E DEL RESTO L'OROSCOPO L'AVEVA DETTO, I PRIMI 83 ANNI SARANNO UN PO' COSI' (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
È ormai innegabile che sul ddl Zan la confusione regna sovrana.

Per sgomberare il campo da equivoci e fraintendimenti, allora,
il vicedirettore de La Verità Francesco Borgonovo intervista Michele Ainis, uno dei più rinomati e apprezzati giuristi italiani.

Costituzionalista, docente universitario, nonché editorialista di Repubblica e l’Espresso,

Ainis è anche scrittore, e la sua ultima fatica letteraria è un romanzo, guarda caso, intitolato Disordini.

Un titolo che rimanda, e parecchio da vicino, al dibattito politico in corso.

Un proliferare di spunti e commenti intestati all’omofobia e declinati al Ddl Zan,
di cui Ainis che, come sottolinea Borgonovo nella sua intervista,
«non si può certo considerare un pericoloso sovranista», enuclea limiti e aspetti pleonastici.
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Problemi e ripetizioni superflue, quelle disseminate tra le righe del Ddl Zan sul tema,
che nell’intervista il costituzionalista divide e riassume in 3 punti principali:

«Per punire i crimini d’odio non c’è bisogno di nuove norme, esistono le aggravanti.

Il concetto di “identità di genere” cancella il corpo femminile.

Le idee vanno combattute con altre idee».



Che ampliato e argomentato significa che, per quanto riguarda il Ddl Zan,
il costituzionalista sostiene che basterebbe già quanto a disposizione nei codici.

E lo dice chiaramente Ainis, dichiarando:

"Sinceramente penso che la stessa legge Mancino fosse inutile.
Anche la più ampia tutela della libertà di pensiero e di parola è cosa diversa dalle azioni violente, lo insegna Popper.
Significa che l’istigazione a delinquere è reato e rimane reato, su questo non ci possono essere dubbi.
Il ddl Zan vuole aggiungere giungere alle categorie già contemplate dalla Mancino il sesso e il genere?
Ma una buona legge deve essere generale.
Oggi esiste un problema con le categorie generali».


Anche sulle aggravanti, di cui fautori e sostenitori della legge Zan insistono a ribadire la necessità, Ainis spiega chiaramente che:

«Esistono le aggravanti per motivi futili o abietti che aumentano la pena fino a un terzo, e non è poco.
Certo, si tratta di una aggravante formulata in termini generali, poi sta al giudice decidere. Ma la possibilità di darle c’è».


Un dibattito, quello sul Ddl Zan che, a guardar bene, scontenta tutti,
gli stessi soggetti riferimenti della legge che l’esponente Pd vorrebbe andare a tutelare ulteriormente con la sua nuova proposta.

Lo stesso Ainis, per esempio,
sottolinea come nell’introduzione del concetto stesso di “identità di genere che si può autodeterminare”,
una civiltà come la nostra, in cui domina la «cultura dei diritti», non facciamo altro che

«aggiungere altri diritti. I quali altro non sono se non desideri che si trasformano in norme giuridiche.
Ma proprio sul fronte dell’identità di genere, allora, le stesse femministe per esempio
– rimarca il costituzionalista – alcune, non tutte, si sono accorte che l’identità di genere
significherebbe cancellazione del corpo femminile (perché questo vuol dire). E dicono che sarebbe un arretramento».


In generale, insomma, come poi conclude Ainis nell’intervista:

«Questa proliferazione del diritto penale rende infido l’ordinamento giuridico
e concede al giudice un potere superiore a quello che gli si vorrebbe togliere».

E invece, rilancia Ainis,

«le opinioni si combattono con altre opinioni: vietarne alcune per legge le santifica».


Nel frattempo, però, la discussione si alimenta: dalle aule della politica agli studi della tv.

E rinfocola recriminazione e polemiche su un tema e un progetto giuridico
che alla gran parte dell’opinione pubblica interessa solo marginalmente.

Se si eccettuano le diverse declinazioni del variegato universo arcobaleno Lgbt, infatti;
così come il mondo dell’associazionismo omosex impegnato sul fronte della tutela
e della rivendicazione dei diritti di genere, è ormai chiaro che il resto della popolazione civile
ritiene tutto il gran clamore sul Ddl Zan e derivati non solo anacronistico, ma anche inopportuno.


