E QUANDO PENSAVI DI AVER COMPLETATO L'ALBUM DEI CASI UMANI, ECCO CHE ESCONO LE FIGURINE SPECIALI (1 Viewer)

DANY1969

Forumer storico
Grazie Governo Giuseppi :up:
Buona settimana a tutti :)
Conte ha detto che nemmeno un euro ricevuto dall'Europa andrà sprecato :melo::rotfl:... azz... sono indecisa se dargli il premio per la più grande strunzata o la miglior battuta comica che ho sentito quest'anno :winner:
Vabbè, meglio pensare al altro... torno in Tibet :)
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Val

Torniamo alla LIRA
Degli Stati generali non c’importa nulla.

Non è a Villa Pamphilj che si decidono le sorti dell’Italia.

Al più, nella splendida cornice della villa seicentesca è in gioco la carriera politica di Giuseppe Conte.

La notizia destinata a segnare, in negativo, il futuro del Paese non sta nelle parole sprecate a Villa Pamphilj ma viene dal teatro libico.


I media danno conto dell’accordo raggiunto tra Ankara e Tripoli
per la concessione alla Turchia di due basi militari in vista del consolidamento
della presenza “ottomana” nel Mediterraneo centrale.

La fonte dell’informazione è il quotidiano filogovernativo turco “Yeni Şafak”
secondo cui i siti strategici concessi dal Governo di Tripoli alla Turchia
sarebbero l’aeroporto di al-Watiya nell’area estremo-occidentale della Tripolitania,
a ridosso del confine con la Tunisia, e la base navale del porto di Misurata.


Se a Roma avessimo un Governo degno di questo nome
oggi vi sarebbero le bandiere a mezz’asta sugli edifici pubblici tanto la notizia compromette gli interessi nazionali
.

Basta guardare una carta geografica.

L’aeroporto di al-Watiya è a un tiro di schioppo dalle coste della Sicilia
e dal complesso energetico di Mellitah di proprietà dell’italiana Eni
in partenariato con la compagnia petrolifera libica (Noc).

Stando alle indiscrezioni trapelate, la base sarà un hub per i droni e ospiterà aerei da trasporto,
cacciabombardieri F-16 nonché mezzi di difesa aerea a corto e medio raggio (Uav/Siha),
attualmente già impiegati sul campo nella guerra alle forze del generale Khalifa Haftar.

A Misurata verrebbe installata una base navale avanzata della Marina militare turca.


Se non si è mandato il cervello all’ammasso dopo un decennio di devastazione della politica estera
grazie alla sinistra al governo, si capirà tutta la gravità del cambio di scenario sull’uscio di casa.


I turchi sono presenti nella Nato ma ciò non fa di loro degli alleati affidabili.

Soprattutto nella fase di espansionismo neocolonialista incrementata da Recep Tayyip Erdoğan
dopo il fallito colpo di Stato, il 15 luglio 2016, che lo vide prima vittima e poi protagonista vittorioso.

Ankara sta accrescendo la sua aggressività anche grazie alla debolezza di Stati come l’Italia
che scappano di fronte ai propri obblighi geopolitici.

In Libia Erdoğan ha saputo occupare lo spazio lasciato vuoto dal pavido Governo italiano.

E ora inizia a godere dei risultati del suo investimento politico.

Il “sultano” non è uomo di pace, per cui deve essere chiaro a tutti che l’impreparazione di Giuseppe Conte,
sulla quale ha fatto aggio il terzomondismo dei grillini e dei “dem”,
espone l’Italia a una gravissima minaccia per la propria sicurezza.


Il quotidiano “Yeni Şafak” spiega il senso del successo ottenuto da Ankara.

Si legge:

“Considerando l’escalation della provocazione greca nel Mediterraneo orientale,
l'importanza strategica delle forze navali richiede la continuazione della presenza della marina turca nella regione...
La presenza di navi turche è considerata essenziale per la sicurezza delle attività di perforazione (turche, ndr) nella regione”.

