E COMUNQUE IO PARLAVO DA SOLA ANCHE PRIMA DEL COVID19 (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Per “deviare” l’indignazione popolare dalle inefficienze e dagli errori omicidi compiuti dal governo Conte,
una parte dei media si è inventata un “falso bersaglio”...

«Basta con le polemiche!».

Ormai ogni giorno il ministro Francesco Boccia chiede a tutti di abbassare i toni per poter lavorare tutti insieme a superare questa emergenza.

Il governo ha ora deciso di avviare una cabina di regia per la fase 2, coinvolgendo tre presidenti di Regioni:
il lombardo Fontana, l’emiliano Bonaccini e un terzo che potrebbe essere il siciliano Musumeci.

Non rispettano certo le invocazioni di Boccia i media che hanno scatenato un violento e preordinato attacco nei confronti della Regione Lombardia
(chiaramente per distrarre l’attenzione dalle colpe del governo).

Dal canto loro Fontana e l’assessore Gallera non possono fare altro che difendersi
(con dichiarazioni spesso ignorate) per chiarire il loro operato facendo spesso emergere le vere responsabilità, che sono del governo.

Se sulla questione coronavirus si decidesse di istituire una cattedra di Tecniche della disinformazione,
sicuramente andrebbe assegnata a Marco Travaglio, degno in questo di ricevere il Premio Pulitzer
per le inesattezze che riporta nei suoi editoriali, in cui da settimane attacca a testa bassa la Regione Lombardia,
il governatore Fontana e in particolare l’assessore Gallera (“reo” di poter scalzare Sala dalla poltrona di sindaco).

Perché questa campagna è stata lanciata per “motivi elettorali” come ha confessato lo stesso Travaglio
in uno dei suoi editoriali contro l’Ospedale della Fiera di Milano del 2 aprile.

Già il Nuovo Ospedale, sul quale non perde occasione di ironizzare, ma forse Travaglio è l’unico italiano
a dispiacersi che non sia pieno di malati bisognosi della terapia intensiva.

Tutto il resto d’Italia è contento perché vuol dire che la fase dell’emergenza sta passando, ma Travaglio no.

Evidentemente non ha idee dei drammi vissuti dagli Ospedali e dai medici in queste settimane,
quando affrontare l’emergenza significa decidere in tempi brevi chi salvare e chi no per mancanza di letti attrezzati.

Nessuno si è sognato di fare ironia sulle strutture preparate in altre regioni spendendo soldi pubblici
(mentre per l’Ospedale della Fiera sono stati spesi solo soldi di donazioni private).

Finché non si riuscirà a trovare un vaccino esiste anche il rischio di una ricaduta.

O Travaglio può garantire che non è così e che quindi il Nuovo Ospedale è inutile?

La cosa più paradossale è che, spesso, la smentita alle inesattezze del suo direttore viene da altri articoli pubblicati su “Il Fatto Quotidiano”.

Per esempio, l’altro giorno, in prima pagina, Travaglio, nel suo editoriale, rilanciava le accuse
mosse dai vertici dell’Ordine dei medici lombardi, elencandole una ad una pensando di scaricare la colpa sulla Regione
(operazione subito ripresa anche dal TG3 regionale).

Peccato che, invece, le accuse fossero rivolte soprattutto al governo.

A dirlo è Marco Lillo in un articolo che parte dalla prima pagina dello stesso giornale…

Certo che il direttore Travaglio poteva almeno leggerselo o leggere lo strillo interno che dice:

«Il governo proibisce i tamponi a chi non ha almeno 38 e una polmonite incipiente e vieta persino i test sierologici come quello fatto da me».

Un altro dei punti sollevato dai medici lombardi è relativo alla mancanza dei dispositivi di protezione.

Anche su questo tema “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato vari articoli che accusano il governo e la Protezione civile nazionale.

Per esempio il 25 marzo (mentre Travaglio, nel suo editoriale, ironizzava pesantemente su Bertolaso),
sempre in prima pagina veniva pubblicato: “Ritardo di 1 mese per i respiratori”, un dettagliato articolo di Alessandro Mantovani
che riportava le dichiarazioni del professor Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, sul fatto che, già ai primi di febbraio,
si era parlato di acquisti di ventilatori e mascherine mai acquistati.

Perché? «Dovranno spiegarlo il governo, i suoi consulenti e i dirigenti del ministero della Salute», conclude Mantovani.

Per oggi concludiamo con altre due perle “sfuggite” a Travaglio il 27 marzo (mentre lui sempre si scaglia contro Bertolaso).

Entrambe hanno un richiamo in prima pagina: “Il ministero era allertato già dal 5 gennaio. E nulla si mosse” di Davide Milosa
e “La video-rissa fra tre Regioni e Arcuri sui respiratori: Ce li compriamo noi” di Ilaria Proietti.

Il pezzo di Milosa cita vari documenti e inizia con queste parole:

«Due mesi e 21 giorni fa, il governo già sapeva, ma nulla è stato fatto.
Ai primi di febbraio addirittura si ha la certezza che SarsCov2 manderà al collasso le terapie intensive.
Mancano tre settimane al caos, ma la macchina istituzionale non parte».

Naturalmente l’operazione Salva-governo non finisce con gli attacchi di Travaglio
perché ci sono ancora altre tecniche di disinformazione relative, per esempio,
al protocollo utilizzato nell’ospedale di Alzano, all’ordinanza sulle case di riposo
e alla mancata attivazione della zona rossa nel bergamasco.
 

