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Forumer storico
Draghi non ha salvato un bel niente. Anzi, certifica il fallimento dell'euro
Roma, 9 mar – Gioia e tripudio, grazie a Mario Draghi siamo (di nuovo) salvi. E’ quanto annunciato urbi et orbi dopo che la Bce ha varato l’ennesimo piano di stimolo ad un’economia, quella dell’eurozona, che di tornare a crescere proprio non ne vuole sapere.
Cosa ha deciso la Bce
Tassi bassi e una nuova serie di operazioni di rifinanziamento delle banche. Sono queste le scelte operate da Francoforte, che nonostante la fine del Quantitative Easing continua nella sua politica monetaria accomodante e, di fatto, espansiva. Quasi a voler certificare che il meccanismo della moneta unica è ormai definitivamente inceppato.
Il motivo è presto detto. L’eurozona vede i tassi di interesse ufficiali in calo dal 2012 e a livello zero da tre anni. Nel frattempo è intervenuto il “bazooka” studiato e promosso da Draghi che ha immesso liquidità per oltre 2500 miliardi di euro. Senza considerare i già operativi Tltro e T-Ltro, che oggi arrivano alla loro terza edizione (T-Ltro III) con l’obiettivo di fornire ulteriori strumenti agli istituti di credito per attingere a moneta fresca da usare per stimolare una boccata d’ossigeno di nuovo credito all’economia reale.
Non ha funzionato. E non funzionerà
Economia reale che, non sembra però aver reagito sensibilmente all’armamentario pesante messo in campo. A partire anzitutto dall’inflazione, che nonostante gli sforzi immani per portarla (mantra) “sotto, ma vicino al 2%”, proprio non ne vuole sapere di rialzarsi.
Colpa (per non dire dolo) di un approccio puramente monetario che considera la quantità di moneta in circolazione come unica causante l’aumento dei prezzi. Tesi sposata pienamente dalla Bce, peccato che nella realtà siano soprattutto le retribuzioni a spostare l’asticella. E nell’Ue dell’austerità i salari sono necessariamente sempre al ribasso per riassorbire gli squilibri dovuti alla moneta unica. Si chiama svalutazione interna e serve come il pane nel perseguire la follia della corsa alla domanda estera, il modello tedesco diventato Bibbia dei popoli dell’eurozona.
Basta così un refolo di vento negativo sui mercati internazionali per far traballare paurosamente l’impalcatura. La quale, non sorretta da una domanda interna che ha seguito la stessa malasorte del potere d’acquisto dei cittadini europei, rischia così di venire giù con un botto fragoroso. Ecco dunque spiegata la nuova mossa di Draghi, che non solo non ha ancora sancito la fine del Qe (che continua, sia pur senza l’emissione di nuova moneta come sotto forma di riacquisto dei titoli già detenuti dalla Bce e che vanno progressivamente in scadenza) ma prosegue in una politica de facto espansiva per mascherare le fragilità di un sistema ingolfato che continua imperterrito a girare a vuoto.
Il ricatto di Draghi
Gli unici effetti benefici riguardano lo stato dei conti pubblici. Probabilmente per eterogenesi dei fini, il continuare nella strategia accomodante ha infatti un effetto benefico sullo spread, che dopo il 2012 – famoso discorso del “Whatever it takes” – ha sempre dimostrato una sorprendente correlazione con quanto deciso in sede Bce.
Qualcuno parla di “scudo” con cui Draghi proteggerebbe le disastrate economie dell’eurozona. Tacendo però dei curiosi “buchi” – specie in sede di Qe – registratisi in occasione delle aspre discussioni che negli ultimi mesi hanno riguardato l’Italia. A partire dalla formazione del nuovo governo fino all’umiliante trattativa per la finanziaria 2019. Più che uno scudo, quello di Draghi ha tutta l’aria di essere uno strumento di ricatto.
Filippo Burla