella torre d’avorio in cui si rinchiude una classe intellettuale ormai priva di contatto con la realtà,
vive una società multiforme e sempre meno facile da prevedere. E questa società è molto più razionale di quanto si possa credere.

Johnson non ha soffiato sulla pancia delle persone, che molti hanno creduto e continuato a dire per molti mesi.
Johnson ha saputo semplicemente dare una risposta a quello che il suo elettorato (e non solo) chiedeva al premier.
La Brexit si è trasformata ormai in una farsa tragicomica da cui Londra non vuole fare altro che uscire al più presto.
L’Europa, quella di Ursula von der Leyen et similia, di certo non può rappresentare una possibile ancora di salvezza
né tantomeno un modello tale per fare marcia indietro sul divorzio.
E i bisogni del Paese reale, quello della classe operaia, degli immigrati di seconda generazione, dei pensionati
e anche della middle-class, sono molto diversi dai bisogni che le élite cercano di rendere imprescindibili per gli Stati.

Non interessa un’Unione europea fallimentare, non interessa più il politicamente corretto,
non fa più impressione un’accusa (fallimentare) di presunti legami con la Russia né scatena alcuna ira dell’elettorato
un atteggiamento irriverente o provocatorio da parte di un personaggio politico.

Johnson è tutto questo.

Eppure gli inglesi, non certo un popolo privo di cultura democratica, hanno preferito lui non solo ai suoi rivali,
ma anche a quel mondo che ha voluto continuare a dipingere Johnson non come un ex sindaco di Londra e premier uscente,
ma come una sorta di clown non in grado di poter governare il Regno.

Evidentemente le previsioni hanno sbagliato. Ancora.

Gli Stati Uniti hanno scelto un personaggio eclettico, carismatico e del tutto fuori dagli schemi come Trump.
E i britannici hanno scelto Johnson, che di certo non può dirsi perfettamente coerente con i rigidi formalismi di Londra.

Il mondo anglosassone sta impazzendo? Difficile.

Probabilmente nelle classi medie e basse delle due sponde dell’Atlantico quello che è sempre più evidente
è che tutti quelli che per anni hanno diviso il mondo in “populisti” e “non populisti” hanno fallito.

E di fronte a degli establishment che hanno trascinato ogni sogno in rovina (basta vedere cosa è diventata oggi l’Unione europea),
le potenze atlantiche dettano un cambio di passo: e lo schiaffo morale ai Soloni dem e europeisti risuona fragorosa nella frenetica notte inglese.

Il destino, ancora una volta, viene definito non nei freddi corridoi degli uffici di Bruxelles,
ma da quelle “maledettissime” pance su cui troppo spesso cala una cortina di disprezzo.

Johnson sul trono di Londra sarà un’immagine difficile da dimenticare.
 

Val

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The exit poll for the UK General Election indicates that the Conservative Party will win 368 seats, whilst the Labour Party will win 191.

This will result in a majority of 86, the largest majority for the Tories since the 1980s. For Jeremy Corbyn, this will be Labour’s worst result since 1935.

The Scottish National Party (SNP) are set to increase their dominance in Scotland and win 55 seats, whilst the Liberal Democrats may only gain 13. The Brexit Party is unlikely to make any gains at all.


If these results are accurate, Boris Johnson may have turned around the Conservative Party’s fortunes.
He has always been a divisive figure in British politics, but compared to 2017, he has always had one advantage over Theresa May- he campaigned for Brexit.
Since he became Prime Minister, Boris has tried to ensure that Britain leaves the EU on time.
He deployed every tactic in the book from proroguing Parliament to securing a deal satisfactory to all sides of the Conservative Party.
A general election was his last resort, and it has worked to his advantage.

Throughout the election, the Tories’ mantra was ‘Get Brexit Done.’
Their message was simple- if the electorate awards the Conservatives a majority, they can vote through Boris’s deal and complete the Brexit process.
They have also focused on areas that Labour are traditionally strong on, like health and education.
Throughout the 2019 General Election, the Tories have consistently said the Brexit paralysis has delayed their progress on these issues,
and by securing that majority, they can invest in public services and concentrate on other issues that matter to the British people.

