da
http://www.giornalettismo.com/archives/category/economia/ La crisi internazionale e le dubbie scelte industriali al centro dell’ andamento negativo dei titoli dei due gruppi elettrici nazionali.
(Luca Conforti è lo pseudonimo di un giornalista che lavora per uno dei più importanti quotidiani nazionali. La sua rubrica, Parco Buoi, si occuperà con cadenza settimanale di imprese, finanza e mercati, con un occhio al risparmiatore)
I due più grandi produttori nazionali di elettricità stanno deludendo in borsa,
Enel ed
Edison viaggiano con performance
negative intorno al 20%, dopo
aver raggiunto entrambi il 10 marzo scorso il
minimo annuale. Naturalmente pagano l’andamento generale dei mercati, e con loro stanno provando a risalire, ma alla base delle
vendite ci sono serie perplessità sulle scelte industriali. Per risalire la china nella considerazione del mercato entrambe le società dovrebbero procedere a scelte
clamorose: il cambio di amministratore delegato per l’Enel e un’azionista di maggioranza unico,
Edf, per Edison.
- CONTI CHE NON TORNANO - Del piano taglia-debiti dell’Enel si è parlato molto, per la maggior parte del tempo lo ha fatto il suo stesso ideatore,
Fulvio Conti, per oltre quattro ore con analisti e giornalisti e qualche giorno dopo in una lunga
intervista al Corriere della Sera. Ricapitoliamo gli effetti negativi per gli
azionisti dell’ultimo piano industriale e d
ell’aumento di capitale da 8 miliardi: aumento del 50% delle azioni in circolazione, che vuol dire
riduzione proporzionale del valore per chi non vorrà/potrà partecipare all’aumento di capitale. Anche chi
sborserà altri soldi sa già che i
l livello dei dividendi dall’anno prossimo scenderà del 30%, così come l’utile (2,4 miliardi nel 2010 contro i 4 del 2008). Il tutto si aggiunge a 12 miliardi d’investimento in meno (vale a dire meno crescita nel futuro). È un classico caso di trasferimento del valore dai soci all’azienda, che nel frattempo ha accresciuto il
fatturato del 40%, ma si pone come obiettivo di miglioramento del proprio margine lordo solo l’8%-15% (in valore assoluto 300 milioni nel 2010).
Da questo punto di vista l’acquisizione di Endesa non ha senso economico, far esplodere l’indebitamento oltre 61 miliardi di euro ancor meno. La difesa di Conti è che era l’unico modo per trasformare l’Enel in una delle grandi del settore, che i vantaggi di un passo del genere non si misurano in due o cinque anni, ma almeno in un decennio. E sottintende che il
governo gli ha affidato questo mandato e lo ha implicitamente avallato sottoscrivendo l’aumento di
capitale da 8 miliardi da lui proposto. Dunque, fin qui Conti si è mosso legittimamente, anche se i piccoli azionisti avrebbero meritato una comunicazione più chiara su quanto il management fosse disposto a sacrificare la
solidità del gruppo in nome della crescita piuttosto che presentare il titolo come un porto sicuro soprattutto per le
famiglie. Ma le vere ombre sono altrove.
- LA MOSSA FALSA E TENDENZIOSA - La
ricapitalizzazione non si sarebbe resa necessaria, e con essa il
taglio generalizzato di utili ed investimenti, senza l
’acquisizione dell’ultimo 25% di Endesa in mano alla famiglia
Entrecanales c
ostato all’Enel 9 miliardi di euro più 3,6 di debito. Qualcosa di più della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’
esposizione finanziaria. Una scelta deliberata difficile da giustificare. Enel aveva un’opzione di acquisto a 40 euro ad
azione per l’anno prossimo di quel 25%, il titolo ora quota 14-15 euro, quindi aveva interesse a ritardare il più possibile l’inevitabile
minusvalenza. Poteva sperare che tra un anno i titoli avrebbero recuperato, più realisticamente poteva provare a rinegoziare quell’accordo sulla base del clamoroso cambio delle valutazioni determinato dalla
crisi. Nel braccio di ferro l’azienda italiana poteva resistere più a lungo viso che
Acciona avrebbe onorato con difficoltà i propri
debiti senza liquidare velocemente il pacchetto Endesa. Conti ha rinunciato a questo vantaggio tattico per pagare subito e a prezzo pieno. Anche senza sconto tra un anno, il flusso di cassa gli avrebbe permesso di presentarsi con un debito di 3-4 miliardi più basso. Se tanto coraggio nell’imporre un aumento di capitale fosse stato utilizzato per un taglio
una tantum del dividendo per il solo 2010 sarebbe ancora meglio.
I vantaggi non compensano la spesa: non i 600-800 milioni di
sinergie, non il pieno controllo di Endesa, peraltro spolpata da un dividendo straordinario da 6,2 miliardi e con 3 miliardi di
asset in meno venduti ad Acciona. Le uniche che ci hanno sicuramente guadagnato dall’ultimo acquisto sono le banche creditrici di Entrecanales,
Santander e
Mediobanca su tutte, che ora hanno proprio l’Enel come creditore. Non rischiano di dover perdere i soldi prestati alla famiglia spagnola, i loro fondi non dovranno svalutare i
bond dell’ex monopolista in cassa, incasseranno le commissioni per l’aumento di capitale e le numerose emissioni di obbligazioni presenti e future. Anche questo rientrava nel mandato di Conti? Paradossalmente avrebbe avuto più senso incassare una bocciatura dal
rating e lasciare che fosse l’azienda a pagare sottoforma di maggiori interessi quello che ora i soci pagano con
crollo del valore delle azioni e minori dividendi. Ma soprattutto la vicenda ha dimostrato quali interessi pesano di più nelle decisioni dell’ad: le banche, le agenzie di rating, il ministro dell’Economia, i propri manager e solo in fondo gli azionisti che posseggono il 70% del gruppo e che, se uniti, potrebbero mandarlo a casa.
- EDISON - Se l’attivismo di Conti è eccessivo fino ad essere inesplicabile, Edison
affonda stretta nella morsa dei suoi azionisti. Il 51% è bloccato in
Transalpina Energia dove oltre a Edf convivono un gruppo di municipalizzate:
A2A, Enia, Sel e Dolomiti di Energia. Ora Edison dovrebbe crescere nella distribuzione e nel mercato libero, andando a togliere i clienti proprio alle
municipalizzate di Milano, Brescia e nelle altre ricche piazze del Nord. Quindi siamo alla resa dei conti:
i francesi di Edf vogliono continuare a crescere, per fare concorrenza alla pari ad Enel, mentre le municipalizzate frenano. Ago della bilancia sarà la quota del 10% di Edison che è nelle mani della
Carlo Tassara di
Romain Zaleski, teoricamente in vendita. Se la più grande delle aziende comunali: A2a, l’acquisterà, vuol dire che vuole giocare alla pari con Edf. Ma l’obiettivo non sarebbe la crescita, ma la divisione di Edison per isolare i francesi e mettere le basi per un’ipotetica “municipalizzata nazionale” frutto di successive fusioni di tutte le società del settore, sull’esempio della tedesca
Rwe. Un progetto su cui si discute da anni, ma senza costrutto.
Dal punto di vista del consumatore, meglio che vincano i francesi perché Edison diventerebbe un vero concorrente di Enel su gran parte del territorio nazionale. Se vincessero le municipalizzate ognuno manterrebbe il proprio piccolo monopolio comunale o provinciale, difficile da scalfire anche per i nuovi entranti.