diamo ai politici europei un sacco di soldi. Loro sono in vendita. Noi li compriamo (1 Viewer)

marofib

Forumer storico
i sindacati invece di lamentarsi per il blocco dei contratti dovrebbero bloccare sta gente
invece loro sono IL problema...non solo una parte
cmq in genere mi par di aver trovato una correlazione significativa tra raggi uv e voglia di lavorare/far i furbi ecc...e questo in tutto il mondo....non mi par un caso
 

marofib

Forumer storico
penso non sia difficile teorizzare che con + sole....ci sia in queste popolazioni meno necessità es. di far provviste...pensiamo solo alla legna che serve per scaldarsi se uno sta in zone fredde
poi frutti/verdura che cresce con + facilita' ecc..
questo porta a minor impegno in generale.....se fa caldo per dormire non serve una casa ma basta un albero
e via andare

tutti discorsi politically incorrect ma non me ne frega nulla
serve una scossa per chi si sente tirato in causa affinche' collabori per terminare queste indecenze......non dare sempre la colpa ad altri
chiaro che e' pura utopia fare degli italiani/europei ecc. un popolo unito
 
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tontolina

Forumer storico
PARASSITI E REGALI DI NATALE

PARASSITI E REGALI DI NATALE: 55.000 EUROCRATI SI AUMENTANO LO STIPENDIO

MATTEO CORSINI

Apprendo dall’ANSA che, a pochi giorni dal Natale, per 55mila eurocrati è scattato un aumento retroattivo degli emolumenti degli ultimi sei mesi nella misura del 2,4 per cento.
Pare che l’aumento sia dovuto a compensazione dell’inflazione, nonostante proprio gli eurocrati (tra gli altri) parlino un giorno sì e l’altro pure dello “spettro della deflazione”, oltre a un bonus di fine anno.

Il capo degli eurocrati, nonché presidente della Commissione Ue,
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Jean-Claude Juncker (foto), incasserà la “misera” somma di 4mila euro. C’è da sperare che riesca a trascorrere dignitosamente le festività natalizie senza ubriacarsi troppo. Ovviamente avere una opinione critica nei confronti di fatti del genere comporta l’essere incasellati, alternativamente, nel girone dei demagoghi o dei populisti. Credo che ognuno se ne possa fare una ragione.
Al di là del costo complessivo della “mancia” natalizia, pari a circa 100 milioni di euro, credo sia interessante notare come i burocrati siano ormai l’equivalente degli eserciti ai tempi degli imperi e delle monarchie (o, se si preferisce rimanere a tempi più recenti, si pensi alle dittature).
Così come il sovrano trattava bene i soldati per assicurarsi la loro lealtà, i politici trattano bene i burocrati perché, in fin dei conti, sono costoro a detenere il potere vero, essendo loro, di fatto, a governare i carrozzoni statali o sovranazionali.
Come sempre, il denaro è quello di coloro che pagano le tasse, che saranno ben lieti di aver fatto questa gratifica natalizia agli indefessi burocrati di Bruxelles e dintorni. Forse.
 

marofib

Forumer storico
e' da approfondire
se la scusa e' veramente l'inflazione bisogna mandargli i black bloc...anche se io li manderei a prescindere
 

tontolina

Forumer storico
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Henry Tougha 16 ore fa Nessun commento
Evans-Pritchard: L’Unione Europea in Declino Non È Più quel Mostro Anarco-Imperialista che ci Spaventava

Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph ripercorre oltre vent’anni di storia della “integrazione europea”, che da giornalista ha sempre seguito da vicino (e sempre avversato, per come è stata condotta). A guardarla in prospettiva, nota Pritchard, ci si accorge che l’Unione Europea ha superato da tempo il giro di boa. Finito il grande impeto iniziale, si è avviata su un declino di cui la crisi attuale, lungi dall’essere un incidente di percorso, è la fase terminale. Il futuro, però, è ancora incerto e fosco. Su questo Pritchard, da inglese e con il Brexit in mente, invita a riflettere.

