E DEL RESTO L'OROSCOPO L'AVEVA DETTO, I PRIMI 83 ANNI SARANNO UN PO' COSI' (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Eccoci arrivati alla seconda fase del Grande Reset.........
Giovani, dimenticatevi della libertà che stavate vivendo sino al 2019.


Il Covid ha aperto le porte a quella che da molti ora viene definita “era delle pandemie”.

Virologi e non solo, infatti, prospettano per il futuro la possibilità di nuove battaglie scientifiche.

Una prospettiva – come riporta Il Fatto Quotidiano – analizzata da un panel di 26 scienziati
provenienti da tutto il mondo nel rapporto pubblicato sul sito della Commissione Europea
in occasione del Global Health Summit di oggi e prontamente rilanciato dal nostro Istituto superiore di sanità.


“Gli sforzi di oggi per affrontare il Covid-19 – avvertono gli esperti – dovrebbero includere investimenti
e misure di risposta che abbiano il maggior potenziale possibile per un miglioramento sostenibile della prevenzione,
inclusi gli investimenti in risorse umane e nella loro formazione, della preparazione e della risposta alle minacce globali per la salute”.

La risposta deve essere globale.

“Nessun Paese è al sicuro finché tutti non sono al sicuro” dice Peter Piot,
microbiologo belga consigliere della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen,
la quale già qualche mese fa aveva fatto questa “profezia”.


Prima della von der Leyen era stato Bill Gates a esprimere lo stesso concetto:

“Inizierà un’era di pandemie, prepariamoci”.

Nel loro messaggio gli esperti partecipanti al panel hanno sottolineato la necessità di
“chiudere la fase acuta della pandemia e di concentrarsi anche sulla preparazione per minacce future con cui ci si dovrà misurare”.

Avvertono che senza “accesso equo e universale” ai vaccini e alle risorse non sarà possibile uscire dal tunnel di Covid…


Nel report spiegano che, “mentre ci si prepara alla probabilità che Sars-CoV-2 diventerà endemico“,
con possibili “focolai stagionali a causa della diminuzione dell’immunità,
della copertura vaccinale insufficiente a livello globale o dell’emergere di nuove varianti virali”
e “ulteriori ondate epidemiche probabili, in particolare in Paesi con bassa copertura vaccinale”,
occorre guardare anche al futuro.



Big Pharma si starà già leccando i baffi…
 

Val

Torniamo alla LIRA
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“Non c'è niente che può fermare un ideale”. Lo dice il loro inno.
Lo hanno ribadito quest'oggi con la loro presenza.
I Cani Sciolti hanno reso omaggio al loro Erminio.
E con gli ultras giallo-neri, anche le altre anime del tifo bluceleste fianco a fianco,
in curva nord al Rigamonti Ceppi, con le delegazioni giunte in città da Monza,
Busto, Varese, Rimini e persino dall'altro ramo del Lago.
Perchè dinnanzi alla morte anche la storica rivalità tutta lariana passa in secondo piano.
Resta, appunto, quell'ideale che niente può arginare.
Quella passione che diventa fede. Calcistica ovviamente. Ma anche politica.


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Val

Torniamo alla LIRA
Ci sono delle cose che meritano di essere approfondite.

Ad esempio ci sono dei continui spot di associazioni animaliste perché “Bisogna salvare le api”.

Vero, ma le api stanno veramente scomparendo, e soprattutto, stanno scomparendo ovunque?


Vediamo un’utile infografica di Statista che fa una comparazione fra arnie
come distribuite nel 1969 e nel 2019 nel mondo, e vediamo una realtà diversa da quella che spesso ci viene detta



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Le arnie sono calate, ma solo in Europa: negli altri continenti si sono moltiplicate,
cresciute in modo più o meno rapido, triplicando in Asia e più che raddoppiando in Africa.

Solo in Europa c’è una crisi, eppure il vecchio continente è quelli che si è impegnato maggiormente
nel limitare gli antiparassitari con effetti negativi sul loro sviluppo.


I problemi sono però diversi: da un lato sono giunte malattie prima non presenti,
dall’altro il cambiamento dell’agricoltura, l’abbandono di aree marginali, ha portato a una loro riduzione.

Se non ci sono agricoltori, se questi si concentrano su poche produzioni ad alto valore, le arnie calano.

