EVITATE GLI ASSEMBLAM... ASREMBLAM... ASSENBRAM... SPARPAGGHIATIVI!! (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Il Recovery Fund, o Next Generation Fund, i fenomenali 176 miliardi di cui due terzi come “Grant”,
trasferimenti da non restituire, è il paradiso degli europeisti.

Finalmente l’Europa fa qualcosa, o meglio farà qualcosa, nel 2021, forse, se i paesi Austeri lo permetteranno.

Un po’ tardi, quando lo shock economico autunnale avrà già spazzato via buona parte dell’economia italiana,
ma non si può volere tutto e subito, e neanche poco e tardi.


Fatta questa premessa probabilmente il “Next Generation Fund” rivelerà la contraddizione di ogni costrutto europeo,
dominato dalla “Mentalità della competizione”, e questa verrà a rovinare anche quel poco di buono
che questi aiuti potrebbero portare:

infatti la concessione del contributi e dei prestiti
è legata all’accettazione delle Raccomandazioni della Commissione
contenute nel “Semestre Europeo
”.

Si tratta praticamente dell’aggiornamento del piano settennale, di sovietica memoria,
che viene condotto ogni sei mesi dalla Commissione, nel quale questa dà le pagelle di “Buono” e “Cattivo” ai singoli stati,
il tutto nell’ottica europea, e quindi antidemocratica.



Cosa dicevano le ultime raccomandazioni del “Semestre europeo” inviate all’Italia.

Per intero le potete trovare a questo link, ma vi propongo un paio di stralci significativi:


Punto 10:


Per il 2020, in considerazione del rapporto debito pubblico/PIL del paese al di sopra
del 60 % del PIL e del previsto divario tra prodotto effettivo e prodotto potenziale pari
a -0,1 %, in linea con l’aggiustamento strutturale dello 0,6 % del PIL imposto dalla
matrice di aggiustamento concordata nell’ambito del patto di stabilità e crescita, la
spesa pubblica primaria netta dovrebbe diminuire dello 0,1 % in termini nominali.



Oppure :


Al fine di limitare l’aumento della spesa per lepensioni, dovrebbero essere pienamente attuate
le già previste riforme pensionistiche volte a ridurre le passività implicite derivanti dall’invecchiamento della popolazione.
Si potrebbero inoltre conseguire risparmi intervenendo su pensioni di importo elevato
che non corrispondono ai contributi versati, nel rispetto dei principi di equità e di
proporzionalità.



Alla fine come possiamo rispettare il semestre europeo che impone delle riduzioni della spesa pubblica
e la creazione di un maggior surplus della spesa primaria (cioè della spesa pubblica meno gli interessi)
e, nello stesso tempo, spendere i soldi del Next Generation Fund?

I danni per la riduzione della spesa corrente (paghe, pensioni etc)
non saranno superiori ai vantaggi per degli investimenti che, comunque,
dovranno essere co-finanziati e che non è detto vadano a settori ad altra produttività?



Il Next Generation Fund, o Recovery Fund, appare sempre più come una sorta di frutto avvelenato
da mangiare con grande attenzione e dopo calcoli molto attenti.

Purtroppo i pregiudizi ideologici europei rendono impossibile la creazione di strumenti che siano veramente utili per la crescita economica.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il “Recovery Find”, o “Next Generation Fund”, non è altro che l’ultimo possibile capitolo
di una serie di fallimenti europei che continuano a ripetersi e che presentano sempre gli stessi difetti strutturali.

Sembra che non si riesca ad uscire da un loop devastante di errori,
principalmente basati sui soliti preconcetti ideologici e vincoli strutturali,
questi si, molto più farraginosi di quelli che spesso si imputano all’ultracentenario stato italiano.


Non pensiamo che gli stimoli non siano stati presenti nella zona euro negli scorsi anni.

Il piano di riacquisto dei titoli pubblici e privati da parte della BCE di Draghi,
in aggiunta ai programmi di liquidità TLTRO, ha portato le obbligazioni sovrane
ai rendimenti più bassi della storia e la BCE aveva già acquistato quasi il 20% del debito totale dei principali Stati.

Questo era un piano di espansione del bilancio così eccessivo che, alla fine di maggio 2020,
l’eccesso di liquidità emesso da parte della BCE è stato 2,1 miliardi di euro,
cifra che quando il TLTRO inizio nel 2014 erano solo pari a 175 miliardi.


Nessuno può negare che l’impatto su questi enormi piani sulla crescita,
sulla produttività e sull’occupazione sia stato più che deludente.

Tranne un breve periodo di euforia nel 2017, le revisioni al ribasso della crescita dell’eurozona sono state costanti,
culminando nel quarto trimestre del 2019 con Francia e Italia in stagnazione,
Germania sull’orlo della recessione e un significativo rallentamento in Spagna,
il tutto ben prima che esplodesse il problema del Covid-19.

