AnkleJoint
Forumer attivo
Le Fiamme Gialle si presentano all'Agenzia delle Entrate e acquisiscono
l'elenco con i 400 nomi di chi ha portato fuori i soldi: non c'è solo il Liechtenstein
Conti all'estero, blitz dei pm
in Procura la lista di evasori
Quattro finanzieri si fanno aprire gli uffici. E l'inchiesta si duplica
Il procuratore antimafia Grasso chiede a Visco di avere la lista
di CARLO BONINI
Sono arrivati come si usa fare quando non c'è un solo minuto da perdere, quando la fonte di prova da acquisire rischia di deteriorarsi o, peggio, di essere manipolata, e dunque non ci si fida troppo di chi si va a far visita. Nel tardo pomeriggio di un venerdì, a uffici già chiusi.
Tanto che - raccontano - quando i quattro uomini in borghese si sono qualificati come militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza e hanno mostrato il provvedimento firmato soltanto qualche ora prima dai procuratori della repubblica Pierfilippo Laviani e Mario Dovinola, in via Cristoforo Colombo, sede dell'Agenzia delle Entrate, qualcuno ha pensato a uno scherzo. I magistrati chiedevano di esibire il cd-rom contenente la lista dei 400 del Liechtenstein.
Lo stesso documento che, non più tardi di ventiquattro ore prima, il viceministro dell'Economia Vincenzo Visco aveva annunciato avrebbe consegnato alle diverse procure della Repubblica competenti nel giro di pochi giorni. Non appena gli uffici dell'Amministrazione finanziaria lo avessero reso intelligibile con i dati che, in queste settimane, gli uffici Ocse di Parigi hanno continuato a trasmettere a Roma a integrazione della loro prima segnalazione, ormai risalente a circa un mese fa. Non appena, insomma, fosse stato messo ordine in una congerie di nomi (spesso anagrammi o sequenze numeriche) che, per altro, talvolta indicano, insieme a una singola posizione contabile accesa in Liechtenstein, anche quella dei conti che, da altri paesi, l'hanno alimentata.
Venerdì pomeriggio, Massimo Romano, direttore centrale dell'Agenzia è stato precipitosamente richiamato in sede. Visco è stato informato di quel che stava accadendo. Il cd è passato di mano. I finanzieri hanno ringraziato. E' cominciata un'altra storia, che, naturalmente, nulla ha a che fare con il Liechtenstein, con la caccia agli evasori o ai riciclatori, ma molto ha a che vedere non solo con lo stato terminale dei rapporti tra il viceministro di un governo uscente, la Guardia di Finanza e la Procura della Repubblica di Roma. Ma, soprattutto, con l'oggetto non dichiarato di una partita infernale cominciata a inizio settimana: rompere il monopolio politico di un segreto che ha mandato e sta mandando al manicomio una parte importante del ceto politico e un pezzo qualificato del Paese, evidentemente ben più consistente di quanto il numero dei correntisti individuati a Vaduz possa far immaginare.
Il diritto ad accedere a quel segreto era stato polemicamente, ma non casualmente, rivendicato giovedì scorso dal Cocer della Guardia di Finanza con un comunicato indignato che accusava il governo uscente di voler dolosamente rendere cieco lo strumento tecnico e operativo della lotta all'evasione. Era stato quindi informalmente sollecitato, per ragioni di giustizia, dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso in un colloquio telefonico, venerdì pomeriggio, con lo stesso Vincenzo Visco. Sarebbe stato nuovamente oggetto di polemica dello stato maggiore del Pdl nella giornata di ieri. Il modo in cui maneggiare il segreto e romperne il monopolio non era dunque questione neutra. Posto che di quel monopolio, Visco aveva da ultimo ribadito la legittimità e "inevitabilità tecnica" in forza di una direttiva europea (da tempo legge dello Stato) che obbliga le amministrazioni delle Finanze destinatarie di dati fiscali sensibili in un quadro di cooperazione internazionale ad assicurarne la riservatezza, a meno che non vi ravvisi ipotesi di reato e dunque ne sia necessaria la condivisione con la magistratura ordinaria.
Ebbene, a sentire due diverse fonti qualificate del Comando Generale della Guardia di Finanza, non è in viale XXI aprile che vanno chieste spiegazioni alla mossa di venerdì. Il nucleo di polizia tributaria di Roma - riferiscono - non ha fatto altro che dare corso a "indicazioni precise ricevute dall'autorità giudiziaria nel primo pomeriggio di venerdì con cui veniva per altro raccomandato di procedere senza ritardo".
Quando e come i militari dovessero bussare alla porta dell'Agenzia delle Entrate (e soprattutto se fosse opportuno farlo) non sarebbe stata insomma decisione del Comando, ma dei due pubblici ministeri.