Pensate forse che se un giorno fossero resi illegali o economicamente non convenienti
i prodotti di origine animale avremmo ancora le mucche?

Nessuno le alleverebbe e si estinguerebbero.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Come sarà in nostro futuro, se non agiamo per migliorare la crescita economica e renderla socialmente corretta?

Questo video di TikTok girato a Los Angeles ce ne dà un assaggio.

Un droide per la consegna a domicilio dei pasti Postmaster,
che inizia a essere utilizzato ora negli USA, viaggia tranquillamente per strada
e passa davanti a un senzatetto, coricato per strada, evitandolo perfettamente
e svolgendo il lavoro che, magari, una volta poteva essere suo.


Per vedere il sistema Postmaster Delivery in azione potete guardare questi video


Come eviteremo un futuro distopico con robot che camminano per strada,
fanno le consegne, ed evitano gli esseri umani costretti alla miseria.

Alcuni scienziati legati alla AI pensano che non ci saranno più lavori attualmente svolti dagli uomini
che non siano fatti dai robot entro 120 anni.

Se la tecnologia evolve, deve evolvere anche l’economia e deve evolvere il lavoro e con lui l’uomo e la sua preparazione.

Dobbiamo evitare un futuro con una minuscola parte di umanità servita dai robot e il resto in miseria.
 

Val

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In tv su La7, ci si domanda quale sia l’orientamento del premier Mario Draghi,
dopo che ha azzerato i sogni patrimoniali di Letta.

In realtà allo spettatore da casa, la domanda pare subito un’altra:

«Enrico Letta ne azzeccherà una prima o poi?».

Anche perché al Nazareno, pare che in molti siano già abbastanza stufi delle invettive personali del segretario.


Il tweet di Andrea Marcucci, big del partito, è suonato come un messaggio chiaro e netto.

Arrivato per rinsaldare il partito delle correnti, pare sia riuscito a rinsaldare le correnti, tout court.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il Centro statunitense per il controllo delle malattie (CDC),
l’ente sanitario massimo negli USA, sta modificando le sue pratiche di registrazione dei dati e test per “Covid19”
al fine di far sembrare che i “vaccini” di terapia genica sperimentale siano efficaci nel prevenire la presunta malattia.

Non ne hanno fatto mistero, annunciando le modifiche alle politiche sul loro sito web a fine aprile / inizio maggio
(anche se naturalmente senza ammettere la motivazione abbastanza ovvia dietro il cambiamento).


Il trucco sta nella loro segnalazione di ciò che chiamano “infezioni rivoluzionarie”
– cioè persone che sono completamente “vaccinate” contro l’infezione da Sars-Cov-2, ma vengono comunque infettate.


In sostanza, Covid19 è stato a lungo dimostrato – a coloro che sono disposti a prestare attenzione –
una narrativa pandemica interamente creata costruita su due fattori chiave:

Test falsi positivi.
Il test PCR inaffidabile può essere manipolato per riportare un numero elevato di falsi positivi alterando la soglia del ciclo (valore CT)

Conteggio dei casi gonfiato.
La definizione incredibilmente ampia di “caso Covid”, utilizzata in tutto il mondo,
elenca chiunque riceva un test positivo come “caso Covid19”, anche se non ha mai avuto alcun sintomo.



Senza queste due politiche, non ci sarebbe mai stata una pandemia apprezzabile,
e ora il CDC ha emanato due modifiche politiche che significano che non si applicano più alle persone vaccinate.


In primo luogo, stanno abbassando il loro valore CT durante il test di campioni da sospette “infezioni improvvise”.

Dalle istruzioni del CDC per le autorità sanitarie statali sulla gestione di “possibili epidemie attive” (caricate sul loro sito web alla fine di aprile):

Per i casi con un valore di soglia (Ct) del ciclo RT-PCR noto,
inviare solo i campioni con un valore Ct ≤28 a CDC per il sequenziamento.
(Il sequenziamento non è fattibile con valori Ct più alti.)


Durante la pandemia, i valori CT superiori a 35 sono stati la norma,
con i laboratori di tutto il mondo negli anni ’40.


In sostanza, i laboratori eseguivano tutti i cicli necessari per ottenere un risultato positivo,
nonostante gli esperti avvertissero che ciò era inutile
(persino lo stesso Fauci ha detto che qualsiasi cosa oltre i 35 cicli non ha senso).

