Euro sì-euro no - euro fallisce? (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
e che senso avrebbe? solo altro fumo negli occhi

non facciamoci irretire dai soliti arruffapopolo che non capiscono una mazza di economia e se la prendono con l'euro solo perchè nei loro meccanismi contorti è espressione del capitale :down:
ti riferisci alle affermazioni del vecchio Berlusconi accompagnato dalla sua badante? :D:D:D
 

tontolina

Forumer storico
il prof. Bagnai nel suo Blog Goofynomics
riporta lo studio di un altro economista che dimostra senza ombra di dubbio l'esplosione del credito privato rispetto al PIL prima del default
è una storia che si ripete da sempre


giovedì 5 luglio 2012

Too much finance! Panizza sul FQ


Vi ricordate di quando il 20 gennaio, parlandovi dei "keynesiani del XII libro", vi avevo presentato il lavoro di Ugo Panizza e dei suoi coautori (Jean-Louis Arcand e Enrico Berkes) su "Too much finance"?

Provo a riassumere il senso del lavoro, che è secondo me abbastanza semplice e plausibile, quanto rigorosi sono il modello proposto e l'analisi empirica condotta (se sbaglio Ugo mi correggerà). Mantenendo l'ipotesi di razionalità degli agenti economici coinvolti (imprese e banche), si dimostra che in presenza di incertezza e asimmetrie informative la possibilità di salvataggi da parte dello Stato fa sì che le banche tendano ad erogare più credito (e le imprese tendano a indebitarsi di più) di quanto sarebbe socialmente ottimo (misurando questo ottimo in termini di massimizzazione del prodotto). Insomma: siamo nell'ambito dei problemi di moral hazard dei quali avrete sentito parlare anche al cinema (ma in modo meno rigoroso), e che a detta di tutti hanno giocato un ruolo importante nella dinamica della crisi.

Questo per il modello.

L'analisi empirica dimostra poi che la relazione fra indebitamento del settore privato (misurato dal rapporto fra credito erogato al settore privato e Pil) e crescita è non lineare: all'inizio la finanza ha un ruolo positivo, ma quando il rapporto fra credito al settore privato e Pil supera l'80%/100% (a seconda dei casi), il suo impatto sulla crescita economica diventa negativo: la finanza diventa una zavorra, anziché un propellente, per il sistema economico.

Al di là del merito del modello e delle analisi empiriche, che mi sarete grati di non discutere con voi, mi limito a farvi osservare che questo lavoro spiega molto ma molto bene alcuni profili dei dati che ci riguardano, quelli sui paesi periferici dell'Eurozona (EZ). Se guardate la mia presentazione all'incontro di Cesena, e in particolare questo grafico:



vedete che in effetti i paesi andati a gambe per aria hanno tutti sperimentato, nel periodo 1999-2007 (cioè dall'ingresso nell'euro alla vigilia della crisi) enormi incrementi del debito - cioè del credito! - privato
(per chi si fosse messo in ascolto in questo momento: del credito erogato a privati - famiglie e imprese - dalle banche private, che quindi è debito per i privati che lo ricevono). Gli incrementi, come vedete, vanno dal 50% al 100% del Pil, in modo tale che
nel 2007 il rapporto debito privato/Pil era pari a
94% in Grecia,
199% in Irlanda,
101% in Italia,
169% in Portogallo,
187% in Spagna
(fonte: la variabile "Domestic credit to private sector" dei World Development Indicators).
I paesi "sani" hanno sperimentato incrementi molto meno rapidi.
A mio parere il lavoro di Panizza è importante perché sottolinea un punto che anche nell'analisi di Frenkel è chiaro ..........ecc
Goofynomics: Too much finance! Panizza sul FQ
 

tontolina

Forumer storico
L’uscita dall’euro
prossima ventura
Alberto Bagnai - 22.08.2011
Un anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato?

Una domanda simile a quella di Rossanda.

Aristide, economista di sinistra, mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti, tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro. Tenendo gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.”
Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”.

Ovvero: so che non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare.
Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un intellettuale di sinistra! Questo agghiacciante paternalismo può sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo.
“Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo, avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.



Il debito pubblico non c’entra.

Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del muro.
Questo a Rossanda è chiaro.
Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, prima del trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato).
Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi di debito estero (prevalentemente privato).




Inflazione e debito estero.

Se in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.



Lo spettro del 1992.