E il tema a questo punto diventa: ma davvero questa legge sull’omofobia serve?

O è più che mai pleonastica in virtù di altri riferimenti giuridici preesistenti?



Insomma cosa aggiunge alla discussione sul tema l’ennesimo corollario di argomentazioni e rivendicazioni?


“Gli omosessuali sono già tutelati. La legge sull’omofobia non serve”

«Io credo che, in generale, ci sia bisogno di sottrarre, non di aggiungere;

di usare la gomma e non la matita. E non vale solo per le leggi».



Insomma, “less is more”, come dicono gli inglesi...
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahahah poveri, cosa non farebbero per avere visibilità....



Graziati dalle multe dell’Inter, ma non da quelle dei carabinieri.

Sbeffeggiati sui social e traditi dal gossip.

O meglio dall’influencer, ex corteggiatrice di «Uomini e donne», Giulia D’Urso, 26 anni,
sospettata di essere la «spia» che ha chiamato il 112 per segnalare la «cena clandestina» dei calciatori interisti
Romelu Lukaku, Ivan Perisic, Ashley Young e Achraf Hakimi.

La chiamata che parlava di una festa in corso in un hotel nel centro di Milano
in violazione alle norme anti Covid sarebbe partita proprio dall’interno del lussuoso albergo 4 stelle «The square» di via Albricci, vicino al Duomo.

La segnalazione è arrivata poco prima dell’una mentre i calciatori, reduci dalla vittoria a San Siro con la Roma,
erano a tavola per cena in una sala eventi riservata dal direttore della «terrazza» dell’hotel Fabrizio Consonni.

Con loro altre 20 persone tra cui due calciatori del campionato svizzero e croato e, appunto, l’influencer D’Urso.

Le pattuglie, in realtà, sono arrivate in via Albricci poco prima delle tre perché erano impegnate su interventi ben più urgenti
e hanno trovato Lukaku e un altro nerazzurro già in strada mentre stavano per tornare a casa.

Gli altri erano ancora tutti all’interno della struttura.

È stato il direttore del ristorante Consonni a raccontare d’aver organizzato la serata per festeggiare il compleanno dell’attaccante belga (nato il 13 maggio di 28 anni fa).


I calciatori si sono affrettati a chiarire ai carabinieri che s’è trattato soltanto di una cena fra amici e compagni di squadra dopo la sfida al Meazza.
Cena che, considerati i tempi di fine match, doccia e arrivo in via Albricci, sarebbe iniziata dopo la mezzanotte.


I carabinieri, come da prassi, hanno identificato tutti e nei prossimi giorni partiranno le sanzioni da 400 euro per violazione delle norme anti Covid.

Multato anche il manager Consonni.

In mattinata, mentre la notizia rimbalzava su siti e social,
dall’entourage della società di Steven Zhang hanno iniziato a filtrare versioni ben più edulcorate:

«L’unica contestazione riguarda la violazione del coprifuoco.
I giocatori sono arrivati in albergo per cenare. Alcuni hanno però deciso di non pernottare nell’hotel ma di tornare a casa».


Quanto alla festa di compleanno «sarebbe venuta erroneamente fuori perché Lukaku
ha ricevuto un piccolo dono da un partecipante che glielo ha consegnato proprio mentre
gli veniva rivolta la contestazione da parte dei carabinieri».


L’Inter ha comunque escluso multe nei confronti dei giocatori.


Il proprietario del «The Square», Roberto Bernardelli glissa:

«La festa? Faccio gli auguri a Lukaku, anche se sono milanista».


Quanto alla influencer D’Urso, sarebbe stato Hakimi ad invitarla alla cena.

Ma perché la «soffiata» al 112?

Il sospetto è che sia un banale (quanto maldestro) tentativo di avere visibilità.


Giallo nel giallo, alla serata avrebbero partecipato anche altri calciatori di serie A:
tre milanisti (arrivati da Torino) e due della Fiorentina (tornati da Cagliari dopo la partita delle 18.30).


I cinque hanno soggiornato nell’hotel ed erano già in stanza al momento del controllo dei carabinieri.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Domenico Parisi non è un personaggio di fantasia: è realmente esistito, anzi esiste, risponde al telefono.

Figura emblematica, tragica, di efferata simpatia. Amico caro di Luigi Di Maio.