Però ora, e solo per le persone completamente vaccinate,
il CDC accetterà solo campioni ottenuti da 28 cicli o meno.


Come mai ?

Non è che in questo modo si diminuisce l’incidenza delle “infezioni improvvise” registrate ufficialmente?



In secondo luogo, le infezioni asintomatiche o lievi non saranno più registrate come “casi covid”.


Giusto.

Anche se un campione raccolto con un valore CT basso di 28
può essere sequenziato nel virus che si presume sia causa di Covid19,
il CDC non terrà più i registri delle infezioni che non provocano il ricovero o la morte.


Dal sito web del CDC:


A partire dal 1 ° maggio 2021, il CDC è passato dal monitoraggio di tutti i casi di svolta del vaccino segnalati
per concentrarsi sull’identificazione e sull’investigazione solo dei casi ospedalizzati o fatali per qualsiasi causa.
Questo spostamento aiuterà a massimizzare la qualità dei dati raccolti sui casi di maggiore importanza clinica e per la salute pubblica.
I conteggi dei casi precedenti, aggiornati l’ultima volta il 26 aprile 2021, sono disponibili solo come riferimento e non verranno aggiornati in futuro.



Proprio così, essere asintomatici – o avere solo sintomi minori – non conterà più come un “caso Covid” ma solo se sei stato vaccinato.


Il CDC ha messo in atto nuove politiche che hanno effettivamente creato un sistema di diagnosi a più livelli.

Ciò significa che d’ora in poi le persone non vaccinate troveranno molto più facile essere diagnosticate con Covid19 rispetto alle persone vaccinate.


I risultati sono i seguenti:


La persona A non è stata vaccinata.
Sono risultati positivi per Covid utilizzando un test PCR a 40 cicli
e, nonostante non abbiano sintomi, è ufficialmente un “caso covid
“.


La persona B è stata vaccinata.
Sono risultati positivi a 28 cicli e trascorrono sei settimane costretti a letto con la febbre alta.
Poiché non sono mai andati in ospedale e non sono morti, NON è un caso Covid
.


La persona C, anch’essa vaccinata, è morta.
Dopo settimane in ospedale con febbre alta e problemi respiratori.
Solo il loro test PCR positivo era di 29 cicli, quindi non sono nemmeno ufficialmente un caso Covid.


Il CDC sta dimostrando la bellezza di avere una “malattia” che può apparire o scomparire a seconda di come la si misura.


Per essere chiari:

se queste nuove politiche fossero state l’approccio globale a “Covid” da dicembre 2019,

non ci sarebbe mai stata una pandemia.

Con queste linee guida sicuramente il covid-19 scomparirà con la vaccinazione che sarà sicuramente un grande successo
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’esercito degli Stati Uniti continua a modernizzare le sue forze
mentre infuria una grande competizione di potere tra la Cina.

L’ultima tecnologia rivelata dal ramo di servizio per aumentare la letalità notturna sul campo di battaglia moderno
è rappresentata dagli obiettivi per la visione notturna di nuova generazione.

Quest’ottica fa somigliare la guerra al videogioco Ghost Recon di Tom Clancy.


La nuova ottica notturna è stata provata dal secondo battaglione 17imo reggimento di fanteria,
che normalmente opera degli obici da 155mm.

Lo strumento pesa in tutto meno di 1,2 kg di cui 750 di ottica da portare integrata all’elmetto
mentre il resto è la parte integrata con il mirino delle armi.

La visione è tale da permette 80% di probabilità di colpire un bersaglio a 150 metri
e 50% a 250 metri, il tutto nel buio totale o con visibilità ridotta anche per fumo
o altre condizioni ambientali. Eccovi come appaiono le immagini:










La possibilità di combattere di notte, senza limitazioni, è un vantaggio enorme,
come rivelato fin dalla prima Guerra del Golfo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Tra le tante cause che si intrecciano nel conflitto israelo-palestinese,
principalmente di natura religiosa / etnica e storica,
oggi ce ne potrebbero essere di altre che forse sono le vere ragioni del conflitto attualmente in corso.

Era probabilmente dai tempi della seconda intifada del 2000
che non si assisteva ad un’escalation di violenza così imponente negli scontri tra Israele e i militanti palestinesi.

