EURO: solo i microcefali non capiscono ancora (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Economia, la Gran Bretagna vola grazie anche al rifiuto del patto di stabilità

Pubblicato in TROIKA&LOBBY da L'Euroscettico il 28 luglio, 2014


Nonostante negli ultimi tempi si stia assistendo in modo incessante al continuo ripetere, quasi fosse un mantra, del successo dell’euro ci sono dati ufficiali a smentirlo seccamente. Ultimo esempio in ordine di tempo è la Gran Bretagna.


In base ai dati dell’ufficio nazionale di statistica la Gran Bretagna ha visto la sua economia crescere ancora nel secondo trimestre del 2014, toccando così livelli del 2008 ed inoltre il pil è salito del 3.1% su base annua. E come se non bastasse Londra rappresenta una spinta fondamentale anche nel G7 dato che secondo le stime del Fmi ha visto incrementare le proprie stime di crescita dal 2.8% al 3.2%, obiettivo migliore anche di quello della Germania ed Usa, seconda solo alla Cina.


Da ricordare che la Gran Bretagna è si un paese membro dell’unione europea ma ha rifiutato l’euro come moneta, con tutti i vantaggi che ne derivano. Il Governo di Cameron può così esultare “È stato tutto possibile grazie al duro lavoro dei britannici, oggi abbiamo raggiunto un risultato fondamentale nel nostro piano economico di lungo termine”.
Uno dei settori che sta trascinando al successo gli inglesi è quello dei servizi che rappresenta la gran parte dell’economia nazionale. Secondo la Bank of england i dati positivi potrebbero spingere verso un rialzo dei tassi di interesse ma prima bisogna effettuare uno studio di settore per capire come mai nonostante la crescita, i salari continuano a non salire.


Questo quadro di successo ci fa capire la lungimiranza del Governo britannico che non solo non ha accettato di entrare nell’euro ma ha anche rifiutato il patto di stabilità, rinunciando così ad obbligare i propri cittadini a tutte le manovre lacrime e sangue che stanno portando l’Italia ma non solo sul collasso.
Dopo l’esempio dell’Irlanda, di cui abbiamo già parlato in un nostro articolo, che, dopo aver rifiutato al ricetta europea è tornata a funzionare a pieno regime ecco che anche la Gran Bretagna ci aiuta a vedere il lato oscuro dell’euro. Questi due paesi dovrebbero essere usati come esempio per imparare dai propri errori e non essere visti come aspetti scomodi da nascondere e non far conoscere.

le strategie inglesi preoccupano Obama che tuona contro le società che se ne vanno trattate come disertori della patria... insomma non cià più cartucce e spara a salve....

http://www.investireoggi.it/forum/u...-uccide-il-tramonto-degli-states-vt83242.html
 

big_boom

Forumer storico
Non è solo un problema di tasse ma di stato che tutela gli interessi dei propri cittadini
e alle lobby occidentali questo non interessa.

La situazione sociale occidentale è da far west
 

tontolina

Forumer storico
Nino Galloni: vi racconto perché è nato l’euro

08 Maggio 2014 Scritto da Redazione dimensione font
Email


Galloni1.jpg
Poniamo il caso che un pomeriggio, un "qualunque" grande economista italiano vi dicesse che l'Euro è stato inventato per impedire all'Italia di rafforzarsi, ci credereste?

Gli credereste se dicesse che, dalla fine della primavera del 2001 i grandi ecomomisti, i premi Nobel, i centri di ricerca, i grandi esperti avevano previsto che "dal prossimo trimestre ci sarà la ripresa".

E che questa ripresa "slitterà al semestre successivo", poi "all'anno successivo" e poi ancora a quello venturo senza alcuna spiegazione sulle logiche che avrebbero dovuto guidare questa ripresa? A questo, certamente, credereste!

Ma della ripresa, nemmeno l'ombra.


E vi pare possibile che, di trimestre in trimestre come di anno in anno per 13 anni – siamo, per inciso, nel 2014 - le banche abbiano emesso 800.000 miliardi di dollari di titoli derivati e altri 3 milioni di miliardi di dollari di derivati sui derivati, quindi di titoli tossici?

E che il totale possa sfiorare i 4 quadrilioni di miliardi di dollari pari a 55 volte il PIL del mondo?