The Tories have conducted a safe campaign.
They have avoided cowering out of debates, the game-changing mistake that May made in 2017, and they had a simple manifesto message.
The 2017 manifesto was damaged by policies on fox-hunting and making pensioners pay for their social care.

They have also been fortunate enough to witness the Brexit Party’s vote collapse.
Nigel Farage agreed not to contest candidates in seats the Conservatives need to win.
They were also damaged by bloopers like four of their MEPs declaring their support for Boris.

Considering how close they came to power in 2017, Labour hoped that their campaign of ending austerity would work to their advantage after almost ten years of Conservative rule.
Corbyn tried to rally his coalition of voters that almost shifted him into power two years ago, but his support has collapsed.

Many of their policies have been exposed for being expensive, like free broadband, which would have to be paid for through nationalisation.
Their campaign of ‘saving the NHS from Donald Trump’ was damaged by revelations that the health service would not be included in a US-UK post-Brexit trade deal. Furthermore,
Corbyn’s neutral Brexit stance left its voters unsure whether the party stood for remaining in or leaving the EU, which left them vulnerable to the Tories and the Liberal Democrats.

The Liberal Democrats hoped that their anti-Brexit message would appeal to Remainers, but Jo Swinson failed to cut through to them because her position was viewed as extreme.
This is why she failed to win over Tory Remainers who voted against leaving the EU, but believed that a democratic result should be respected.

The Tories’ Brexit message failed to resonate in Scotland, which voted to remain in the EU.
They hoped their unionist message would prevent an SNP onslaught, but Nicola Sturgeon won the argument there.
This shows that Brexit, not the Union, was the dominant theme north of the border.

Brexit overwhelmingly influenced this election outcome, and this result reflects that the majority of voters want it completed.
But this poll leaves Labour in dark territory.
As Andrew Neill said- they have already lost the 2024 General Election.
This vote will change British politics, no matter what the final result actually looks like.
 

Val

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L'ultimo sondaggio conferma i peggiori incubi della maggioranza: secondo la rilevazione della Noto, presentata a Porta a Porta,
il centrodestra è avanti di dieci punti sulla miscela giallorossa, centrosinistra più Cinque stelle: 50,2 per cento contro 40,5.

E se nello schieramento d'opposizione gli scostamenti si giocano all'interno dei tre componenti principali della coalizione
(al momento a guadagnare terreno è il partito di Giorgia Meloni, davanti a Fi, mentre la Lega arretra di due punti restando primo partito)
a sinistra perdono tutti terreno, tranne il Pd che resta bloccato al 18 per cento.
I 5 Stelle si sgranano sia in Parlamento che nel consenso e si confermano dietro ai dem.

Il calo secco di Italia viva, due punti, ora è al 3,5 per cento, complica la strada verso un accordo sulla legge elettorale
ripresa ieri pomeriggio in un vertice nella sala della commissione Industria di Palazzo Madama.
Si parte dall'intesa su un proporzionale corretto per evitare un'eccessiva frammentazione.
Resta da decidere, dettaglio non da poco, il meccanismo di correzione.

Il Pd è arrivato al vertice facendosi precedere da una dichiarazione del capogruppo Andrea Marcucci che tende ad alzare l'asticella:
«Se si parla di soglia esplicita per noi non è pensabile sia sotto il 5 per cento».

Matteo Renzi si sente sotto attacco ed è convinto che il calo nei sondaggi dipenda dall'assalto giudiziario sul caso Open.
Ma ha anche fiutato odore di trappola nascosta nel quadro presentato dal ministro M5s Federico D'Incà
e mandato Maria Elena Boschi al tavolo per far capire che non accetterà di essere accerchiato.

Il primo a prendere la parola per Italia Viva, il deputato romagnolo Marco Di Maio, ha confermato che il 5 per cento non spaventa il suo partito. Ma «con riparto nazionale».

Formula che taglia fuori l'altro sistema, il modello spagnolo: aumenta il numero delle circoscrizioni e crea una soglia di sbarramento implicita più alta, fino all'8%.

I veti incrociati di Iv sul modello spagnolo e di Leu sulla soglia al 5% (la vorrebbero al 3) ha creato un'impasse.