«Con Giggino ci sentiamo sempre... e però no, non mi ha detto niente: che succede?» (seguirà strepitosa seconda telefonata).


La notizia è questa: Mario Draghi e il ministro del Lavoro Andrea Orlando (Pd) stanno per farlo fuori,
lo sollevano dall’incarico di presidente e si apprestano a commissariare l’Anpal,
l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro
(avrebbe avuto il compito di realizzare la parte finale del visionario progetto pentastellato:
trovare un’occupazione a chi percepisce il reddito di cittadinanza utilizzando i mitologici tremila navigator
tipi assunti con il bacio della fortuna a 1.600 euro netti al mese, più i 600 di bonus previsti dalla crisi Covid).


Flashback.

Palazzo Chigi, 27 settembre 2018, notte.

Sotto, nella piazza, i parlamentari grillini in sit-in:
eccitazione diffusa, grida di evviva e bandiere, Vito «Orsacchiotto» Crimi addirittura con il figlio in carrozzina.

Sopra, affacciati al balcone, a quel balcone, i ministri 5 Stelle in festa scomposta:
Danilo Toninelli con le dita della mano a V come Winston Churchill,
e accanto Barbara Lezzi che saltella scatenata (sì, anche lei è stata ministro),
e l’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede, già noto come dj Fofò, che incita a fare pure più baldoria,
e poi al centro, per una volta meno perfettino del solito, addirittura scravattato, Luigi Di Maio, che urla la celebre sconcertante frase: «Abbiamo abolito la povertà!».

Rientrando in Consiglio dei ministri, Toninelli — tornato in sé — chiede a Di Maio:
«Scusa, mi sfugge un dettaglio: ma poi chi troverà un posto di lavoro ai milioni di italiani che percepiranno il reddito di cittadinanza appena annunciato?».

Di Maio aveva già la soluzione: ecco allora entrare in scena un suo amico che, per una volta,
non sarebbe arrivato con il solito charter proveniente da Pomigliano d’Arco,
ma avrebbe viaggiato in business class (a spese nostre) dalla Mississipi State University.

Eccolo Domenico Parisi detto «Mimmo» o anche «CowBoy», di anni 55 anni,
guru italoamericano del reinserimento nel mondo del lavoro.
 

Val

Torniamo alla LIRA
1,5 milioni di abbonamenti oscurati dalla polizia postale

Si tratta di un giro d’affari - illegale - dal valore di milioni di euro.

A rimetterci sono i principali servizi streaming, da Sky a Dazn, da Netflix a Mediaset.

A guadagnarci, invece, erano coloro che offrivano abbonamenti in streaming illegali,
grazie alle IPTV, che sta per Internet Protocol Television.

Si tratta di una delle principali modalità di distribuzione illecita dei contenuti:
i «pirati» acquisiscono i palinsesti televisivi delle maggiori piattaforme a pagamento,
li ricodificano e poi li spediscono ai propri «clienti».


Sono 45 le persone indagate per associazione per delinquere, accesso abusivo a sistema informatico,
frode informatica e riproduzione e diffusione a mezzo internet di opere dell’ingegno.

Gli «abbonati» a questi servizi pagavano un canone di 10 euro ciascuno al mese,
creando un giro d’affari fraudolento mensile da 15 milioni. I

provvedimenti sono stati eseguiti in diverse città italiane e sono stati impiegati nell’operazione più di 200 specialisti.

Una importante «centrale» è stata individuata a Messina.

La tecnica era «piramidale» e vedeva la collaborazione tra loro di persone che non si conoscevano.

I contenuti protetti da copyright erano acquistati lecitamente, come segnale digitale,
dai vertici dell’organizzazione (le «Sorgenti») e, successivamente,
attraverso la predisposizione di una complessa infrastruttura tecnica ed organizzativa,
vengono trasformati in dati informatici e convogliati in flussi audio/video,
trasmessi ad una rete capillare di rivenditori ed utenti finali, dotati di internet ed apparecchiature idonee alla ricezione (il cosiddetto «Pezzotto»).


Come detto, i criminali dello streaming acquisiscono - legalmente - i contenuti distribuiti sulle diverse piattaforme.

Dopo averli ri-codificati
(il contenuto viene fatto passare attraverso un sistema di decoder/encoder per non far risalire al codice della sottoscrizione originaria)
sono in grado di distribuirli (illegalmente) grazie al pezzotto.

