Edward HOPPER (1882-1967) (1 Viewer)

baleng

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Mi scuso se riporto inizialmente alcuni piccoli testi del 2015 resi pubblici ... altrove. Ma Hopper mi interessa troppo. E ultimamente l'aver visto su questo forum alcune sue splendide incisioni mi ha spinto a riproporlo qui.
Osservandone le molte immagini - assai belle - mi sono chiesto da dove derivasse la forza di queste opere (vidi una mostra alcuni anni fa a Francoforte: fantastica, e per questo motivo NON comprai il catalogo, che nella memoria tende a sostituire le impressioni dal vivo con le riproduzioni).
Ho avuto la sensazione che quasi sempre, o sempre, questi quadri potrebbero riferirsi ad un momento decisivo di un film, magari la scena finale oppure l'attimo che precede lo scatenarsi di un qualcosa (un'aggressione, un pianto improvviso, una svolta del destino ...).
Come il cinema americano sa raccontare (a parte l'odierna scelta infantile di molti soggetti), mentre il cinema italiano tende a rappresentare un po' il proprio ombelico, così la pittura del ventennio, o un Saetti, un Gentilini, ovvero un Radice, un Reggiani ecc. si concentrano sulla rappresentazione, magari statica, sul suo trattamento estetico, mentre Hopper pare invece attento al destino dei suoi personaggi.
Così l'alienazione propostaci dalla pubblicità, dove l'oggetto da vendere risulta l'unico vero soggetto, e l'uomo viene per così dire raso a zero
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, si trasforma in Hopper in una riflessione su quella stessa alienazione, dove però l'uomo torna protagonista, pur se gravemente o mortalmente ferito nell'anima. (chiedo scusa per queste affermazioni che non rispettano molto i parametri che tendo ad impormi, cioè che ogni frase sia comprensibile anche per chi non abbia mai visto un'opera in questione: diciamo che me la permetto come una nota personale
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).
Questo è possibile proprio perché Hopper non ci propone il "bello" come riscatto dal brutto, ma si ferma ad osservare con una certa apprensione che cosa mai stia succedendo, e trova appunto il riscatto nell'interesse verso questi destini umani.
Che sono presenti persino quando il soggetto sia un semplice edificio, poiché sempre viene accennata la presenza umana, seppur non visibile.
In pratica, è per questo che Hopper ci appare sempre preoccupato per quanto possa accadere ai suoi soggetti.

Come questo possa accadere sulla tela, so di non averlo detto ancora. Me ne scuso e chiedo tempo.
(Holly Fabius ha scritto: Un artista straordinario.
Sono due le cose che mi colpiscono del suo stile, la prima è un uso magistrale del colore, nelle sue opere non ci sono tonalità privilegiate, riesce a miscelare gli ambienti che propone con un equilibrio di luminosità e tonalità che non saprei con chi comparare. La seconda è la poesia delle sue opere, ogni particolare dell'opera è funzionale ad un suo aspetto osservativo melanconico, le stesse figure umane potrebbero venire sostituite da -per esempio- un vaso o un albero senza alterare l'equilibrio estetico o poetico dell'opera.)
Per almeno un aspetto Hopper può essere avvicinato anche a Morandi
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(ma come, uno che semplifica le pennellate nei colori quasi come un dilettante [v. gli alberi qui sotto e nel precedente post] a fianco del - forse - massimo maestro del "tocco posato"??)

Ma si guardi anche all'immagine qui sotto, così come alla precedente postata da Alex. Le case: appaiono in certo modo come esseri animati. Viventi. Vale ancor di più per quei tre distributori. Che ci "guardano" ...
Proprio come le viventi bottiglie di Morandi.
In quale modo il pittore ottenga ciò è un altro dei segreti che sarebbe bello squadernare qui.
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Sentiamo tutti il senso di isolamento nei quadri di Hopper. Solo che lo intendiamo riferito alle persone. Invece anche gli oggetti sono isolati, isolati anche quando appaiono in serie (come pali, finestre, distributori ecc). Hopper dipinge un soggetto alla volta. Ecco perché gli alberi non hanno foglie curate. Non sono alberi, sono il bosco. Dettagliare le foglie, curarne l'aspetto una per una, distoglierebbe da questo sentimento. In tale ambiente fatto di cose isolate, separate, sole, l'uomo si adegua, anch'egli si isola. Ma quel sentimento era già nelle cose, non nasce da lui.
Talora cerca il dialogo con una o più finestre, o con il sole, che è lontano, e di cui si vede solo la luce, come fosse la sua voce, la quale, però, ne rimarca l'assenza. In qualche modo, nulla gli risponde.