E malumori di Pd e M5s. Con un retropensiero malizioso: lo stallo sarebbe voluto, un modo per tirarla in lungo
e arrivare a soluzioni di emergenza con sbarramento più basso.

Non resta che prendere tempo aprendo il confronto con le opposizioni.

La partita è complessa e si intreccia agli equilibri della maggioranza.

Nonostante le continue scosse, al momento in Parlamento sono in pochi a voler davvero avvicinare la data del voto,
visto che dal Quirinale i segnali non cambiano: il Conte Bis è l'ultimo giro di giostra.

Se cade, basta pastrocchi.

Ora c'è da chiudere la manovra di bilancio a colpi di voti di fiducia.

Ma, in attesa della prova del fuoco con il voto in Emilia Romagna, la maggioranza cerca nuovo slancio.
Lo spauracchio dell'aumento Iva non ci sarà più e, con tanti fronti aperti, dalle crisi aziendali (vedi Ilva e Alitalia) alla giustizia, bisogna trovare una ragione sociale per andare avanti.
Il terreno comune del «green new deal» al momento è poco più che uno slogan.

Lunedì si inizierà a discutere del futuro con un «vertice dei cento giorni», ma si parte in salita, visto che non c'è accordo nemmeno sul metodo.
Di Maio vorrebbe riesumare la formula del «contratto di governo», idea che a Zingaretti non piace.

Scenario ingarbugliato che dalle Camere viene guardato con ansia da tanti, così come la raccolta di firme per il referendum sul taglio dei parlamentari.

Ieri la notizia di una conferenza stampa dei promotori ha fatto scattare il batticuore.
Ma le firme sono ancora a quota 55, dieci sotto alla soglia richiesta.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ma questo non è quello che si sarebbe dimesso se non avesse ricevuto i soldi ?
I soldi non li riceverà. E allora ? Coerenza ragazzo. Coerenza.......e torna in Sud Africa.


Lorenzo Fioramonti, ministro dell'Istruzione, ne spara un'altra delle sue, intimando all'Eni,
fiore all'occhiello nazionale nel campo energetico, «la riconversione totale» verso un futuro verde e felice, ma al di fuori della realtà.

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Fioramonti, che non è il ministro dello Sviluppo economico e dovrebbe occuparsi solo di scuola ha pontificato:
«Vorrei sentirmi dire che nel 2025 il petrolio sarà un centesimo nelle attività di Eni, nel 2030 saremo completamente green. Non c'è tempo».

La Federpetroli e tutto il centro destra hanno sparato a palle incatenate contro le estrose dichiarazioni del ministro,
che non da oggi è un «gretino» che va tanto di moda.
Fin dal 2017 Fioramonti scriveva: «Possiamo - e dobbiamo - prevedere un futuro alimentato da energia rinnovabile al 100%,
che potrebbe contribuire a spezzare il legame tra attività economica e cambiamento climatico».

Teorie imbarazzanti che hanno provocato altre gaffe ministeriali come le tasse sui voli passeggeri.

L'ultima sparata arriva da Madrid con un'intervista rilasciata mercoledì al portale della finanza etica Valori.it, al Cop25.
Forse estasiato dalla gretina finita sulla copertina di Time, il ministro ha dichiarato che

«l'Eni è una grande risorsa per il Paese ma a patto che non si faccia più nessuna esplorazione
e si investa in maniera radicale nella riconversione totale verso le rinnovabili,
l'idrogeno e le nuove frontiere della decarbonizzazione».

Una crociata contro l'azienda nazionale, che ha scatenato dure reazioni.

«Le parole del ministro Fioramonti sono una grande mancanza di rispetto e una vergogna per le aziende del Mondo dell'Oil & Gas internazionale
ed in particolar modo per migliaia di lavoratori che fanno grande la nostra Eni e l'indotto che vive grazie al petrolio
»
ha risposto il presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia.

«Alè, altre migliaia di lavoratori rischiano il posto. Roba da matti».

Marsiglia ha paventato possibili riflessi in Borsa puntando il dito contro il grillino:

«Un ministro, che rappresenta uno Stato è totalmente irresponsabile nel pronunciare dichiarazioni del genere.
Questa è la nostra Pubblica Istruzione? Fioramonti non ha forse pensato ai migliaia di azionisti,
a piccoli e medi risparmiatori, alle migliaia di aziende, alle famiglie che hanno investito i loro risparmi da anni nel titolo Eni
».