E l’Italia? Dice Rossanda: “il nostro indebitamento è soprattutto all’interno”. Non è più vero. Pensate veramente che ai mercati interessi con chi va a letto Berlusconi? Pensate che si preoccupino perché il debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100% da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati spesso più instabili. Non è questo che preoccupa i mercati: quello che li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65% delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata).

Cui Prodest?

Calata nell’asimmetria ideologica mercantilista (i “buoni” non devono cooperare) e monetarista (inflazione zero) la scelta politica di privarsi dello strumento del cambio diventa strumento di lotta di classe. Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi dei beni, che possono diminuire o riducendo i costi (quello del lavoro, visto che quello delle materie prime non dipende da noi) o aumentando la produttività. Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo. La sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena. Chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni, trasformandoli in debiti pubblici. Alla privatizzazione dei profitti segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter incolpare a posteriori i bilanci pubblici. La scelta non è se deflazionare o meno, ma se farlo subito o meno. Una scelta ristretta, ma solo perché l’ottusità ideologica impone di concentrarsi sul sintomo (lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando), anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto cooperando). Alla domanda di Rossanda “non c’è stato qualche errore?” la risposta è quella che dà lei stessa: no, non c’è stato nessun errore. Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei lavoratori, è stato raggiunto: non sarà “di sinistra”, ma se volete continuare a chiamare “sinistra” dei governi “tecnici” a guida democristiana accomodatevi. Lo dice il manuale di Acocella: il “cambio forte” serve a disciplinare i sindacati.

Più Europa?

Secondo la teoria economica un’unione monetaria può reggere senza tensioni sui salari se i paesi sono fiscalmente integrati, poiché ciò facilita il trasferimento di risorse da quelli in espansione a quelli in recessione. Una “soluzione” che interviene a valle, cioè allevia i sintomi, senza curare la causa (gli squilibri esterni). È il famoso “più Europa”. Un esempio: festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia). Dopo cinquanta anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente) unita abbiamo le camicie verdi in Padania: basterebbero dieci anni di integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per riavere le camicie brune in Germania. L’integrazione fiscale non è politicamente sostenibile perché nessuno vuole pagare per gli altri, soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica, bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi, che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a finire quando la colpa è degli altri.

Deutschland über alles.

Le soluzioni “a valle” dello squilibrio esterno sono politicamente insostenibili, ma lo sono anche quelle “a monte”. La convivenza con l’euro richiederebbe l’uscita dall’asimmetria ideologica mercantilista. Bisognerebbe prevedere simmetrici incentivi al rientro per chi si scostasse in alto o in basso da un obiettivo di inflazione. Il coordinamento del quale Rossanda parla andrebbe costruito attorno a questo obiettivo. Ma il peso dei paesi “virtuosi” lo impedirà. Perché l’euro è l’esito di due processi storici. Rossanda vede il primo (il contrattacco del capitale per recuperare l’arretramento determinato dal new deal post-bellico), ma non il secondo: la lotta secolare della Germania per dotarsi di un mercato di sbocco. Ci si estasia (a destra e a sinistra) per il successo della Germania, la “locomotiva” d’Europa, che cresce intercettando la domanda dei paesi emergenti. Ma i dati che dicono? Dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale verso la Cina è peggiorato di 20 miliardi (da un deficit di -4 a uno di -24). I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e così facendo ci sostiene con la sua crescita. I dati dicono il contrario. La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca. E la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando. Ma perché i governi “periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania? Lo dice il manuale di Gandolfo: la moneta unica favorisce una “illusione della politica economica” che permette ai governi di perseguire obiettivi politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da istanze sopraordinate (quante volte ci siamo sentiti dire “l’Europa ci chiede...”?). Il fine (della lotta di classe al contrario) giustificava il mezzo (l’ancoraggio alla Germania).

La svalutazione rende ciechi.