Galloni.png
"Lacrime e sangue": quante ne hanno davvero versate gli italiani obbedendo ai diktat degli ultimi Governi? Nella fase storica in cui la politica è stata superata dall'economia e le scelte operate seguono il paradigma della speculazione internazionale piuttosto che del rilancio dello sviluppo senza far virare i conti in area negativa, il grande economista Prof. Nino Galloni, scalzando ogni ideologia cara ai politici di tutte le epoche, racconta come stanno realmente le cose.
Ex Direttore Generale del Ministero del Lavoro e docente in diverse facoltà italiane, Galloni ha ripercorso – nella conferenza tenuta il 24 aprile a Noale in provincia di Venezia – la storia economica dal 1944 a oggi:

dopo l'individuazione di tre grandi periodi economici e dopo aver motivato l'attuale congiuntura,

ha indicato anche la via da percorrere per risalire la china.
Sempre in tema di moneta unica,

si può uscirne rimanendo in Europa o è pura utopia?
Banca Centrale Europea e Banca d'Italia,

divorzio tra Tesoro e Governo – motivo quest'ultimo trattato con enfasi dall'ex Premier Enrico Letta – sono argomenti toccati con semplicità di linguaggio dal Professore.


E ancora, cosa sono i derivati, i titoli tossici e perché sono stati introdotti dal sistema bancario?


Come possiamo uscire veramente da questa situazione di crisi?


"Chi ha tradito l'economia italiana", edito da Editori Riuniti, è il titolo del libro del Professore che ha tenuto, in conferenza, una grande lezione di economia.
Per chi ha perso l'appuntamento, proponiamo la registrazione integrale dell'evento.
https://www.youtube.com/watch?v=gQopapP90t4







In estrema sintesi:
I 35 anni che vanno dal 1944 al 1979 sono lo specchio di uno stabile modello di capitalismo espansionista keynesiano che ha centrato l'obiettivo di massimizzare le vendite, i profitti complessivi e l'occupazione focalizzando la lente sulla valorizzazione delle grandi imprese a discapito però dei proprietari. Nel 1979, in concomitanza con il G7 di Tokio, l'uscita dal sistema della solidarietà internazionale, dà luogo alla genesi di un nuovo tipo di capitalismo, definito di "rivincita dei proprietari", che durerà fino agli inizi degli anni '90 con l'avvento della crisi del sistema monetario europeo.

Dalla fine degli anni '70 la svolta liberista anti-keynesiana trova il suo apice devastatore nella logica del salvataggio bancario che spinge le Istituzioni e le banche stesse ad assoggettarsi, nel tempo, al sistema ultra speculativo voluto dalla grande finanza.
Dal 2001 quindi, le banche, affondano l'acceleratore nell'emissione di derivati e dei derivati sui derivati, generando così i titoli tossici. L'obiettivo raggiunto coincide con la massimizzazione del guadagno non sul rendimento del titolo ma sul numero delle emissioni.
Articolo di Gianluca Scorla
Fonte: Nino Galloni: vi racconto perché è nato l?euro
 

tontolina

Forumer storico
e magari scatenerà pure la TERZA guerra mondiale

SE NON DISTRUGGIAMO L'EUROPA, L'EUROPA DISTRUGGERA' NOI




Spagna: proteste anti-Ue - Europa
Alcune centinaia di manifestanti, convocati dal partito galiziano Bng a Santiago di Compostela, per protestare contro le politiche della Ue, in concomitanza della visita della cancelliera tedesca Angela Merkel, sono stati oggi caricati dalla polizia. (ANSA)
ansa.it
 

tontolina

Forumer storico
I blog de IlFattoQuotidiano.it

Alberto Bagnai
Professore associato di Politica economica, Facoltà di Economia, Uni. G.D’Annunzio, Pescara
Segui Alberto Bagnai:

Euro, quelli che il “declino parte da lontano”
di Alberto Bagnai | 23 aprile 2014Commenti (875)

Poveri euristi!
Glielo ha detto in faccia perfino Frits Bolkestein, uno degli artefici del Mercato Unico: “L’Unione monetaria è un esperimento fallito”.