Il ministro «gretino» aveva già sollevato dure critiche per la proposta di tassare i voli, che inquinano, con l'obiettivo di finanziare la ricerca.
In realtà è un altro tassello ideologico della folle teoria del «superamento del prodotto interno lordo».

Non è un caso che Fioramonti, in settembre, abbia pubblicamente appoggiato i venerdì di sciopero «ambientale» lanciati dall'attivista svedese definendoli «una bellissima iniziativa».
E invitando di fatto gli studenti a marinare la scuola per andare in piazza con queste parole: «La lezione più importante che possano frequentare».

Poi ha annunciato che nel 2020 sarà obbligatorio «lo studio dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile».
Un'altra «gretinata» se verranno utilizzati testi apocalittici propagandati dagli attivisti del clima, che vedono la fine del mondo dietro l'angolo.
 

Val

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mi racconti un episodio OFF degli inizi della tua carriera?

Ce ne sono tanti… quest’anno compio quarant’anni di carriera…

Uno che però non hai mai raccontato a nessuno?

Il mio vero primo ruolo nell’Enrico V –poi dopo ho lavorato solo in ruoli più importanti– era suonare il tamburo nascosto in quinta,
cioè, fare le rullate mentre Gabriele Lavia faceva i monologhi. Chiuso in una scatola di legno, a Verona, a luglio, con un caldo infernale,
suonavo questa grancassa per circa un’ora e mezza pensando di suonare la batteria. Questo è stato il mio debutto teatrale, a diciotto anni.

Come si vive a diciotto anni un’esperienza del genere?

Mah, io ero felice! mi sembrava di toccare il cielo con un dito! Era una compagnia meravigliosa, c’era il Garrani, Lavia… Meschieri e Fo erano i produttori…
Ciò che mi fa tristezza oggi è vedere ragazzi di 18 anni che sono già vecchi. Sanno già tutto, hanno già capito tutto, sono già depressi.
E’ tutto politico… invece ai miei inizi era poesia pura, arte pura: il teatro, di sera, nella Piazzetta delle Erbe…
Suonavo bene la chitarra e il piano: ero un musicista, più che altro, per cui intrattenevo gli altri, cercavo gli spazi cercando di fare simpatia e di fare il mio lavoro: l’entertainer.
Ma questo ha messo in moto il mio futuro: il regista mi aveva preso all’inizio come uno che doveva fare il caffè, poi sono diventato il suo primo aiuto
– lui era il numero due insieme a Strehler (leggi l’intervista di Ornella Vanoni su Giorgio Strehler) al Piccolo – e due mesi dopo ero a Chicago a fare il primo aiuto all’Opera Lirica.
Le opportunità, se le vivi con entusiasmo, sono bellissime. Anche perché poi, questo lo vedo adesso, a quasi sessant’anni vuoi circondarti di persone piene di entusiasmo, di voglia di fare, e di bellezza. No?

Certo. E quindi questo stupore è un po’ quello che ti ha accompagnato in questi quarant’anni di carriera…

E’ ancora così per me. Se vieni a vedere il mio one man show a Spoleto a giugno, piangerai e riderai.
Ci sono io con una band di cinque elementi, uno è Marco Zurzolo, un jazzista che ha aperto Umbria Jazz, tra i più bravi musicisti italiani;
io mi diverto con in scena le mie Stratocaster, le Martin, un pianoforte a coda Steinway, cinque elementi d’orchestra… facciamo di tutto, per due ore e un quarto. Come se avessi quindici anni.

Il tuo one man show, “Cercando segnali d’amore nell’universo”, per la regia di Chiara Noschese lo vedrò al Teatro Manzoni, perché verrai anche qui a Milano… ti aspettiamo!
Nella tua carriera hai fatto veramente di tutto: teatro, cinema, hai condotto programmi di successo: alcuni me li ricordo anche molto bene…


“Il grande bluff”…

Come no! E “C’eravamo tanto amati”. Ma questo tuo essere così tanto eclettico e così professionale in qualche modo lo devi all’esperienza americana?