Le scuse periodiche utilizzate, dalla Brexit alla congiuntura internazionale a Trump brutto e cattivo
non riuscivano già a nascondere una politica di stimoli fallimentare.



Poi i piani di investimento europei sono sempre da prendere con le molle.

Prendiamo ad esempio il “Piano Juncker” o “Piano di investimenti per l’Europa”,
considerato come la soluzione alla mancanza di crescita dell’Unione europea,
che ha avuto, in realtà, un risultato veramente scarso.

Ha mobilitato teorici 360 miliardi di euro, molti per progetti senza un reale significato economico o effetti reali sulla crescita.

Il risultato di questo piano quale è stato?

Le stime di crescita nell’area dell’euro hanno continuato a diminuire,
la crescita della produttività è rimasta stagnante, dato che non c’è stato stimolo alla domanda interna,
e la produzione industriale è scesa a dicembre 2019 al livello più basso degli ultimi anni.

Un completo fallimento.


Però il Green Deal stimolato dal Next Generation Fund europeo si annuncia ben peggiore degli interventi precedenti:
infatti riuscirà a sommare una propensione allo spreco di denaro senza un obiettivo preciso
con investimenti nell’economia Verde che, come verificato con le varie campagne iniziate nel 2004 ed in corso sino al 2018,
non hanno portato nessun vero stimolo nè alla crescita nè all’occupazione.

Miliardi bruciati, letteralmente, come se fossero stati messi sull’altare di un malefico Dio Malthusiano
e distrutti in nome del “Viviamo al di sopra delle nostre possibilità”, quando, anche se fosse vero,
questo significherebbe che dobbiamo accelerare, non rallentare, il nostro sviluppo,
proprio per prima ottimizzare la produzione di risorse e quindi per lasciare il nostro pianeta e farne una riserva naturale.


Senza considerare l’ossessione per la gestione centralizzata dei fondi,
con i famosi “Piani”che devono ricevere l’approvazione da parte della Commissione, dei commissari, del Consiglio.

Una smania di controllo e di pianificazione politica effettuata da persone
che sono ancora meno pratiche dei dirigenti di sovietica memoria che spesso, almeno loro,
venivano veramente dalle classi operaie ed avevano toccato i problemi con mano.


Un altro grosso problema di questi stimoli europei è che vengono stimolati i settori sbagliati
mentre muoiono migliaia di piccole aziende che non hanno accesso al credito o ai favori politici.

Non è una coincidenza che la zona euro distrugga aziende più innovative o impedisca loro di crescere
quando la regolamentazione impone l’80% dell’economia reale di essere finanziata attraverso il canale bancario
mentre negli Stati Uniti non raggiunge il 30%.

Riuscite ad immaginare una Apple o Netflix che crescono attraverso i prestiti bancari? Impossibile.

Eppure si fa di tutto per bloccare l’accesso diretto agli strumenti finanziari e si vuole incanalare tutto tramite banche, finanziarie etc.


Tutto questo ci rende molto pessimisti sul successo di questo ennesimo piano europeo.

Riuscirà la Commissione a reggere all’ennesima delusione?

Non farà la fine dell’Unione Sovietica, quando scopriremo che gli stimoli costosi e generati dalle tasse in realtà non stimolano nulla?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Thierry Breton è il commissario europeo all’industria.

Al contrario di Gentiloni viene preso con molta serietà a Bruxelles,
tanto che ogni sua conferenza stampa ha una ricaduta molto importante sui media.

Quando si muove per i corridoio della capitale europea lo fa sempre seguito da uno sciame di giornalisti e di … giornaliste
che tentano di cogliere qualche sua parola.

Del resto dietro di lui c’è uno dei due poteri europei, la Francia di Macron,
mica una mezza calzetta come Conte, ed il suo curriculum imprenditoriale è, effetti, notevole.


Thierry Breton ha concesso una lunga e completa intervista alla rivista francese l‘Opinion
ha espresso la sua visione sul Recovery Fund, o meglio Next Generation Fund,
lo strumento che dovrebbe riportare, almeno in teoria, la “Solidarietà” all’interno dell’Unione.

Al di là dei proclami di facciata vorrei però porre alla vostra attenzione due passaggi essenziali:


1) Domanda: In questo contesto molto particolare, cancellare una parte del debito, è possibile?

Il debito è un contratto. In linea di principio, qualsiasi debito deve essere rimborsato.
Mi sembra
bello da ricordare, soprattutto quando ci si prepara nella zona euro di prendere in prestito 2.000 miliardi sui mercati …
Il debito generato dalla Commissione è ovviamente destinato al rimborso.
Questi 500 miliardi presi in prestito, con una scadenza di trenta anni, saranno quindi a lungo termine.
E loro beneficerà di tassi di interesse molto bassi, che li renderà perfettamente assorbibili da futuri bilanci della Commissione tra ora e il 2050.




2) Domanda: quindi dovremo in parallelo all’utilizzo pensare alle risorse per cui costituire rimborsare la capitale.