È un film già visto. Ricordate lo Sme “credibile”? Dal 1987 al 1991 i cambi europei rimasero fissi. In Italia l’inflazione salì dal 4.7% al 6.2%, con il prezzo del petrolio in calo (ma i cambi fissi non domavano l’inflazione?). La Germania viaggiava su una media del 2%. La competitività italiana diminuiva, l’indebitamento estero aumentava, e dopo la recessione Usa del 1991 l’Italia dovette svalutare. Svalutazione! Provate a dire questa parola a un intellettuale di sinistra. Arrossirà di sdegnato pudore virginale. Non è colpa sua. Da decenni lo bombardano con il messaggio che la svalutazione è una di quelle cosacce che provocano uno sterile sollievo temporaneo e orrendi danni di lungo periodo. Non è strano che un sistema a guida tedesca sia retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia perché diventi una verità. Ma cosa accadde dopo il 1992? L’inflazione scese di mezzo punto nel ’93 e di un altro mezzo nel ’94. Il rapporto debito estero/Pil si dimezzò in cinque anni (da -12 a -6 punti di Pil). La bolletta energetica migliorò (da -1.1 a -1.0 punti). Dopo uno shock iniziale, l’Italia crebbe a una media del 2% dal 1994 al 2001. La lezioncina sui danni della svalutazione (genera inflazione, procura un sollievo solo temporaneo, non ce la possiamo permettere perché importiamo il petrolio) è falsa.

Irreversibile?

Si dice che la svalutazione non sarebbe risolutiva, e che le procedure di uscita non sono previste, quindi... Quindi cosa? Chi è così ingenuo da non vedere che la mancanza di procedure di uscita è solo un espediente retorico, il cui scopo è quello di radicare nel pubblico l’idea di una “naturale” o “tecnica” irreversibilità di quella che in fondo è una scelta umana e politica (e come tale reversibile)? Certo, la svalutazione renderebbe più oneroso il debito definito in valuta estera. Ma porterebbe da una situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero, producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992. Se non lo fossero, rimarrebbe la possibilità del default. Prodi vuol far sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”? Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond “socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla geografia economica per questo. È già successo e succederà. “I mercati ci puniranno, finiremo stritolati!”. Altra idiozia. Per decenni l’Italia è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che, stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo, stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%. Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani.

Non faccia la sinistra ciò che fa la destra.

Dall’euro usciremo, perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta. Sta alla sinistra rendersene conto e gestire questo processo, anziché finire sbriciolata. Non sto parlando delle prossime elezioni. Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra. Ma gli elettori cominciano a intuire che la macelleria sociale si può chiudere uscendo dall’euro. Cara Rossanda, gli operai non sono “scombussolati”, come dice lei: stanno solo capendo. “Peccato e vergogna non restano nascosti”, dice lo spirito maligno a Gretchen. Così, dopo vent’anni di Realpolitik, ad annaspare dove non si tocca si ritrovano i politici di sinistra, stretti fra la necessità di ossequiare la finanza, e quella di giustificare al loro elettorato una scelta fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il paternalismo con il quale è stata imposta. Si espongono così alle incursioni delle varie Marine Le Pen che si stanno affacciando in paesi di democrazia più compiuta, e presto anche da noi. Perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Ma mi rendo conto che in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una pensione d’oro, il lungo periodo possa non essere un problema dei politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di vedute.
 

tontolina

Forumer storico
il prof. Bagnai nel suo Blog Goofynomics
riporta lo studio di un altro economista che dimostra senza ombra di dubbio l'esplosione del credito privato rispetto al PIL prima del default
è una storia che si ripete da sempre


giovedì 5 luglio 2012

Too much finance! Panizza sul FQ



A mio parere il lavoro di Panizza è importante perché sottolinea un punto che anche nell'analisi di Frenkel è chiaro ..........ecc
Goofynomics: Too much finance! Panizza sul FQ

Dietro la crisi c’è il debito privato, non quello sovrano

Uno studio del Fondo monetario internazionale rivela che i consumi sono caduti di più nei Paesi dove le famiglie erano troppo esposte. E solo a quel punto gli Stati sono dovuti intervenire, gonfiando la spesa pubblica.


  • 07-05-201220:00
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Tag: crisi-economica economy debito-privato debito sovrano Google News
di Redazione


di Marco Fortis*
Siamo così immersi nella febbre dei debiti sovrani e degli spread da aver perso di vista i reali rapporti di causa ed effetto della crisi. Una crisi che non è nata dai debiti pubblici bensì da quelli privati.
Questi, poi, sono esplosi assieme alla bolla immobiliare e finanziaria che avevano generato e si sono trasformati in debiti pubblici attraverso almeno tre canali:

1) la recessione ha fatto diminuire le entrate statali;

2) in parallelo sono aumentate oppure non si sono ridotte le spese statali stesse, dovendo i governi sostenere i disoccupati con i sussidi, i consumi privati con gli incentivi e l’economia con la spesa pubblica;
3) i governi hanno dovuto anche salvare le banche che avevano erogato prestiti in modo scriteriato e si erano imbottite di titoli tossici, e ciò è stato fatto o con nazionalizzazioni o attraverso bad bank le cui passività sono state poi inserite nel perimetro degli stock dei debiti pubblici.
Eppure c’è chi ancora oggi fatica a capire che il mondo dei debiti è un insieme di vasi comunicanti, dove è facile che quelli privati si travasino in quelli pubblici.