Val

Torniamo alla LIRA
C’è una precisa strategia dietro gli attacchi di Travaglio e compagni: salvare Conte... con le sue stesse armi: le omissioni e le falsità

Ormai Marco Travaglio ha perso ogni freno inibitore nella sua personale battaglia contro la Regione Lombardia arrivando ad affermare:

«Oltre alle vittime dell’epidemia impossibili da salvare, ci sono migliaia di persone condannate a morte
dalle scelte scellerate della giunta lombarda e delle sue autorità sanitarie».

Quindi Travaglio elenca le colpe e conclude riprendendo lo stesso concetto espresso dal nostro giornale contro Conte e il suo governo:

«E pazienza se tutto questo si chiama “epidemia colposa”. Lorsignori fingono di ignorare l’obbligatorietà dell’azione penale
in presenza di notizie di reato così gravi ed evidenti su una strage che evitare era impossibile, ma limitare era possibilissimo».

Infatti, è proprio sicuro Travaglio che i responsabili siano Fontana e Gallera?

Per esempio, per quanto riguarda i medici mandati allo sbaraglio senza protezioni, abbiano più volte dimostrato
(ma sono sotto gli occhi di tutti) le responsabilità del governo e della Protezione Civile nazionale.

Affrontiamo allora altri due capitoli.

LE CASE DI RIPOSO
Capitolo purtroppo doloroso, per l’alto numero di contagi e di morti riscontrati,
una tragica vicenda sulla quale diverse Procure hanno aperto indagini e la Regione ha varato una commissione d’inchiesta.
Travaglio si è già occupato della questione il 10 aprile scrivendo che se Fontana, Gallera e un altro esponente leghista
«si prendessero un po’ di riposo (…) la Lombardia si sarebbe risparmiata l’ordinanza che spediva nelle residenze per anziani
i degenti Covid dimessi dagli ospedali ma ancora contagiosi».

Chiaramente Travaglio in tal modo intende imputare loro gli anziani deceduti nelle case di riposo.

Ancora una volta, però, Travaglio avrebbe dovuto leggere attentamente un articolo pubblicato dal suo stesso giornale:

il Fatto Quotidiano
del 6 aprile a firma di Natascia Ronchetti: «Fontana alle case per anziani: “Prendetevi i malati di Covid”».

Titolo forte accompagnato da un occhiello molto esplicito: “Strage nelle Rsa. Incredibile delibera regionale l’8 marzo al culmine dei contagi”.

L’articolo della Ronchetti è un attacco alla Regione che, però, all’inizio riporta il passaggio chiave della delibera regionale.

Se lo avessero letto bene (sia Travaglio che la Ronchetti) avrebbero capito che la delibera:

«ordinava alle Ats, le aziende sanitarie, di fare una ricognizione dei posti letto disponibili per le cure extra-ospedaliere
e di individuare le Rsa dotate di “strutture autonome dal punto di vista strutturale e dal punto di vista organizzativo”
per l’assistenza a bassa intensità dei contagiati».

Siccome l’italiano è una lingua chiara si capisce che “strutture autonome” vuol dire palazzine isolate
che possano essere trasformate in “residenze Covid” senza nessun contatto con gli ospiti delle Rsa.

Questo era quello che chiedeva la Regione, non di mettere i malati di Covid nella stanza accanto agli anziani per favorire il contagio
come Travaglio vorrebbe far credere.

Per la cronaca, alla ricognizione richiesta dalla Regione hanno risposto positivamente alcune Rsa
che hanno messo a disposizioni padiglioni separati o strutture indipendenti in cui sono stati ospitati 150 pazienti Covid, senza alcun contagio per gli ospiti.

LA “ZONA ROSSA”
Altro attacco alla Lombardia riguarda la mancata istituzione della zona rossa nella bergamasca.

Per Travaglio: «La Lombardia si sarebbe risparmiata…. anche il pappa-e-ciccia Regione-Confindustria che ha bloccato la zona rossa ad Alzano e Nembro».

Falsità basata su un articolo del 9 aprile a firma di Giampiero Calapà che riporta le dichiarazioni
del presidente regionale di Confindustria, Marco Bonometti: «La Regione sempre con noi sul no a Nembro».

Calapà, però, cita una dichiarazione del 29 febbraio quando nella bergamasca non si era raggiunto il tasso di allarme, ma scrive:
«Opinione che rimarrà ferma almeno fino al 4 marzo, quando la Regione – secondo il governatore Attilio Fontana –
fa “pressione” sul governo, attraverso il proprio rappresentante del Comitato tecnico-scientifico».

Date e affermazioni sbagliate: già il 2 marzo il professor Brusaferro (presidente dell’Istituto Superiore di Sanità) avanza la richiesta di chiusura:
il 3 marzo le agenzie riportano le dichiarazioni di Gallera che fa sua la richiesta.
Tutti i giornali del 4 marzo (scritti il 3) e tra essi il Fatto Quotidiano e Repubblica scrivono chiaramente che:
«Il governo studia il possibile allargamento della zona rossa alla provincia di Bergamo».


Alla conferenza stampa del 4 marzo Gallera afferma che sulla zona rossa
«ci sarà una valutazione sui provvedimenti da assumere in serata da parte del governo.
Attendiamo la valutazione. Noi siamo pronti ad accogliere ogni misura, anche le più rigide».

Intanto nella bergamasca è stato dislocato un contingente di carabinieri pronti per bloccare la zona rossa.
Evidentemente qualcuno (chi?) ha dato l’ordine.


Il 5 marzo, a “Buongiorno Regione” su Rai 3, l’assessore Gallera afferma:
«Gli esperti dell’istituto Superiore di Sanità hanno fatto una richiesta in base ai dati epidemiologici.
Noi abbiamo dato il nostro assenso ma ora il governo deve fare le sue valutazioni».