È successo a Roma, il 12 aprile, al convegno di a/simmetrie, dove 500 persone e un consistente drappello di imprenditori, sindacalisti e politici (Alemanno, Boghetta, Crosetto, Fassina, Messina, Salvini) hanno preso atto di questo certificato di morte e delle sue motivazioni: nel Nord Europa non esiste alcuna volontà di dar seguito a un progetto federale, al famoso “più Europa”, all’unione politica, per il semplice motivo che i contribuenti del Nord, istruiti da anni a ritenere che la crisi sia colpa del Sud, non hanno alcuna voglia di metter mano al portafoglio per contribuire a sanare gli squilibri europei in modo solidale.

Certo, il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, ha detto che in realtà la colpa di questo disastro è dell’atteggiamento irresponsabile delle banche del Nord.

Ma questo, ovviamente, è un altro paio di maniche: l’elettore va dove propaganda vuole, e al Nord sono degli esperti nel settore…
Poveri euristi, ottusi seguaci di un progetto fallimentare e mortifero!
Glielo ha detto perfino il Fondo Monetario Internazionale, con le parole dello storico irlandese O’Rourke: “Fra 50 anni ci chiederemo perché lo abbiamo fatto!
Fra 50 anni, certo. Ma oggi, i poveri euristi, commentatori diversamente preparati in economia, giornalisti diversamente indipendenti, studiosi diversamente a proprio agio coi dati, intellettuali diversamente colti, sono ancora, ahi loro, alla prima fase dell’elaborazione del lutto: la negazione!


Oddio, a giudicare dalla feccia che ogni tanto tracima su certe testate, par di capire che qualcuno sia arrivato alla seconda fase (la rabbia), ma il problema non è questo. Il problema è che gli euristi non vogliono farsi aiutare, poverini. Avrebbero bisogno di uno psicologo, ma invece no, loro, tetragoni, continuano a negare, o a trasudare impotente e patetico livore.
La negazione prende una forma particolarmente ridicola: quella di contestare il dato di fatto che nel declino dell’economia italiana l’euro c’entri e come!


Ha cominciato tempo addietro Lucrezia Reichlin, sul Corriere della Sera del 9 aprile 2012, notando che “come reddito pro capite, almeno fino all’inizio degli anni Novanta, l’Italia è stata simile ai più forti Paesi europei”, e il suo distacco dagli altri paesi avviene “prima dell’entrata nell’euro”. In effetti è vero.

Guardate un po’ questo grafico, che illustra lo scarto fra il reddito medio italiano e quello dell’Europa a 15 paesi:

(i san Tommaso in 64° che abbondano su questo blog sono cortesemente pregati di verificare i calcoli qui, se non si fidano della dottoressa Reichlin).

Si vede bene che dal 1996 l’Italia è in caduta libera in termini di reddito relativo, con una breve battuta di arresto nel 2000, quindi la Reichlin dice indubbiamente la verità. O meglio: obbedendo a una delle regole auree degli spin doctor, dice una verità parziale per asseverare una bugia totale, quella che l’euro “non c’entri”.

Suvvia, dottoressa: come se ci fossimo dimenticati cosa è successo a metà anni ’90! Il declino è iniziato prima dell’euro, nel 1996, perché lo stesso euro, in pratica, è cominciato prima del 1999, è cominciato proprio nel 1996. Guardi, glielo spiego, perché non ha avuto tempo per approfondire certi dettagli: prima di entrare nella moneta unica un Paese deve mantenere per due anni il cambio fisso rispetto ad essa (con margini minimi di fluttuazione: succede ancora oggi e si chiama ERM II). Quando la moneta unica ancora non c’era, occorreva mantenere per due anni il cambio sostanzialmente fisso rispetto all’Ecu.

Qui c’è quello che ha fatto l’Italia:

Vede? Il cambio, in pratica, è stato fissato nel 1996, e per di più dopo una drastica rivalutazione. Secondo le regole europee sarebbe bastato farlo nel 1997, ma noi, che siamo sempre più realisti del re, lo abbiamo voluto fare un anno prima.