Vi sono due ipotesi.

O, come sembra improbabile , i 27 stati membri aumentano gradualmente il bilancio del Commissione pro rata per i effettuare i rimborsi.


O si decide di dotare il bilancio europeo di risorse nuove
.

Ad esempio permettendo di incassare imposte puramente europee
pagate da parte di terzi come la tassa Gafa (la tassa sule grandi società digitali NdT)
attraverso un accordo nel quadro dell’OCSE.

Oppure, meccanismi di regolazione C02 ai confini per tassare i prodotti fabbricati al di fuori dell’Unione
e che non rispettassero i nostri standard ambientali nel quadro del patto verde.

In termini fiscali, questo le idee non mancano mai, ma una cosa è certa,
queste tasse si applicherebbero a attività che beneficiano del nostro mercato interni e non sarebbero tasse individuali .

Non usciremo da una crisi – ancor meno di una crisi di questo
scala – se vogliamo aumentare imposta sulla famiglia.


Ora capite perchè Thierry Breton sia considerato il più lucido nella famiglia zoppicante della commissione:
è l’unico che capisca qualcosa di economia.

Purtroppo la sua comprensione è limitata esternamente dai soliti preconcetti (tipo la moneta è una quantità limitata)
oppure da ovvi fattori di carattere ambientale.


Alcune osservazioni stringenti:


  • Tutto si basa sui tassi attuali “Bassi” del debito della commissione.
  • Però i tassi bassi sono veramente tali solo in un ambiente moderatamente inflazionistico.
  • Se il futuro fosse deflazionistico, con tassi di crescita nulli o negativi, anche i tassi attuali bassi non sarebbero tali.
  • Paradossalmente dovrebbe augurarsi una politica monetaria inflazionistica….

  • la copertura quindi si verrà a basare su nuove tasse, e questo viene a limitarne l’effetto.
  • Inoltre le tasse o si basano su un accordo in sede OCSE tutto da realizzare
  • (siamo sicuri che USA, Irlanda, Lussemburgo, Panama etc voteranno a favore di questo accordo?)
  • oppure vengono a contraddire 30 anni di politica industriale europea, con la fine del liberoscambismo.

  • Una contraddizione che accentuerà le lotte interne alla UE: se pongo dei dazi al mio importo,
  • otterrò dei dazi al mio export, per cui dovrò produrre di più per il mercato interno.
  • Per farlo devo avere dei consumatori in grado di acquistare i miei beni, da un lato,
  • e e dall’altro questi potrebbero non essere uniformemente distribuiti nell’Unione.

  • Torneremo ad avere una situazione tipo Grecia 2008,
  • con paesi con forti deficit commerciali interni che, prima o poi, porteranno ad una crisi irreversibile

Comunque eccovi un altro estratto:


Domanda: I criteri di Maastricht sono stati sospesi. Come immaginate di reintrodurli in questo contesto?

Sono stati sospesi in conformità con disposizioni del patto di stabilità da trattare
a una situazione eccezionale. Quando le circostanze lo permetteranno , dovremo sederci
intorno al tavolo e discutere di ciò che è rilevante e cosa no. Soprattutto quando si tratta di
criteri di debito.
L’ammontare dei debiti degli Stati membri e il loro differenziale reciproco
avrà bisogno di attenzione molto particolare per quanto riguarda la convergenza necessaria per la stabilità dell’area dell’euro.



I criteri di Maastricht, per quanto irrealistici, non sono scomparsi e torneranno al centro del mirino della Commissione.

Breton non è uno stupido, anzi forse è l’unico che capisce veramente qualcosa,
e parla della necessità di ridiscuterne, ma si tratta di una ridefinizione che ha come obiettivo “LA CONVERGENZA”,
cioè il fatto che , per forza, si vada tutti verso un’unica direzione.

Come si può far convergere chi ha 80% del debito e 150% senza renderlo mutuabile? due vie:


a) patrimoniale


b) cancellazione del debito in mano alla Banca Centrale.


Secondo voi cosa vorranno fare i tedeschi e gli olandesi?
 

Val

Torniamo alla LIRA
E così finalmente Luca Palamara ha parlato in televisione,
nel programma domenicale condotto da Massimo Giletti.

Molti attendevano questa intervista, per varie ragioni.

Non ha fatto rivelazioni particolari, ma ha detto poche cose che vanno rilevate.


La prima.
Palamara ha affermato di non aver inventato lui le correnti. Ha perfettamente ragione.
Le correnti esistono da molti decenni e lui è abbastanza giovane, appena cinquantenne.
Ed esisteranno ancora, dopo di lui e dopo di noi, perché i magistrati purtroppo non sanno farne a meno
e perché il Governo non avrà il coraggio di scioglierle, per non urtarne troppo la sensibilità.


Tuttavia, l’indicazione di Palamara è significativa, in quanto conferma, per chi ancora nutrisse dubbi in proposito,
che le correnti comandano e che lui svolgeva il ruolo necessario di mediatore fra i vari interessi e le diverse esigenze.