Il governo, invece, non dà risposta, anzi, i Carabinieri vengono fatti rientrare (chi ha dato l’ordine?) e Alzano non avrà mai la sua zona rossa.

Quando, infine, scoppierà il caso, come suo solito, Conte cercherà di scaricare la responsabilità sulla Lombardia,
ma i militari chi li comanda? La Regione o il governo?

L’altro giorno a “Radio Anch’io” Gallera ha spiegato:

«Nembro e Alzano sono stati chiusi l’8 marzo insieme a tutto il resto della Regione.
Noi già il 2 marzo avevamo chiesto di chiudere. Noi non potevamo. (…)
Se il 2 marzo l’Istituto Superiore di Sanità ci dice di aver mandato un parere al governo per istituire la zona rossa
e il 4 marzo il governo manda i militari nell’area, io cosa devo fare? (…)
lo chieda al presidente Conte come mai ha mandato i militari e non ha emesso il provvedimento».


Davvero difficile quindi sostenere, come fa Travaglio, che la Regione abbia addirittura ostacolato la creazione della zona rossa.

Curioso silenzio, invece, per un’altra mancata “zona rossa”, quella di Piacenza, in Emilia-Romagna.

Qui, per Travaglio, non ci sono responsabilità di Bonaccini.

Allora di chi?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Perchè mi tocca sempre elogiare gli svizzeri ?

Da martedì saranno concesse timide deroghe alle aziende (consentiti sino a 10 dipendenti contemporaneamente sempre nel pieno rispetto delle regole,
dipendenti che scendono a 5 per le imprese impiegate nella cura del verde).

Da segnalare che ai valichi di confine sono stati sanzionati un centinaio di conducenti
che cercavano di entrare nel Cantone di confine senza “giusta causa”.

Nel consueto punto operativo della situazione, da Bellinzona, è stato posto l’accento anche su un altro aspetto,
quello delle seconde case, che ha creato ampio dibattito - ad esempio - in Val d’Intelvi, che confina con il Ticino.

“Chi vuole può recarsi in Ticino, non ci sono restrizioni. Anche se la guardia è molto alta, a partire dal Gottardo”,
hanno fatto sapere dal Consiglio di Stato.
 

Val

Torniamo alla LIRA
“Ancora prima dei contenuti del decreto sono inammissibili i modi e i tempi
nei quali si sceglie di comunicare alla cittadinanza ed alle imprese decisioni così determinanti,
nel mezzo di una crisi durissima che sta mettendo alla prova tutti noi
evidenzia il presidente di Confindustria Lecco e Sondrio.

Annunciare la sera del venerdì antecedente la Pasqua il prolungamento di misure restrittive
dalle quali dipende non solo l’attività delle imprese, ma la vita delle nostre comunità e il futuro del Paese,
denota una totale mancanza di rispetto e ci fa anche capire fino a che punto
la politica non abbia idea di cosa significhi gestire un’azienda,
che non si può aprire e chiudere pigiando un interruttore, e di cosa succeda dentro le fabbriche.

Per l’ennesima volta abbiamo la dimostrazione di quanto poco si conosca il sistema produttivo,
che è il pilastro della nostra economia, e di quanto se ne sottostimi il valore”.


“Nel merito, questa insensata agonia dei codici Ateco deve finire una volta per tutte.
Abbiamo definito protocolli di sicurezza molto stringenti, condividendoli con le rappresentanze dei lavoratori,
le aziende si sono impegnate ad applicarli e hanno dimostrato di saperlo fare, ma evidentemente si preferisce ignorarlo.

L’unico vero parametro che deve essere tenuto in considerazione è quello dei protocolli di sicurezza:
chi è in grado di garantirne l’applicazione rigorosa deve poter riaprire subito.
Se fermare la pandemia e salvaguardare la salute delle persone è l’obiettivo di tutti,
e noi imprenditori siamo i primi ad avere a cuore i nostri collaboratori, checché se ne dica,
allora prendiamo come punto di riferimento le pratiche che ci consentono di farlo e smettiamola di criminalizzare le imprese”.

“Trincerarsi dietro un elenco di codici non è la strada per uscire da questa crisi.
Tutelare la salute senza mandare in rovina il Paese è possibile.

Ma bisogna prendere in mano la situazione con cognizione di causa e
spingere sull’applicazione, che deve essere severissima, dei protocolli
che sono già stati individuati e condivisi”.
 

luca 1972

Forumer storico
Travaglio è una testa di xxx, anni fa lo vidi in una clinica privata, loro hanno i soldi , sputano veleno come le serpi poi ricorrono alla cliniche private per i cazzi loro. Per fortuna il suo giornale come i 5 stelle sono destinati all estinzione come i dinosauri dopo la cometa covid.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Leggete e Voi stessi sarete in grado di capire a quale livello di demenza siamo.
Naturalmente non c'è n'è uno che sappia cosa sia e come si faccia a gestire un'azienda.
Però - per il solito giornale leccakulo - sono "validi esperti".
L'unico che mi garba è quello della "salute mentale"..........ma per qualcun altro.

Economisti, manager, psicologi, giuristi, organizzatori del lavoro che affiancheranno il comitato tecnico scientifico
per rimettere in moto il Paese, superata la fase di emergenza economica.

La task force è formata da validi esperti, comprese le donne incaricate a studiare le soluzioni efficaci per uscire dalla crisi.

Coronavirus, la ricostruzione: gli esperti della task force
Ecco i nomi degli esperti in materia economica e sociale che faranno parte della Task Force
impegnata a ricostruire il Paese indebolito dalla crisi economica indotta dal Coronavirus.