Secondo le Forze di Difesa Israeliane (IDF), a partire dal 10 maggio
sono stati lanciati su Israele circa 4100 razzi da parte di Hamas e della Jihad (i più prodotti e forniti dall’Iran),
di cui più dell’ottanta per cento è stata intercettata dallo scudo missilistico di difesa denominato Iron Dome,
mentre una parte di questi ordigni è persino piovuta su Gaza.
Le vere ragioni del conflitto - Capi di Hamas uccisi da Israele


Israele ha reagito con fermezza agli attacchi di Hamas impiegando la sua aviazione
che ha bombardato pesantemente centinaia di obiettivi strategici palestinesi nella striscia di Gaza,
dai depositi di munizioni, alle rampe missilistiche, agli obiettivi navali,
alla rete di cunicoli sotterranei usati dai militanti per spostarsi in ogni zona della città,
ai rifugi e abitazioni di esponenti palestinesi di rilievo e neutralizzando parecchi capi militari di Hamas e della Jihad palestinese.

In cronologia si rileva che l’origine di questa ultima tornata di scontri tra ebrei e palestinesi
fosse inizialmente collegata ad una questione di tipo “immobiliare”,
venutasi a creare nel quartiere di Gerusalemme est denominato Sheikh Jarrah,
a nord della città vecchia sulla strada per il Monte Scopus,
e generalmente popolato per buona parte da nuclei familiari di religione musulmana.

Nell’ultimo decennio diverse famiglie arabo-palestinesi hanno ricevuto lo sfratto esecutivo da parte della proprietà ebrea,
a causa del mancato versamento dell’affitto per l’occupazione degli immobili in cui risiedevano.

Fin qui nulla di particolare, apparentemente, ma la questione aveva evidentemente radici profonde.

La situazione richiama infatti la storica diatriba sull’effettivo titolo di proprietà dei terreni contesi,
da una parte rivendicato dai palestinesi in virtù di un presunto accordo del 1956 (di fatto mai ufficializzato)
dove la Giordania (insignita allora del compito di “Custodian of Enemy Property” a seguito della guerra tra Israeliani e Palestinesi)
e l’Agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, si impegnarono ad insediare a Sheikh Jarrah 28 famiglie palestinesi,
precedentemente sfollate da Jaffa e Haifa, città controllate da Israele sin dal 1948,
con l’illusiva promessa che esse avrebbero mantenuto la condizione di inquilini dopo almeno tre anni di residenza in loco.

Di contro gli ebrei attestavano il diritto storico di proprietà su questi territori
– persino precedente all’Impero Ottomano e in alcuni casi risalente al periodo di Alessandro Magno –
e ri-acquisiti in occasione della Guerra dei sei giorni del 1967, quando Israele prese anche il controllo completo di Sheikh Jarrah e delle proprie comunità,
dentro e intorno al quartiere, così come sul Monte Scopus.

Fu così che di fronte alle ripetute “scaramucce”, la comunità sefardita chiese alla Corte Suprema di Israele di esprimersi al riguardo,
il quale organo giudicante, più volte (1972, 1982 e successive altre), si pronunciò a suo favore,
a patto però che le famiglie palestinesi rimanessero nelle loro case finquando ne avessero pagato l’affitto ai proprietari ebrei.


Dal 2001 – fino ad arrivare ai giorni nostri – iniziò la “stagione degli sfratti” e molte famiglie palestinesi,
non potendo (o meglio non volendo in alcuni casi) più pagare per la locazione,
si videro costrette ad abbandonare le proprie case anche a Sheikh Jarrah, presto occupate da nuovi inquilini, i coloni ebrei.

Le cause in tribunale divennero molteplici ma gli affittuari palestinesi non ebbero mai fortuna
in quanto le loro opposizioni presentate davanti alla Corte Suprema si rivelarono quasi sempre prive di fondamento,
perchè basate su documentazione giudicata presumibilmente inamissibile o non autentica dalla più alta istanza giudiziaria di Gerusalemme.

Tutto ciò non fece che alimentare il malcontento ancestrale delle comunità palestinesi verso gli ebrei
e, talvolta, Israele venne apertamente osteggiata anche dall’ONU che vedeva in queste azioni,
tipicamente contemplate (noi diremo) dal Codice Civile, un ostacolo nei confronti degli sforzi internazionali
invece diretti a creare le condizioni ottimali per negoziati fruttuosi nella Road Map per la pace.

