Domanda: Cipro è un modello europeo o uno scenario? (1 Viewer)

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Allarme rosso: stanno per mangiarsi tutte le nostre banche

Scritto il 20/5/13 • nella Categoria: segnalazioni





Allarme rosso: stanno per “mangiarsi” le nostre banche, prosciugando i conti correnti a tutto vantaggio dei colossi della finanzia mondiale. Ossigeno e denaro vero – il nostro – per tamponare la maxi-falla di Wall Street. Lo lascia intendere il nuovo piano di “salvataggio” messo a punto dal Canada, che prevede che in caso di crisi ai risparmiatori sia prelevato il denaro sul conto, lasciando loro solo un pugno di azioni-spazzatura.

Lo afferma il professor Michel Chossudovsky, professore emerito di economia all’università di Ottawa e direttore del centro ricerche sulla mondializzazione “Global Research”.

La ricapitalizzazione delle banche cipriote? Solo un prova generale di quello che ci attende. E’ possibile prevedere un “furto dei risparmi” in seno alla Comunità Europea e in Nord America in grado di portare alla confisca completa dei depositi bancari? E’ quello che starebbe per succedere a livello planetario, grazie a una manovra che coinvolge la banca centrale del Canada, Wall Street, la Goldman Sachs, il Fmi e la Bce.


Cipro come semplice test?

Sull’isola mediterranea il sistema dei pagamenti è stato completamente perturbato, provocando l’affondamento dell’economia reale: pensioni e salari non vengono più erogati e il potere d’acquisto si è inabissato. La popolazione cipriota, un milione di persone, è stata impoverita. E le piccole e medie imprese rischiano il fallimento.



Che cosa succederà se si “rasa” in questo modo il sistema bancario dagli Stati Uniti al Canada, fino all’Unione Europea? Secondo l’Iff, l’Institute of International Finance, con sede a Washington, «l’approccio cipriota che consiste nello sfruttare i depositi e i crediti quando le banche sono in situazione critica diventerà probabilmente un modello per fare fronte ai crolli in Europa».

Attenzione: «I potenti attori finanziari che hanno innescato la crisi bancaria a Cipro – avverte Chossudovsky – sono anche gli architetti delle misure di austerità socialmente devastanti imposte in seno alla Unione Europea e in America del Nord».
Domanda: Cipro è un modello o uno scenario?

Ovvero: questi importanti attori della finanza hanno delle “lezioni da impartire” che possono essere applicate a uno stadio ulteriore della situazione bancaria dell’Eurozona?

Sempre secondo l’Iff, “attaccarsi ai depositi” potrebbe diventare la “nuova norma” di questo progetto diabolico, utile agli interessi dei gruppi finanziari mondiali.

Fmi e Bce approvano.

E per i portavoce dell’élite finanziaria, «sarà opportuno per gli investitori considerare le conseguenze a Cipro come un riflesso del modo in cui le future tensioni saranno trattate».

Si tratta di un clamoroso processo di “pulizia finanziaria” mondiale, spiega Chossudovsky, attraverso cui le banche europee e nordamericane “troppo grosse per fallire” (Citigroup, Jp Morgan Chase e Goldman Sachs) contribuiscono a destabilizzare le istituzioni finanziarie di dimensioni inferiori con l’obiettivo di prendere presto o tardi il controllo di tutto il sistema bancario.


Si tende quindi a centralizzare e concentrare il potere bancario, processo che comporta il vistoso declino dell’economia reale. Le ricapitalizzazioni, spiega Chossudovsky in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”, sono già state previste in passato in numerosi paesi: in Nuova Zelanda un “piano di attacco” era stato progettato nel 1997, in parallelo alla crisi finanziaria asiatica.

Esistono precise clausole sulla confisca dei depositi nei paesi anglosassoni, in base a cui i fondi delle banche in difficoltà sarebbero trasformati in “capital action”: «Questo significa che il denaro confiscato dai conti bancari sarà utilizzato per rispondere agli obblighi finanziari della banca in difficoltà».
In compenso, i detentori dei depositi bancari confiscati diventerebbero azionisti di una istituzione finanziaria in crisi al limite del fallimento: «Dall’oggi al domani, i risparmi saranno trasformati in un concetto illusorio di proprietà di capitale».


La confisca dei risparmi sarà adottata sotto la forma di “compensazione” fittizia in azioni. Si prevede l’applicazione di un processo selettivo di confisca dei depositi bancari con il fine di coprire i debiti provocando la scomparsa delle istituzioni finanziarie “più deboli”. Negli Stati Uniti, la procedura eluderà le clausole della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), che assicura i titolari di depositi contro i fallimenti bancari. Nessuna eccezione è prevista per i “depositi assicurati” degli Stati Uniti, inferiori ai 250.000 dollari.