E, Grecia a parte, cioè un Paese dove la crisi è nata e prosegue essenzialmente nel settore statale, tutti i casi problematici sono nati per un eccesso di debiti privati e non pubblici, ma questi ultimi sono poi cresciuti o rischiano ancora oggi di finire fuori controllo per effetto dei primi.
Con l’esclusione di Irlanda e Spagna, l’Eurozona è arrivata al crac del 2008 senza avere debiti privati non adeguatamente coperti da ricchezza privata e con un debito pubblico che resta ancora oggi inferiore (87,2% del Pil nel 2011) a quello degli Stati Uniti (102,9%) mentre è sostanzialmente agli stessi livelli di quello del Regno Unito (85,7%).

La stessa Italia ha poche colpe: il suo debito privato è bassissimo, mentre quello pubblico dal 2002 al 2007 era addirittura diminuito e dal 2007 al 2011 è tra quelli cresciuti di meno.
Eppure non sono né l’America né la Gran Bretagna a essere ora nell’occhio del ciclone. Vi erano finite in pieno quando è fallita Lehman ed è scoppiata la bolla, ma poi l’Eurozona è riuscita nell’impresa non meritoria di attrarre su di sé gli strali dei mercati non gestendo con rapidità la crisi greca. Con l’allargarsi del contagio il problema dei debiti pubblici è diventato il problema dei problemi.
Ma anche l’epidemia del debito privato non è stata sconfitta. E la combinazione delle due piaghe sta condannando il mondo ricco, dall’Eurozona al Giappone, dagli Usa alla Gran Bretagna, alla noncrescita attraverso il deleveraging delle famiglie e la forzata austerità fiscale. Quanto il debito privato sia stato responsabile della crisi e quanto ancor oggi contribuisca a frenare la ripresa ce lo ricorda il Fmi, che ha dedicato il capitolo 3 del suo ultimo World Economic Outlook al debito delle famiglie.
In grafico, che riportiamo, mette in evidenza che i Paesi che nel 2010 hanno registrato la più forte caduta dei consumi delle famiglie sono stati quelli in cui l’indebitamento delle famiglie era maggiormente aumentato nel 2002-2006, cioè nella fase di espansione della bolla. Infatti, i consumi privati sono calati assai più in Irlanda, Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti, Olanda, Islanda, cioè nei Paesi ove i debiti privati erano cresciuti di più, che non in Francia, Italia e Germania, Paesi in cui il debito delle famiglie era aumentato di meno.
A ciò si è aggiunta un’ulteriore conseguenza negativa. Nonostante la ritrosia di molti economisti e istituzioni internazionali, che si rifiutano di mescolare i debiti privati con quelli pubblici, non ritenendo significativo come indicatore il debito aggregato, è un dato di fatto che i Paesi che erano arrivati al 2007 coi debiti privati (di famiglie e imprese) più elevati hanno poi in genere sperimentato nel 2007-2011 la più forte crescita dei debiti pubblici.
Ci ha pensato l’economia a mischiare sul campo i due tipi di passività. A questo punto è davvero difficile essere ottimisti.
I debiti privati restano molto elevati in tanti Paesi e quelli pubblici dovranno essere riportati sotto controllo a colpi di tagli.
La crescita del passato, sempre che fosse crescita vera quella dell’Irlanda e della Spagna, rischia di non tornare per molto tempo.
* vicepresidente Fondazione Edison e docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano


http://economia.panorama.it/Dietro-la-crisi-c-e-il-debito-privato-non-quello-sovrano
 