In passato, tale compito era svolto da altro magistrato ed altro ancora lo svolgerà in futuro.


La seconda cosa.
Per giustificare le parole da lui pronunciate a proposito dell’accusa di sequestro mossa a Matteo Salvini dalla Procura di Agrigento,
secondo le quali Salvini aveva ragione, ma egualmente doveva essere perseguito,
Palamara ha confermato ciò che già si sapeva, ma che comunque è utile ribadire:
e cioè che, in tema di immigrazione, non bisognava urtare la suscettibilità delle correnti dei magistrati,
politicamente contrari alla strategia della Lega sul punto
.

Ci viene detto in questo modo che le correnti e la loro continua dialettica sono depositarie di istanze politiche di vario genere
che i magistrati trasferiscono poi nei loro provvedimenti, come accade infatti nel caso degli immigrati.

In questo caso, Palamara dice che bisognava comunque andare contro Salvini
perché egli era portatore di una politica non accettata dai magistrati.


Il fatto è che, nel dirlo, egli non mostra alcuna sorpresa o imbarazzo,
come si trattasse del fenomeno più ovvio e normale del mondo.

Sorpresa e imbarazzo estremi, invece, penso li abbia provati chi lo ascoltava,
per il semplice motivo che Palamara ci stava dicendo, per scusare se stesso dall’aver usato parole gravi verso Salvini,
che non si trattava di un’acrimonia personale, ma di farsi carico dell’avversione politica delle correnti.


Insomma, per scusarsi di un fatto grave, Palamara ne evidenziava uno ancora più grave,
e cioè che le correnti, a seconda dei casi, osteggiano o favoriscono le posizioni del Governo:
i magistrati come ultima istanza della realizzazione o della non realizzazione di un progetto politico.


La terza cosa.
Palamara ha detto che i politici di professione non influenzano quasi per nulla le decisioni del Consiglio superiore della magistratura.


Sfido: non se ne sente alcun bisogno, perché la contesa politica nasce all’interno delle correnti, finalmente libere della ipoteca dei partiti.

Da qui l’assurdità del divieto delle cosiddette “porte girevoli”, vero specchietto delle allodole
di cui si serve Alfonso Bonafede per pura propaganda demagogica,
quasi che oggi i partiti politici fossero in grado di influenzare la magistratura.

È invece vero che essa si auto-influenza da se stessa – come ha dimostrato Palamara –
e che perciò non occorre vietare alcuna porta girevole, perché oggi nessuno ne sente il bisogno:
casomai avrebbe avuto un senso porre il divieto di tornare ad indossare la toga
per chi fosse stato parlamentare di un partito, negli anni Ottanta e Novanta,
quando appunto frequenti e rilevanti erano questi passaggi.


Oggi i partiti in senso forte sono evaporati e le correnti si regolano politicamente da sé, senza bisogno di riferimenti esterni.

Quale quadro emerge dunque dall’insieme di queste strabilianti affermazioni, di queste terribili verità?


Da mettersi le mani nei capelli.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Come un novello Galileo Galilei, il coraggioso Alberto Zangrillo ha inscenato, tra il serio e il faceto,
una sorta di abiura televisiva in merito al suo condivisibile attacco all’attuale regime del terrore sanitario.

Ospite su Rete 4 di Nicola Porro, altro coraggioso esponente della linea aperturista,
il Prorettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha, in estrema sintesi,
dichiarato che quasi certamente il Covid-19 è sempre lo stesso, ma pur si muove,
visto che i suoi attuali effetti sulla popolazione sono praticamente nulli.


D’altro canto il nostro luminare, dopo il suo durissimo intervento da Lucia Annunziata,
è stato sommerso da una marea di critiche, in gran parte provenienti dal Governo
e dal Comitato tecnico-scientifico che continua ad avvalorarne le scelte
per contrastare una pandemia che si sta rapidamente esaurendo.

Ed è abbastanza bizzarro rilevare che la maggior parte di tali critiche vertevano sul fatto,
apparentemente preoccupante, che il virus stia ancora circolando in Italia, così come riportano i dati ufficiali.


Il problema però sta nel piccolo dettaglio, che altri clinici da tempo inascoltati
si sforzano di ripetere fino alla nausea, secondo il quale la carica virale
che si riscontra nella piccola percentuale di positivi rilevati è praticamente insignificante.

Ma tant’è: soprattutto per chi ha fatto del coronavirus uno straordinario ascensore di crescita politica e professionale,
seguendo sempre la stella cometa del consenso e della pecunia che mai olet,
la scomparsa clinica di un tale agente patogeno sembra proprio non andare a genio.


Una volta indossati i panni di un moderno Savonarola sanitario,
i paladini del terrore virale stanno veramente facendo una gran fatica a toglierseli.

