EFFETTO BREXIT (1 Viewer)

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L'attrazione fatale per il capitale
London calling
Theresa May propone tasse in versione "light" per le aziende e gioca la carta del taglio alla corporation tax. Al di là della narrazione ottimista, la realtà è che il governo non sa ancora se la Brexit sarà «hard» o meno e l'obiettivo è garantire che Londra resti al centro dei flussi di capitale. E sui lavoratori nei board dei Cda fa retromarcia


23 novembre 2016

Londra chiama, sperando che le aziende rispondano. Obiettivo: attrarre capitale. Strategia: abbassare la corporation tax per garantire il livello di imposizione fiscale «più basso» dei Paesi del G20.

Che la Brexit sarà «hard» o «soft» ancora non è chiaro. Intanto, però, la premier britannica Theresa May gioca d’astuzia e usa un linguaggio vago, tenendosi quindi ben lontana dal fornire dettagli precisi. Ciò che assicura è che il divorzio di Londra dall’Unione europea sarà «smooth», ovvero: l’importante è che vada tutto liscio.

Sulla carta è già previsto che la corporation tax scenda dal 20% al 17% entro il 2020. In agenda potrebbe esserci un ulteriore taglio di altri due punti. Al momento, però, quota 15% è solo un’ipotesi. Ciò che conta, per ora, è prendere tempo e non spaventare gli investitori.

Succede, dunque, che Theresa May, la lady di ghiaccio che punta al «capitalismo responsabile» (vedi il focus de “I diavoli”, ndr), prometta agli imprenditori: «Bisognerà rivedere il sostegno alle imprese che innovano attraverso il sistema fiscale».

Il ragionamento à la May si sviluppa lungo questi passaggi:
1) «Crediamo nel capitalismo», ovvero «crediamo nel mondo degli affari, negli imprenditori e negli innovatori che impiegano milioni di persone in tutto il Paese – la base per la nostra prosperità»;
2) «bisogna essere pronti ad adattarsi e a cambiare» (regole incluse), «bisogna stimolare la crescita»;
3) «dobbiamo prepararci a un nuovo ruolo attivo per il commercio britannico;
4) «dobbiamo garantire il maggior numero di persone» e aziende che portino «vantaggi»;
5) «per le imprese significa investire in Gran Bretagna sul lungo periodo».




Ultimo tassello del percorso logico targato May è, sempre usando le sue parole, «fare il possibile per mantenere il rapporto di fiducia» con il mondo del business.

Attenzione, però, «niente business as usual», perché – sostiene la premier britannica – «cambierà il modo in cui funziona la Gran Bretagna».


Al di là della narrazione ottimista del governo conservatore, la realtà racconta anche che:
1) il Regno Unito non ha ancora invocato l’ormai noto articolo 50 del Trattato di Lisbona che avvierà l’iter effettivo dell’uscita dall’Ue;
2) Londra deve ora fare i conti con la vittoria di Donald Trump e le promesse del nuovo presidente Usa in materia di tasse per le imprese (ergo, c’è anche un’esigenza di natura geopolitica in ballo);
3) il cancelliere Philip Hammond invita alla cautela, visto che la Brexit potrebbe causare buchi in bilancio da non sottovalutare.

Al momento, in attesa che arrivino anche i fatti oltre i proclami, May gioca la carta delle tasse “light” con gli imprenditori. Spiega, stavolta in modo cristallino, le sue intenzioni: «Ho fissato la scadenza di marzo (per la Brexit, ndr) perché voglio un accordo rapido, anche sullo status dei cittadini britannici in Europa e dei cittadini dell’Ue qui (in Gran Bretagna, ndr), in modo che voi (imprenditori, ndr) possiate fare i vostri piani su basi certe».

Proviamo a riassumere: May amica degli imprenditori.
E dei lavoratori? Decisamente meno.
Qualche mese fa, infatti, il “Financial Times” raccontava che la premier inglese, per riformare i consigli di amministrazione delle aziende, aveva intenzione di seguire il “modello tedesco”: ovvero piazzare i rappresentanti dei lavoratori nei board aziendali (ne abbiamo parlato qui, ndr). Il riferimento era al mitbestimmung, caratteristica peculiare del capitalismo tedesco. Significa co-determinazione, cioè un sistema decisionale congiunto. Come scrivevamo qui, con il mitbestimmung, il rischio è che i rappresentanti dei lavoratori si allineino più agli interessi aziendali che a quelli dei colleghi.

Adesso, May fa retromarcia in tema di lavoratorinei board dei Cda: «Anche se è importante che le voci dei lavoratori siano rappresentati, posso categoricamente dire che non si tratta di un obbligo riguardo ai workers councils in fabbrica».

E ancora: «Per alcune aziende questi modelli funzionano bene – ma ci sono anche altri percorsi (…) Bisognerà trovare il modello che funziona».