Per pezzotto si intende un set top box, solitamente Android, in grado di collegarsi alla propria tv e a internet per la ricezione delle immagini.

Si tratta quindi di un decoder che, grazie al sistema IPTV (Internet Protocol Television)
può ricevere il segnale dei canali televisivi attraverso lo streaming online.

Al suo interno c’è un software che funziona da mediacenter,
in grado di codificare la trasmissione dei contenuti e di rilasciarli come flusso di immagini.

L’evolversi della tecnologia ha dato la possibilità di usufruire di questi contenuti sulla propria tv
anche grazie alle chiavette con entrata Hdmi oppure sui propri smartphone, attraverso la condivisione sulle chat Whatsapp e Telegram.


Questa è solo l’ultima delle tante operazioni della polizia italiana ed europea
per smantellare queste reti illegali che propongono i contenuti delle piattaforme streaming a prezzi ribassati,
creando un enorme danno al settore.

A febbraio la Guardia di Finanza italiana aveva identificato e denunciato oltre 200 utenti del «pezzotto»,
grazie anche alla chiusura di Xtream Codes,
uno dei gruppi più importanti che offriva questo tipo di servizi illegalmente.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Come si dice dalle Vostre parti ? ............


Dopo il consigliere diplomatico amico della Germania (ricorderete quando Draghi nominò l’uomo gradito alla Merkel, Luigi Mattiolo)
ora è il turno di Elisabetta Belloni, profilo amico della Francia, tanto da ottenere, proprio dal governo francese nel 2007, la prestigiosissima Legion d’Onore.

Tutti hanno accolto con grande entusiasmo la scelta del presidente del Consiglio Mario Draghi
di nominare l’ambasciatrice Belloni come Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza,
in sostituzione dell’attuale Direttore generale, il prefetto Gennaro Vecchione.

A fare clamore (in questo caso in senso positivo, ovviamente) è il fatto che si tratta della prima volta che una donna arriva al vertice dell’intelligence.

“Ha pesato la grande esperienza di Belloni, da sempre in prima linea nelle emergenze internazionali”.

Le luci.


Ma c’è anche qualche ombra.




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Il ritratto di Belloni racconta che per anni è stata “capo dell’unità di crisi della Farnesina,
ha gestito i sequestri degli italiani in Iraq lavorando fianco a fianco con gli 007
e diventando punto di raccordo per l’azione del governo per la liberazione degli ostaggi,
ma anche punto di riferimento per le famiglie.
Da segretario del ministero degli Esteri si è occupata dell’organizzazione della Farnesina.
Ora coordinerà le due agenzie operative dei servizi segreti e si confronterà con l’autorità delegata Franco Gabrielli”.


Una nota da evidenziare, però, è che Elisabetta Belloni è “Cavaliere della Legion d’onore” proprio della Francia.

“Per il contributo dato alla cooperazione bilaterale, in particolare durante le emergenze del Libano,
dello tsunami in Asia e degli scontri in Costa d’Avorio”, si legge nella motivazione del conferimento avvenuto nel dicembre del 2007.

A pesare su questa nomina voluta da Draghi, dunque, è certamente la grande esperienza della diplomatica,
ma anche i suoi rapporti internazionali, soprattutto con la Francia.


È come se con queste nomine il governo di Draghi abbia dimostrato ancora una volta la sudditanza
che ha un certo potere italiano nei confronti della Germania e della Francia.

Il consigliere diplomatico del premier assai vicino alla Merkel,

e ora il capo degli 007 italiani gradito alla Francia.



Quanto peseranno queste “vicinanze” quando si tratterà di prendere decisioni importanti per il nostro Paese?

Ombre, appunto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il buon Fauci ha scoperto l'acqua calda ....ahahahah


Svolta negli Stati Uniti:

i cittadini che sono completamente vaccinati potranno smettere di indossare la mascherina

e di rispettare la regola del distanziamento sociale, sia all’aperto che al chiuso.


A dare l’annuncio i Cdc, la massima autorità sanitaria statunitense.


Attualmente oltre il 35% degli americani è pienamente vaccinato.


“Se siete vaccinati e siete all’aperto, mettete da parte la vostra mascherina“:
è l’ultimo messaggio agli americani del virologo Anthony Fauci, consulente sanitario del presidente Joe Biden.



