27 aprile 2018
Propaganda russa, estrema destra e sinistra “anti-imperialista a metà”: secondo Leila Al Shami, attivista e blogger siriano-britannica, sono anche questi i nemici dei “citizen journalist” che documentano il conflitto e di chi – come gli White Helmets – “è in prima fila per salvare vite”. Fondatrice di ‘Tahrir-Icn‘, rete di lotta contro le dittature estesa dal Medio Oriente al Nord Africa, Al Shami ha pubblicato nel 2016 ‘Burning Country: Syrians in Revolution and War’. Con l’agenzia DIRE parla al telefono, dall’Inghilterra, di ritorno da una conferenza all’estero.
Cominciamo dagli White Helmets, i volontari siriani conosciuti in Italia come “caschi bianchi”. Sul suo sito, ‘Leila’s Blog’, lei ha denunciato una campagna di disinformazione che li rappresenta come affiliati di Al Qaeda …
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Gli White Helmets lavorano con le donne e gli uomini delle comunità siriane assistendo le vittime dei bombardamenti aerei. Vanno nei luoghi colpiti rischiando la vita. Oggi sono vittime di una campagna di disinformazione e di teorie del complotto che mirano a screditarli. Ad alimentare queste teorie sono quasi sempre fonti russe o di estrema destra, amplificate poi da bot sui social o dalla cosiddetta sinistra anti-imperialista: tutta gente che non si trova sul campo, non ha modo di verificare e finisce solo per legittimare il governo di Bashar Assad”.
Gli White Helmets però sono stati accusati di diffondere immagini contraffatte. Il Cremlino li ha perfino associati a “servizi stranieri” responsabili di “una messinscena” a Douma, con le denunce di raid con armi chimiche…
“Con i loro filmati gli White Helmets documentano il lavoro di soccorso e le conseguenze dei raid. Non sono giornalisti ma sono rispettati dalle comunità. E per le vittime dei bombardamenti rappresentano spesso l’unica salvezza”.
Ricevono però finanziamenti europei e americani, in particolare dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. Come possono essere considerati fonti di informazioni affidabili?
“Che accettino gli aiuti occidentali è ovvio. Non hanno scelta. Come potrebbero altrimenti far fronte ai bisogni umanitari, che sono enormi? Per salvare vite servono milioni di dollari e a oggi non esistono altre fonti di finanziamento. Accettare aiuti e il rischio di un condizionamento, però, non vuol dire trasformarsi in marionette dell’Occidente imperialista. Anche le ong che operano nella Striscia di Gaza sono finanziate dall’Unione Europea. E non c’è nessuno scandalo”.
E la sinistra? Perché l’ha definita “anti-imperialista a metà”?
“Vuole vedere tutto attraverso il prisma dell’imperialismo Usa. Pensa che gli Stati Uniti lavorino per rovesciare il regime di Damasco e si dimentica di Russia e Iran, che in Siria sono intervenuti in modo massiccio. È un approccio sbilanciato, spesso cieco rispetto alle testimonianze quotidiane dei ‘citizen journalist’: che sono sul campo e verificano le informazioni, ma sono trattati come complottisti”.
Siria, la blogger Leila Al Shami: "Non sparate sui caschi bianchi"
L
eila al Shami,
20 aprile 2018 11.17
Ancora una volta il movimento occidentale “contro la guerra” si è mobilitato per la Siria. È la terza volta dal 2011. La prima è stata nel 2013, quando l’allora presidente statunitense Barack Obama aveva minacciato (senza poi passare all’azione) di colpire le strutture militari del regime siriano dopo gli attacchi con le armi chimiche sulla Ghuta, considerati una linea rossa. La seconda è stata nel 2017, quando il presidente Donald Trump, in risposta all’uso di armi chimiche a Khan Sheikhun, ha ordinato l’attacco contro una base militare siriana che era già stata evacuata. E l’ultima è stata dopo la risposta militare del 14 aprile di Stati Uniti, Regno Unito e Francia a un bombardamento chimico su Duma che ha ucciso almeno 34 persone.
La prima cosa da notare delle tre grandi mobilitazioni di questa sinistra occidentale “contro la guerra” è che non chiede quasi mai la fine della guerra.
Dal 2011 sono stati uccisi più di mezzo milione di siriani. In grande maggioranza sono civili uccisi da armi convenzionali e il 94 per cento di loro è stato vittima dell’alleanza tra Siria, Russia e Iran. Nessuno finge sdegno o interesse per questa guerra, cominciata perché il governo di Bashar al Assad ha represso con la violenza proteste che inizialmente erano pacifiche e democratiche. Non c’è indignazione quando barili esplosivi, armi chimiche e napalm sono usati contro comunità autogestite in modo democratico, contro gli ospedali e i soccorritori. I civili sono sacrificabili, le forze militari di un regime fascista e genocida no.
Questo tipo di sinistra mostra tendenze profondamente autoritarie, mettendo gli stati al centro dell’analisi politica. La solidarietà si esprime agli stati (considerati i principali attori in una lotta di liberazione) invece che ai gruppi oppressi e diseredati di una società. Cieca di fronte al conflitto sociale che devasta la Siria, questa sinistra vede il popolo siriano solo come una pedina nella grande partita a scacchi della geopolitica. Ripete il mantra che “Bashar al Assad è il leader legittimo di un paese sovrano”. Lo stesso Assad che ha ereditato una dittatura dal padre e non ha mai organizzato (né vinto) elezioni libere. Lo stesso Assad che riesce a riconquistare il territorio perduto solo grazie alle bombe straniere e a un’accozzaglia di mercenari arrivati dall’estero, che combattono per lo più contro i civili e i ribelli siriani. Solo la totale disumanizzazione dei siriani rende possibile una posizione simile: è una forma di razzismo, che considera i siriani incapaci di ottenere, e ancor meno di meritare, qualcosa di meglio di una delle peggiori dittature del nostro tempo.
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Antimperialisti a metà