Chiaro? La mossa è pensata nell’ottica di stringere in una tenaglia il nemico greco. E non solo.


In vista del semestre tedesco di presidenza dell’Ue, Erdoğan è pronto a mettere la stabilizzazione della Libia
sul piatto delle trattative in cambio della ripresa del negoziato per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea.

Ma c’è anche l’intenzione di assicurare copertura aeronavale alle perforazioni petrolifere turche
nella Zona economica esclusiva turco-libica, negoziata lo scorso novembre tra Ankara e Tripoli
e contestata da tutti i Paesi rivieraschi.

Tale zona, che idealmente congiunge la Libia alla Turchia, passerebbe sotto il naso dei greci e dei ciprioti.

Quale sarà la reazione italiana se la Marina turca dovesse minacciare navi della compagnia petrolifera Eni,
da tempo operative nel Mediterraneo orientale e centrale?

La solita nota di protesta diplomatica che non spaventa nessuno?

Tutto sarebbe dovuto accadere fuorché di avere i turchi a un passo dalle nostre coste.

Abbiamo avuto due anni buoni per capire che in Libia la diplomazia non sarebbe bastata a riportare la pace
e che un impegno militare sul campo sarebbe stato indispensabile per evitare il precipitare della situazione.


Ancora nel 2019 il premier Conte aveva ricevuto dal presidente Usa Donald Trump
il via-libera per guidare il processo di stabilizzazione della Libia.

Fayez al-Sarraj ha fatto di tutto perché l’Italia lo sostenesse impedendo al burattino dei francesi, Khalifa Haftar,
di prendere Tripoli e con essa il controllo dei gangli finanziari del Paese nordafricano.

Cosa ha fatto il Governo italiano?

Nulla che non fossero pacche sulle spalle e improbabili conferenze di pace alle quali nessuno ha mai dato un’oncia di credito.

Occorreva che una forza armata d’interposizione impedisse la caduta di Tripoli per tenere aperto il canale della soluzione politica.

Roma ha girato lo sguardo dall’altra parte producendosi in una sequenza di figuracce
nell’assurda pretesa di voler tenere un piede in due staffe.

La goffa ignavia italiana non è passata inosservata.

Nel momento della resa dei conti tra i clan libici in lotta tra loro il “sultano” ha fatto la sua mossa con il beneplacito di Washington
che ha preso atto dell’incapacità italiana a risolvere la crisi: si è schierato con il Governo di Accordo Nazionale (Gna) di al-Sarraj
inviando armi e truppe in sua difesa.

La presenza turca sul campo ha smascherato la debolezza strutturale dell’offensiva del generale Haftar.

Il teatro di guerra si è rovesciato in favore dell’alleanza turco-tripolina
e subito il “sultano” ha messo all’incasso le prime cambiali che il debole leader di Tripoli ha dovuto firmare per essere salvato.

Il tutto mentre il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si esibiva in amene dichiarazioni congiunte con i partner europei,
che certo non piangeranno per l’uscita di scena indecorosa dell’Italia dalla partita libica, sulla necessità di far rispettare l’embargo di armi.



Non sappiamo dirvi quale delle photo-opportunity scattate a Villa Pamphilj il premier sceglierà di inserire nel suo book fotografico.

Possiamo dirvi quale sarà quella che da ora in avanti turberà i nostri sonni:
la vista di un Tf-X, il cacciabombardiere di quinta generazione costruito dall’industria della Difesa turca che entrerà in servizio dal 2023.

Per adesso l’attenzione di Erdoğan è focalizzata sull’Egeo.

Ma quando il suo apparato bellico-diplomatico si sarà radicato in Libia,
l’Italia avrà enormi difficoltà a mantenere la posizione dominante nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo meridionale.

E poi c’è la questione dell’immigrazione.

Vengono i brividi a pensare che sarà Erdoğan, che del ricatto all’Europa attraverso l’arma migratoria ha fatto un’arte,
ad avere la mano sul rubinetto dei flussi di clandestini verso l’Italia.