In una serie di interviste tv rilasciate negli ultimi giorni Fauci ha insistito sul fatto che
negli Usa è ora di allentare l’obbligo di indossare le mascherine.

“E’ tempo per una transizione – ha sottolineato alla Cbs – e le persone vaccinate non devono più indossare la mascherina all’aperto,
a meno che non si trovino in situazioni molto affollate. Ma in tutti gli altri casi, mettete la mascherina da parte, non dovete indossarla”.



Fauci tuttavia ha precisato che
l’uso della mascherina potrebbe diventare un’abitudine stagionale,
per combattere la diffusione anche di comuni malattie
.


“Guardate come quest’anno la stagione influenzale non è praticamente esistita,
perché le persone hanno seguito quelle regole sanitarie che funzionano non solo per fermare il Covid”.



“Oggi è un grande giorno per l’America nella nostra lunga battaglia contro il Covid-19.
Qualche ora fa, i Cdc hanno annunciato che non sarà più raccomandato ai totalmente vaccinati di indossare le mascherine”.

Così Biden parlando dal Rose Garden della Casa Bianca
,
da dove ha lanciato un nuovo appello agli americani perché si vaccinino.


“La scelta è vostra, vaccinarsi o continuare a indossare la mascherina finché non sarete immunizzati”
.


Il messaggio è chiaro: se ti vaccini via le odiose restrizioni.

Chissà se funzionerebbe anche in Italia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Illustre Presidente Mattarella,

le scrivo come italiana, come donna, come sostenitrice appassionata della nostra Nazione e come voce libera e indipendente dell’informazione.

Ritengo, anzi ne sono certa, di non aver mai offeso in alcun modo il suo onore e il suo prestigio.

La mia condotta sui social network è da sempre equilibrata, sebbene sia determinata, ostinata e controcorrente.

Anche a chi mi insultava e minacciava di morte su Twitter, ho sempre risposto con pacatezza.


Caro Presidente, quale garante della nostra Costituzione, può verificare facilmente che i miei post a lei rivolti

erano una semplice e misurata manifestazione del libero pensiero che in Italia è un diritto garantito dall’articolo 21.


Per questo motivo, l’accusa di vilipendio suona veramente stonata e fuori luogo.


Chiedere di indire elezioni politiche e di occuparsi degli italiani stremati dalla crisi economica causata dalla pandemia, non lede in alcun modo il suo onore.

Evidenziare che un cavalierato della Repubblica da lei assegnato potrebbe essere finito nelle mani di una persona con un passato discutibile,

non lede in alcun modo il suo prestigio e, peraltro, fa parte del mio lavoro di inchiesta.



Riprendendo Vittorio Feltri,

“Se a un cittadino si vieta di esternare una idea sul Colle significa renderlo vittima di censura,
ed è costui che dovrebbe denunciare la limitazione inflittagli dallo Stato attraverso i suoi organi”,


ed è quello che io sto facendo con questa lettera aperta che sottopongo alla sua attenzione.


Io sono sicura che lei non fosse a conoscenza dell’iniziativa della Procura di Roma nei miei confronti e nei confronti degli altri dieci indagati.

Non ritengo altresì che lei Presidente, come garante della nostra Costituzione,

avrebbe assecondato una simile azione così oppressiva e non degna di uno Stato democratico.


Purtroppo, ormai è noto a tutti gli italiani il periodo buio che sta attraversando la giustizia italiana, tra scandali e nomine illegittime.


Non mi dilungo ulteriormente, ma sono certa che lei, che è anche il mio Presidente,

vorrà pronunciarsi al più presto su questo teatro tragicomico e su questo tentativo malcelato di oscurare la voce di un’italiana.


Francesca Totolo
 

Val

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Il giudice di Catania Nunzio Sarpietro ha prosciolto l’ex ministro dell’Interno e leader della Lega Matteo Salvini
accusato di sequestro di persona nei confronti di 131 migranti trattenuti a bordo della nave Gregoretti nel porto di Augusta,
tra il 27 e il 31 luglio 2019, negli ultimi giorni di permanenza al Viminale prima della crisi del governo Conte 1.