Ciò che conta, per ora, è prendere tempo e non spaventare gli investitori.
 

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Una notizia invece. Ennesima, inquietante, dello stesso segno delle migliaia che finiscono solo nella cronaca locale dei quotidiani e se va bene ai tg regionali.

Ce la offre la Stampa di Torino del 5 ottobre scorso. Eccola:
Segnali di ripresa: verso la chiusura dell'unico stabilimento di Diageo

L’effetto Brexit cala come una scure sulla Diageo di Santa Vittoria d’Alba. La multinazionale degli alcolici ha annunciato oggi (mercoledì 5 ottobre) ai sindacati la dismissione della produzione del vino nello stabilimento ex Cinzano a partire da aprile 2017.

Attualmente, il colosso delle bevande con sede a Londra imbottiglia ogni anno 96 milioni di bottiglie di vino proveniente dall’estero (in particolare dagli Stati Uniti) per la multinazionale australiana Treasury Wine Estates, alla quale aveva venduto il comparto un anno fa per una cifra intorno ai 600 milioni di dollari Usa. Il contratto di cessione prevedeva la permanenza delle produzioni di vino a Santa Vittoria per due anni, ma con la possibilità per la nuova proprietà australiana di disdire l’accordo con un preavviso di sei mesi. Ed è ciò che è avvenuto: in questi mesi Twe ha valutato altri «co-packer» per l’imbottigliamento ed è arrivata quindi alla decisione di spostare le produzioni di vino su un altro sito, probabilmente in Inghilterra.

«SVALUTAZIONE DELLA STERLINA»

«La direzione aziendale ci ha spiegato che tale decisione scaturisce dalla non competitività dei costi logistici e dalla svalutazione della sterlina a seguito della Brexit – dicono i rappresentanti sindacali. L’impatto per la fabbrica sarà una perdita occupazionale di 120 unità su circa 430 lavoratori, senza tener conto dell’indotto – spiegano sempre i sindacalisti.

La Diageo : quotata in borsa, presente in 180 Paesi, 28 mila addetti.

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Effetto Brexit: la Diageo perde un cliente e in 120 rischiano il posto

Mandate a dire a qualche deficiente di palazzo chigi e del quirinale, che col 2017 i 180 paesi diverranno 179. Spiegando che questa è la BREXIT vista dal punto di vista del mercato, non dei parassiti della loro specie. Di sicuro hanno già in tasca una delle loro soluzioni miracolose, anche per questo nuovo, ennesimo caso.

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L’Orrendo caso di Rotherham (Inghilterra) Arriva a Sentenza,
Gli Orchi Pakistani in Galera. Di Rotherham non avete mai sentito parlare e tuttavia i fatti orrendi accaduti in questa cittadina sono una delle pietre angolari che hanno causato il Brexit. Non ne avete sentito parlare perché ad essere coinvolti in una storia di abusi sessuali seriali su minori è una banda di Pakistani, “nuove risorse” accolte nel Regno Unito. La notizia è che la settimana scorsa il processo è arrivato a sentenza.
Leggi il resto su Rischio Calcolato http://www.rischiocalcolato.it/…/lorrendo-caso-rotherham-in…


L'Orrendo caso di Rotherham (Inghilterra) Arriva a Sentenza, Gli Orchi Pakistani in Galera. - Rischio Calcolato
www.rischiocalcolato.it
 

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Malachia Paperoga 2 giorni fa 1 commento
Counterpunch: lo sgradito ritorno di Tony Blair il guerrafondaio
Un articolo di J. Wight su Counterpunch ci ricorda che, anche dal punto di vista di un “Remainer”, l’intervento nel dibattito di Tony Blair rappresenta un’aberrazione. Quest’uomo, che non ha esitato a svendere i valori della socialdemocrazia alle proprie brame di soldi e potere, passando sopra i cadaveri innocenti di coloro che ha trascinato in una guerra immotivata, non esita oggi a “incitare il popolo” alla sollevazione contro una decisione presa democraticamente.

L’unico posto da cui dovrebbe essergli consentito esprimersi è dal banco degli imputati, per tutti i suoi numerosi crimini contro l’umanità.

Counterpunch: lo sgradito ritorno di Tony Blair il guerrafondaio

Di John Wight, 21 febbraio 2017

Proprio quando cominciavate a sentirvi tranquilli, ecco che ritorna Frankenstein – o quantomeno il suo omologo politico – sotto forma di Tony Blair, l’ex primo ministro britannico ed emblema della venalità, corruzione e opportunismo del liberismo occidentale contemporaneo.

La decisione di Blair di intervenire nell’attuale crisi politica che attanaglia il Regno Unito riguardo alla Brexit, può solamente essere definita offensiva. La sua chiamata alle armi, che incita il popolo britannico a “sollevarsi contro la Brexit”, lanciata dalla rinomata fortezza dei potenti, il quartier generale di Bloomberg nella City di Londra, non farà altro che aumentare i consensi per la Brexit, visto che la permanenza al potere di Blair le ha solo aperto la strada.