Ce la facciamo a mettere insieme due disegnini? Sì, ecco, appunto, il declino inizia da quando il cambio è stato fissato (a una parità troppo forte). I due fatti vanno insieme, e si può dimostrare che non è una coincidenza: esiste una ben precisa spiegazione teorica del perché uno shock di domanda come quello causato da una drastica rivalutazione, che strozza le esportazioni, possa avere effetti cumulativi su produttività e crescita nel lungo periodo (i dettagli sono qui).
Rintuzzato questo grossolano tentativo di riscrittura della storia, questo ennesimo tentativo orwelliano di ricostruzione del passato per controllare il futuro, voi penserete che il discorso si sia chiuso. Invece no! In ossequio a un’altra precisa tecnica della persuasione occulta, il vero spin non si arrende di fronte all’evidenza, anzi, rincara la dose. E così è stato un florilegio di “il declino inizia negli anni ’70”, “no, anzi, negli anni ‘60”, “no, anzi…” e così, via via, su per li rami, passando per congresso di Vienna, Trattati di Vestfalia, morte nera del 1348, fino ad arrivare alla vera causa del declino italiano, e, direi, umano in genere: questa!


Incuranti del fatto di contraddirsi gli uni con gli altri, gli euristi proseguono imperterriti, ma tutte le loro spiegazioni confondono il declino assoluto (il rallentamento della crescita, fatto fisiologico) con quello relativo (la perdita di posizioni rispetto a economie simili, fatto patologico), dando prova di una assoluta e totale ignoranza della più elementare teoria economica.


Certo che negli anni ’60 il tasso di crescita dell’Italia era superiore all’attuale: ci mancherebbe altro! L’Italia era un paese ancora in parte da ricostruire, privo di infrastrutture, da industrializzare (l’Autostrada Roma-Milano venne completata nel 1964). La teoria economica insegna che il capitale è più produttivo dove è più scarso (si chiama legge dei rendimenti decrescenti), che è poi il motivo per il quale i paesi più arretrati crescono mediamente più in fretta.
Negli anni ’70, l’Italia era cresciuta meno che negli anni ’60, ma possiamo parlare di inizio del declino? No, perché pur crescendo meno che nel decennio precedente, l’Italia era riuscita a ridurre di circa 1000 euro il divario di reddito pro capite dagli altri paesi europei, cioè a recuperare in termini relativi. Perché mai? Ma è semplice: perché quello che valeva per lei (la ridotta produttività di uno stock di capitale sempre più abbondante, e quindi la diminuzione della crescita) valeva anche per gli altri. Tutti i paesi europei rallentarono in termini assoluti (il tasso di crescita degli anni ’70 fu ovunque inferiore a quello degli anni ’60), ma l’Italia rallentò un po’ meno, perché era ancora relativamente indietro, e perché era padrona della propria politica economica.
E negli anni ’80, pur crescendo ancora meno che negli anni ’70, l’Italia era comunque riuscita a non retrocedere in termini relativi, cioè a crescere in linea con la media europea, nonostante fosse già imbrigliata negli accordi di cambio dello Sme. C’è voluta la pesante distorsione del mercato causata dalla fissazione del cambio per piegare il nostro paese, strozzandone la componente più dinamica: la piccola e media impresa altamente specializzata e aperta ai mercati esteri, che si è trovata all’improvviso il listino prezzi aumentato del 10%, in conseguenza della strana decisione di rivalutare in modo così drastico, prima di entrare in un sistema che impediva alla Germania di rivalutare (cosa che invece accadeva regolarmente dentro lo Sme).
Citare tassi di crescita a casaccio, ritagliando in modo arbitrario il campione di riferimento (pratica nella quale certi giornalisti eccellono), non ha alcun senso. Chi vuole parlare del declino italiano deve spiegare il primo dei due grafici riportati qui, dimostrando la sua indipendenza dal secondo.
Il resto è flatus vocis o flatulenza.
Concludo.
Di teorie “fatte in casa” circa l’origine della crisi gli italiani ne hanno piene le tasche.

Tre anni di sforzo divulgativo, iniziato qui, non sono stati inutili.
La fame non è solo un ottimo condimento: è anche un’ottima insegnante. Gli italiani hanno fatto lo sforzo di documentarsi, e ora i dati li conoscono, come ha capito a sue spese il Corriere della Sera.

L’esempio del Corriere sia da monito a chiunque si arrischi ad inquinare il dibattito con informazioni distorte o apertamente menzognere. Chi uccide la verità uccide la democrazia.