In Procura cadono dalle nuvole. Nell'ordine di esibizione notificato all'Agenzia delle Entrate, sembra di capire, non si coglie alcuno strappo al galateo istituzionale, né un contributo alla confusione. Di cui, al contrario, si colgono già segni inequivocabili.
La Procura ha infatti aperto un fascicolo in cui si ipotizzano soltanto reati tributari (omessa dichiarazione dei redditi e dichiarazione infedele), senza poterne per altro rivendicare la definitiva competenza. Riservandosi, cioè, di smistare ad altri uffici giudiziari le posizioni di contribuenti non residenti nella sua giurisdizione. Detto in parole più semplici, da ieri, la Procura di Roma e il nucleo di polizia tributaria, cui l'indagine è stata delegata, si accingono a fare esattamente lo stesso lavoro che da un mese a questa parte sta facendo l'Agenzia delle Entrate e che l'Agenzia delle Entrate, a sentire fonti qualificate dell'Amministrazione delle Finanze, avrebbe concluso di qui a un paio di settimane. E, quel che è peggio, magistratura e polizia giudiziaria lavoreranno ricominciando da capo. Prova ne sia che i pubblici ministeri hanno acquisito non i dati già istruiti dall'Agenzia delle Entrate, ma il materiale grezzo che ne è all'origine (il cd con i 400 nomi).
Di fatto, dunque, il provvedimento della Procura senza allargare l'oggetto dell'indagine sulla lista dei 400 (magari a ipotesi di reato diverse da quelle tributarie, come il reato di riciclaggio, per le quali indubbiamente gli strumenti dell'Agenzia delle Entrate non sono adeguati) ne ha soltanto doppiato i titolari. Ha moltiplicato gli occhi qualificati che vi avranno necessariamente accesso di qui in avanti. Con un risultato, documentato dalla coda di dichiarazioni che le agenzie di stampa hanno registrato per l'intero pomeriggio di ieri. Alla reale segretezza di quel documento, alla possibilità che tale possa restare, ormai non sembra credere più nessuno. Ma ad impedire di condividerlo con il Paese ci sarà ora, almeno formalmente, un nuovo ostacolo: il segreto istruttorio di un'indagine penale.
http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/economia/fisco-liechtestein/blitz-dei-pm/blitz-dei-pm.html
l'elenco con i 400 nomi di chi ha portato fuori i soldi: non c'è solo il Liechtenstein
Conti all'estero, blitz dei pm
in Procura la lista di evasori
Quattro finanzieri si fanno aprire gli uffici. E l'inchiesta si duplica
Il procuratore antimafia Grasso chiede a Visco di avere la lista
di CARLO BONINI
Sono arrivati come si usa fare quando non c'è un solo minuto da perdere, quando la fonte di prova da acquisire rischia di deteriorarsi o, peggio, di essere manipolata, e dunque non ci si fida troppo di chi si va a far visita. Nel tardo pomeriggio di un venerdì, a uffici già chiusi.
Tanto che - raccontano - quando i quattro uomini in borghese si sono qualificati come militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza e hanno mostrato il provvedimento firmato soltanto qualche ora prima dai procuratori della repubblica Pierfilippo Laviani e Mario Dovinola, in via Cristoforo Colombo, sede dell'Agenzia delle Entrate, qualcuno ha pensato a uno scherzo. I magistrati chiedevano di esibire il cd-rom contenente la lista dei 400 del Liechtenstein.
Lo stesso documento che, non più tardi di ventiquattro ore prima, il viceministro dell'Economia Vincenzo Visco aveva annunciato avrebbe consegnato alle diverse procure della Repubblica competenti nel giro di pochi giorni. Non appena gli uffici dell'Amministrazione finanziaria lo avessero reso intelligibile con i dati che, in queste settimane, gli uffici Ocse di Parigi hanno continuato a trasmettere a Roma a integrazione della loro prima segnalazione, ormai risalente a circa un mese fa. Non appena, insomma, fosse stato messo ordine in una congerie di nomi (spesso anagrammi o sequenze numeriche) che, per altro, talvolta indicano, insieme a una singola posizione contabile accesa in Liechtenstein, anche quella dei conti che, da altri paesi, l'hanno alimentata.