A presiedere la Taskforce figura l'ex Super Manager della Vodafone Vittorio Colao.

Nella Task Force figurano:

  • Elisabetta Camussi, professoressa di Psicologia sociale all’Università degli Studi di Milano ”Bicocca”,
  • Riccardo Cristadoro, consigliere economico del presidente del Consiglio – Senior Director del Dipartimento economia e statistica, Banca d’Italia,
  • Roberto Cingolani, responsabile Innovazione tecnologica di Leonardo, Direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT),
  • Franco Focareta, ricercatore di Diritto del lavoro all’Università di Bologna ”Alma Mater Studiorum”,
  • Giuseppe Falco, amministratore delegato per il Sistema Italia-Grecia-Turchia e Senior Partner & Managing Director di The Boston Consulting Group (BCG),
  • Filomena Maggino, consigliera del presidente del Consiglio per il benessere equo e sostenibile e la statistica e professoressa di Statistica sociale, Università di Roma ”La Sapienza”,
  • Enrico Giovannini, professore di Statistica economica, Università di Roma ”Tor Vergata”,
  • Mariana Mazzucato, consigliera economica del presidente del Consiglio – Director and Founder, Institute for Innovation and Public Purpose, University College London,
  • Giovanni Gorno Tempini, Presidente di Cassa Depositi e Prestiti,
  • Enrico Moretti, professore of Economics at the University of California, Berkeley,
  • Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità,
  • Riccardo Ranalli, commercialista e revisore contabile,
  • Stefano Simontacchi, avvocato, presidente della Fondazione Buzzi,
  • Marino Regini, professore emerito di Sociologia economica all’ Università Statale di Milano,
  • Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’AUSL di Modena – Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica,
  • Raffaella Sadun, professor of Business Administration, Harvard Business School.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Un amico, qualche giorno fa, mi poneva alcune domande:

sento economisti affermare tesi completamente opposte, su ciò che va fatto.
A chi bisogna dare credito? Come faccio a capire chi ha ragione?

Il tema è quanto mai attuale, in queste difficili settimane di epidemia, di confusione,
di annunci e contraddizioni palesi nelle azioni di molti politici.

Proviamo a gettare un po’ di luce partendo da qui:

Nel nostro tempo la sventura consiste nell’analfabetismo economico,
così come l’incapacità di leggere la semplice stampa era la sventura dei secoli precedenti
” (Ezra Pound)

La nostra epoca (XXI sec) è iniziata con l’auspicio di essere l’era delle idee, dopo la caduta delle ideologie.
Una nuova stagione fertile di riflessioni da condividere attraverso gli strumenti tecnologi, per riuscire a risolvere,
almeno in parte, i problemi che attanagliano il mondo, e rendono la vita di molti difficile, al punto da chiedersi se valga la pena di essere vissuta.

Ci troviamo invece, troppo sovente, a parlare di analfabetismo, funzionale o meno,
rilevando che alla capacità massiva della comunicazione non corrisponde un livello qualitativo adeguato:
lo scambio d’opinioni è sconfitto dallo scontro tra fazioni.

Il sistema dell’informazione, sempre troppo schierato, non contribuisce a migliorare la situazione:
si evita di fornire al pubblico criteri per formulare giudizi critici.

Nella scuola le questioni economiche vengono toccate a livello universitario,
negli altri livelli di economia politica non si parla mai, se non in termini generici.

Proviamo a farci qualche riflessione.

In primo luogo occorre sfatare, magari definitivamente, un mito:

che l’economista sia un deus ex machina, sia il profeta, sia l’interprete assoluto, sia il “verbo”,
sia il predicatore errante che dispensa la verità ‘divina’.


Non è per cattiveria, nemmeno per disprezzo, nei confronti degli economisti, ma questo “mito”
è stato coltivato dai media per decenni, sino a diventare un luogo comune, un pre-giudizio:
ciò che dice l’economista è sempre qualcosa di sensato… perché lui sa!

Ci è stato sempre “nascosto”, nel dibattito pubblico, che la scienza economica, come tutte le scienze contemporanee,
implica una certa visione del mondo e della società.

I fisici, con la ricerca quantistica, hanno scoperto da tempo che l’osservazione implica una influenza su ciò che viene osservato.

Anche le contemporanee scienze sociali pongono l’attenzione sull’influenza dell’osservatore nella ricerca e nella conseguente formulazione delle teorie.

Presentare quindi l’economista come un soggetto asettico che esamina il mondo dentro un laboratorio sterile,
incontaminato, e osservato solamente con modelli matematici precisi, è una idea sballata non corrispondente al vero.

L’economista è un interprete del mondo, oltre a esserne studioso; la sua concezione dello stesso influenza la ricerca, e le sue conclusioni.

Un liberista ha una fede assoluta nel mercato che si auto regola, e vede nello Stato un soggetto terzo incomodo,
che deve svolgere pochissime mansioni, e sopratutto non deve intervenire nelle vicende dell’economia di scambio.

L’egoismo dei singoli è inteso come propellente per l’economia; la ricerca individuale della ricchezza materiale
rappresenta un bene per l’intera collettività che ne beneficia in conseguenza.
La libertà dell’individuo prevale su qualsiasi altra considerazione etica o morale.
Le scelte individuali sono sempre concepite come “razionali”.

Un neo-liberista ripone nella globalizzazione gestita con un sistema finanziario globale, privo di controlli,
la massima fiducia, ritenendola la migliore soluzione possibile per la diffusione della ricchezza.