Naturalmente tutto quanto ho scritto non è critica d'arte, è descrizione, magari accurata, è soprattutto "letteratura" (con la sola eccezione, credo, di quanto posto in grassetto). Per ora non riesco a dire di più. Ma sono convinto che la critica, per essere efficace, deve comunicare validamente tutto anche a chi l'opera non l'ha vista. Sennò non è scienza, è solo letteratura, con rischi di solipsismo, di faciloneria o di autocompiacimento.
 
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baleng

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Intanto forse ho trovato un nuovo spunto: noto che in Hopper esiste una dialettica verticale/orizzontale, dove il verticale identifica l'individualità (anche se si tratta di una casa, o un oggetto), mentre l'orizzontale appare in rapporto alla società. Questo, peraltro, non sovverte affatto le classiche regole della composizione: è chiaro che la verticalità è sempre stata in relazione alle persone vive, e magari l'orizzontalità al paesaggio, allo sfondo. Sta di fatto che la verticalità normalmente richiama una certa "attività", l'uomo che agisce nello sfondo della natura, se vogliamo. Ma qui l'uomo non agisce, tendenzialmente immobile si accomuna agli oggetti verticali, e magari anche orizzontali.
Il "giochino" è presente anche in Casorati, in Delvaux ed altri + o - metafisici. Resta da definire, ma è facile, la differenza tra Hopper e costoro.
Confrontare con Magritte
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In una sua opera vi è una specie di citazione da Max Klinger.
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La serie di lampade in prospettiva frontale appare in Klinger inquietante come una divinità cattiva, fredda, indifferente.
Ma proprio qui appare la differenza tra Hopper e i due europei, Magritte e Klinger.
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Appare evidente come Magritte sia interessato all'effetto di straniamento delle luci, quasi un gioco al di fuori dell'umano, mentre Hopper fa sempre sentire una presenza dell'uomo. Ciò avviene perché Hopper non rinuncia affatto ai colori caldi (rossi, rosati, gialli ecc.), anche quando la situazione tenderebbe a prendere i colori del dramma.
Questi colori fanno aprire il cuore quanto invece i colori di Magritte si richiamano a paure ancestrali facendolo chiudere, rivolgendosi contemporaneamente alla comprensione intellettuale delle complessità in gioco.

Quanto a Klinger, la sua robusta drammaticità sottolinea il contrasto tra l'indifferenza dell'architettura/società e le sofferenze dell'uomo. Mentre in Hopper aspettiamo un evento quale che sia, con Klinger già vediamo le nubi del temporale in arrivo.
Noto infine come in Magritte l'albero non dia un segnale di verticalità (e nemmeno la casa) nel senso dell'individualità. Esso si perde anzi nell'effetto compositivo.
(PS ho segnato in grassetto il poco che mi sembra critica "scientifica". Il resto è tranquillamente "letteratura".)
 
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baleng

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In De Chirico la realtà mostra la sua indecifrabilità tramite il posizionarsi enigmatico (e statico) dei soggetti, peraltro volutamente banali.
In Hopper si capisce tutto, e l'enigma non riguarda la comprensione del quadro, ma le sue implicazioni nel tempo: che è stato prima, e soprattutto: che sarà poi?
In questo vedo l'influenza del cinema.
Tanto per dire (e confermare): in De Chirico abbiamo i manichini (almeno in massima parte e come tratto distintivo); in Hopper abbiamo uomini.
La "solitudine" dechirichiana deriva dalla mancanza di rapporti riconoscibili tra gli oggetti (=enigma). Quella di Hopper, come detto, è legata alla mancanza di risposte del mondo verso l'uomo. Perché anche il mondo è solo! Anche gli elementi inanimati del quadro sono isolati.