«Difficilmente può trattarsi di una omissione, dal momento che ad emettere questa direttiva è la stessa Fdic, una compagnia di assicurazioni sostenuta dai premi pagati dalle banche private». La direttiva si chiama “processo di risoluzione”, definita come un piano “da applicarsi in caso di fallimento di un assicuratore”. La sola menzione dei “depositi assicurati” è legata alla legislazione vigente nel Regno Unito e che la direttiva firmata da Fdic e Bank of England qualifica inadeguata, intendendo che deve essere modificata se non superata.

E i titolari del deposito? Non sono eleggibili alla copertura dell’assicurazione, «perché viene data loro una falsa compensazione».


La dichiarazione più candida della confisca dei depositi bancari come mezzo di “salvataggio delle banche”, continua il direttore di “Global Research”, è formulata in un documento pubblicato recentemente dal governo canadese, il “Piano d’azione economica 2013. Occupazione, crescita e prosperità a lungo termine”, presentato al Parlamento dal ministro delle finanze Jim Flaherty il 21 marzo 2013. Una sezione del rapporto, intitolata “Instaurare un panorama di gestione dei rischi per le banche nazionali importanti a livello di sistema”, identifica la procedura di ricapitalizzazione per le banche commerciali canadesi. Il termine “confisca” non è menzionato, e il gergo finanziario «serve a oscurare le vere intenzioni, che consistono essenzialmente nell’impossessarsi dei risparmi dei cittadini», in virtù del progetto canadese di “gestione dei rischi”. Stessa musica: con procedura speciale, le banche sarebbero ricapitalizzate tramite una conversione-lampo, in fondi propri regolamentari, di diverse “passività”. Ovvero: i soldi che la banca deve ai propri clienti depositari sarebbero confiscati in cambio di azioni “carta straccia”, data la situazione di crisi dell’istituto di credito.
Le risorse confiscate, aggiunge Chossudovsky, saranno in seguito utilizzate dalla banca per onorare i propri impegni con le grandi istituzioni finanziarie creditizie. «In altre parole, questo piano è una “rete di sicurezza” per le banche “troppo grosse per poter fallire”, un meccanismo che permetterebbe loro, in quanto istituti di credito, di eclissare le istituzioni bancarie di dimensioni minori, casse di risparmio incluse, contribuendo al loro declino e assumendone il controllo». Il programma di gestione di rischio e di ricapitalizzazione è cruciale per tutti i canadesi: una volta adottato dalla Camera dei Comuni nel quadro della finanziaria, le procedure di ricapitalizzazione potranno essere applicate dal governo conservatore. Il pericolo non è considerato imminente, date le forti perdite che il sistema bancario canadese ha accumulato coi “derivati” di Wall Street, ma i timori si concentrano sul prossimo futuro: le cinque maggiori banche – Banque Royale du Canada, Td Canada Trust, Banque Scotial, Banque de Montreal e Cibc, con potenti associate che operano nella finanza statunitense – consolideranno la loro posizione a discapito delle altre banche e delle istituzioni finanziarie minori, quelle che sostengono l’economia reale.
La strada sembra segnata: concentrare i grandi capitali in pochissime mani. «C’è un importante circuito di oltre 300 casse di risparmio e di credito e di banche di credito cooperativo a livello provinciale – spiega Chossudovsky – che potrebbe essere il bersaglio delle operazioni selettive di “ricapitalizzazione”». Nel mirino le regioni-chiave dell’economia canadese e quelle più interne, dal Quebec all’Ontario, da Vancouver all’Alberta. Si chiama Credit Union Central of Canada: sono organismi finanziari vitali, spesso cooperativi e su scala provinciale, che «hanno una relazione di governance con i loro membri e offrono attualmente una alternativa ai cinque grandi istituti bancari». Cadranno presto, perché anche il Canada ha deciso che la ristrutturazione del suo sistema bancario sarà “allineata alle riforme apportate in altri paesi e alle principali norme internazionali”. Non lascia dubbi il modello di confisca dei depositi suggerito nel documento del governo: è conforme a quello delineato negli Stati Uniti e nell’Unione Europea.
Ad oggi, precisa Chossudovsky, questa ipotesi è un “punto di discussione” (a porte chiuse) nei diversi summit internazionali che riuniscono i governatori delle banche centrali e i ministri delle finanze. Benché presieduto dal governatore della banca centrale del Canada, Mark Carney, che il governo britannico ha recentemente nominato capo della Banca d’Inghilterra, l’ente supremo di regolamentazione è il Csf, Consiglio di Stabilità Finanziaria, con sede in Svizzera. Carney ha giocato un ruolo-chiave nell’elaborazione delle clausole di ricapitalizzazione per le banche canadesi. E prima di approdare nel mondo delle banche centrali, aggiunge il direttore di “Global Research”, lo stesso Carney era membro del direttivo della Goldman Sachs, dove «ha svolto un ruolo nei retroscena per la creazione dei piani di salvataggio e delle misure di austerità nell’Unione Europea». Tutt’altro che rassicurante il mandato del Csf: coordinare le procedure di ricapitalizzazione, insieme alle “autorità finanziarie nazionali” e gli “organismi internazionali di normalizzazione”, fra cui il Fmi.