Saremo una nazione sotto schiaffo.

Lo ha lasciato intendere Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco, che lo scorso venerdì ha dichiarato:

“Uno dei punti più importanti dell'immigrazione clandestina è la Libia. Perché è molto vicino all'Europa.
C'è Malta proprio di fronte. È il vicino di Italia e Spagna. Se c'è instabilità in Libia, se la guerra continua,
la migrazione illegale continua, il traffico di stupefacenti e il traffico di esseri umani continuano,
ciò incide sulla sicurezza della Nato e sulla sicurezza dell'Europa”.



Se non è una velata minaccia questa, che altro è?

Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Matteo Renzi e compagni si preoccupano di sopravvivere nella stanza dei bottoni.

Gli italiani si preoccupano di sopravvivere.

E con i turchi alle porte ci toccherà dormire con un occhio aperto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ieri mattina mi sono svegliato vedendo le immagini della statua di Indro Montanelli imbrattata
e leggendo le parole della cantante Fiorella Mannoia.


Mi è subito venuto in mente che tra tante frasi celebri attribuite
a quel genio assoluto che fu Ennio Flaiano se ne trova una che in realtà non è sua.

Fu, infatti, Mino Maccari che disse al suo amico Ennio Flaiano la famosa frase:

“I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”.


Fin qui niente di straordinario, capita spesso, soprattutto con le attribuzioni postume.

Ma nel caso di Maccari e Flaiano l’attribuzione avvenne in vita e Flaiano non se ne lamentò mai, anzi.

Perché?

Penso che Flaiano, prima di altri come spesso capita ai giganti, avesse compreso che esistono due tipi di fascisti.

Quelli che si rifanno ad un partito che non c’è più dal 1945,
e quelli che pensano di avere diritti che non sono disposti a riconoscere agli altri.

I primi son facili da riconoscere: tra una selva di saluti romani si dichiarano entusiasticamente fascisti,
spesso mi pare anche al di là della propria consapevolezza.

I secondi no, anzi se gli dai del fascista si indignano.

I primi sono pochi e assai spesso un po’ folkloristici,

i secondi sono presenti nella società in modo trasversale, attraversano vari gruppi e classi,
si mimetizzano in genere piuttosto bene tra gli altri cittadini. Non sempre le due categorie coincidono, anzi.



Mi fermo qui nell’esegesi delle parole del duo Maccari/Flaiano.

Aggiungo di mio che a me, da liberale, non piacciono troppo né gli uni né gli altri, ma i secondi meno dei primi.

Perché chi ha il coraggio delle proprie idee lo rispetto e se le sue idee non mi piacciono, come nel caso di specie, avverso quelle, non lui.

Quelli che si autoproclamano intelligenti, o buoni, o onesti e, soprattutto, giusti
e per questa via pretendono di imporre la propria visione del mondo, invece, non li rispetto, affatto.

Perché oltre che fascisti, sono ipocriti e per un uomo libero è differenza non da poco.



P.S.: lasciateci Montanelli e tenetevi la Mannoia; contenti voi, contenti tutti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ilario Di Giovambattista, conduttore dell’emittente radiofonica «una iniziativa di forza e censura senza motivi».

E quindi è andato all’attacco:

«Non staremo con le mani in mano e difenderemo il nostro diritto di esistere
in qualsiasi sede nazionale ed internazionale ma quello che mi preme è farvi ragionare.
Il potere che ormai hanno queste piattaforme è illimitato.
Il giorno in cui vogliono farti sparire basta premere OFF e non esisti più.
Questa digitalizzazione ossessiva, che vedrete porterà alla totale scomparsa della moneta tradizionale,
nasconde troppe insidie e pericoli che hanno risvolti negativi sui valori fondanti dell’essere umano,
primo fra tutti quello racchiuso in una sola ma meravigliosa parola: LIBERTÀ».



Radio Radio Tv resta comunque visibile sul canale 826 di Sky e sul canale 676 del digitale terrestre in Lazio, Emilia Romagna e Lombardia.