La decisione del giudice dell’udienza preliminare è arrivata al termine di una lunga e articolata istruttoria,
nel corso della quale il gup ha ascoltato le testimonianza dello stesso Conte,
degli ex ministri dell’esecutivo trullino-leghista Luigi Di Maio, Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta,
dell’ambasciatore Massari e dell’attuale ministra Luciana Lamorgese che è succeduta a Salvini al Viminale,
ed ha acquisito una gran mole di documenti.

Anche per esaminare ogni aspetto della questione
- a cominciare dalla “collegialità” della gestione della politica migratoria all’inferno del governo -
l’udienza s’è trascinata dall’ottobre scorso fino a oggi.


La stessa Procura aveva chiesto ripetutamente il non luogo a procedere contro l’ex ministro,
confermata in aula dal pubblico ministero Andrea Bonomo nell’ultimo intervento:

«Salvini non ha violato alcuna convenzione nazionale e internazionale, le sue scelte sono state condivise dal governo
e la sua posizione non integra gli estremi del reato di sequestro di persona perché il fatto non sussiste».


A rappresentare l’accusa erano rimasti solo gli avvocati di parte civile, in rappresentanza di alcuni migranti e delle associazioni a sostegno dei loro diritti.


L’avvocata Giulia Bongiorno, difensore dell’ex ministro, ha sempre sostenuto, in ogni occasione e davanti al gup Sarpietro, che
«l’azione penale contro Salvini non doveva neppure iniziare, perché il suo è stato un atto politico insindacabile»
perché, ha sostenuto, per il
«principio della separazione dei poteri e le decisioni adottate nell’interesse nazionale sono impenetrabili e non possono essere contestate in sede giudiziaria».
 

Val

Torniamo alla LIRA
Continua a far discutere l'autobiografia di Giorgia Meloni.

In particolare è stato un passaggio del libro, scritto dalla leader di Fratelli d'Italia, a sollevare una polemica sul mondo del web.

La presidente di FdI ha rivelato i racconti di sua madre, di quando era una giovane donna,
ferita, spaventata, con una storia d'amore ormai agli sgoccioli.

L'intenzione era quella di interrompere la gravidanza, ma alla fine decise di dar vita alla sua creatura e di crescerla negli anni a seguire.

In sostanza la Meloni non sarebbe dovuta nascere perché sua madre - quando rimase incinta di lei -
pensò seriamente ad abortire, cambiando però idea per poi portare avanti la gravidanza.


Ma per Selvaggia Lucarelli c'è qualcosa che non torna: secondo la giornalista in quel periodo "la legge sull'aborto non esisteva".
La Meloni è nata il 15 gennaio 1977; dunque la madre rimase incinta verso aprile dell'anno prima.
La giornalista sostiene che "nel 1976 l'interruzione volontaria di gravidanza era una pratica illegale".
La legge 194 sull'aborto, grazie a cui oggi l'interruzione di gravidanza in Italia è consentita entro i primi tre mesi, "è del 22 maggio 1978".
Così la Lucarelli ipotizza, tra gli altri scenari, che la Meloni possa aver mentito
"infiocchettando un racconto e dunque questo è un romanzo e non una biografia".


La posizione della Lucarelli è stata però smontata dall'avvocato Sara Kelany.

"Notizia falsa, speculazione strappalacrime.
Così la Lucarelli tenta, con fare miserabile, di trovare la falla nel libro della Meloni".

La Kelany ritiene che l'aborto non sia più reato dal febbraio del 1975.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 27/1975,
"aveva espressamente sancito che non potessero andare incontro a conseguenze penali coloro che procuravano l'aborto e le donne che vi consentivano".

Secondo l'avvocato, la consulta dichiarava parzialmente incostituzionale l'articolo 546 c.p.,
nella parte in cui puniva chi cagionava l'aborto di donna consenziente anche qualora fosse stata accertata
la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico o per l'equilibrio psichico della gestante:

"Dopo questa sentenza che depenalizza l’aborto e lo rende una pratica legale,
arriva la legge 194 del 1978, che regolamenta l'interruzione di gravidanza,
ne disciplina i contorni e riempie il vuoto normativo che con la sentenza del 1975 nell'ordinamento si era venuto a creare".

Dunque per la Kelany l'aborto non era reato già da un po' di tempo.