Nei piani di salvataggio, il governo trasferisce una porzione significativa dei proventi dello Stato alle istituzioni bancarie in crisi. Negli Stati Uniti, ricorda Chossudovsky, nel 2008-2009, un totale di 1450 miliardi di dollari è stato convogliato alle istituzioni finanziarie di Wall Street nel quadro dei piani di salvataggio di Bush e Obama. Piani considerati de facto come delle spese governative, e che necessitano del clima di emergenza che produce misure di austerità: «I piani di salvataggio come il drammatico incremento delle spese militari sono finanziati dalla riduzione draconiana dei programmi sociali, come Medicare, Medicaid e della sicurezza sociale». Contrariamente al piano di salvataggio, finanziato dal Tesoro pubblico, la “ricapitalizzazione” implica invece la confisca (privata) dei depositi bancari, senza quindi l’utilizzo di fondi pubblici.
All’inizio del primo mandato di Obama, gennaio 2009, era stato annunciato un piano di salvataggio bancario da 750 miliardi di dollari, che si aggiungeva a quello di altri 700 miliardi, creato dall’amministrazione Bush. In tutto, i due programmi raggiungono la somma astronomica di 1.450 miliardi di dollari finanziati dal Tesoro degli Stati Uniti. A questa somma si aggiungeva il peso stupefacente allocato per il finanziamento dell’economia di guerra di Obama (2010), 729 miliardi di dollari. I piani di salvataggio, insieme alle spese della difesa (2189 miliardi di dollari) inghiottirono dunque la quasi totalità degli introiti federali, che si dimensionarono sui 2381 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2010. Conclusione: «Quello che sta succedendo è che i salvataggi bancari non funzionano più». O meglio: ci si sta orientando verso il “prelievo forzoso” del risparmio privato. «Gli strati sociali a basso e medio reddito, invariabilmente indebitati, non saranno le vittime principali. L’appropriazione dei depositi bancari colpirà essenzialmente dalle classi medio alte in su, che possiedono depositi bancari significativi. I conti bancari dei piccoli e medi imprenditori saranno colpiti in seguito».
Questa transizione, sostiene Chossudovsky, fa parte della crisi economica e della criticità soggiacente alla applicazione delle misure di austerità. «L’obiettivo degli attori finanziari internazionali è quello di annientare i concorrenti, di consolidare e centralizzare il potere bancario, di esercitare un controllo preponderante sull’economia reale, le istituzioni governative e l’esercito». Anche se i piani di ricapitalizzazione fossero regolamentati e applicati in maniera selettiva a un numero limitato di istituzioni finanziarie in difficoltà, «l’annuncio di un programma di confisca dei depositi potrebbe portare a una “rovina generale delle banche”». Al punto che, in questo contesto, «nessuna istituzione bancaria è al sicuro». Ipotesi apocalisse: «L’applicazione (anche locale e selettiva) delle procedure di ricapitalizzazione che comportano la confisca dei depositi creerebbe un caos finanziario. Interromperebbe i processi di pagamento, i salari non sarebbero più versati, né sarebbero disponibili risorse per gli investimenti per le fabbriche e per le infrastrutture, il potere di acquisto crollerebbe, le piccole e medie imprese sarebbero costrette al fallimento».
Se la ricapitalizzazione fosse messa in opera in seno all’Unione Europea e nell’America del Nord, darebbe inizio a una nuova fase di crisi finanziaria mondiale, perché intensificherebbe la depressione economica e la centralizzazione bancaria e finanziaria come quella del potere imprenditoriale nell’economia reale, a scapito delle imprese locali e regionali. In seguito, tutto il circuito bancario mondiale – transazioni, depositi e prelievi – senza contare le perturbazioni sistemiche sulle transazioni monetarie sui mercati di Borsa e la borse delle merci. «Le conseguenze sociali sarebbero devastanti: l’economia reale cadrebbe in seguito al crollo del sistema dei pagamenti», fino a minacciare il sistema monetario mondiale integrato e provocare «un nuovo tracollo economico e, di conseguenza, un ribasso del commercio internazionale delle merci». Conclude Chossudovsky: «E’ importante che i cittadini europei e nordamericani agiscano fermamente a livello nazionale e internazionale contro questi intrallazzi diabolici dei loro governanti, che operano per conto degli interessi finanziari dominanti con il fine di creare un processo selettivo di confisca dei depositi bancari».
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