Agli inizi di maggio 2021, in occasione dell’ennesimo rinvio di giudizio da parte della Corte Suprema
nelle ultime cause di sfratto rivolte ad alcune famiglie palestinesi del quartiere di Sheikh Jarrah,
la tensione salì alle stelle costringendo così la polizia israeliana ad intervenire per soffocare le violenze
venutesi a creare anche ad opera di attivisti internazionali e palestinesi intervenuti dall’esterno per impedire lo sgombero.


Contestualmente, nei giorni successivi, presso il Temple Mount, luogo sacro sia per i musulmani
che per la maggior parte degli ebrei e giusto in concomitanza con la Qadr Night (osservata dai musulmani)
e il Jerusalem Day (festa nazionale israeliana), i tafferugli quotidiani si sono trasformati rapidamente in scontri violentissimi con la polizia,
intervenuta per frenare le rivolte, e che ha procurato un numero imprecisato di feriti sia tra i palestinesi che tra le fila della Mishteret Yisrael.

Quale strategia di contenimento della tensione, la marcia programmata per il Jerusalem Day,
organizzata dai nazionalisti dell’estrema destra israeliana venne annullata,
così come venne rinviata di 30 giorni l’applicazione della sentenza della Corte Suprema in tema di sfratti.

Tel Aviv fu minacciata pesantemente di un’ulteriore escalation militare se non si fosse ritirata immediatamente dalla Spianata delle Moschee
e, non potendo questo avvenire per ragioni di ordine pubblico, a partire dalla sera del 10 maggio le sirene di allarme
cominciarono a risuonare a Gerusalemme come di rado era mai avvenuto, dando così inizio ai lanci dei razzi e missili su Israele
da parte delle organizzazioni terroristiche di Hamas e della Jihad islamica palestinese.
Ma c’è un’ulteriore variabile che spingerebbe a ricercare altrove le vere motivazioni del conflitto tra i palestinesi di Hamas e Israele.

Gli analisti internazionali dicono infatti che anche all’interno del mondo palestinese
si sta vivendo una profonda crisi politica e sociale ulteriormente aggravata dalla pandemia da Covid-19.

Le probabili cause sono legate all’intensa divisione interna tra le anime che costituiscono il panorama politico palestinese,
frammentarietà che ha determinato la preponderante ascesa di Hamas.

Sono ancora vive infatti le fasi dell’acceso confronto tra i due partiti maggioritari di Fatah e Hamas
e che hanno portato quest’ultimo a rovesciare l’Autorità Palestinese dai territori della striscia di Gaza
che governava all’indomani del ritiro di Israele nel 2005, diventandone da allora il principale garante politico e militare.

Da qui i due governi, quello di Hamas a Gaza e quello dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania, non sono più stati in grado di riconciliarsi.

A nulla sono valsi i tentativi di risolvere la spaccatura da parte dei paesi arabi più “moderati”
– in particolare Egitto e Arabia Saudita – in quanto né Hamas né Fatah hanno mai siglato
i numerosi accordi di riconciliazione firmati invece dai leader arabi
, di fatto allontanandosi sempre più da un percorso costruttivo comune.

Il mondo arabo è oltremodo esacerbato dai comportamenti violenti e guerrafondai di Hamas,
ma soprattutto è profondamente preoccupato del legame stretto venutosi a creare tra questi con la Turchia e l’Iran,
paesi che rappresentano una vera minaccia per tutti.


Infatti, oltre la crescente frustrazione dei leader arabi nei confronti dei palestinesi,
Egitto, Arabia Saudita, Iraq ed Emirati Arabi Uniti, sono sempre più concentrati sulle sfide a livello interno
dovute alla crisi politica, economica e sociale crescente, per di più peggiorata dalla pandemia da Covid-19
e, a livello regionale, monitorano da vicino le mire egemoniche di Turchia e Iran sul quadrante medio orientale e sul mediterraneo,
nazioni sempre più al centro della scena tra le potenze arabe dominanti.

Questo insieme di concause ha per così dire svalutato la questione palestinese dall’agenda politica del mondo arabo.

Lo provano alcuni fatti avvenuti nell’immediato passato.

