Dipingere o creare (1 Viewer)

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Se posso vi ribalto tutto, con la speranza che anche qualcun altro lo legga ammesso che abbia una discreta apertura mentale.

Giulio Paolini non dipinge e non crea, semmai diviene esso stesso spettatore.

Essere Artisti al giorno d'oggi a parer mio è proprio questo: nessun riferimento e nessuna certezza solo una guida verso una diversa prospettiva e diverse chiavi di lettura.
L'ho letto. :D

Adesso dovrò rileggerlo.
Comunque l'impressione è di una sofisticata operazione tesa ad attribuire validità artistica ad un discorso di estetica, come spesso da Duchamp in poi. Ma aspetto la seconda lettura, non è questione di giudicare ma di inserire in una giusta cornice.

L'autrice è la curatrice dell'archivio Paolini. Ciò autorizza l'uso della calibro 32 quando le cose non siano chiare :perfido:
 

Barlafuss

Forumer storico
Essendo agnostico il verbo "creare " non mi provoca alcun fastidio. Che si usi inventare, produrre, scoprire, creare, dipingere, imbrattare ritengo sia solo una questione di forma e non di contenuto.Vero è anche che ogni verbo ha il suo significato ed il suo utilizzo preciso, però sono sottigliezze che uno può apprezzare o meno.
 

Cris70

... a prescindere
Essendo agnostico il verbo "creare " non mi provoca alcun fastidio. Che si usi inventare, produrre, scoprire, creare, dipingere, imbrattare ritengo sia solo una questione di forma e non di contenuto.Vero è anche che ogni verbo ha il suo significato ed il suo utilizzo preciso, però sono sottigliezze che uno può apprezzare o meno.

Siamo in due
 

kiappo

Forumer storico
Confine indefinito...io, nel mio piccolo, talvolta dipingo e qualche volta "creo"...dipende da diversi stati d'animo, ci sono giornate leggere, in cui tutto scorre felicemente, quasi in modo magico...e lì, forse, si crea...e altre giornate pesanti, rognose, e li' si dipinge...per poi, magari, distruggere tutto!!!
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Essendo agnostico il verbo "creare " non mi provoca alcun fastidio. Che si usi inventare, produrre, scoprire, creare, dipingere, imbrattare ritengo sia solo una questione di forma e non di contenuto.Vero è anche che ogni verbo ha il suo significato ed il suo utilizzo preciso, però sono sottigliezze che uno può apprezzare o meno.
In effetti, occorrerebbe dare qualcosa di simile ad una definizione.
Creare = "fare" qualcosa che prima non c'era. Se si tratta di far apparire dal nulla un oggetto questo pare ambito riservato al divino. Però anche una disposizione di mobili, per esempio, diversa da prima è qualcosa di creato. La disposizione, non i mobili. Poiché l'uomo non crea materia, ovviamente tutte queste creazioni di combinazioni (quadri, pistole, asciugacapelli, giardini ...) sono le uniche creazioni a lui possibili. Se non vogliamo chiamarle creazioni perché non si produce nuova materia dal nulla, basta dirlo. Ma, come si è fatto notare, diciamo che tutto ciò era pure sottinteso.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Sono dell'opinione più volte ribadita che l'uomo non può creare ma soltanto scoprire.

Considerarsi creatori è presuntuoso e non fa altro che rafforzare il proprio ego che è la cosa più brutta che ci sia.
Non è questo che succede a tutti coloro che si dichiarano artisti?
Non è questo che ci fa storcere il naso di fronte a tanta arte o presunta tale?
Non è forse questo che allontana la gente dall'arte contemporanea?

E' solo Dio che crea e l'uomo può soltanto illudersi di farlo.
Su questa comprensione/incomprensione si gioca non soltanto l'arte contemporanea ma il modo stesso di vivere di ciascuno.
Questo non sminuisce il potenziale artistico presente in ognuno ma anzi lo rafforza e lo indirizza nella ricerca di soluzioni che possano migliorare la qualità della vita.
Non è forse arte la capacità di vivere felici, in pace, a lungo,in salute?
Non è armonia, canto, melodia questo?

Invece di partire dal saper dipingere, scolpire, creare dovremmo fare una lista di priorità e verificare giorno per giorno ciò che viene prima e ciò che viene dopo.