tontolina

Forumer storico
Euro. Lo hanno fatto apposta

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La dittatura surrettizia che i leader europei intendono perseguire e consolidare, una dittatura delle banche sull’Europa, attraverso l’euro, è ora nuovamente denunciata come una strategia lungimirante, fin dall’esordio, per distruggere le nazioni. Ossia, non che l’euro sta fallendo, anzi sta funzionando e benissimo in quanto l’euro, sta provocando proprio tutto ciò per cui è stato ideato e progettato dall’uno per cento dell’oligarchia che ce lo ha imposto.
Così, circa, scrivono i giornali americani, ricordando che “l’ideatore” ha sempre visto la sua creatura (l’euro) come l’arma che avrebbe spazzato via norme e regolamenti sul lavoro facendo dell’Europa una terra di conquista per cinesi, africani e arabi. E l’euro sta ora iniziando davvero a dare i frutti migliori per il compito cui venne ideato.
Infatti, tale moneta è soprannazionale, toglie ai governi eletti – quando si dice la fine delle democrazia - la possibilità di usare politiche creditizie e fiscali capaci di farci uscire dalla crisi, poiché le politiche monetarie sono al di fuori dalla portata dei politici, eletti dal popolo. Si tratta di Governi che sono privati dei loro strumenti d’intervento più efficaci, rimanendo padroni solo di ridurre regole e diritti verso imprese e lavoratori per cercare di mantenere i posti di lavoro, creando incertezze - tutto nel nome della concorrenza - dove ampie enclavi di stranieri operano sui territori nazionali con logiche di sfruttamento di 12 o 15 ore di lavoro al giorno senza alcun diritto, producendo merce scadente ma piazzata già sul mercato dell’ex mondo avanzato. Insomma, a breve, con l’Euro si ripropone una feroce lotta di classe per la sopravvivenza, con comunità straniere che tolgono lavoro ai giovani e ai padri italiani.
Il termine “riforme strutturali” è - a parte il caso italiano che si lega ad aspetti corruttivi e di spreco immensi e da decenni nella pubblica amministrazione - presente anche in altri Stati, e significa, più in generale, impatto strutturale antropologico formato da enclavi di comunità formate da decine di migliaia di lavoratori in nero, sottopagati che rimettono enormi ricchezze nella loro madrepatria, finendo per chiudere gli europei in una morsa a spirale. Più passano le settimane e più la crisi bancaria diventerà estrema ed acuta. Allora, quando saremo nel baratro, i governi saranno costretti a rinunciare anche alla propria sovranità e ad utilizzare le proprie entrate fiscali e il proprio credito per i salvataggi bancari. E i nostri popoli - che avranno sempre meno certezze in casa perché erose dalla presenza di alte densità di genti e popolazioni ben più scaltre nell’ottenere quei brandelli di Stato sociale, servizi sanitari d’assalto nei pronti soccorso – chiuderanno negozi italiani, o europei, per lasciar spazio ai Suk, spalmati in ogni dove dai cosiddetti venditori ambulanti e abusivi che vestiranno la nuova moda del vu’ cumprà che aleggia sull’Europa già consesso di Nazioni civili.

Articolo letto: 246 volte (09 Luglio 2012)
 

tontolina

Forumer storico
Fare Consapevolezza


Per poter affrontare il nostro futuro e quello dei nostri figli è necessario essere consapevoli di quello che siamo e delle scelte che possiamo fare. Ma per incidere realmente sulla realtà è necessario conoscerla in tutti i suoi aspetti. Fare consapevolezza è il blog che si prefigge di analizzare con gli occhi del ricercatore curioso la realtà che ci circonda, ponendo domande e cercando risposte.


MORIRE PER L'EURO.



  • Costa










Se venissi da un altro sistema stellare, e atterrassi improvvisamente in Italia farei fatica a capire...Non c'è una crisi alimentare, ringraziando il signore c'è ancora da mangiare, la benzina non manca, le strade sono ancora piene di automobili, i servizi esistono ancora, le pensioni vengono erogate , gli scaffali dei negozi e dei supermercati sono ancora pieni di merci, e la gente compra ancora... Quindi siamo in crisi economica, ah...dimenticavo continuo a vedere crescere gli immigrati , tanto che in una città piccola come quella dove abito, e dove non esiste nessuna attività manifatturiera degna di questo nome, è normale vederne passeggiare a frotte. Sembra tutto normale anzi , pare che il benessere sia tanto palpabile da fare arrivare frotte di lavoratori stranieri interessati a prendervi parte. Eppure siamo in crisi, lo capisci dagli sguardi ,dai discorsi che si fanno dentro i negozi, dal fatto che questi non sono più sempre pieni come una volta. Il governo poi continua a dire che abbiamo i conti disastrati e che non solo è necessario aumentare la tassazione su chi è già abbondantemente tassato, ma nel contempo bisogna tagliargli anche i servizi, come quelli sanitari, allontanargli il giorno in cui può percepire la pensione, aumentare le tariffe energetiche, i pedaggi autostradali e i costi dei servizi pubblici come treni autobus etc...E poi dulcis in fondo non basta che calino i redditi delle fasce più basse ma è necessario eliminare i diritti di chi ha sulle spalle tutta l'impalcatura dello stato, cioè sempre i soliti noti , tutti coloro che per vivere fanno un lavoro che sia un servizio o che si lavori nel ciclo produttivo. Il livello di tassazione reale ormai sfiora il 60% del reddito percepito, e tutti questi sacrifici li facciamo non già per avere un futuro migliore, non per avere dei sevizi pubblici già abbondantemente strapagati e non percepiti, ma per salvare l’EURO.