Nel 2018 i paesi arabi non hanno avuto alcuna reazione quando l’amministrazione dell’ex-Presidente degli Stati Uniti d’America,
Donald Trump, ha trasferito l’ambasciata USA a Gerusalemme,
così come nel 2020 hanno accettato tacitamente il piano americano “Peace to Prosperity”
come base per i negoziati che hanno portato i principali leader arabi e Israele a firmare gli “Accordi di Abramo” alla fine dello stesso anno.
Il partito maggioritario di Fatah sta attraversando un momento topico di profonde divisioni al suo interno,
dato che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, giornalisticamente noto come Abu Mazen,
sta arrivando alla fine del suo mandato, e si è aperta dunque la corsa alla sua successione.


Per distrarre l’opinione pubblica dalle divisioni interne a Fatah,
e per fronteggiare l’indisturbato crescere dei consensi di Hamas
– soprattutto tra le giovani generazioni – Abbas ha giocato in un certo qual modo d’astuzia,
annunciando il 29 aprile l’annullamento delle elezioni previste invece per la fine di maggio,
perché in fondo preoccupato del fatto che in caso di scrutinio Hamas avrebbe certamente stravinto.

Naturalmente anche il resto del mondo arabo e gli stessi Stati Uniti hanno pressato Abbas
affinché si arrivasse ad un rinvio delle elezioni a data da destinarsi, per il bene comune e per la stabilità di questi territori.

Per giustificare il suo intendimento Abbas ha giocato la carta del nemico storico della causa palestinese, Israele.

Secondo le fonti ufficiali il rinvio delle elezioni era dovuto al fatto che Israele non avrebbe mai acconsentito che i palestinesi di Gerusalemme votassero.

Ciò non ha fatto che alimentare ulteriormente l’odio verso gli ebrei tanto che l’escalation di violenze non ha avuto più freni.

Abbas però non ha valutato (o forse sì) che Tel Aviv avrebbe reagito pesantemente ad un attacco militare nei suoi territori.

D’altro canto alimentare il conflitto con Israele serve anche ad Hamas per “lavare le coscienze” dei palestinesi tutti,
al fine di cancellare dalle loro memorie il pesante tributo di sangue versato dei propri fratelli – quelli dell’Autorità Palestinese –
che furono massacrati con fredda determinazione dai militanti durante il colpo di stato che ha portato Hamas al governo della striscia di Gaza.

Inoltre Hamas mira evidentemente a guadagnarsi l’appellativo di custode della fratellanza musulmana,
dove la resistenza armata è uno dei suoi pilastri fondamentali.

Hamas ora si vuole porre come difensore militare dei palestinesi e di Gerusalemme.

Ciò può essere un tornaconto per la sua immagine e ne aumenta la popolarità sia tra le nuove generazioni di palestinesi
che tra quei paesi del mondo arabo, come la Turchia e l’Iran, che lo supportano.

L’Iran sostiene sia Hamas che la Jihad islamica, li addestra, finanzia e fornisce loro le armi e il know-how militare
per produrre in autonomia razzi e missili che vengono usati contro gli obiettivi in Israele.

Per l’Iran Hamas e la Jihad (così come Hezbollah in Libano) sono delegati naturali per portare la sua egemonia a livello regionale
nel quadrante medio orientale, la così detta guerra per procura.

Ma Hamas e la Jihad palestinese hanno giocato male i propri piani per due ragioni.

Da un lato hanno fatto affidamento sul fatto che avrebbero potuto fare fronte alla rappresaglia scontata di Israele,
e dall’altro hanno creduto che la risposta armata di Tel Aviv sarebbe stata limitata ad un breve periodo di tempo
ritenendo che essi non avrebbero mai proseguito le ostilità durante le festività musulmane che coincidono con la fine del periodo di ramadan (13 maggio).


Mentre l’escalation prosegue e la distruzione di Gaza aumenta (in parallelo con la sua capacità militare)
si arriverà ad un punto dove i palestinesi si renderanno conto che Hamas li sta trascinando in un buio ed incerto futuro
e che dovrà affrontare d’ora in poi condizioni di vita sempre più difficili.

Hamas e la Jihad
non raggiungeranno mai un compromesso con Israele
visto che hanno come obiettivo
solo la morte e la distruzione dello stato ebraico,
ed è per questo che la comunità internazionale,
i paesi arabi moderati e gli stessi palestinesi
devono fermare questa follia promuovendo al contempo un processo di dialogo
e di compromesso che porti a soluzioni costruttive e produttive per tutti.
 

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