Infatti io sto sulle palle a tutti i vari Virzì e Servillo… questa gente qui mi odia, perché loro sono degli snob tremendi… quindi, fanno finta di essere intimisti, profondi, ma è tutta gente che vive in una casta.
Io ho imparato a vivere in America che qualsiasi cosa fai ti arricchisce: facevo l’aiuto regista, facevo i servizi per Gerry Minà sulla storia della boxe
e contemporaneamente vincevo a Venezia con il mio film “Summertime”. Poi non c’avevo più una lira di nuovo e facevo l’aiuto regista per Mario Merola in “Da Corleone a Brooklyn”…
In questo modo mi sono costruito un curriculum che credo non abbia nessuno. Ho una bellissima azienda, oggi, che ha prodotto più di centotrenta film, ho quotato in borsa la mia azienda di informatica…
e l’ho fatto per curiosità. Quando vedo i ragazzi demotivati… Io adesso sto facendo un film sulla vita di Pietro Mennea, per esempio,
è la cosa più bella è che lui è stato il più grande campione del mondo come velocista e poi si è preso tre lauree, si è candidato parlamentare europeo,
è ricordato come uno degli uomini più importanti del Parlamento Europeo… Perché tutto dipende da noi, alla fine. Da quanto tu credi che la vita ti possa dare e da quanto sei aperto.

Proprio parlando di tutte queste trasformazioni che possono far parte del percorso di una persona, nel 2002 hai diretto “Il trasformista”, che è un film molto arrabbiato verso il cattivo uso della politica…

I miei film verranno apprezzati tra vent’anni. Perché in quel film ho detto tutto quello che sarebbe successo dieci anni dopo, ma quando l’ho fatto io…
poi, quando l’hanno dato in televisione è andato bene, ma in sala… mi ricordo che quando ho fatto il primo film, Ardena, tutti i vari ortodossi della sinistra
hanno fatto un picchetto per impedire al Barberini di andare a vedere il film del fascista Barbareschi. Che imbecillità… il povero Morando Morandini ha anche scritto da qualche parte:
“Barbareschi ha osato fare un film falcata, tempio degli intellettuali come Amanda Sandrelli”… delle cazzate così neanche uno sceneggiatore se le può inventare.
Adesso l’ha rifatto con “Something good”, questo film sulle frodi alimentari, l’han tolto dopo un giorno dalle sale!
Tu pensa a Milano Expo il tema è la sicurezza alimentare, ed il mio film che è venduto in tutto il mondo, girato in Cina sul tema alimentare, niente. Non è interessante!

È pazzesco, perché tra l’altro è stato anche apprezzatissimo da Spielberg…

Ti mando le foto: alla prima al festival di Los Angeles, c’erano ad applaudire Meryl Streep, Julia Roberts, Tom Hanks, Bono degli U2 con il suo chitarrista The Edge… c’era tutta Hollywood
ma in Italia non se ne è parlato per niente. Basta vedere i David di Donatello: la più grande porcata fatta in televisione negli ultimi vent’anni.
Dove un’idiota come Ruffini si permette di insultare Sophia Loren dicendole “bella topa”…
Qui c’è una casta di idioti raccomandati, protetti dalla politica, protetti dalla casta autocelebrativa, che ha ucciso lo spettacolo italiano.
Ci sono anche quelli veri, oggi, nello spettacolo, c’è gente che fa un patto col pubblico: Brignano fa 130 mila euro a sera.
Cioè, gente vera… Proietti, io, che faccio teatro da quarant’anni, Branciaroli (leggi l’intervista a Franco Branciaroli)…
Poi però c’è una casta autocelebrata che può anche fare un peto al cinema o in teatro. Ed è sempre Chanel.

Una Casta che lavora moltissimo…

Io il David di Donatello non lo vincerò neanche se faccio Ben Hur… io non son stato neanche invitato.

Perché Ruffini alla conduzione? È sempre stato molto istituzionale…

Perché non hanno capito che chi deve celebrare la messa non può far le pernacchie. Il master of ceremony deve essere istituzionale.
O sennò è un genio come Billy Crystal, quando ha presentato una volta gli Academy Awards, che però non si è permesso di insultare Jack Nicholson.
Anche perché Jack Nicholson gli staccava la testa in diretta… Invece i premi italiani sono finti. I David sono finti , i Leoni sono finti.
Io ho ricevuto una lettera di Alberto Barbera, il direttore della Mostra del cinema di Venezia, quest’estate … non mi hanno preso perché non faccio parte della schiera dei suoi amici.