Morire per l’Euro .


Ma cosa è dunque l’Euro? Perché i nostri governanti hanno deciso di sacrificarvi tutta la nazione? Intanto va detto che si tratta di una moneta e quindi di un mezzo, e non di un fine, utile a quantificare il valore delle merci e dei servizi, e tramite di esso ad effettuare gli scambi commerciali. Oggi il mondo sta conoscendo la sua più grande crisi del sistema finanziario mai vista, e ovviamente nella bufera più totale si trova proprio questa strana creatura chiamata Euro , una moneta unica di alcuni dei più importanti paesi Europei ,ma non la moneta di questi paesi intesa come la rappresentanza economica e sociale dei popoli che la usano. Per la sua esistenza esistono esclusivamente degli stringenti accordi economico commerciali, e non accordi di tipo politico tra i popoli a cui è stata di fatto imposta. Di fatto è una moneta privata , che rappresenta le élite finanziarie delle nazioni sottoscriventi , ma non i loro popoli e quindi non gli interessi generali di questi.
Quando le economie andavano bene e il credito veniva fatto circolare a piene mani a nessuno importava quello che realmente fosse questa moneta, ma adesso che l’aria è decisamente cambiata importa eccome. Adesso è arrivato il momento di domandarci se vale la pena sacrificare il tutto per mantenerne l’esistenza, o forse non sia il caso di rinunciarci ,tornando ad usare un mezzo più idoneo ai nostri bisogni economici. Dopo il fallimento di questo modello finanziario capitalista è necessario riappropriarci di un sistema di emissione monetaria che rappresenti gli interessi economici generali e non quella di una stretta minoranza . Questo può avvenire essenzialmente in due modi:
O tornando alle divise nazionali , nazionalizzando gran parte delle banche esistenti (già abbondantemente salvate con i sacrifici dei cittadini) , ridando il potere economico ai rispettivi governi ,
oppure mantenendo l’Euro , come moneta di una Europa politicamente unificata , nazionalizzando gran parte del sistema bancario sotto un governo unico Europeo sempre espressione degli interessi generali di tutti i popoli che vi aderiscono .


Un fatto è certo, per quanto questa agonia possa essere lunga , se non si prenderanno le giuste decisioni avverrà la cosa più naturale del mondo “questa moneta così come è adesso si sfascerà da sola” . Quando? Quando la sostenibilità della sua esistenza diverrà così gravosa da costituire un ostacolo alla normale conduzione economica dei paesi aderenti , verrà abbandonata , semplicemente perché sarà impossibile da usare. E’ come se un lavoratore che percepisse un reddito di 20.000 euro l’anno volesse usare quotidianamente una moderna macchia sportiva come la Ferrari , di fatto solo per la normale manutenzione dovrebbe spendere metà del suo reddito, per non parlare della assicurazione, del bollo di circolazione, e del carburante . Purtroppo presto scoprirà che non è l’auto che lui può permettersi e dovrà rinunciarci, per una banalissima utilitaria , con la quale però gli è possibile spostarsi.