Un Keynesiano ritiene, all’opposto, lo Stato svolga una funzione essenziale nel regolare il sistema economico;
esso deve intervenire (con la Spesa Pubblica, la gestione della moneta, e la Tassazione) per gestire i fallimenti del mercato,
che producono cicli di “alti e bassi”.
Durante i cicli bassi, lo Stato deve stimolare il sistema economico; durante i cicli alti,
deve intervenire per evitare che si creino scompensi troppo forti che possano provocare danni, come l’inflazione.

Un Monetarista vede nella gestione della quantità di moneta in circolazione lo strumento migliore per amministrare l’economia.
Nei momenti di recessione è necessario immettere moneta (stampandola e diffondendola);
all’inverso, nei momenti di troppa crescita economica, è necessario dragare liquidità dal sistema con la leva fiscale.

Questa è, ovviamente, una semplificazione. Me ne perdonino gli specialisti.

La storia dell’economia presenta molti studi, grandi intuizioni, e altrettanti grandi fallimenti.

Il crollo del 1929 ebbe tra le cause errori di analisi e l’assenza di una branca della scienza economica che sarebbe nata con Keynes: la macroeconomia.

La grande sfida che si trovarono ad affrontare gli economisti di allora era capire
come la somma dei comportamenti individuali conducesse a un risultato completamente diverso dalle aspettative.

L’esempio classico è quello del risparmio.

A livello del singolo individuo è un fattore positivo ma, se tutti risparmiano contemporaneamente
e nessuno si decide a spendere il proprio reddito, il sistema, a livello macroeconomico, entra in crisi:
non si acquistano più i beni prodotti, non circola moneta, le aziende non vendono, quindi licenziano,
quindi cresce la disoccupazione, quindi meno redditi disponibili con cui alimentare il sistema, quindi… spirale recessiva.


L’assegnazione del premio “Nobel” per l’economia (che viene chiamato così impropriamente,
perché non esiste la categoria per la fondazione Nobel, ma è un premio equivalente emesso dalla banca di Svezia),
è stata talvolta oggetto di forti critiche: non è stato assegnato ad alcuni economisti di valore, mentre altri lo hanno ricevuto per teorie piuttosto discutibili.

Per esempio: lo sapete che i due economisti che hanno inventato i “derivati”
(causa dei principali guai finanziari contemporanei) sono stati insigniti di questo premio?

E che quando l’hanno ricevuto erano a capo di una società finanziaria che operava con questi prodotti ed era già in passivo di 2 milioni di dollari?


Le premesse non erano granché.

«La guerra moderna, fortemente tecnologica, mira ad eliminare il contatto umano:
sganciare bombe da un’altezza di 15.000 metri permette di non sentire quello che si fa.

La gestione economica moderna è simile: dalla lussuosa suite di un albergo
si possono imporre con assoluta imperturbabilità politiche che distruggeranno la vita di molte persone,
ma la cosa lascia tutti piuttosto indifferenti, perché nessuno le conosce
” (*)


Il punto centrale della domanda iniziale del mio amico è domandarsi, di fronte ad un economista, a quale “filosofia” appartenga.

Qual’è il suo reale pensiero sulla società, come pensa debba essere prodotta la ricchezza,
quale deve essere il ruolo dello Stato, e, non meno importante, come dovrebbe essere distribuita la ricchezza prodotta.

L’Unione Europea è l’emblema delle contraddizioni causate dall’avere assunto una filosofia economica di stampo neo-liberista,
avendo escluso dal dibattito sia i cittadini, sia gli economisti “critici” che avevano individuato i problemi che si sarebbero generati.

“[…]Sebbene l’euro fosse un progetto politico, la coesione politica -specie attorno al concetto di delega dei poteri dai paesi sovrani all’UE –
non è stata sufficiente a creare istituzioni economiche che avrebbero dato alla moneta unica una possibilità di successo.
Inoltre i fondatori dell’euro si sono ispirati a un sistema di idee e concetti sul funzionamento dell’economia che, sebbene in voga all’epoca,
erano semplicemente sbagliati.
Credevano nei mercati, senza però conoscerne i limiti e ciò che occorre per farli funzionare.
La fiducia incrollabile nei mercati viene talvolta definita fondamentalismo o neoliberismo.
[…] Sebbene quasi ovunque nel mondo il fondamentalismo di mercato sia caduto in discredito,
specie all’indomani della crisi finanziaria del 2008, queste idee sopravvivono e continuano a trovare propugnatori in Germania,
potenza dominante dell’eurozona. Immuni a qualsiasi prova contraria […] hanno assunto i contorni di un’ideologia. […]” (*)


Oggi il dibattito tra MES, Eurobond, Elicopter Money, è il sintomo di questa illusione.

C’è chi vorrebbe proseguire sulla linea della rigidità dei parametri (austerità)
per costringere i paesi su binari predefiniti che favoriscono la finanza internazionale e le speculazioni, piuttosto che i cittadini.

Invece c’è chi sostiene che, in tempi di recessione, l’austerità aggrava la situazione,
se non si permette allo Stato di spendere per stimolare l’economia.

Il caso dell’Italia è emblematico: da 25 anni il paese è in ‘avanzo primario’, ovvero spende meno
(per i servizi, il welfare, gli stipendi, le pensioni, i contribuiti) di quanto incassa.


E sappiamo quanta diminuzione nei servizi questo ha comportato: abbiamo sotto gli occhi gli effetti devastanti
che l’austerity hanno prodotto sul Sistema Sanitario Nazionale.

L’avanzo primario (Spese – Tasse) viene completamente assorbito dagli interessi passivi sul Debito Pubblico.