Sulla vicenda è intervenuto il filosofo e saggista Diego Fusaro attraverso il suo canale YouTube.

«È ufficiale, è stato chiuso il canale YouTube di Radio Radio,
la radio che da tempo si era attestata in prima linea nella diffusione di vere notizie e di lotta contro le fake news del sistema.


ANCHE FUSARO LANCIA L’ALLARME SULLA GRAVITA’ DELLE COSE.


In sostanza, era diventata una sorta di Radio Londra della libera informazione
contro il nuovo principio dell’omologazione e del nuovo capitalismo terapeutico».

Diego Fusaro si è dunque schierato dalla parte di Radio Radio, con cui ha anche collaborato.
«Stava crescendo smisuratamente anche su YouTube, dove si era attestato tra i canali guida del pensiero non allineato e conformistico».


La cosa impressionante e paurosa è che chi vede youtube, come gli altri social,
ma soprattutto chi mette video su di essi, non si rende conto di cosa accetta quando entra:


accetta di essere in mano al totale arbitrio e controllo di youtube e degli altri social.


Un rapporto padrone schiavo senza alcuna garanzia, senza diritti, una cosa allucinante e sostanzialmente un nuovo medio evo.


Già giornali, tv e media (tradizionali) sono praticamente tutti controllati dal potere finanziario
e i social erano lasciati come “SFOGATOIO GESTITO DELLA PROTESTA”
DA CUI SONO EMERSI ABOMINI COME I 5 STELLE, PROTESTA GESTITA AD ARTE
E RESA PERFETTAMENTE FUNZIONALE AL MANTENIMENTO E ACCRESCIMENTO DEL POTERE!!
MA ORA CHE LA PROTESTA CRESCE E IL RE È NUDO BISOGNA CENSURARE ANCHE LI!



L’OBIETTIVO FINALE E’ PROPRIO QUESTO ARRIVARE AD UN CONTROLLO IPER-ORWELLIANO
GRAZIE AL 5 G E TATUAGGI QUANTICI FATTI COL VACCINO PER IL CORONAVIRUS
E OTTENERE IL CONTROLLO DEL MONDO INTERO GRAZIE AD UNA CRIPTO-VALUTA ELETTRONICA E VIRTUALE
PRIVATA DI QUESTE ENTITA’ ORMAI MOSTRUOSE (LYBRA), CHE EVOCA NEL NOME LIBERTA’
MA CHE IN REALTA’ SARA’ L’APOTEOSI DELLA DITTATURA.


Noto con sgomento che anche negli ambienti antiglobalisti (compresa byoblu)
vengono fatte interviste a gestori di Bitcoin o altre criptovalute
in cui se ne esaltano le caratteristiche di libertà e di strumento anti sistema finanziario.


E’ un errore inconscio gravissimo, perché così si avvalla proprio la direzione in cui il potere finanziario
che possiede youtube, facebook, google, ecc. vuole andare.


IL MOMENTO E’ GRAVE E LA PRIORITA’ ASSOLUTA E’ UNIRE LE FORZE CONTRO LA DITTATURA SANITARIA
CHE STA DIVENTANDO POLITICA E ECONOMICA:


La sintesi di Alicia Erazo è splendida e fa capire la lotta strenua e vitale per salvare la nostra libertà,
il nostro benessere economico e psicologico, contro il capitalesimo che ci sta soffocando
con una dittatura che vuole controllare anche la salute e il nostro stesso corpo dall’interno,
una cosa inaudita e mai successa nella storia dell’umanità, neanche nelle dittature più feroci e sanguinarie.


Il popolo deve reagire e riprendersi la propria sovranità per salvare le proprie vite
da un futuro da schiavi assoluti col microchip sottopelle come i cani!


Gli italiani grazie a libertà, benessere e instupidimento scientificamente progettato e realizzato con i media
si sono impigriti e troppi pensano di essere al sicuro (pensionati e statali) ma la tempesta in corso
e che arriverà al culmine dall’autunno spazzerà via ogni sicurezza e ogni benessere e risparmio accumulato in oltre 70 anni di democrazia.