Non nego il fascino di un simile accostamento. Ma avevo citato, non a caso, Delvaux e Casorati. Solo che Delvaux usa gli stessi mezzi di Hopper, però all'interno di una atmosfera irreale, e non super realistica come nell'americano. Il suo discorso perciò prende una via intellettualistica, e ci appare abbastanza "ammiccante".
Casorati ci mostra sempre il peccato originale di una costruzione estetizzante, composta, entro la quale inserire magari elementi spiazzanti ed inquietanti, che però appaiono sempre come "modelli in posa". Mentre in Hopper non c'è posa, anzi, la realtà viene rubata.
Ultimo commento, di artiko

Interessante il riferimento ad Hopper e il cinema fatto da Gino
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, all'occhio cinematografico ... in effetti i quadri di Hopper appaiono come fotogrammi di una pellicola e quindi richiamano un'azione, implicano un prima, un durante ed un dopo ... il rapporto orizzontale/verticale è anche cinematografico, penso alla panoramica (orizzontale), al primo piano (verticale) ed al montaggio delle due inquadrature ... ad esempio in “New York Movie” (New York Movie, 1939 by Edward Hopper), lo sguardo passa da sinistra a destra, in realtà vediamo solo una porzione della sala ma il taglio orizzontale suggerisce una panoramica che parte da prima del quadro, attraversa la sala e quindi l'inquadratura stringe sulla maschera sulla destra che assorta nei suoi pensieri vive un film completamente diverso e diviene l'oggetto primario della nostra attenzione
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per non parlare dello spettacolare taglio cinematografico, da vero noir, di night shadows http://www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_25.31.2.jpg

Un tema ulteriore che mi viene in mente è l'uso frequente del “non-luogo” (spazio senza identità = anonimo) un cinema, un caffè, una stazione di servizio o un treno, luoghi solitamente affollati da gente in transito che non si conosce e non comunica, qui appaiono quasi vuoti e silenziosi e contribuiscono ad aumentare la sensazione di isolamento. A volte l’effetto è doppio, un non-luogo particolare, vedi il ristorante di automat Automat (painting) - Wikipedia, è all’interno di un non-luogo più ampio, la metropoli che si intravede all’esterno con le sue luci artificiali.
L’interno domestico costituisce un complemento "interiore" del personaggio e a volte ci suggerisce qualche indizio sulla sua vita: piccoli gesti quotidiani, interni spogli, letti sfatti; ci arriviamo spesso dall'alto attraverso una finestra (“occhio” dell’edificio e, quindi, portale ideale della sua anima), in alcuni casi sbirciando di nascosto (e non a caso viene ricordata "la finestra sul cortile" di Hitchcock come qui https://thebluespark.files.wordpress...ht-windows.jpg). È l'occhio nostro ma prima ancora del regista/pittore che in silenzio e con rara onestà ci guida all'interno del suo mondo e ci fa amare le sue creature, siano esse la maschera di un cinema o le semplici pareti di una casa illuminata dal sole ... credo siano tutti aspetti che contribuiscono alla grandezza di questo artista
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baleng

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Non ho ancor visto alcuno di questi filmati, nonposso dunque darne un giudizio. Li guarderò non appena ne avrò il tempo.
 

Cris70

... a prescindere
Hopper... un Grandissimo!
Bravo Baleng a ricordarlo.
Qui si va oltre la semplice figurazione, tanto oltre.
 

vecchio frank

could be worse...
Breve ma interessantissimo l'ultimo video, quello del Walker Art Center. Quelli + lunghi non ho tempo di guardarli. Il primo (lo slideshow di 11' con musica classica in sottofondo) fa vedere praticamente tutte le opere che potresti trovare su una sua monografia, per esempio quella della Taschen di Ivo Kranzfelder, credo non ne manchi una (ottima anche la qualità delle immagini). Mi fa venir voglia di fare qualcosa di simile con le immagini che ho pubblicato finora nel 3d delle incisioni.
Mi permetto di aggiungere qui un altro video tra le centinaia che si possono trovare su YouTube. Fa vedere lo Hopper illustratore, quello che si guadagnava da vivere agli inizi della carriera lavorando per un'agenzia pubblicitaria. Lavoro che odiava, e illustrazioni che immagino non lo soddisfacevano. Verso la fine se ne vede però qualcuna che ha poi sviluppato in dipinti.

 