Quindi tutti i “nostri” sacrifici vengono ingoiati dal sistema finanziario,
anche se parte di questi interessi tornano nelle tasche di cittadini italiani che detengono titoli di stato.

Il punto è che lo Stato non può finanziare la spesa pubblica (perché le risorse sono assorbite dagli interessi,
e non può stampare moneta perché privato della sovranità) per stimolare l’economia.

Senza questo stimolo (bloccato dai principi dell’austerity) il PIL stenta, e i parametri Deficit/Pil,
e Debito/Pil sono insoddisfacenti perché il denominatore non aumenta.

Insomma un circolo vizioso creato dalle burocrazie europee che hanno sposato in toto la filosofia neoliberista
che ripone fiducia cieca nel mercato e pretende libertà assoluta per i mercati finanziari.


Gli accordi di Maastricht si preoccupano della stabilità dei prezzi, e dell’inflazione, come sufficienti per garantire il benessere.

Attenzione: quando parliamo di spesa dello Stato dobbiamo sicuramente fare altre riflessioni su quale tipo di spesa sia opportuno fare.

In Italia siamo abituati a parlare di Debito Pubblico in termini quantitativi assoluti, mai in termini relativi alla “qualità” del debito,
cioè a come impieghiamo realmente i soldi.

Le iniziative utili sono quelle che consentono l’effetto moltiplicatore della spesa:
ogni euro che investo viene messo in circolazione e produce ricchezza passando per diverse mani.


Di certo questo non accade se la spesa diventa eccessiva e a beneficio di pochi,
o la moneta viene trattenuta da alcuni, oppure buttando soldi in opere inutili o mal progettate..

Come uscirne? Ci sono difficoltà in merito.

Primo perché occorre cambiare paradigmi di politica economica.

Secondo perché l’informazione che arriva al pubblico è imbevuta delle teorie pro-euro.

Terzo perché queste teorie, corrispondono a un progetto politico elitario di gruppi sociali che possiedono anche i mezzi di informazione.

Altro che gli spot sull’informazione seria, degli editori “seri” di cui infarciscono la Tv in questo periodo!

Nelle ultime 48 ore abbiamo avuto l’esempio di un dibattito economico più dedicato ad alimentare fazioni,
e soddisfare le necessità elettorali, che a promuovere soluzioni concrete.

Il documento dell’Eurogruppo è piuttosto indicativo di un linguaggio politichese che rimanda le decisioni e cerca di accontentare tutti i membri.

Però l’Italia non è riuscita a far escludere il MES come strumento di finanziarizzazione degli stati (perché lo vogliono Germania e Olanda).
Quindi non c’è nulla di deciso, ma non c’è nemmeno da festeggiare.

Ciò che vorrebbe il nostro governo è previsto, così come lo è il MES,
e sono strumenti insufficienti a cui si oppongono gli stessi che sono favoreli al MES.

Ciò di cui non si è ancora discusso, sarebbe l’ipotesi di immettere liquidità nel sistema
in modo da non aggravare i debiti delle aziende, e dell’intero paese; dal momento che la crisi,
e la conseguente recessione, avvengono in una condizione di eccezionalità.

Il MES è uno strumento molto pericoloso, che consegnerebbe il paese in mano a un organismo
che esautorerebbe le istituzioni italiane provocando ciò che è già accaduto in Grecia.

Le soluzioni alternative ci sono.

Ma i tempi sono stretti e l’impegno dei leader europei sembra essere molto più rivolto a regolare
la propria situazione politica interna che essere consapevoli della drammaticità della situazione, e delle conseguenze.

Speriamo di cavarcela.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Più che di fragilità delle teorie economiche parlerei di ricorrente inconsistenza, quando queste teorie non diventano dannose.

Il peggio che possa capitare ad uno stato è essere guidato da un'economista.

L'economia oltre a non essere una scienza esatta, perché per sua natura non potrebbe mai esserlo,
se andiamo a togliere gli aspetti meramente contabili e le tecniche a questi legate, l'economista corrisponde a una mina vagante.

La validità di un economista, quando dotato d’intelligenza e buona tecnica, e strettamente legata al politico che riesce a dargli l’input giusti.

Il buon economista è colui che, in base ai tempi, contesto, equilibri geopolitici, riesce a ottimizzare risorse reali, potenziali e disponibili, col massimo equilibrio.

Quindi il buon economista ha senso e valore se è in grado di seguire un progetto politico ben definito.

In tutti gli altri casi è portato a verificare, sempre sulla pelle degli altri, le sue teorie che il più delle volte sono nefaste.

Questo è dimostrato dal fatto che, storicamente, non si ha memoria positiva di nessun economista come statista operativo.

Molti dei nostri problemi derivano dall'aver dato più spazio del necessario agli economisti.

Mai gli economisti al potere, sempre, quando sono sufficientemente capaci e evoluti, come supporto del potere politico.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il problema è l’uso politico della paura.

Perché oggi, padrona incontrastata della scena pubblica e dei sentimenti privati,
è la paura della pandemia, del contagio, di questo nemico invisibile e feroce che si può nascondere dovunque
e d’improvviso può assalirti e condannarti in poche ore a una morte atroce, solo come un cane.

Una paura di tutto un popolo (e di quasi tutto il mondo) come mai si era vista serpeggiare fra la gente.

Ma, attenzione, c’è un’operazione politica in corso in Italia che fa leva proprio su questa ansia collettiva.