COME E’ GIA’ ACCADUTO IN GRECIA!


E QUESTO GOVERNO DI TRADITORI STA ALACREMENTE LAVORANDO PER PORTARCI LI!
 

Val

Torniamo alla LIRA
Nella giornata di ieri il web è stato inondato di proteste per la sospensione
del canale YouTube della nota emittente romana RadioRadio.it.

Le proteste sembrano aver ottenuto l’effetto desiderato, recentissima è, infatti, la notizia della riapertura del canale.


Sul canale oscurato venivano pubblicati i video del sito web che ad aprile, secondo i dati dell’editore,
aveva raggiunto 11 milioni di visualizzazioni di pagina a settimana e oltre 3 milioni di utenti in un mese.



ilario-di-giovambattista-fabio-duranti.jpg



Un bel colpo di scena per il canale YouTube Radio Radio TV, che invece come riferisce Prima Comunicazione,
raggiunge oltre 500 mila visualizzazioni al giorno di media e 20 milioni di visualizzazioni nell’ultimo mese.


La chiusura, che ha comportato l’oscurazione dei video pubblicati, veniva motivata “per violazione delle Norme della community di Youtube”.

La policy ufficiale spiega che l’account viene chiuso quando arrivano tre avvertimenti nell’arco di 90 giorni.


nextquotidiano.it riporta un elenco di quelle che potrebbero essere state le motivazioni:

“Nudità o contenuti di carattere sessuale”,

“Contenuti dannosi o pericolosi”,

“Contenuti che incitano all’odio”,

“Contenuti violenti o espliciti”,

“violazioni del copyright o della privacy”, i furti d’identità,

“comportamenti predatori, stalking, minacce, molestie, intimidazioni, invasioni della privacy,
divulgazione di informazioni personali di altre persone e incitamento a commettere azioni violente o a violare i Termini e condizioni d’uso”.

Con le recenti vicende legate al Coronavirus sono da tener presenti anche come possibile motivazione di censura
“i filmati che al posto delle cure mediche promuovono metodi non comprovati dal punto di vista medico per prevenire il Coronavirus”
e “i video che propugnano teorie complottiste collegando l’epidemia di Coronavirus alle nuove reti mobili 5G”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Se dovessi indicare un accadimento del nostro tempo capace di simboleggiarne in modo paradigmatico la temperie culturale,
farei ricorso senza molte esitazioni alla pubblicazione del recentissimo libro di Walter Veltroni, dal titolo “Odiare l’odio”.

Probabilmente questo titolo gli è stato suggerito – come di solito accade – dai dirigenti della casa editrice,
i quali erano ovviamente ben lungi dal decodificarlo nel senso che ora esporrò.


Se la finalità – quella di arginare il sentimento dell’odio, socialmente sempre più diffuso – è encomiabile, sbagliatissima è la via prescelta.

Infatti, odiare l’odio, per un verso, è una contraddizione di carattere logico, mentre, per altro verso, è una impossibilità esistenziale.


È una contraddizione di carattere logico, perché nel momento stesso in cui si odiasse l’odio, bisognerebbe, per fedeltà all’imperativo,
odiare anche il proprio odio per l’odio, il che non solo annullerebbe l’effetto dell’odio, ma darebbe il via ad una catena di odi
che si propagherebbero senza fine.
E da questo punto di vista, si resterebbe vittime del celebre paradosso logico – proposto da Epimenide di Creta – detto “del mentitore”:

tutti i cretesi mentono; io sono cretese; allora, mento o dico la verità?
Se dico la verità, allora è vero che tutti i cretesi mentono, ma, siccome io stesso sono cretese, allora anche io mentisco;
ma, se mentisco, non è vero che tutti i cretesi mentono, e allora io dico la verità.


Insomma, non se ne esce da nessun parte, se non inserendo nel sistema delle proposizioni menzionate,
un elemento esterno del tipo “tutti i cretesi mentono, tranne me”.