Ora la crisi in Italia è figlia principalmente di una grande crisi finanziaria mondiale, e in particolare di quella Europea. E’ vero , ci sono anche delle ragioni strutturali interne al nostro paese, che comunque a prescindere sarebbe bene sanare, ma in questo momento non sono le ragioni principali del nostro rapido declino, le quali dipendono dal sistema finanziario a cui siamo incatenati. E’ come se una persona che ha qualche problema di salute, come cura gli venisse imposto di vivere alle intemperie , con pochi vestiti , e una alimentazione scarsa e precaria, sottraendogli anche le medicine per le cure. Sicuramente il risultato sarebbe il rapido peggioramento della sua salute , fino alla sua fine prematura.
E’ esattamente quello che sta accadendo adesso a noi con le cure di questo governo tecnico , spocchioso, arrogante, che sotto il continuo ricatto dei mercati sta effettuando delle manovre economiche disastrose.
La legittimazione gli viene mutuata dai partiti che a colpi di fiducia votano i suoi provvedimenti
. I quali si sono spogliati delle responsabilità politiche proprie delegando ad uno estraneo la sovranità che esercitavano in nome e per conto dei propri elettori. Che non si illudano! Tutto questo per loro avrà un prezzo altissimo in termini elettorali , non sarà possibile andare dai propri elettori senza le solite trite promesse clientelari, e se lo faranno non verranno più creduti. Ormai si sono giocati la loro credibilità , dovrebbero ammettere di aver sbagliato completamente strategia politica, e quindi appena al governo disfare quello che hanno appena compiuto. Inoltre sotto il ricatto del mercato hanno rinunciato alla prerogativa di essere loro stessi in prima linea a governare nella difficoltà , e questo li squalifica automaticamente ad un ruolo di guida politica realmente credibile , è nelle difficoltà che si apprezzano le capacità reali di chiunque, compreso dei partiti politici .


Per finire…..




Il punto è ancora lo stesso: l’occidente si vanta giustamente delle sue istituzioni democratiche e liberali, che gli hanno consentito per un lungo cammino nella storia della specie umana di detenere il primato sociale economico e culturale su tutto il mondo, oggi tutto questo di fronte alle nuove sfide che lo stesso occidente ha determinato con la globalizzazione esigono nuove risposte . Perché la democrazia e il primato degli interessi generali tornino al centro della scena è necessario riappropriarci di una corretta informazione soprattutto nel campo economico, e non come accade adesso che i mass-media sono divenuti lo strumento principale con cui le élite finanziarie controllano il pensiero dell’opinione pubblica, fino a divenire vera e propria stampa occulta che preserva gli interessi particolari di questa élite . A proposito ecco cosa pensava un noto dittatore della propaganda :
La[FONT=&quot] [/FONT][FONT=&quot]propaganda non deve servire la verità,
specialmente perché questa potrebbe favorire l'avversario.[/FONT]

[FONT=&quot]Adolf Hitler[/FONT]


Tutti i giornali e le testate televisive per una ragione o per un’altra (tranne qualche rara eccezione) sono al sevizio di grandi interessi capitalisti e finanziari , e siccome il popolo oggi sono i loro avversari , e soprattutto le mucche da mungere è necessario occultare ed edulcorare attentamente le verità (a loro favore ovviamente ) economiche scomode, in modo tale da ottenere arrendevolezza e auto oppressione da parte delle persone . In un futuro prossimo quando la consapevolezza si farà strada nelle menti del cittadino , perché sarà fatalmente inevitabile che accadrà, in quanto la nuova realtà costringerà anche le più stagionate teste di legno a una nuova e più realistica rilettura dei fatti , dovremo tornare a riconsiderare le istanze sociali comuni, dovremo ricercare un nuovo equilibrio tra individualismo e le esigenze collettive, per farla breve dovremo marciare uniti ponendoci scopi e fini comuni, dell’interesse generale, ovvero…. una nuova coscienza sociale.






Antonino Costa.
 

DNGMRZ

ordine 11.110
ATTENTA GERMANIA CHE L'ITALIA POTREBBE USCIRE DALL'EURO
Postato il Domenica, 15 luglio @ 04:25:00 CDT di davide
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DI SERGIO CESARATTO
ilmanifesto.it

Nel clima di sospensione di ogni democrazia sostanziale nel paese, giovedì il Senato ha ratificato il cosiddetto fiscal compact con la medesima (vergognosa) maggioranza bulgara che aveva approvato l’inscrizione del pareggio di bilancio in Costituzione. Ora la parola passa alla Camera. Non sembra che, con l’eccezione de il manifesto, gli organi di informazione abbiano cercato di spiegare ai cittadini cosa fosse in ballo, e pour cause.