Dopo essersi arrampicati sui presagi funesti di alcuni rapporti previsionali elaborati dello stesso Comitato scientifico,
tra cui quello che parlava di 151mila terapie intensive necessarie all’inizio di giugno
– per la cronaca mentre scrivo sono 408 i pazienti in rianimazione in tutta Italia –
ora si aggrappano all’ultimo argomento possibile: la cosiddetta seconda ondata.

Una seconda ondata che, proprio per aumentarne l’effetto suggestivo,
viene addirittura anticipata da qualcuno al mese di settembre,
così da tenere sul chi va là una popolazione in preda ad una paranoia di massa in gran parte indotta da simili messaggi.



Nel frattempo, pur essendo riprese quasi tutte le attività, lo scarso traffico che si riscontra nelle nostre città
mostra una economia ancora molto lontana dalla normalità.

Ciò, unito al tracollo imposto dal più rigido lockdown del mondo avanzato,
significa meno risorse su cui contare nel breve e medio periodo, anche per riprendere a curare
con la stessa efficacia di prima le persone affette da altre patologie gravi.


Ma chi continua a sostenere la linea della cautela a oltranza,
immaginando una società perennemente imbavagliata e distanziata,
ci consiglia di restare ancora bloccati in attesa della famigerata seconda ondata,
mentre aspettiamo tutti come ebeti il famoso Godot.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Qualcuno si chiede se possa essere un effetto secondario dello stesso virus Sars2 covid 19
ad aver alterato i gusti della sessualità nel mondo, magari per via della reclusione forzata,
sta di fatto che pare siano molte le persone che, mentre lavorano online,
in regime di sedicente smart working, si “perdono” in fantasie erotiche auto-procurandosi orgasmi… magari anche soddisfacenti.

È cosa certa che di stravaganze comportamentali sessuali, ivi comprese le perversioni,
esistono al mondo una variegata moltitudine di esempi; quanto poi all’autoerotismo esiste un’ampia bibliografia a disposizione,
frutto di attente interviste e monitoraggi, laddove possibile, degli stili di vita dei comportamenti sessuali umani.
Tuttavia, un fenomeno come quello osservato dagli studiosi nei giorni della pandemia sicuramente non ha precedenti:
masturbarsi online mentre si lavora, se non addirittura nel corso di call in diretta con colleghi, superiori o persone sconosciute,
ha davvero dell’incredibile.
È stata definita “sindrome da procasturbazione”, ovvero masturbarsi mentre si sta procrastinando il lavoro,
ed è un comportamento osservato in vari Paesi dove milioni di persone attualmente lavorano da casa.

A quanto pare, alcune di loro sono state effettivamente bandite dall’interazione con potenziali partner.

A studiare il fenomeno è stata la società online australiana Australia’sCoolest Gifts&Gadgests,
la quale ha dato “un’occhiata” ad alcuni comportamenti scoperti casualmente e ha confermato
che molti dipendenti isolati a casa ricorrono all’autoerotismo in diretta durante il lavoro al computer.

Mettono in atto, dunque, del sexting – neologismo coniato per l’occasione –
una sorta di nuova psicopatologia da parafilie sessuali che rischia persino di rovinare l’immagine dell’azienda per cui lavorano.

La società australiana ha intervistato oltre 1.000 persone negli Stati Uniti e in Australia, Regno Unito e Canada
sul loro comportamento mentre lavoravano da casa, al fine di comprendere meglio come le persone
trascorrono il loro tempo in questa inusuale fase di lockdown, nel tentativo di scoprire cosa realmente stesse accadendo
e come si affrontano le ore di smart working domestico.

I ricercatori hanno così evidenziato che le persone con tendenza al sexting online erano, spesso, anche sotto probabile effetto alcoolico.

In pratica, pur essendo in orario di lavoro, molte persone essendo a casa e sentendosi non controllate si ubriacano
o trascorrono il tempo del lavoro in attività non correlate.

Per esempio, alcuni dipendenti accedono alle videochiamate di lavoro dal bagno di casa
o mentre svolgono attività domestiche oppure, appunto, mentre soddisfano in solitario desideri erotici.

Sono state le registrazioni di questi ultimi comportamenti a smascherare i peccati di diversi dipendenti casalinghi, evidenziando cosi il fenomeno.
Sarà colpa della noia, dell’isolamento forzato da pandemia o delle “tentazioni” del web…
fatto sta che i dati del fenomeno “procasturbazione” sono davvero sorprendenti.
Tra gli intervistati, il 35% degli uomini e il 17% delle donne hanno ammesso di essersi masturbati durante l’orario di lavoro,
e solo un quarto di loro si è sentito in colpa per questo.

Gli intervistati più giovani mostrano generalmente una maggiore predisposizione;
il 31,3 % di questi auto-erotomani sono compresi nella fascia di età tra 18 e 24 anni.