Allo stesso modo, se odio l’odio, debbo odiare anche il mio odio per l’odio, ma se questo accade,
il mio odio per l’odio sarà neutralizzato e io non potrò più odiarlo.

Odiare l’odio rappresenta perciò una forma di indecidibilità logica – perché se odio, non potrò più non odiare e se non odio,
dovrò odiare paralizzante e per questo studiata e teorizzata da Kurt Gödel, autentico genio della logica del Novecento.

In secondo luogo, odiare l’odio è una impossibilità esistenziale, perché è semplicemente ridicolo,
per evitare un omicidio – massima espressione di odio – invitare qualcuno ad ammazzare il possibile autore
prima che costui consumi il delitto – dando mostra di odiarlo meglio e prima della consumazione.


Perché tutto questo lungo discorso?


Per dire semplicemente che se oggi l’odio sembra socialmente imperversare
è probabilmente anche perché si hanno idee molto confuse su cosa esso davvero sia
e su quali siano i rimedi per arginarlo: e il titolo del libro di Veltroni lo dimostra in modo emblematico.


In proposito, credo si debbano prendere le mosse da un celebre ma dimenticato verso di Terenzio,
secondo il quale homo sum, nihil humani alienum a me puto, che significa che

“sono un uomo e credo che nulla di ciò che è umano mi sia estraneo”.


Nulla. E dunque anche l’odio. Nessuno di noi, assolutamente nessuno, può considerarsi esente anche da questo sentimento
oggi tanto deprecato ma tanto diffuso.

La cosa davvero significativa è che una forma di odio sembra allignare oggi (come ieri) in modo non troppo velato
anche nell’animo dei parenti delle vittime di gravi reati, cioè di coloro che hanno sperimentato sulla propria pelle gli effetti dell’odio.


Si pensi al terribile episodio accaduto dodici anni fa presso lo stabilimento torinese della ThyssenKrupp e che costò la vita a sette operai.

La condanna a cinque anni di reclusione per omicidio colposo, divenuta esecutiva,
come ha detto il Procuratore generale di Torino, condurrà due manager in carcere fra pochi giorni.

Tuttavia, la madre di una delle vittime afferma di essere molto arrabbiata a causa della mitezza della condanna
e pretende che il carcere sia proprio carcere e non semplici arresti domiciliari.


In altre parole, se si intende condurre una vera campagna morale e sociale contro il diffondersi dell’odio,
occorre anche stigmatizzare la carica di odio che alligna nel cuore di chi, essendone stato vittima,
tende a ripagare con la stessa moneta il male subito: non ci potrebbe essere errore più esiziale,
come ho cercato di dimostrare commentando il titolo sbagliato del libro di Veltroni, perché odio chiama odio.

Certo, oggi questo discorso rischia di essere frainteso, scambiato per un generico buonismo verso i colpevoli. Ma non è così.


Qui intendo non solo mettere in guardia dal pericolo che il diritto penale possa diventare – come ha notato Filippo Sgubbi
un diritto calibrato sulle aspettative delle vittime (e non sulla responsabilità dei colpevoli),
ma soprattutto evidenziare come nessuna purificazione sociale dall’odio sarà mai possibile,
se non a partire da chi sappia contenere il proprio desiderio, a volte ossessivo, di vendetta (umanamente comprensibile, ma carico di odio)
nel perimetro della giustizia (umanamente dura da accettare, ma priva di odio per definizione);
da chi si collochi insomma nella prospettiva della pietas per l’intero genere umano, nessuno escluso (neppure i colpevoli).


Per questo, probabilmente, Joseph Ratzinger ha scritto:

“Nessuno ha il diritto di giudicare gli altri, ma ciascuno ha il dovere di migliorare se stesso”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ammetto che non ho ancora letto per intero il “Rapporto Colao”, ma qualche soddisfazione inizia già a darcela.

Infatti pare che almeno la parte legata alla riforma dell’università sia stata copiata e senza nessuna citazione del testo originale.