È una cosa forte, questa…

Ma mi ha scritto su carta da bollo protocollata! Allora, siccome sono cretini, fanno marchette autocelebrativa che infatti hanno ucciso il cinema.
Lo scollamento dell’autocelebrazione critica della casta è totale. Checco Zalone può piacere o non piacere – a me personalmente piace – e quest’anno ha fatto settanta milioni.
Ma non può non aver vinto un premio! È bravissimo e spiritosissimo e non puoi non tener conto di quello che esiste, no? Ma ho detto una vecchia cosa.
Tornatore ha fatto un film bellissimo quest’anno e in televisione l’avrebbero ucciso.

Tornando a bomba sulla politica di cui tu hai parlato ne “Il trasformista”, quindi sei stato un po’ profetico… com’è cambiata la politica del 2002 rispetto a quella di oggi? I politici sono gli stessi…

La politica di una volta – ti faccio un’immagine molto semplice – da cinquant’anni in America ci sono due simboli: l’asinello e l’elefantino. Uno sono i repubblicani e l’altro i democratici.
Dentro quei due piccoli simboli per cinquant’anni cambiano le facce. In Italia succede l’opposto: le facce son le stesse, cambiano i simboli. Ulivo, melo… il nome: PD, PDC MDC, CFC…
Questa secondo me è l’immagine di un paese morto. A parte che è morto perché in mano a mafia, ’ndrangheta e camorra.
Al di là della corruzione dei politici, che fanno schifo, al di là di queste facciate delle Iene da cui mi son preso delle querele, io le leggi le ho fatte.
Tu vai a vedere la legge sulla tax credit, è mia. Pensi che qualcuno mi abbia ringraziato?

Penso proprio di no.

Infatti, nessuno. La legge sulla pedofilia, l’ho fatta io. Poi l’altro giorno ho fatto un tweet di sfogo, stupido, da ragazzino, che dimostra la mia età dell’anima…
dicevo che qualsiasi cosa io faccia – perché l’altro giorno c’è stato un processo in cui ero parte lesa, perché dopo otto anni hanno finalmente condannato una pazza…

La skipper?

La skipper, sì. Sai cos’ha scritto Repubblica? “Barbareschi dal suo panfilo caccia una povera lavoratrice del mare”.
Capisci che, visto così, la mia responsabilità va a quel paese. Io, anche se faccio Arancia Meccanica moltiplicato per Otto e mezzo di Fellini, devo firmarlo con un nome diverso.
Perché sono scomodo, perché voglio essere indipendente, non me ne frega più un cazzo di nessuno di questi servi che hanno scritto sulla stampa le cose peggiori, anzi non hanno scritto…
La vera tangentopoli dei giornalisti dev’essere ancora scritta!

Ti fa onore l’aver trasformato il tuo percorso artistico, la tua fortuna, tutto quello che fa parte del tuo impero, in forza lavoro, perché hai aperto una società di produzione…

È questo, il mio “Summertime”, che ha vinto a Venezia quando non c’erano ancora questi mentecatti servi dei politici,

In un certo senso sei un esempio per i giovani…

Voi però dovete ribellarvi! Dovete mandarli a fanculo. Sai perché odio quelli del Valle? (Leggi e firma l’appello per liberare iln Teatro Valle)
Non perché l’hanno occupato, perché l’occuperei anch’io, ma perché non hanno fatto un cazzo dentro il Valle.
È questa la tragedia: Peter Brook alla Gare du Nord dentro un garage ha rivoluzionato il teatro mondiale!
Noi, nel nostro piccolo, all’Elfo di Milano… “Sogno di una notte d’estate” fatto trent’anni fa, è stato in cartellone un anno, ed eravamo degli illustri sconosciuti!
Io, Claudio Bisio, Paolo Rossi, Maddalena Crippa, Irene Capitani… oggi siamo tutti conosciuti, ma allora eravamo sconosciuti. Eravamo in un garage, non è che fossimo al Piccolo.
Un anno in cartellone, ottocento persone a sera. Contro il Piccolo di Strehler, che stava morendo. Non abbiamo mica avuto bisogno di occupare il Teatro Lirico… Però c’era talento.
Eravamo tutti giovani pieni di talento che hanno fatto delle cose. Qui invece occupano i teatri e non hanno idee… e questo è il risultato.