Circa un quarto hanno un’età compresa tra 35 e 44 anni;
le fasce di età da 45 a 54 e da 55 a 64 rappresentavano ciascuna circa il 21 %;
ma esiste anche l’8,3 % in un’età compresa tra 65 e 74 anni.

Per chi può e vive in coppia esiste, fortunatamente, anche la normale attività sessuale,
che certo non verrebbe svolta in orario di lavoro, però…

Infatti, alla domanda: «Hai mai fatto sesso mentre lavoravi da casa?»,
Il 24% degli uomini e il 19% delle donne hanno risposto affermativamente.

Ancora una volta, la probabilità che qualcuno facesse sesso sul posto di lavoro virtuale
aveva una correlazione inversa con l’età: con circa il 28 % degli amanti tra i 18 e 24 anni.

Le vie del sesso on line in regime di smart working, comunque, non sono ancora finite.

Oltre alla masturbazione e al sesso fisico, il 5,4 % dei partecipanti al sondaggio
ha anche ammesso di essersi intrattenuto in una chat erotica con un collega conosciuto durante una videoconferenza.

Non si sa bene come… ma un intervistato ha affermato persino: «ho ricevuto sesso orale durante una chiamata in video-call».
Infine, gli uomini ammettono di guardare video porno durante il lavoro molto più delle colleghe: il 33,9 % rispetto all’11,3 di donne intervistate.
Gli italiani, al momento, non sono stati coinvolti da questa ricerca,
per cui non abbiamo indicazioni di quanto la “procasturbazione” abbia colpito anche da noi…

La speranza è che, come tutte le attività legate al cosiddetto smart working,
anche questa possa essere presto abbandonata con il ritorno a una sana socialità… anche sul lavoro.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Gli esperti di cyber security hanno ricevuto una segnalazione di un attacco ransomware
(tipo di malware che limita l’accesso del dispositivo che infetta) che potrebbe aver preso di mira proprio le farmacie,
utilizzando un mix di tecniche di ingegneria sociale e criptazione per bloccare le attività commerciali in ambito medico.

Denominato Unicorn Ransomware, questo nuovo virus cerca di convincere l’utente
a scaricare un file eseguibile e avviarlo sul proprio computer, con la promessa, appunto,
di offrire in versione beta dell’app Immuni e così
«avere dati di prima mano aggiornati in tempo reale inerenti le situazioni di contagio sul vostro territorio».

Ma come si svolge il processo nel dettaglio?

L’attacco inizia con un’e-mail che sembra provenire dalla FOFI, la Federazione Ordini Farmacisti Italiani.

Stando a quanto promesso dalla mail, tutte le farmacie, le università, i medici e le altre parti coinvolte
nella lotta contro il coronavirus riceveranno una versione di prova dell’app Immuni per PC.

Da notare già il fatto che l’app vera è prevista per iOS e Android, non per PC…

Comunque, la mail promette la possibilità ottenere così informazioni sulla diffusione del virus.

Attenzione: come detto, per aumentare la veridicità del messaggio
il mittente sembra essere Federazione Ordini Farmacisti Italiani ma, come vedremo,
il dominio internet dei collegamenti all’interno del messaggio non è fofi.it
bensì fofl.it (con L al posto di I che può facilmete trarre in inganno).

Ecco il testo della mail incriminata.
Schermata-2020-05-29-alle-16.36.28-300x289.jpg

In rete, nelle ultime ore, stanno circolando e-mail e messaggi di avviso per mettere tutti in guardia dall’imminente pericolo:
Infatti, il file malevolo, una volta scaricato ed eseguito, mostra una finta dashboard
con i risultati della contaminazione globale causata dal coronavirus.
Annotazione-2020-05-25-092900-1024x645-1-300x189.jpg

Intanto, però, il Fuckunicorn ransomware crittografa tutti i tipi di file.
Parallelamente vengono cifrati i file presenti sul sistema Windows della vittima
e rinominati assegnando l’estensione .fuckunicornhtrhrtjrjy”.
Infine viene mostrata la classica richiesta di “riscatto”, quantificata in 300 euro in bitcoin.
Se si arriva alla maschera del riscatto in Bitcoin, tutti i dati del PC devono considerarsi persi.
Ecco il testo del messaggio che viene mostrato:

«La lunga serpe sul bastone di Asceplio si è ribellata, ed una nuova era sta per sopraggiungere!
Questa è la vostra possibilità per redimervi dopo anni di peccati e soprusi. Sta a voi scegliere.
Entro 3 giorni il pegno pagare dovrai o il fuoco di Prometeo cancellerà i vostri dati così
come ha cancellato il potere degli Dei sugli uomini. Il pegno è di solamente 300 euros,
da pagare con i Bitcoin al seguente indirizzo 195naAM74WpLtGHsKp9azSsXWmBCaDscxJ
dopo che pagato avrai, una email mandarci dovrai. [email protected] il codice di transazione sarà la prova.
Dopo il pegno pagato riceverai la soluzione per spegnere il fuoco di Prometeo.
Andare dalla polizia o chiamare tecnici a niente servirà, nessun essere umano aiutarti potrà».