baleng

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Ho appena potuto guardare il primo filmato :melo: e vorrei aggiungere qualche considerazione sulla dialettica orizzontale/verticale.
Spesso all'immobilità verticale degli edifici (la casa, il faro, il palazzo ecc) Hopper contrappone un movimento orizzontale (la suora che spinge la carrozzella, il vento con le barche a vela ...), talora suggerito addirittura dal contesto: tale è il significato della frequente presenza di una ferrovia a fianco, anzi, davanti ad una casa (o anche talora la strada). Talvolta il treno c'è, talaltra vi sono persone che passano, magari appena visibili. In generale il simbolo che noi percepiamo è che il movimento orizzontale è quello della vita, della vita sociale, mentre l'immobilità verticale ha qualcosa della morte. Nello stesso modo, però, egli contrappone oggetti in serie (lampade, finestre, i fili e i pali della luce, persino un termosifone con i suoi molti elementi eguali...) a pochi personaggi immobili intenti a creare un proprio tempo (spesso, però, "vuoto"). Le serie (quasi sempre orizzontali) di oggetti si sostituiscono allora al movimento degli esseri viventi. Nel caso migliore ne portano un ricordo (le rotaie), nel più drammatico hanno il senso di una minaccia, avendo sostituito la vita con la morte (o con i prodotti della società industriale). In qualche modo, quando l'inanimato occupa la dimensione del movimento orizzontale, i personaggi presenti invertono la condizione e si immobilizzano, resta loro solo di assumere il ruolo della verticalità immobile, della pietra, della morte. E quando mancano gli oggetti seriali, allora è il taglio della luce, taglio che spesso crea lunghe ombre orizzontali, appunto, a sostituirli.
E allora, ciò che succede ... succede sempre "altrove". Tranne forse che nelle scene di mare, con uomini su barche a vela che, finalmente attivi, forse si illudono di crearsi un proprio destino.
Perché, in effetti, non paiono avere una meta.

A vedere i suoi autoritratti e le foto intuisco che Hopper avesse una costituzione da malinconico (in genere impacciato dal suo corpo e da tutto ciò che lo lega, assai fortemente, peraltro, alla terra; di solito sono personaggi alti e massicci che addirittura ricercano il dolore come prova da superare. Spesso sanno peraltro perseverare e resistere meglio degli altri. L'età dell'uomo che corrisponde maggiormente a questa costituzione malinconica è la vecchiaia.)

Infine, mi dicono che la famosa casa "che si erge minacciosa" fu fatta espressamente copiare da Hitchcock per il suo film Psycho.

upload_2017-3-3_0-4-43.jpeg


Il regista studiò infatti molto il lavoro di Hopper, e ad esso si ispirò (per es. La finestra sul cortile).

hopper hitchcock rear window - Cerca con Google
 
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baleng

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Ritengo che il compito del critico d'arte non consista nel riportare le proprie emozioni e i propri sentimenti, per esempio entusiasmandosi per un quadro fino a ripetere pappagallescamente bello ... bello ... bello (variante: sublime).
Questa è letteratura, operazione non troppo disprezzabile: ma non è "critica d'arte".
Credo che il critico dovrebbe dare tali sensazioni per scontate, e concentrarsi invece sui mezzi formali usati dall'artista per ottenerle. Attenzione, non intendo i "trucchi" del mestiere (tipo: colori caldi, una quinta a sinistra ecc.) ma proprio il senso di queste scelte nell'insieme dell'opera.
Perciò dire che la pittura di Hopper offre solitudine e malinconia rimane sul piano del sentire. Ma sul piano dell'agire è importante capire se e come, per esempio, un insieme di colori caldi possa portare ad un effetto triste, o come possa sembrare minacciosa una casa come tutte le altre, ma presentata dall'artista in un certo modo.
E' evidente che l'effetto è ottenuto con l'impiego di più mezzi, i quali obbediscono ad una unica visione. Questi mezzi sono da noi percepiti inconsciamente e con grande velocità Saper rallentare coscientemente la propria attività attenzionale, comprendendo che cosa e (in che modo) abbia ottenuto certi effetti, questo dovrebbe fare il critico, entrando nei panni dell'artista come Alice oltre lo specchio.
Il risultato di un tale lavoro dovrebbe essere che il lettore comprende le specificità espressive di un quadro anche senza averlo visto, e soprattutto che quanto detto di un'opera (o di un artista) non possa assolutamente essere valido per altre occasioni.
Perché se dico che "la calda luce del sole fa risplendere le bianche carni degli amanti sulla riva del fiume" non ho detto nulla della pittura. Ma se dico, che so, "gli amanti in primo piano sono presentati come se non buttassero ombra, pur dietro di loro splendendo un sole che, a questo punto, appare onnipervasivo", allora ho colto il modo (non l'unico, tuttavia) con cui il pittore ci ha creato una certa disposizione. A questo punto le figure potrebbero essere molto o poco dettagliate. Nel primo caso l'artista dimostra di voler comunque raccontare una storia, nel secondo invece tenderà a concentrarsi sull'effetto drammatico delle luci, o dei contrasti.
In Hopper la scelta quasi costante è la seconda, e questo si accorda bene col fatto che Hopper non intendeva che i suoi dipinti fossero vissuti come "storie".
 

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