Hai citato il Teatro Valle… noi abbiamo lanciato anche una petizione…

Sai chi sono i peggiori, in malafede? Sono Gifuni, il figlio di Gifuni, il funzionario di stato. Quell’altro, come si chiama? Che è anche un bravissimo attore, ricciolino, rosso…

Elio Germano?

Elio Germano. Tutti froci col culo degli altri! Vanno al Valle, fanno i combattenti, però col cazzo che si fanno arrestare.
Hanno distrutto la società di raccolta per gli attori, questo per colpa anche di un senatore idiota del Pdl… tutti quelli di adesso hanno distrutto la Repubblica.
Perché non appena arriva uno di sinistra si calano le braghe per essere accettati. Di società di raccolta ce ne erano tre, adesso più niente.

Noi fra l’altro siamo contenti di averti fra le firme di quelli che hanno aderito a questa petizione per liberare il Teatro Valle
perché l’iniziativa che ha lanciato Edoardo Sylos Labini dalle nostre pagine secondo me è fondamentale…


È encomiabile, ha fatto bene. Infatti ho aderito subito, io ci sono anche andato a litigare da solo.

Ma sai che non è facile…

Io ho chiesto di farmi entrare perché volevo parlare. Ma ormai non c’è più nessuno, cinquanta precari, gente che non ha mai fatto un provino in vita sua, non c’è gente dello spettacolo lì.

Ma ti hanno ascoltato, quando sei andato a bussare alla loro porta?

Ma chi? Non sono attori! Qui c’è il malinteso: gli occupanti del Valle non sono attori. Non sono registi, non sono scenografi… sono dei precari, c’è gente di cinquant’anni.
Ma sai chi è l’altro deficiente, lì? Ronconi è andato al Valle a dire “sono con voi”. Ronconi! Ronconi ha devastato il teatro italiano: al Piccolo non lavora un giovane da vent’anni.
Capisci com’è facile il trucco? Quando c’erano le manifestazioni a Milano, c’era gente che scendeva dalle Rolls Royce col maggiordomo, che diceva:
“Vi passo a prendere dopo, che la mamma vi manda tutti a Saint Moritz?”, questo era il movimento studentesco a Milano. Nessuno racconterà mai la verità su questo.
I movimenti veri erano Lotta Comunista, Lotta Continua a Torino. Gli operai, non i fighetti di Milano!

Però, Luca, non è semplice…

Posso dirti? Il signore del Giornale vostro, il signor Sallusti, quando c’è da fare una battaglia con quelli come me non la fa. Diteglielo pure. Io non sono mica la Santanché.

Glielo stai dicendo tu, perché sarai ascoltato…

Glielo dico, glielo dico. Perché son spariti tutti, invece di far coesione fra i cervelli migliori, vanno a Cannes, si fanno vedere alla Festa dei Ciak…c’è Servillo a braccetto con Verdone e la Santanché….
Qui è una questione di competenze, di mettere il meglio, fare scuole di eccellenza, però bisogna capirle, le cose.
Io son contento che ci sia Edoardo, perché ha tanta competenza e tanta voglia di fare. Io le ho fatte le mie battaglie, da onorevole, per cinque anni.
Litigai con lo stesso Berlusconi con cui ai tempi non ero d’accordo.

Ecco, il bello della battaglia di Edoardo è proprio che è bipartisan, a nome della cultura libera e al di là del colore politico.

Ma non vi caga nessuno. Guarda, io sto a testa alta, perché nelle mie produzioni, tu le avrai viste, da Olivetti a Walter Chiari, lavorano solo professionisti. Mai raccomandati.
Tu vedrai da Paolo Graziosi a Rocco Papaleo. Però se faccio la prima di “Something Good” gli attori che ho fatto lavorare credi che siano venuti?
No, perché hanno paura che se vai a una prima di Barbareschi magari non ti chiama Nanni Moretti. A me di Nanni Moretti non me ne frega un cazzo, ma neanche a nessuno di questi.
Io lavorerei domani con Moretti, se ha voglia, alla pari però.