In nome dei nostri figli, non giocate questo gioco: la menzogna è levatrice della violenza. Uccidere l’Europa per salvare l’euro è un crimine insensato.

Ravvedetevi.
Post scriptum: Andrea Boltho, citato da Fubini, parteciperà a questo convegno organizzato da a/simmetrie, presentando uno studio comparato dell’unificazione tedesca e di quella italiana. Nella stessa conferenza Dominick Salvatore (Fordham University) si interrogherà sulla fine della crisi, Joe Brada (Arizona State University) ci parlerà di capitalismo e disuguaglianza nel 21° secolo, e Gary Jefferson (Brandeis University) ci illustrerà le prospettive di sviluppo dell’economia cinese. Gli euristi abbaiano, ma la carovana della buona ricerca continua ad avanzare.

La mia tesi di laurea, come sapete, con il professor ‪#‎FedericoCaffè‬, si intitolava ‘Avvio verso la moneta unica’ ed era molto critica’
Ha cambiato pensiero? “La tesi populista ( populista? ) che consiste nel pensare che uscendo dall’euro, un’economia nazionale beneficerebbe all’istante di una svalutazione competitiva come ai vecchi tempi non sta in piedi. Vorrei ricordare che tre i populisti ci sono 6 PREMI NOBEL PER L'ECONOMIA: ‪#‎PaulKrugman‬ , ‪#‎JosephStiglitz‬ , ‪#‎ChristopherPissarides‬ , ‪#‎JamesMirrless‬, ‪#‎AmartyaSen‬, ‪#‎MiltonFriedman‬ !



MARIO DRAGHI ERA CONTRO L'EURO: " La mia tesi di laurea criticava la moneta unica " | DANNI...
Mario Draghi, si è laureato con 110 e lode: " La mia...
dannicollaterali.altervista.org
 

tontolina

Forumer storico
Crisi economica: se volete l’euro, volete la recessione

Che sorpresa: siamo in recessione! Guardandovi intorno vi chiederete: perché, ne eravamo usciti? Tecnicamente sì. Nel 4° trimestre 2013 il Pil italiano era aumentato dello 0,13 % rispetto al terzo trimestre, portando il risultato annuo a un “esaltante” -1.85 %. Questo aumento, dopo nove diminuzioni consecutive, era il raggio di luce in fondo al tunnel che scacciava i gufi. Poi il primo trimestre 2014 era stato negativo, ora sappiamo che lo è stato anche il secondo: siamo nuovamente in recessione, e non una qualsiasi.
Negli ultimi tre anni il Pil è cresciuto in un solo trimestre. Una cosa simile non si è mai verificata nella storia dell’Italia unitaria, escludendo i periodi bellici.
Perché succede adesso? Basta ascoltare l’autore di questo disastro, che ne ha confessato la ferrea logica economica.

Nel primo trimestre del 2012 il Pil italiano aveva fatto -1%, un tonfo paragonabile solo a quello successivo al default Lehman.

Nel maggio successivo, a un giornalista della Cnn che gli chiedeva dove pensasse di andare a parare con l’austerità, Mario Monti disse una frase da manuale di economia (ma non di politica): “Stiamo guadagnando una migliore posizione competitiva a causa delle riforme strutturali: stiamo in effetti distruggendo la domanda interna attraverso un consolidamento fiscale”. Cosa voleva dire l’allora premier? Prima dell’euro per comprare una Audi o una Bmw occorreva comprare marchi: se tutti gli italiani si innamoravano delle “tedesche”, il valore del marco saliva, e magari qualcuno ripiegava su un’Alfa Romeo. Al cuore non si comanda, ma anche col portafoglio non si scherza. L’euro impedisce il funzionamento di questo meccanismo di mercato e così alimenta le importazioni nel Sud di prodotti del Nord.


Un paese è in effetti come una famiglia: se esce per le importazioni più di quello che entra dalle esportazioni, la differenza va coperta con debiti.

Avrete visto finanziarie tedesche offrire finanziamenti a prezzi stracciati per comprare auto tedesche? Se n’è lamentato perfino Marchionne! Chi approfittava della cortese offerta, contribuiva ad aumentare il debito estero italiano. Notate che per il Nord prestare al Sud non è un problema, perché l’euro, oltre a drogare la competitività, elimina il rischio di cambio.