Ne vedremmo delle belle!
Mi rendo conto che il verbo creare può assumere diverse forme e significati.
Parlo più che altro un'attitudine, un modo di porsi di fronte alla vita e all'arte.
Quella di stare in una passività vigile, nell'osservazione del susseguirsi degli eventi, nel vedere e cogliere le occasioni che si presentano.
In questo senso è, se vogliamo una forma di meditazione, dove non c'è proprio niente da costruire, nè da creare ma solo da accogliere, da accettare.
Questo come tu dici significa per me "elevare la visione", stare in un luogo ove le cose accadono e più che attore sei spettatore.
Ovviamente le possibilità sono molteplici ma questa mi pare la più consona sia per vivere bene con tutto ciò che ne consegue ed ovviamente per fare dell'arte.

Mi pare che questa sia ciò che fa la differenza come hai ben sottolineato col paragone fra Marino e Sciltian ed estremizzando ancor di più
vedo in Fontana, quello dei "tagli e dei buchi" l'interprete maggiore di questa attitudine

1), scusa, non ho capito in che senso va l'esempio di Fontana, spero che tu possa esplicitarlo (lo metti con Marini o con Sciltian?)
2) sono d'accordo che storciamo il naso davanti a molta presunta arte, ma sembra che tu ne veda le cause nel fatto che l'artista si erge come orgoglioso creatore, in una specie di delirio narcisistico :)
Bada bene, convengo, ma il punto non è nell'aspetto creazione, bensì nelle forze che sono alla base di tale creazione. L'ascolto che tu pratichi (passività vigile) mi pare assolutamente propedeutico all'attività creatrice, ma non si identifica con essa. E' pur vero che i narcisi di cui sopra proprio questo non praticano, l'ascolto del mondo, e ascoltano solo o quasi sé stessi, squilibrando l'impostazione creativa e producendo quella non-arte che ambedue esecriamo. La tua "meditazione" sicuramente crea un buon terreno, e in essa, in effetti, c'è poco di creato e molto di ascoltato/trovato/ compreso. Questa buona filosofia di vita può portare anche a creare (ora il termine lo uso proprio), ma anche no, o perlomeno non nel senso di creare arte [quella di cui qui si discute]. (NB visto quante volte ho usato il termine creare e simili? :ombrello: ) :B

Sono costretto ad usare un esempio personale. Ci sono giorni in cui la passeggiata (o anche un viaggio) può venir vissuta come una simbolica scoperta del mondo, passo dopo passo. Tradurre queste sensazioni in poesia è possibile, e tendenzialmente il risultato ne sarà favorito. Ma è anche possibile "usare" queste "comunicazioni del mondo" non per uno scopo artistico, ma, per esempio, per chiarirsi le idee su un problema personale, vivendo sensazioni e osservazioni come una forma di risposta. Ciò mi pare corrisponda al tuo significa per me "elevare la visione", stare in un luogo ove le cose accadono e più che attore sei spettatore. Nel caso, però, che io scelga di trarne una poesia, all'ascolto del mondo dovrà unirsi qualcosa di solamente mio, e cioè 1- la spinta emotiva che mi porta a "produrre" 2- la capacità (tecnica) di usare le parole nel modo più adatto. Non mi sembra che nell'arte figurativa le cose siano granché differenti. Questi due ultimi punti sono probabilmente ben presenti in coloro che ambedue consideriamo pseudoartisti, mentre manca, o è in qualche modo "guasta", l'attitudine precedente, quella dell'ascolto.

Di seguito spero torneremo a cercare di capire come e perché oggi le capacità tecniche antiche siano divenute assai meno importanti per il creatore d'arte - e come qualcuno ne approfitti bassamente o_O
 

giustino

Art is looking for you
1), scusa, non ho capito in che senso va l'esempio di Fontana, spero che tu possa esplicitarlo (lo metti con Marini o con Sciltian?)
2) sono d'accordo che storciamo il naso davanti a molta presunta arte, ma sembra che tu ne veda le cause nel fatto che l'artista si erge come orgoglioso creatore, in una specie di delirio narcisistico :)
Bada bene, convengo, ma il punto non è nell'aspetto creazione, bensì nelle forze che sono alla base di tale creazione. L'ascolto che tu pratichi (passività vigile) mi pare assolutamente propedeutico all'attività creatrice, ma non si identifica con essa. E' pur vero che i narcisi di cui sopra proprio questo non praticano, l'ascolto del mondo, e ascoltano solo o quasi sé stessi, squilibrando l'impostazione creativa e producendo quella non-arte che ambedue esecriamo. La tua "meditazione" sicuramente crea un buon terreno, e in essa, in effetti, c'è poco di creato e molto di ascoltato/trovato/ compreso. Questa buona filosofia di vita può portare anche a creare (ora il termine lo uso proprio), ma anche no, o perlomeno non nel senso di creare arte [quella di cui qui si discute]. (NB visto quante volte ho usato il termine creare e simili? :ombrello: ) :B