Nel frattempo anche lo sfondo del PC verrà modificato con questa immagine.

Secondo il Cert-AgID del governo italiano, il ransomware genera una password casuale per crittografare i file.
Questa password viene quindi inviata non crittografata al server degli aggressori.

Analizzando il traffico di rete, le vittime potrebbero recuperare la password e decriptare i loro file gratuitamente, secondo Cert-AgID.

Dulcis in fundo, l’e-mail dei criminali indicata nella nota di riscatto è sbagliata.

Questo impedirebbe un ipotetico contatto con la vittima, azzerando quindi la possibilità di comunicare
una buona riuscita del pagamento e di conseguenza non offrendo la soluzione al blocco dei file.
Al momento il sito web degli aggressori è stato rimosso e questo potrebbe far credere
che gli autori di questo virus che cripta i file siano criminali alle prime armi, con scarse conoscenze tecniche,
ma allo stesso tempo nessun timore nel diffondere una minaccia che potrebbe avere un grande impatto a livello sociale.
Il codice del virus sembra essere un “copia-incolla” di altri ransomware già visti in precedenza.

La diffusione per ora è stata scarsa e il dominio truffaldino, ospitato da server tedeschi,
come detto, è stato subito posto in sospensione.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Hanno inculcato talmente in profondità il terrore, che si possono vedere
persone in auto - da sole - che indossano la mascherina chirurgica che
non serve a nulla, per proteggere loro.
Persone in bicicletta che portano la mascherina, sempre chirurgica.
Persone nei parchi - sole -, che camminano - sole -, ne ho vista
una che prendeva il sole con la mascherina fatta in casa. Non serve per proteggersi.
Tanti bambini in bicicletta con la mascherina fatta in casa.

Mi chiedo quando cominceranno a snocciolare i numeri dei nuovi malati di asma e allergopatie
che deriveranno dall'uso continuativo di mascherine, e sterilizzazione continua degli ambienti.

Ricordo che già ora l'asma causa nel mondo circa 250.000 decessi all'anno (500 in Italia), per la maggior parte giovani.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Le nuove stime Istat su aprile danno una prima idea delle conseguenze del lockdown nel nostro Paese.

Numeri da far venire i brividi: quasi 275mila occupati in meno
– 400mila in meno in due mesi –
e 746mila persone in più che non hanno un posto e non lo cercano
.

Il forte calo della disoccupazione (il tasso scende al 6,3% dall’8% di marzo) è ovviamente solo un’illusione ottica
perché, come spiega Il Fatto Quotdiano, sono censiti come disoccupati coloro che stanno cercando attivamente lavoro
e con l’economia ferma la maggior parte delle persone ha rinunciato, andando a gonfiare (+746mila appunto) la platea degli inattivi.



Un-uomo-disperato.jpeg



L’occupazione, commenta l’Istat, “ha registrato una diminuzione di quasi 300mila unità,
che ha portato nei due mesi a un calo complessivo di 400mila occupati e di un punto percentuale nel tasso di occupazione”.

Il calo è stato generalizzato: coinvolge donne (-1,5%, pari a -143mila), uomini (-1,0%, pari a -131mila),
dipendenti (-1,1% pari a -205mila), indipendenti (-1,3% pari a -69mila) e tutte le classi d’età,
portando il tasso di occupazione al 57,9% (-0,7 punti percentuali).

Nell’ultimo anno, tra aprile 2019 e aprile 2020, si conta quasi mezzo milione di posti in meno.



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Una riduzione che ha colpito “i dipendenti temporanei (-480mila), gli autonomi (-192mila) e tutte le classi d’età,
con le uniche eccezioni degli over50 e dei dipendenti permanenti (+175mila)”.

Nel confronto annuo anche le persone in cerca di lavoro, i disoccupati, “calano in misura consistente”
(-41,9%, pari a 1 milione 112mila unità), mentre aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+11,1%, pari a +1 milione 462mila).

Insomma, gli italiani non solo non hanno un lavoro, ma sono così disperati in questo momento da non provare neanche più a cercarlo.

E in tutto questo le risposte del governo non sembrano arrivare.

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Intanto la Fipe (Federazione Italiana pubblici esercizi), nel corso dell’audizione parlamentare,
qualche giorno fa, partendo dai dati, ha evidenziato la differenza dal 2019:

“Prima della pandemia da Covid-19, la sola ristorazione contava 330.000 imprese,
con 90 miliardi di euro di fatturato e 1,2 milioni di addetti, costituendo il settore
che ha contribuito maggiormente alla tenuta e alla crescita dell’occupazione nel corso degli ultimi dieci anni.
Un settore che rappresenta un terzo del valore aggiunto dell’intera filiera agroalimentare nazionale,
con 46 miliardi di valore aggiunto su un totale di 125 e con oltre 20 miliardi di euro di materie prime agricole acquistate ogni anno”.