Dato che non siamo accademici e neppure parti delle TASK FORCE governative
possiamo permetterci di citare la fonte originale, che è il blog ROARS, dove potete trovare il testo completo.


Che succede?

Semplicemente grossi pezzi della relazione relativa alla riforma universitaria è copiata
da un libro dedito dalla casa bolognese “Il Mulino” e senza neanche citare la fonte originale.

Gli autori confrontano i due testi.

Prima trovate il testo della commissione Colao, quindi le parti copiate del libro riportate in giallo:


Colao_c_Capano-3.png




Le citazioni sono praticamente letterarie, anche se non sono tutte in ordine
ed “Università intelligente” del libro si è trasformata in “Università Smart”, all’inglese.

Quindi nella relazione Colao per il rilancio dell’Italia del 2020 si copiano tre pagine di un libro del 2017, tra l’altro basato su dati errati.

Come fanno notare gli autori del blog gli effetti sono esilaranti:


L’effetto è a tratti esilarante. Il lettore del rapporto è portato a credere che Colao
e la sua task-force abbiano effettivamente elucubrato e discusso e poi scritto:



“E’ possibile allora … stimolare ciascuna università a a definire la propria particolare vocazione in una specifica combinazione di quelle funzioni per ciascuna delle aree scientifiche al suo interno, tendendo conto delle risorse disponibili e delle esigenze del territorio di riferimento? Noi riteniamo di sì.

Peccato che quella domanda e quel “noi riteniamo di sì” siano stati scritti non da Colao e dalla task-force,
ma da Capano e coautori a pagina 148 del loro libro
.



Inoltre i dati riportati da Colao sono errati….. perchè erano errati i dati di partenza del libro !!!


Scrive la task-force:


“La qualità scientifica in Italia non è concentrata in pochi atenei eccellenti, ma è relativamente diffusa. Prendiamo l’esempio dell’area economica: nel primo esercizio di valutazione della qualità della ricerca (Vqr) i ricercatori che hanno presentato lavori valutati tutti come ‘eccellenti’ erano solo 296 (poco più del 6% del totale), ma distribuiti in ben 59 atenei e 93 diversi dipartimenti.”

La task force ha copiato e incollato le frasi in rosso della precedente citazione dal testo di Capano e coautori.

Purtroppo i tre dati contenuti in quelle frasi sono tutti sbagliati:



  1. non è vero che ‘i ricercatori valutati tutti come eccellenti erano solo 296 (poco più del 6%)”.
  2. Nella VQR 2004-2010 i ricercatori di area economica che presentarono “lavori valutati tutti come eccellenti”
  3. furono infatti 440 pari al 9,6% (lo si legge a pagina 30 del rapporto ANVUR di Area 13).
  4. Tra questi 440, scrive ANVUR, si distinguono “144 soggetti con un numero di lavori attesi inferiore a 3
  5. (si tratta in massima parte di giovani ricercatori assunti …) e i 296 soggetti valutati con 3 valutazioni eccellenti (6,4% del totale)”.

  6. non è vero che quei “296 … erano distribuiti in ben 59 atenei”; erano distribuiti su 52 atenei.
  7. Mentre ad essere distribuiti su 59 atenei erano i 440 ricercatori eccellenti (tabella 4.14 del rapporto VQR);

  8. infine non è vero che quei 296 appartenessero a “93 dipartimenti diversi”.
  9. Secondo il testo del rapporto ANVUR (p. 31) sono i 440 totali che si distribuivano su 93 dipartimenti diversi.
  10. (Peccato solo che il dato riportato nel rapporto ANVUR non coincida con quanto contenuto nella tabella 4.15 dello stesso rapporto,
  11. dove i dipartimenti con almeno un ricercatore “tutto eccellente” sono 107.

Quindi, per concludere:


  • la relazione Colao copia libri e dati di libri vecchiotti;
  • i dati riportati nella relazione non vengono neanche controllati.

ALLA FINE, COSA POTREBBE ANDARE STORTO?
 

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