Sono costretto ad usare un esempio personale. Ci sono giorni in cui la passeggiata (o anche un viaggio) può venir vissuta come una simbolica scoperta del mondo, passo dopo passo. Tradurre queste sensazioni in poesia è possibile, e tendenzialmente il risultato ne sarà favorito. Ma è anche possibile "usare" queste "comunicazioni del mondo" non per uno scopo artistico, ma, per esempio, per chiarirsi le idee su un problema personale, vivendo sensazioni e osservazioni come una forma di risposta. Ciò mi pare corrisponda al tuo significa per me "elevare la visione", stare in un luogo ove le cose accadono e più che attore sei spettatore. Nel caso, però, che io scelga di trarne una poesia, all'ascolto del mondo dovrà unirsi qualcosa di solamente mio, e cioè 1- la spinta emotiva che mi porta a "produrre" 2- la capacità (tecnica) di usare le parole nel modo più adatto. Non mi sembra che nell'arte figurativa le cose siano granché differenti. Questi due ultimi punti sono probabilmente ben presenti in coloro che ambedue consideriamo pseudoartisti, mentre manca, o è in qualche modo "guasta", l'attitudine precedente, quella dell'ascolto.

Di seguito spero torneremo a cercare di capire come e perché oggi le capacità tecniche antiche siano divenute assai meno importanti per il creatore d'arte - e come qualcuno ne approfitti bassamente o_O

Ovviamente Fontana lo avvicino a Marini. I tagli ed i buchi mi paiono proprio il tentativo (riuscito) di scoprire, di rivelare, una dimensione interiore che fino a quel momento gli altri artisti avevano soltanto immaginato e tentato di creare ma propria per questo non con la stessa efficacia.
Per il resto concordo con quanto tu così chiaramente esprimi. Soltanto una cosa; io non faccio molta distinzione fra arte e vita. Quando parlo di priorità penso a cose che vengono prima e cose che vengono dopo. Per esempio, fra le cose che vengono prima vi è il respiro, la consapevolezza, la felicità, la pace... e fra quelle che vengono dopo, non sto ad elencarle, più o meno tutte le altre.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Un giorno uno si accorge che un quadro gli comunica qualcosa, e allora dice: l'arte è comunicazione!
Un'altra volta avviene che un quadro lo tocchi particolarmente, e allora dice: l'arte è espressione!.
Una volta ancora si accorge che un luogo dove c'è dell'arte gli appare più bello, e allora dice : l'arte è bellezza!
Se poi capisce che l'autore di un quadro non era un povero artigiano subdotato, ma un pensatore coi fiocchi, dice: l'arte è cultura.

Se proprio si vuole definire l'arte, va bene, ma occorrerebbe sottrarsi all'angusta visione ed esperienza personale e considerarla, come si dice, a tutto tondo. Per tornare, dunque, alla domanda iniziale del 3d, che in pratica suona: si può essere artisti anche senza saper disegnare?, rilancio la palla.

Chiedo: se l'artista sostanzialmente traduce in opere quella che è la visione, magari ancora in gran parte implicita, del suo tempo, sarà possibile comprenderlo quando la visione e le esigenze ad essa connesse siano cambiate? Nel Medioevo il disegno degli artisti era abbastanza modesto, se visto secondo i canoni moderni, eppure vi sono opere in tal modo create che noi consideriamo capolavori. Di solito si crede che gli artisti di allora non avessero ancora sviluppato una tecnica sufficiente a rendere "fotograficamente" le figure: in tal modo si pone come scopo centrale di ogni epoca quello che fu il punto caratteristico solo di un certo periodo, il Rinascimento.
Per non andar troppo lontano, si osservi come i fumetti siano in gran parte creati secondo criteri non naturalistici, da Topolino e Linus ai personaggi "barocchi" di Max Bunker, con in mezzo le figure bazzotte di Pazienza o le Sturmtruppen di Bonvi.
I Tex e i Dylan Dog, tendenzialmente naturalistici, non sono affatto l'unica espressione possibile, né peraltro la migliore tout-court. Il mondo dei fumetti, insomma, mostra in contemporaneità, in sincronia, una varietà di approcci validi che la pittura colta poté conoscere solo diacronicamente, nel tempo. E come noi possiamo apprezzare la varietà di questi, così siamo in grado di godere della varietà di quelli.