Il governo che fa?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il 2 giugno è un giorno strano.

Ricorre sia l’anniversario della nascita della Repubblica, nel 1946,
che quello di uno dei peggiori attentati alla vita della Repubblica, avvenuto il 2 giugno del 1992.


Quel giorno i massimi vertici dell’economia italiana :

– il presidente della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi,

il ministro del bilancio Beniamino Andreatta

(i due che dieci anni prima avevano siglato il tragico “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro),

il direttore generale del Tesoro Mario Draghi,

i vertici dell’Eni,

dell’IRI,

delle grandi banche pubbliche

e delle varie aziende e partecipate di Stato –

si incontrarono al largo di Civitavecchia sul panfilo della regina Elisabetta, il “Britannia”,
con la crème de la crème della grande finanza internazionale per pianificare a tavolino il saccheggio dell’economia italiana,
in primis attraverso la privatizzazione e la liquidazione, a prezzi di saldo,
degli straordinari patrimoni industriali e bancari dell’Italia, che avevano fatto la fortuna del nostro paese nel dopoguerra.



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All’inizio degli anni Novanta, infatti, la quasi totalità del settore bancario
e oltre un terzo delle imprese di maggiore dimensione in Italia erano ancora in mano pubblica:
un’eresia intollerabile nel momento in cui si andava imponendo in tutto l’Occidente
il dogma del liberismo e del mercatismo selvaggio.

L’Italia aveva bisogno di una “terapia shock”, alla sudamericana, per essere ricondotta sulla retta via.


Per nostra sfortuna (ma probabilmente non è un caso) questo momento storico
coincise con il “golpe bianco” di Tangentopoli, che poco prima aveva spazzato
via praticamente tutti i partiti della prima Repubblica, spianando così la strada
alla peggiore classe politica che questo paese abbia mai avuto,
ovverosia a quegli esponenti dell’establishment italiano
– Ciampi, Draghi, Amato, Andreatta, solo per citarne alcuni, che a loro volta erano espressione di uno “Stato nello Stato”,
comprendente anche grandi aziende economiche ed editoriali, figure tecniche, movimenti della società civile,
intellettuali e pezzi della magistratura – che da tempo sognavano di liquidare una volta per tutte
il modello Stato-centrico italiano
per mezzo del vincolo europeo, anche al costo di ridurre l’Italia a colonia dei centri di comando europei.


Pochi mesi prima dell’incontro del “Britannia”, infatti, era stato siglato il famigerato trattato di Maastricht,
che impegnava l’Italia a una drastica politica di austerità fiscale e di abbattimento del debito pubblico.

Ed è proprio facendo appello alle pressioni europee in tal senso che i privatizzatori nostrani
giustificarono lo smantellamento dell’apparato industriale e di pianificazione pubblico italiano.



Come avrebbe detto poi Romano Prodi, artefice dello smantellamento dell’IRI in qualità di presidente dello stesso nel 1993-4:

«Erano obblighi europei! Mi [era] stato dato il compito da Ciampi che privatizzare era un compito obbligatorio per tutti i nostri riferimenti europei».



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In questa frase di Prodi è contenuto tutto il senso del vincolo esterno europeo,
che ha agito (e continua ad agire) sia come pressione reale per riformare l’economia in senso neoliberale,
sia come giustificazione per le élite nazionali, che a loro volta auspicavano quelle stesse riforme
ma erano consapevoli che non sarebbero mai riusciti ad ottenerle «per le vie ordinarie del governo e del Parlamento»,
come disse Guido Carli, ministro del Tesoro al tempo della firma del trattato di Maastricht,
cioè senza una pressione esterna che gli permettesse di aggirare i normali canali democratici.


È così che in pochi anni venne svenduto un patrimonio inestimabile
accumulato in quasi mezzo secolo di politiche pubbliche, privando l’Italia
di una delle principali basi materiali della sua Costituzione:

ovverosia ciò che fino a quel momento aveva permesso allo Stato di perseguire (con tutti i limiti del caso)
politiche di sviluppo industriale, di orientamento dei consumi, di innovazione strategica, di coesione territoriale,
di salvaguardia dell’occupazione. Non a caso è proprio in quegli anni che inizia il lungo declino dell’Italia,
a cui verrà dato il colpo di grazia con l’ingresso nell’euro.


A distanza di quasi trent’anni da quel tragico 2 giugno del 1992,
sarebbe il caso di chiudere una volta per tutte questo triste capitolo della storia italiana,
restituendo al popolo ciò che è suo: dai monopoli naturali come la rete autostradale e le reti energetiche
– che negli anni sono stati smembrati e consegnati nelle mani di spregiudicati “prenditori”,
che ne hanno ricavato rendite e profitti a scapito della qualità e dei costi dei servizi, e dunque a scapito di tutta la collettività – alle banche.


Fino ad arrivare al bene pubblico per eccellenza: la moneta.
 

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