di Ambrose Evans-Pritchard, 03 febbraio 2016
Il momento di massimo pericolo per la democrazia parlamentare britannica è stato 13 anni fa, il punto di maggiore “hybris” e trionfalismo europeo.
Gli eventi si sono succeduti a velocità esorbitante dal Trattato di Maastricht del 1992 fino alla frenetica conclusione del Convegno europeo “stile Filadelfia” del giugno 2002, e sempre nella stessa direzione: quella di un’unione sempre più stretta. Che vi piaccia o meno parlare di un “superstato”, la direzione era sistematicamente contraria al principio di sovranità e auto-governo degli Stati nazionali europei.
Nessuno può dire che alle élite europee mancasse vigore. In un febbrile susseguirsi di trattati sono passati dalla creazione dell’euro a una nascente politica estera e unione dei sistemi di difesa ad Amsterdam nel 1997. A Bruxelles furono creati un centro di intelligence e di personale militare, con nove generali e 57 colonnelli, e con il progetto di un esercito europeo formato da 100.000 soldati, 400 aeroplani e 100 navi da distribuire in tutto il pianeta.
Hanno avviato un sistema satellitare europeo (Galileo) in modo che l’Europa non dovesse più essere un “vassallo” di Washington, secondo le parole del leader francese Jacques Chirac. Hanno costituito una sorta di FBI (Europol) e un dipartimento di giustizia europeo, sul modello delle strutture governative federali negli Stati Uniti. Stavano preparando un intero apparato statale europeo.
Quando l’Irlanda votò “no” al trattato di Nizza – annullando legalmente il voto – gli irlandesi furono ignorati. Nulla poteva fermare l’avanzata di questo colosso.
Il punto più avanzato fu la Convention europea finalizzata a definire “il Trattato di tutti i Trattati”, cioè la Costituzione Europea. A parole doveva essere istituita per avvicinare l’Europa ai suoi cittadini, dopo le violente proteste anti-UE a Gothenburg, e nel momento in cui si cominciavano a sentire i primi rulli di tamburi della ribellione populista.
La Convention fu immediatamente dirottata e servì allo scopo opposto a quello per la quale era iniziata; fu una vicenda che vidi coi miei occhi in quanto corrispondente da Bruxelles. Il testo diceva nero su bianco che “la Costituzione deve avere il primato rispetto alle leggi dei singoli Stati nazionali“.
Il documento doveva portare per la prima volta tutte le legislazioni europee – al contrario della più ristretta “legge comunitaria” – sotto la giurisdizione unica della Corte Europea, di fatto creando una corte suprema. La Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo un ministro britannico non aveva più autorità legale di quanta ne avesse il “Sun or the Beano” [fumetti per bambini, NdT], sarebbe diventata giuridicamente vincolante, e con il suo Articolo 52, che permetteva che qualsiasi diritto potesse essere sospeso “nell’interesse generale” dell’Unione – la Magna Carta era stracciata.
Doveva dare all’UE “personalità giuridica”, permettendole di concordare trattati a proprio nome. Doveva portare a stabilire un presidente eletto. Era il salto da un club di paesi sovrani legati dai trattati all’equivalente di uno Stato unitario, o meglio un “mostro anarco-imperialista”, secondo le parole dell’ex-commissario europeo Bernard Connolly
Quando le prime bozze iniziarono a circolare, mandai un messaggio a Charles Moore, che allora era il direttore del Telegraph, avvertendolo che secondo me la Gran Bretagna si trovava di fronte a un’emergenza nazionale.
Col senno di poi non avevo gran motivo di stare in allarme. Adesso è del tutto ovvio che l’UE stava facendo il passo più lungo della gamba, e l’Inno alla Gioia, suonato alla conclusione di quella stralunata Convention, segnò il punto di svolta, il momento in cui il Progetto Europeo si estinse in quanto forza motivante nella Storia, e iniziò a scendere verso la crisi esistenziale che vediamo ora.
Le proposte furono rifiutate dagli elettori francesi e olandesi. Sebbene i leader europei abbiamo provato a far rientrare il testo successivamente tramite quel Golpe mascherato che fu il Trattato di Lisbona, si trattava davvero di un passo troppo lungo da fare. Ha finito per ritorcerglisi contro. Il rifiuto di accettare l’evidente giudizio popolare ha solo cristallizzato un latente sospetto che l’intero Progetto fosse sfuggito dal controllo democratico.
Quando arrivarono i paesi dell’est-Europa, seguiti dai paesi con sistemi politici pre-moderni dei Balcani, finì del tutto l’illusione che l’UE potesse mai funzionare come unione politica affiatata e centralizzata.
Dieci anni dopo il premier ungherese Viktor Orban e il polacco Jaroslaw Kaczynski fanno semplicemente quello che gli pare, prendono il controllo dei media nazionali e gestiscono come vogliono i tribunali, liberandosi con una scrollata di spalle di qualsiasi avvertimento formale da parte di Bruxelles.
Sopra tutto questo c’è l’unione monetaria, che si è dimostrata maligna e incurabile; ha diviso l’eurozona in due fazioni aspramente opposte, quella dei creditori e quella dei debitori. Era resistita a lungo, nei circoli europei, la convizione fideistica che una crisi dell’eurozona potesse infine essere gestita in modo da servire a uno scopo superiore, in modo cioè da portare ad un successivo passo in avanti verso un’unione politica e fiscale.
Anche questo era un giudizio errato. La Germania ha bloccato qualsiasi possibile iniziativa di una maggiore mutualizzazione del debito o dei bilanci pubblici. L’unione bancaria ha un nome semplicemente fuorviante: le responsabilità e i carichi finanziari pesano ancora del tutto sulle spalle degli Stati sovrani in difficoltà, lasciando perfettamente al suo posto il circolo vizioso tra banche e governi, che si spingono reciprocamente nella crisi. Quando a Berlino si parla di “Fiskalunion” si intende una sola cosa: il potere di controllare e punire i peccatori.
George Osborne aveva torto, a Davos, quando parlava di “logica inesorabile” dell’integrazione europea sulla falsariga del federalismo fiscale di Alexander Hamilton alla fine del ‘700. Ha certamente una logica, e dovrebbe essere inesorabile, ma di fatto non sta succedendo nulla. L’eurozona continuerà a zoppicare con una pietra appuntita infilata dentro la scarpa, fino a che il dolore non si dimostrerà insopportabile per qualcuno, probabilmente per gli Italiani.
Una cosa è cambiata.