Esiste dunque una varietà di approcci al fare artistico, il saper disegnare "bene" entra solo in uno, o pochi, di quegli approcci, proprio come il saper colorare bene non appare necessario se uno è un grande disegnatore. Tutti gli uomini hanno dei limiti: questi limiti possono valere come muri quando si tratti di "eseguire" (un pianista deve saper suonare il piano, chi fa la copertina della Domenica del Corriere deve (doveva) avere capacità non tanto artistiche quanto illustrative). Ma quando inventa il suo proprio linguaggio (almeno, questa appare la condizione odierna) l'artista gode di una libertà mai vista prima - e naturalmente deve farne "buon uso", secondo quanto nella discussione precedente con Giustino abbiamo illustrato.
Il problema sorge quando, invece, che so, di mirare ad una nuova Divina Comedia in salsa 2000, l'artista si fissa sulla forma dell'apostrofo e ci passa una vita sopra :sad: . No, dico, magari i risultati, a furia di approfondire, appaiono interessanti, ma poi ci si dovrebbe anche rendere conto che se con 21 lettere combinate si scrive la Comedia, con sole 5 lettere a disposizione si balbetta qualche parola e poi tutto finisce lì. Almeno, questo è quanto viene spesso vissuto confrontando certe decantate opere moderne con capolavori di Goya, Caravaggio o Dürer. Si pensa allora "Beh, però gli antichi sì che erano grandi, queste quattro righe colorate non possono certo esservi confrontate".
Ecco, magari le 4 righe no, però altre cose sì, è opinione comune che Picasso o Chagall, Kandinski o Klee fossero dei grandi non inferiori al Tintoretto, pur non avendo mai prodotto opere di un certo stile figurativo. Così come è comune opinione che Beltrame o Molino (Domenica del Corriere), Bonelli (Tex) o Sclavi (Dylan Dog), pur bravi, non possano essere messi a confronto con Bosch o Cimabue (pur sapendo "disegnare" meglio di loro).

Come si vede, cercherei di spostare il problema dall'essere artisti senza saper "disegnare" oggigiorno al fatto che in tutti i tempi dall'arte si sono chieste cose diverse.
 

kiappo

Forumer storico
Aldilà dei ragionamenti filosofici...oggi puoi essere " Artista " senza saper fare la O col bicchiere...dipende in che campo operi, certo che se vuoi essere un pittore " classico " DEVI saper disegnare, in altri casi non serve affatto ( purtroppo ) per cui abbiamo assistito al proliferare di emerite str.onz.ate...a mio parere, eh!
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Dice Kiefer: “C’è una tale proliferazione di cose, musica, messaggi, che non esistono più confini da infrangere. Non voglio dire che Duchamp abbia fatto male a esporre il suo orinatoio, la prima volta è stato straordinario, ma la seconda non lo era già più, la terza volta non era altro hee un orinatoio. L’arte e la vita sono due cose molto diverse.” È davvero la fine di un’era. Anselm Kiefer

Dallo stesso sito (ricco di riproduzioni d'opere di Kiefer)


Kiefer, nato nel sud della Germania negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, ha elaborato il suo lavoro durante un periodo di grande crisi estetica. L’ansia del dopoguerra di ridefinire il ruolo dell'arte e l'affermazione di Adorno che non ci poteva essere poesia dopo Auschwitz.

"Non si può evitare la bellezza in un'opera d'arte", dice Kiefer. In una stanza piena di opere bruciacchiate, superfici spinate, costruite con cenere, piombo, frammenti di ceramiche, libri maltrattati e macchine scassate, che evocano le desolate devastazioni di guerra, ma conservano lirismo inciso nella violenza della loro realizzazione. "Si può prendere il più terribile dei soggetti e automaticamente diventa bello. Quel che è certo è che non avrei mai potuto fare arte su Auschwitz. È impossibile perché il soggetto è troppo grande"
Si tratta di un unico caso, perché Kiefer si è occupato di qualsiasi altra cosa. Negli anni ’60, ha fatto il suo grande debutto come artista di performance: con indosso l’uniforme dell'esercito di suo padre, si fece fotografare, facendo il saluto nazista, in iconiche località europee come il Colosseo a Roma, affrontando ciò che il suo collega artista Joseph Beuys chiama la tedesca "amnesia visiva" dell’Olocausto.
Mezzo secolo più tardi, in questa edizione della “Summer Exhibition” alla Royal Academy, ha mostrato la nuova pittura "Kranke Kunst" ("Arte Malata"), una ripresa di un acquerello del 1974 con lo stesso nome in cui un paesaggio del genere idealizzato dai nazisti era punteggiato di bolle rosa.