Ma arriva il momento nel quale i crediti bisogna riscuoterli, magari perché scoppia una crisi, e i debitori devono “rientrare”. La prima cosa in questi casi è smettere di indebitarsi, e quindi, per un paese, ridurre le importazioni. Ma come si fa, se i rapporti di prezzo sono favorevoli ai beni esteri, e il cambio non può correggerli perché non risponde alle leggi del mercato? Semplice: si tagliano i redditi dei cittadini (aumentando le tasse o bloccando i rinnovi contrattuali). Se non hai soldi, non puoi spenderli, non puoi esprimere “domanda” di beni, nemmeno di beni esteri. “Distruggere domanda” significa tagliare redditi per ridurre le importazioni in modo da bilanciare i conti esteri.


Mica avrete creduto che l’austerità servisse a ridurre il debito pubblico? Ogni economista sa che non è così: in recessione l’austerità riduce redditi e gettito, peggiorando la situazione.



E poi prima di Monti il debito pubblico non era un problema: l’ha ricordato il ministro Padoan! Sui conti esteri, però, l’austerità fa miracoli. Fra 2011 e 2013 Monti ha ridotto il rapporto fabbisogno-Pil di soli 0, 7 punti percentuali, ma il Prodotto interno lordo è crollato in due anni di più del 4 %, e quindi il rapporto debito-Pil è aumentato di 12 punti. Una catastrofe? Per noi sì, per i creditori esteri no: il saldo estero infatti è andato in surplus. Certo, i crediti vanno rimborsati.

Ma perfino il vicepresidente della Bce ha detto che le banche del Nord sono state incaute! Distruggere l’economia di un paese per obbedire ai diktat di creditori incauti è immorale (perché anche i creditori avrebbero dovuto sopportare il peso delle proprie scelte sbagliate), e soprattutto sciocco. Il risultato infatti qual è? Quello che vediamo oggi in un’altra notizia: nell’ultimo mese gli ordinativi all’industria tedesca sono crollati di più del 3 %. Strozzando i propri debitori, che sono il suo principale mercato, la Germania sta strozzando se stessa. L’unica prospettiva di salvezza è quella cortesemente offerta dai promotori del referendum “anti-austerità”.
Eh già! Perché dopo averci sbriciolato per riavere indietro “il suo tesoro”, ora il Gollum tedesco, se vuole che qualcuno compri i suoi beni, deve far ripartire la domanda in Europa.

Che c’è di meglio del permettere al Sud di ricominciare a indebitarsi?
Vedrete: la Merkel sfoggerà presto il suo volto umano, non per far contenti i colleghi “anti-austerity”, perché le conviene. Ma a noi, invece di riprendere a indebitarci per aiutarla, converrebbe abbandonare l’euro, un sistema nel quale l’austerità è l’unico meccanismo di aggiustamento degli squilibri con l’estero.
Crisi economica: se volete l?euro, volete la recessione - Il Fatto Quotidiano
 

tontolina

Forumer storico
Croazia, il Premier Milanovic: “A causa dell’UE, non saremo mai più un paese ricco”

Croatia533.jpg




http://www.mattinonline.ch/croazia-premier-milanovic-causa-dellue-non-saremo-mai-paese-ricco/#tabs-2
Mondo | 25 novembre 2014 - 14:37 | 13 Commenti
La Croazia si è già pentita di essere entrata nella fallita Unione Europea. Il premier Zoran Milanovic, durante la conferenza sugli incentivi all’export organizzato dalla Banca croata per la ricostruzione e lo sviluppo:
La Croazia non sarà mai più un paese ricco. Nel 1991 alcune nostre città erano quelle con il più elevato sviluppo dell’ex Jugoslavia, ma la guerra allora ci impedì di andare avanti. Ora però facciamo parte dell’UE, dove vigono regole severe: non possiamo più agire come prima. E il risultato è che la nostra società sta diventando statica, per non dire stagnante.
MS
da Croazia, il Premier Milanovic: "A causa dell'UE, non saremo mai più un paese ricco" - Mattinonline : Mattinonline
 

Users who are viewing this thread

Alto