Venerdì pomeriggio, Massimo Romano, direttore centrale dell'Agenzia è stato precipitosamente richiamato in sede. Visco è stato informato di quel che stava accadendo. Il cd è passato di mano. I finanzieri hanno ringraziato. E' cominciata un'altra storia, che, naturalmente, nulla ha a che fare con il Liechtenstein, con la caccia agli evasori o ai riciclatori, ma molto ha a che vedere non solo con lo stato terminale dei rapporti tra il viceministro di un governo uscente, la Guardia di Finanza e la Procura della Repubblica di Roma. Ma, soprattutto, con l'oggetto non dichiarato di una partita infernale cominciata a inizio settimana: rompere il monopolio politico di un segreto che ha mandato e sta mandando al manicomio una parte importante del ceto politico e un pezzo qualificato del Paese, evidentemente ben più consistente di quanto il numero dei correntisti individuati a Vaduz possa far immaginare.
Il diritto ad accedere a quel segreto era stato polemicamente, ma non casualmente, rivendicato giovedì scorso dal Cocer della Guardia di Finanza con un comunicato indignato che accusava il governo uscente di voler dolosamente rendere cieco lo strumento tecnico e operativo della lotta all'evasione. Era stato quindi informalmente sollecitato, per ragioni di giustizia, dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso in un colloquio telefonico, venerdì pomeriggio, con lo stesso Vincenzo Visco. Sarebbe stato nuovamente oggetto di polemica dello stato maggiore del Pdl nella giornata di ieri. Il modo in cui maneggiare il segreto e romperne il monopolio non era dunque questione neutra. Posto che di quel monopolio, Visco aveva da ultimo ribadito la legittimità e "inevitabilità tecnica" in forza di una direttiva europea (da tempo legge dello Stato) che obbliga le amministrazioni delle Finanze destinatarie di dati fiscali sensibili in un quadro di cooperazione internazionale ad assicurarne la riservatezza, a meno che non vi ravvisi ipotesi di reato e dunque ne sia necessaria la condivisione con la magistratura ordinaria.
Ebbene, a sentire due diverse fonti qualificate del Comando Generale della Guardia di Finanza, non è in viale XXI aprile che vanno chieste spiegazioni alla mossa di venerdì. Il nucleo di polizia tributaria di Roma - riferiscono - non ha fatto altro che dare corso a "indicazioni precise ricevute dall'autorità giudiziaria nel primo pomeriggio di venerdì con cui veniva per altro raccomandato di procedere senza ritardo".
Quando e come i militari dovessero bussare alla porta dell'Agenzia delle Entrate (e soprattutto se fosse opportuno farlo) non sarebbe stata insomma decisione del Comando, ma dei due pubblici ministeri.
In Procura cadono dalle nuvole. Nell'ordine di esibizione notificato all'Agenzia delle Entrate, sembra di capire, non si coglie alcuno strappo al galateo istituzionale, né un contributo alla confusione. Di cui, al contrario, si colgono già segni inequivocabili.
La Procura ha infatti aperto un fascicolo in cui si ipotizzano soltanto reati tributari (omessa dichiarazione dei redditi e dichiarazione infedele), senza poterne per altro rivendicare la definitiva competenza. Riservandosi, cioè, di smistare ad altri uffici giudiziari le posizioni di contribuenti non residenti nella sua giurisdizione. Detto in parole più semplici, da ieri, la Procura di Roma e il nucleo di polizia tributaria, cui l'indagine è stata delegata, si accingono a fare esattamente lo stesso lavoro che da un mese a questa parte sta facendo l'Agenzia delle Entrate e che l'Agenzia delle Entrate, a sentire fonti qualificate dell'Amministrazione delle Finanze, avrebbe concluso di qui a un paio di settimane. E, quel che è peggio, magistratura e polizia giudiziaria lavoreranno ricominciando da capo. Prova ne sia che i pubblici ministeri hanno acquisito non i dati già istruiti dall'Agenzia delle Entrate, ma il materiale grezzo che ne è all'origine (il cd con i 400 nomi).
Di fatto, dunque, il provvedimento della Procura senza allargare l'oggetto dell'indagine sulla lista dei 400 (magari a ipotesi di reato diverse da quelle tributarie, come il reato di riciclaggio, per le quali indubbiamente gli strumenti dell'Agenzia delle Entrate non sono adeguati) ne ha soltanto doppiato i titolari. Ha moltiplicato gli occhi qualificati che vi avranno necessariamente accesso di qui in avanti. Con un risultato, documentato dalla coda di dichiarazioni che le agenzie di stampa hanno registrato per l'intero pomeriggio di ieri. Alla reale segretezza di quel documento, alla possibilità che tale possa restare, ormai non sembra credere più nessuno. Ma ad impedire di condividerlo con il Paese ci sarà ora, almeno formalmente, un nuovo ostacolo: il segreto istruttorio di un'indagine penale.
http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/economia/fisco-liechtestein/blitz-dei-pm/blitz-dei-pm.html