La tentazione del potere di usare la paura c’è sempre stata, come spiegava anni fa Zygmunt Bauman:

«Di sicuro la costante sensazione di allerta incide sull’idea di cittadinanza nonché sui compiti ad essa legati,
che finiscono per essere liquidati o rimodellati. La paura è una risorsa molto invitante per sostituire la demagogia
all’argomentazione e la politica autoritaria alla democrazia. E i richiami sempre più insistiti alla necessità di uno stato di eccezione vanno in questa direzione».

Queste parole di Bauman fanno pensare all’Italia oggi alle prese con l’epidemia da coronavirus.

Un insigne giurista, Claudio Zucchelli (fino a pochi mesi fa presidente della sezione normativa del Consiglio di Stato),
in un suo intervento, giudicava «molto dubbia» la «costituzionalità» dei Dpcm e delle ordinanze emanate a causa del Covid-19,
«avendo essi limitato diritti fondamentali costituzionali».


Infatti si può incidere su quei diritti «in caso di emergenza purché le limitazioni scaturiscano dal rispetto delle forme cioè della sovranità popolare»
che si esprime nel Parlamento.

È vero che – dopo molte critiche in questo senso – «il governo ha presentato al Parlamento un decreto legge (n. 19 del 2020)
con il quale ha creduto di aggiustare la situazione».


In realtà, spiega Zucchelli, «nulla è cambiato, perché il Dl enumera e descrive tutte le misure restrittive
già contenute nei precedenti Dpcm, ma non le adotta, delegandole al presidente.
È questi che decide sulla esistenza o no dello stato di eccezione, non il Parlamento.
Ma chi ha il potere di decidere lo stato di eccezione e sospendere il diritto, possiede la sovranità,
e dunque la sovranità si sposta dal popolo al presidente».


Zucchelli spiega: «Questa è la violazione avvenuta in questa contingenza perché sono stati accentrati nelle mani del governo
il potere normativo e quello esecutivo. Situazione dalla quale metteva in guardia Montesquieu.
Il drammatico dubbio è quindi che con il pretesto della emergenza, si tenti di cambiare il volto stesso della democrazia occidentale,
andando verso una democrazia autoritaria, ossimoro che cela una nuova forma di Stato autoritario».


Proprio per la paura dilagante in queste settimane tutto un popolo ha accettato senza la minima obiezione
qualcosa che sarebbe stato impensabile fino a pochi giorni fa:

la forte limitazione della nostra libertà personale,

la rinuncia ai nostri legami sociali e addirittura

la prospettiva prossima del baratro economico.

Il paese vive questa generale condizione di paralisi come ipnotizzato.

Senza ancora rendersi conto precisamente di cosa sta accadendo.

Ma perché Conte ha deciso quella forzatura?

La via naturale sarebbe stato un serio dibattito parlamentare con il coinvolgimento di tutte le forze politiche nel governo
per avere l’unità del paese e renderlo più forte in questa battaglia terribile.
Ma questo avrebbe significato rimettere in gioco il centrodestra (che è maggioranza nel paese)
e Salvini (che Conte detesta) e probabilmente avrebbe portato pure all’accantonamento di Conte.

Perciò l’attuale premier – che sta a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare –
con i suoi strateghi ha scelto la via opposta, intravedendo in questa emergenza nazionale
la grande occasione per darsi un’immagine da leader.


Ha dunque varato una sorprendente operazione politica.

Si è preso un ruolo esorbitante invadendo Tv e altri media e diventando l’unico attore sulla scena,
non avendo voluto neanche nominare un Bertolaso per l’emergenza (pure il Consiglio dei ministri è evaporato).

È diventato un uomo solo al comando e si è proposto come il Grande Rassicuratore della gente impaurita dall’epidemia.

Gli errori fatti da lui e dal suo governo da fine gennaio, quando è scattato l’allarme, nella gestione dell’emergenza,
sono davvero grandi (da quelli sulla Lombardia, alle preziose settimane di febbraio perse senza far nulla,
dalla mancanza di attrezzature di protezione, perfino negli ospedali, fino alla carenza di cure a domicilio per i positivi).

Ma paradossalmente e inspiegabilmente tutto questo non sembra suscitare (ancora) indignazione.


Perché fra la gente la ragione critica è oggi totalmente soffocata dalla paura.

Perché?

Lo ha spiegato bene Marco Gervasoni nel suo pamphlet, “Coronavirus: fine della globalizzazione” (con Corrado Ocone):

«Quando c’è la paura – e l’epidemia è uno dei fattori che più la scatena – l’essere umano è pronto a rinunciare a tutto, pur di salvare la vita.
Quando l’uomo ha paura ha bisogno sì di un capo. Ma di un capo che lo rassicuri, non che crei ulteriore paura o ansia…
quando l’uomo ha paura di morire si affida a chi può dargli maggiore certezze.
Per questo inevitabilmente, sul breve periodo (che però non sappiamo quanto potrà essere lungo)
la crisi mondiale favorirà chi al potere già ci sta».


Il bisogno collettivo di rassicurazione si vede bene nel successo del più sciocco slogan del secolo: “Andrà tutto bene”.

Si contano i morti a migliaia ogni giorno, ma la gente ha bisogno di qualcuno che – come ai bambini – ripeta: non preoccuparti, andrà tutto bene.

Contro ogni evidenza, perché questo non è il momento della razionalità.

Conte si è inserito in questa ondata di paura, per rispondere a tale bisogno di rassicurazione,
come unica autorità in campo (sostenuto da Mattarella e Bergoglio) e lo ha fatto ostentando appunto paterna protezione.

Così è cresciuto in popolarità. Il suo progetto politico punta al Quirinale.

Ma è difficile che un governicchio così debole e minoritario possa superare l’enorme scoglio rappresentato dal crollo della nostra economia
(a fine aprile arriveranno i primi dati e saranno terrificanti).