Kiefer spiega: "Mi piace il doppio senso. Innanzitutto "Kranke Kunst" è negativa, viene dalla censura nazista di un’arte degenerata. E poi, è vera, perché tutto è malato, la situazione nel mondo è malata ... Siria, Nigeria, Russia. La nostra testa è annebbiata da un malessere generale. Siamo nati e cresciuti male".
Che cosa può fare l'arte?
"L'arte non può aiutare direttamente. L'arte è il modo per rendere la realtà evidente. L'arte è cinica, mostra la negatività del mondo, è la sua prima condanna."

L'arte può essere celebrativa?
"Matisse celebra, ma io ci vedo tanta disperazione."

Kiefer mi dice tutto questo con un’allegra impassibilità in viso, accompagnato a un bicchierino di vodka alle tre del pomeriggio. Ci troviamo nel suo Atelier di Parigi, un ex magazzino di 30.000 metri quadrati. È così ampio che si attraversa in macchina, tra cisterne arrugginite, dipinti abbandonati, elementi casuali fuori dal tempo e cespugli di rose piantate dall'artista. A un certo punto quasi ci scontriamo con una gru che sollevava una lastra di piombo. "Per me, l’enorme non esiste", ammette Kiefer.
Alto e brizzolato, magro e svelto, l’artista si presenta in pantaloncini bianchi e camicia aperta. Ha appena abbandonato i preparativi per lo show di Londra. "E’ noioso per un artista per fare una retrospettiva". Mi offre in cambio un tour del lavoro nel suo atelier. Sculture battute da bombardieri danneggiati sono sparse ovunque nello studio. Le torri di polistirolo per il suo set di nove piani di "In the Beginning" per l'Opéra-Bastille. Centinaia di girasoli in resina giganti, in un comico omaggio a Van Gogh, stanno di guardia al cancello d'ingresso.

"Archaikum, mesozoikum," recita, pronunciando le sillabe, come se recitasse una poesia. Parla bene l'inglese, ma si apre in vere espressioni di piacere quando pronuncia qualche espressione in tedesco. "Mi piacciono queste parole! Quanti milioni di anni hanno? Non lo sai? Tu non conosci la tua età! È presenta la catastrofe nella mia biografia. Ed è quello che si mostra nell’”Età del mondo”. Si torna a molto prima del nostro compleanno. 350 milioni di anni fa un meteorite ha colpito la terra e il 95 per cento della vita si estinta. 350 milioni di anni fa i dinosauri - e tanta gente - sono morti. La storia tedesca? È incominciata con l’’Archaikum’ ".
“Jerusalem”, il riferimento di Kiefer alla mistica ebraica e alla storia, ha attratto manifestazioni contro il blocco israeliano di Gaza. Indossando magliette con il titolo dell’opera, hanno chiesto di rimanere nella galleria per discutere sulle questioni sollevate dal lavoro di Kiefer. La galleria ha chiamato la polizia, dicendo: "Questa è proprietà privata. Siamo qui per vendere arte."
Si tratta di un tradimento alla serietà di Kiefer, un'ammissione che l'arte del XXI secolo è soprattutto merce? Non mi viene in mente nessun’altra figura contemporanea che operi tra arte, denaro, politica e storia in modo così trasparente e con tale equilibrio. È innegabile, e confermato dai risultati d'asta imprevedibili, che la qualità della sua produzione è irregolare.

D'altra parte, la coesione di idee e di tonalità in mostra alla RA, la prima retrospettiva di Kiefer, drammatizza il modo in cui l'impulso concettuale sia alla base di tutti i suoi sforzi materiale, il che significa che tutte le sue opere appartengono a un insieme, come una sorta di “Gesamtkunstwerk”, di un’unica opera d’arte - o addirittura come una “performance in progress”, che ha avuto inizio con il suo Sieg Heil a Roma mezzo secolo fa.
Estratto dall’articolo di Jackie Wullschlager per il Financial Times
 

Users who are viewing this thread

Alto