Blair è uno sciocco illuso se pensa davvero di avere la credibilità o il potere perché un suo intervento di questo genere sulla scena politica si risolva in qualcosa di diverso da un completo disastro. Con l’anniversario dell’inizio della guerra del 2003 in Iraq che ricorre il mese prossimo, e che riporterà alla memoria il ruolo svolto da Blair nella morte di circa un milione di persone, oltre che nella destabilizzazione della regione e nell’esplosione del terrorismo che ha portato tante stragi negli anni seguenti, l’unico posto da cui oggi Blair dovrebbe poter tenere discorsi è dal banco degli imputati della Corte Penale Internazionale dell’Aja, dove la sua presenza è attesa da tempo.

Tony Blair, in compagnia di Barack Obama e Hillary Clinton, è il paradigma di tutto quanto c’è di sbagliato e depravato nella democrazia liberale. Che si parli del loro legame con gli interessi di Wall Street e della City di Londra, dell’abbandono dei poveri e della classe lavoratrice in cambio di una politica di appartenenza, dell’idolatria del libero mercato e del neoliberalismo, senza dimenticare la devozione servile all’imperialismo occidentale travestito da difesa della democrazia e dei diritti umani – questi personaggi hanno messo sottosopra il mondo, arricchendo a dismisura se stessi e i loro compari.

Aborrire tutto ciò che la Brexit rappresenta, l’esplosione del populismo di destra, spinto dall’intolleranza contro i migranti e dall’ultra nazionalismo che lo alimenta, non impedisce di capire come la Brexit sia stata innescata dal collasso della politica di centro sinistra, e dallo svuotamento della socialdemocrazia avvenuto sotto il governo di Blair. Lo stesso ragionamento vale quando parliamo di Trump e della cupidigia del governo Obama negli Stati Uniti.



La crisi economico-finanziaria esplosa nel 2008, e il cui impatto stiamo ancora subendo quasi dieci anni dopo, è stato un risultato diretto delle politiche neoliberiste adottate da Blair e da Bill Clinton negli anni ’90 – politiche che sono poi state portate avanti dai governi successivi. Il fatto è che il disprezzo e la rabbia nei confronti della classe politica in entrambi i Paesi non sono apparsi improvvisamente nell’arco di una notte. Si sono accumulati per anni, fino a quando il referendum per decidere se il Regno Unito dovesse rimanere nella UE ha dato l’opportunità a quanti avevano più sofferto a causa delle politiche neoliberiste di esprimere nelle urne il loro disprezzo dello status quo.

Circostanze simili hanno caratterizzato l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, sull’altra sponda dell’Atlantico. C’è almeno uno dei suoi appassionati critici liberal che si prenda la briga di chiedersi come abbia fatto un santone dell’immobiliare, star del reality show televisivo, senza alcuna esperienza politica, ad avere la meglio su politici esperti a livello nazionale, come Jeb Bush, Marco Rubio e Ted Cruz, vincendo le primarie repubblicane nel 2016, per poi sconfiggere Hillary Clinton alla sfida per la presidenza a novembre dello stesso anno?

La risposta naturalmente sta nel curriculum di questi politici, la cui carriera è un monumento a lunghi anni di servizio nelle stanze del potere di Washington, odiate da milioni di americani.

Finché la classe politica britannica e statunitense non ammetteranno infine la propria responsabilità nel rifiuto da parte del popolo di tutto ciò che esse rappresentano, non ci sarà mai una fine alla polarizzazione politica e sociale che sta diventando la nuova realtà di questi paesi. Rimangono ancorati al passato, aggrappandosi alle virtù del libero mercato, della NATO e del “centralismo” occidentale. In questo campo, assomigliano a quei soldati giapponesi che si rifiutavano di uscire dai fortini nella giungla in cui erano asserragliati durante la seconda guerra mondiale, ancora più di dieci anni dopo la fine della guerra.

Per tornare a Tony Blair, è un uomo che, non soddisfatto di aver contribuito a mettere a ferro e fuoco il mondo, poi è sparito in un tramonto di impareggiabile sfarzo e ricchezza, il prezzo del peccato ricevuto per i servizi resi ai più corrotti e ripugnanti governi e multinazionali esistenti sulla faccia della terra. Ogni sua espressione o apparizione pubblica è un insulto ai milioni di uomini, donne e bambini in Iraq che sono stati macellati a causa delle guerre imperialiste brutali e illegali che lui ha scatenato nel 2003 in combutta con Washington.


Questo ci ricorda che la richiesta di giustizia che proviene dalle loro tombe deve ancora essere ascoltata.
 

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