Di fronte a quella situazione drammatica s’imporrebbe la necessità di un governo di unità nazionale,
che fosse largamente maggioritario in Parlamento e nel paese, ma sicuramente si accamperanno le solite scuse:

«Non si può fare una crisi di governo in questa situazione di emergenza e tanto meno si possono fare le elezioni».

Allora salta fuori dal cilindro l’idea di un direttorio di illuminati che affiancherebbero il premier per “salvare” il paese dal tracollo totale.

Nei giorni scorsi una falsa notizia attribuita all’Ansa (che ha subito fatto denuncia),
parlava di colloqui fra le alte istituzioni su una «task force per la ricostruzione»
e si facevano i soliti nomi di Draghi, di Cassese e di Amato.

«Notizia falsa, ma in fondo verosimile», ha commentato “Lettera 43″.

Chi l’ha fabbricata potrebbe aver orecchiato idee che circolano nell’aria.

Qualcuno sospetta che alcuni di quei nomi siano stati fatti per essere “bruciati”.

Quella via sarebbe una sorta di commissariamento della Repubblica, che passerebbe in modo indolore fra la gente attanagliata dalla paura
e – anche – dal dramma economico. La paura e l’emergenza permettono tante cose.

In fondo le prove generali sono appena state fatte in questi giorni.

Il rischio, come scrive Zucchelli, è che «con il pretesto della emergenza,
si tenti di cambiare il volto stesso della democrazia occidentale, andando verso una democrazia autoritaria».
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sarà l’insano periodo in corso, saranno gli effetti della reclusione forzata,
saranno i danni collaterali del bombardamento televisivo,
fatto sta che ieri ho voluto fare un esperimento:

provare a immaginare che significhi essere un dirigente del Partito Democratico.

Avete presente quel film di qualche anno fa dal titolo bizzarro: “Essere John Malkovich?”.

Ecco, uguale. Essere un dirigente del PD, provare a vedere il mondo con i suoi occhi, leggerlo con la sua “sensibilità”,
“capirlo” e perfino “accettarlo”. E credetemi: ce l’avevo quasi fatta.

Voglio dire, per qualche ora il mio training autogeno mi ha talmente condizionato i neuroni e l’umore
da rendermi in grado di fare cose assurde (per un essere umano normale):

tipo trovare “progressisti” gli editoriali di Alesina & Giavazzi

oppure

commuovermi al riso viperino della Lagarde

o, infine,

pensare a Gentiloni come a un uomo di Stato.

Come ci sarò riuscito, vi chiederete. Be’, è difficile da spiegare.

Quando ti immedesimi nella parte, cominci ad avvertire una specie di soporifera rassegnazione al flusso del tutto.

Una sorta di orientale resa all’esistente. Non c’è più nulla da capire, nulla da cambiare, nulla da sapere.

E c’è tanta quiete, lì dentro, non si sente volare una mosca nell’ovattato “riposo” che c’è:
un silenzio claustrale, non vorrei dire proprio un vuoto, ma insomma qualcosa di simile al contenuto di un uovo pasquale.

La complessità malmostosa del reale si dipana, e il mondo si fa semplice, e piano,
proprio come gli arcobaleni colorati nei disegni di un fan di Greta Thumberg.

Tutto ha perfettamente senso, ogni cosa è al suo posto e c’è un posto per ogni cosa.

Nella mente di un uomo di punta del PD tutto è lindo, specchiato, pulito.

Si bada solo a strascicare le babbucce sul linoleum per non turbare i Mercati e le borse,
e si bisbiglia a bassa voce per non svegliare la siesta della Commissione europea.

Ad ogni buon conto, ero ormai così compreso nella parte da temere di essermi perso per sempre quando è accaduto qualcosa.

Compulsando il mio smartphone, mi sono imbattuto in una stupefacente dichiarazione del leader del PD, Nicola Zingaretti.

Egli ha testualmente dichiarato:

“Bene le scelte della Commissione europea e della Banca Centrale europea per fronteggiare l’emergenza Corona virus.
Ora è chiaro a tutti. Al contrario di tante sciocchezze dette in questi anni, la verità è che senza Europa non ce l’avremmo mai fatta
”.

Ero quasi riuscito a riprendere il controllo quando Luigi Zanda, tesoriere del partito, mi ha assestato un uppercut:

“Per far fronte al nostro fabbisogno straordinario senza far esplodere il debito pubblico
potremmo dare in garanzia il patrimonio immobiliare di proprietà statale (…), ministeri, teatri, musei”.


Eroicamente, mi ero rialzato, giusto in tempo per il colpo del ko.

Quando Graziano Del Rio ha rivendicato con orgoglio l’idea di aumentare le tasse agli italiani.

“Delirio o Del Rio?” mi sono detto, ed entrambe le prospettive anagrammatiche mi atterrivano.

Questione di un attimo e qualcosa si è spezzato nell’equilibrio faticosamente raggiunto del mio essere un dirigente del PD
o, se preferite, del dirigente del PD che si era impadronito del mio essere.

E allora mi sono chiesto:

come può un partito partire da Antonio Gramsci e arrivare a Nicola Zingaretti, a Luigi Zanda e a Graziano Del rio?

Come possono, i dirigenti del PD, conciliare le loro menti con quella di Gramsci
(con tutto il rispetto per la parola “mente”, e anche per il cognome “Gramsci”)?


Vorrei potervi rispondere, ma non lo so.

Sono uscito appena in tempo dalla testa di un dirigente del PD.

E il mio cervello si rifiuta di rientrare.
 

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