Torniamo alla tua carriera: tu teatralmente hai sempre fatto delle scelte originali. Hai portato sulla scena italiana autori come Mamet, Polanski…
oggi, secondo te, di quali testi avremmo ancora bisogno teatralmente?


Banalmente di copiare quello che hanno fatto all’estero. Se tu vai a vedere, il teatro è contemporaneo: solo qui è un’eccezione. Il teatro racconta quello che accade in questo momento, non quello che accadeva.
Poi, i grandi teatri stabili dovrebbero star fermi e non itinerare. Ma i teatri non me li danno mai, l’unico teatro che ho diretto per due anni è stato l’Eliseo
e hanno tentato di cacciarmi subito, perché io mi opponevo a questa consorteria degli scambi, di comprare a scatola chiusa uno spettacolo.

Ma infatti la tua direzione artistica si è conclusa poco dopo…

Perché ho detto che avrei fatto una compagnia fissa a Roma, con otto novità all’anno e fine. Risparmiavo sulle spese per i trasporti e diventava un teatro innovativo.

Quindi copiamo dall’estero. Importiamo novità dall’estero…

Ma li vedi questi qua del Piccolo? Che non sanno neanche la differenza tra sceneggiatura, scenografia e coreografia?
Gente attaccata alla sedia, al potere, fanno gli scambi, prendono chi è utile, che è figlio di questo o di quello…
 

Val

Torniamo alla LIRA
C'è brutto tempo. Ma stare in casa, no ?
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Incidente singolare, quello accaduto nel pomeriggio di giovedì nella frazione di Curcio, a Colico.
Un uomo di ottantun’anni è finito fuori strada con l’auto mentre cercava di oltrepassare il guado di Robustello, in via Chiaro, nella parte alta del paese.
È finito sotto di esso. Il salto non è stato molto alto, ma il problema è che la vettura era rimasta sotto l’abbondante getto dell’acqua che scende dal torrente Inganna.
Si è temuto il peggio, invece l’anziano se l’è cavata con qualche botta ed un po’ di spavento: è uscito da solo dall’auto, che per fortuna non si è capovolta,
facendo una doccia fuori stagione e non certamente piacevole, viste le temperature.
 

Val

Torniamo alla LIRA
I nomi di chi ha fatto uso dei voli di stato per spostarti da una parte all’altra dell’Italia o per andare all’estero
sono oggi tutti facilmente consultabili accedendo al sito di Palazzo Chigi.

Da quando, nel 2011, è stata introdotta una semplice regola della trasparenza,
tutti possono sapere chi e quante volte ha volato con un aereo dello Stato,
nonché per quale motivo lo ha fatto e il periodo dell’anno in cui tutto questo è avvenuto.

Dando una rapida occhiata all’elenco dei voli di Stato effettuati nel 2019, tra tutti i membri del governo, le prefetture, i consolati, il Mae (unità di crisi),
chi ha voltato di più
durante il Governo M5s – Lega è stata l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta, in vetta con 17 viaggi e 49 decolli.
Dopo di lei troviamo Matteo Salvini, con 35 voli effettuati quando era Ministro dell’Interno (per i quali sono stati usati aerei ed elicotteri della Polizia e dei Vigili del Fuoco).
Al terzo posto, ma sempre sul podio, troviamo l’ex Ministro dell’Economia Giovanni Tria, con 5 viaggi durante tutto l’anno e 10 decolli in totale.

Per quanto riguarda il nuovo Governo giallo – rosso, invece, chi fino ad ora ha viaggiato di più servendosi dei voli statali
è stato il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini, con sette viaggi divisi in 13 tratte.

Va ricordato inoltre che, tra tutti i viaggi effettuati per motivi di sicurezza o per motivi istituzionali o sanitari,
rimangono fuori dall’elenco i cosiddetti “voli segreti“, ovvero quelli effettuati per ragioni di stato,
e i voli effettuati dal Premier, dai presidenti di Camera e Senato e dal presidente della Corte costituzionale.
 

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