E così ha colto l'occasione per commentare la polemica sollevata dalla Lucarelli:

"La cosa miserevole è che ancora una volta, pur di rovistare nel torbido consenso del web come un accattone nei cassonetti,

si è speculato sui sentimenti più profondi, spettegolando come volgari viperette di rione su fatti

che hanno oggettivamente una poderosa portata emotiva per chi li vive e ne scrive".
 

Val

Torniamo alla LIRA
Quaranta pagine per togliersi di dosso accuse pesantissime, legate al mancato contrasto al Covid in Italia.

Una difesa minuziosa è quella che l’avvocato Roberto De Vita ha preparato per conto di Ranieri Guerra,
numero 2 dell’Organizzazione mondiale della Sanità, e che è all’attenzione dei magistrati di Bergamo che hanno indagato il suo assistito.

La memoria, di 40 pagine, tenta di ribattere alle accuse, anche quelle mediatiche, seguite ad una immane tragedia.

Partendo anzitutto dal piano pandemico vigente dal 2006.

La difesa di Ranieri Guerra nega che ci sia stata disattenzione al tema: “Era rivisto annualmente”.

Ai magistrati, Guerra sostiene di aver dichiarato testualmente che
“sino a quando sono stato direttore generale il piano è stato rivisto annualmente e confermato in validità”.

Di più: si afferma che nel 2017, alla fine del suo impegno al ministero della Salute come direttore generale,
Guerra propose “di rivedere il piano dopo la pubblicazione delle linee guida Oms completate quell’anno”.

E che quindi egli “non può essere responsabile di quanto accaduto dopo il 2017”.

Sul punto, è evidente che Guerra punta semmai a verificare che cosa successe dopo la fine del suo incarico al ministero:
“Qualora si vogliano accertare eventuali condotte costitutive di reato (…) si dovrebbe, se del caso,
verificare cosa è stato fatto a seguito della pubblicazione delle linee guida del 2017 e delle ulteriori integrazioni successive”.


Lo stesso ministero della salute ad aprile 2020 – è sempre la difesa a parlare - considera vigente il piano del 2006.

“E’ illuminante quanto riportato nella comunicazione mail trasmessa in data 15 aprile 2020 dal Direttore dell’Ufficio V
– Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale del Ministero della Salute, dr. Maraglino
al Viceministro dr. Sileri ed al Direttore Generale dr. D’Amario sul “Piano pandemico”:
in tale missiva, infatti, si elencano gli atti, le azioni e gli strumenti generali adottati dal Ministero ed ancora in vigore,
tra cui il piano pandemico influenzale del 2006, rivisto ed aggiornato e indicato come “tuttora vigente”.

Non finisce qui.

Si chiamano in causa le regioni per la “ripartizione di ruoli, compiti e funzioni ai sensi di quanto previsto dall’art. 117 della Costituzione”, il famoso titolo V.

Ma anche la protezione civile nazionale: “Al riguardo è utile evidenziare come nel gennaio 2018 sia anche intervenuta
una modifica legislativa di grande rilevanza che attribuisce, definendoli, ampi poteri e responsabilità al Dipartimento della Protezione Civile”.

Il Ministero della Salute, si difende Guerra, “diventa solo uno strumento operativo del Dipartimento di Protezione Civile,
il quale invece assume il ruolo di vertice di coordinamento e controllo”.


Infine, la delicata questione del “rapporto Oms” sulla sanità italiana rispetto al Covid, pubblicato e poi rimosso.

Su quel report il lavoro dell’avv. De Vita report afferma ai magistrati che ci si limitò a fare delle correzioni di merito,
senza intervenire in alcun modo né nel ritiro dello stesso né nelle vicende successive
(“riguardanti esclusivamente Zambon e il suo ufficio di Copenaghen ma comunque non Guerra”).

Anzi, si ribadisce nella memoria difensiva quando il ricercatore Francesco Zambon
“dice che pubblicherà, lo stesso Guerra chiede solo che venga tolto il suo nome”.


Un ultimo passaggio del documento prodotto dalla difesa di Ranieri Guerra è quello riguardante le famose chat whatsapp con Silvio Brusaferro,
con il sospetto che potrebbero essere state ricostruite in maniera “frammentata e decontestualizzata”.


Ovviamente, spetterà ai magistrati di Bergamo decidere come procedere, auspicando semmai – da parte nostra -
un lavoro celere per garantire finalmente elementi di chiarezza alla pubblica opinione.
 

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