Il fiscal compact, concordato lo scorso marzo dall’Unione europea, con l’eccezione del Regno Unito, prevede una serie di misure fiscali vincolanti: a) pareggio di bilancio (oltre alla menzionata iscrizione in Costituzione) con l’obbligo di meccanismi automatici di riequilibrio, come l’aumento automatico dell’Iva; b) l’obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del Pil di rientrare entro tale soglia in 20 anni ad un ritmo pari a un ventesimo all’anno, come già definito nel precedente Accordo di Stabilità e Crescita (sic), «six-pack», entrato in vigore a fine 2011; c) misure di sorveglianza e punitive in caso di inadempienza. L’adesione al fiscal compact è necessaria per poter accedere ai fondi Mes (Meccanismo europeo di stabilità) la cui inutilità, nella forma attuale, per abbattere i famosi spread è stata ricordata da Pastrello ieri. Disattendendo le promesse elettorali, a cui solo gli ingenui hanno creduto, anche Hollande si appresta ad approvare il fiscal compact.

Alla luce del rapido deterioramento delle prospettive economiche e occupazionali del paese causate dalle politiche di austerità, gli effetti devastanti che la pervicace applicazione dei diktat europei sono sotto gli occhi di tutti, senza che, grottescamente, gli obiettivi di bilancio vengano peraltro raggiunti. Il Fondo monetario internazionale prevede, infatti, lo sforamento degli obiettivi di disavanzo, l’aumento del rapporto debito/Pil, tutto questo in un’economia in recessione che sta arretrando di decenni a vista d’occhio. L’operazione di Monti basata sull’idea che a colpi di manovre fiscali il paese potesse recuperare «credibilità», diminuire gli spread e ritornare su un sentiero di crescita si è rivelata fallimentare. Del resto questa era la politica, per dirne una, adottata dal Presidente de la Rua prima del fallimento di quel paese (le cronache del 2001 ci narrano che dovette fuggire in elicottero dal paese per evitare il linciaggio).

La questione è che il nostro paese non ha davanti solo uno scontro in sede europea con una Germania chiusa a ogni soluzione ragionevole e possibile della crisi e che sta trascinando il proprio popolo su posizioni a un passo dalla xenofobia. L’altro scontro è con i disegni di restaurazione liberista di Mario Monti, e di chi lo asseconda. In fondo in Europa si accetta quello che si decide di accettare (e chi accetta è connivente). Se egli è tornato dallo scorso vertice col biblico piatto di lenticchie, come prontamente abbiamo denunciato su queste colonne, si vede che in fondo così gli andava bene. Così si è permesso un farneticante attacco alla concertazione (altro che imitazione del modello partecipato tedesco!), la manovra ammazza-sanità, ulteriore capitolo di una manovra infinita.

Sindacato e stato sociale sono per Monti e per chi lo appoggia le cause di fondo della crisi italiana. Eppure armi di contrattazione l’Italia ne avrebbe. Così suggeriva giovedì uno studio di Merril Lynch per il quale l’Italia sarebbe nelle condizioni di uscire dall’euro e di avvantaggiarsene – a differenza della Spagna, incapace di navigare da sola, e della Germania che avrebbe tutto da perdere dalla rinnovata sfida industriale italiana.

Però a una minaccia si deve credere: cara Germania, o cambi politiche, oppure piuttosto che una rottura catastrofica dell’euro verso cui le politiche attuali non possono non portare, meglio un’uscita ordinata dell’Italia, meglio anche per voi. Si è sinora sostenuto che di una fuoriuscita italiana non si potesse parlare, pena la turbativa dei mercati. Temiamo che a questo punto la turbativa ai mercati provenga dalle politiche di austerità, termine ormai troppo blando perché vedremo il paese impoverirsi a vista d’occhio, e non dall’apertura di un dibattito democratico in cui al paese si dica la finalmente verità e lo si chiami a scegliere.
 

DNGMRZ

ordine 11.110
Magari uscissimo dall'euro.
certo chi non ha portato i soldi in svizzera perderebbe il 30% del capitale ma poi ripartiremmo più forti di prima e ai tedeschi faremmo pagare dei bei soldoni per le loro vacanze.
Che il pesce mica se lo possono sciacquare nel porto di brema....

ma è solo un sogno.
I nostri 945 corrottissimi deputati ci farannno crepare sotto l'euro, e anche la opposizione del mov.5* non voterebbe mai contro l'euro. Sono tutti ragazzotti cresciuti nei partiti di sx cresciuti col dogma euro, w prodi w ciampi, sono tutti pro euro.
 

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