Berlino ha accettato che la Banca Centrale Europea agisse da prestatore di ultima istanza nel luglio 2012, facendo così terminare immediatamente la crisi dei debiti sovrani.

Ma il danno era ormai irreversibile.

Anni di contrazione fiscale e monetaria avevano trasformato la recessione in depressione, finendo per farla durare più di quella degli anni ’30. I rapporti tra debito e PIL nei vari paesi sono oggi ancora più alti, in modo preoccupante se si considera il ciclo economico. Gli effetti di “isteresi” della disoccupazione di massa hanno intralciato la ripresa.
Non fatevi ingannare dal temporaneo rimbalzo ciclico, dovuto al petrolio ai minimi, all’euro ai minimi, alla sospensione dell’austerità e al quantitative easing (arrivato con cinque anni di ritardo). L’intera regione è impantanata nella deflazione del debito, ed è priva di qualsiasi difesa quando arriverà il colpo del prossimo rallentamento globale.
Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale – “I Rischi di Stagnazione nell’Eurozona” – avverte che gli effetti conseguenti alla crisi amplificheranno qualsiasi shock negativo, “creando un circolo vizioso e mantenendo l’economia bloccata in un equilibrio di stagnazione“.
Lo studio, scritto dall’economista cinese Huidan Lin, argomenta che l’Europa è seriamente a rischio di assistere ad un secondo “decennio perduto”, che potrebbe durare fino alla metà degli anni ’20 del nuovo millennio; la sofferenza maggiore ricadrebbe sui paesi del sud dell’eurozona.

Qualcuno pensa che il sistema politico europeo possa reggere una cosa del genere?
I battibecchi tra David Cameron e Bruxelles sembrano ridicolmente irrilevanti di fronte a una tale catastrofe auto-inflitta in Europa. E ora sto parlando solo dell’unione monetaria, per non dire del contemporaneo fallimento di Schengen.
Non c’è niente di male nella fila di richieste avanzate da Cameron. È importante che la condizione speciale della Gran Bretagna, che ha una moneta propria, sia stata confermata e mantenuta, se non altro per l’onestà della Corte Europea. Donald Tusk ha dimostrato buona volontà.
Però la decisione “se stare o non stare insieme” – come l’ha messa giù Tusk – non si può decidere sulla base di queste formalità. Ciò che conta è come possiamo preservare la concordia in queste isole, inclusa la Scozia e l’Irlanda, e come possiamo salvare la nostra democrazia sovrana stando sotto il Trattato di Lisbona e una corte imperiale.
Dobbiamo decidere se riusciamo a gestire meglio la nostra eterna conflittualità nelle relazioni con il Continente stando dentro o fuori dall’Unione Europea, e come possiamo gestire nel migliore dei modi i rapporti con una Cina in crescita e una Russia revanscista. In definitiva dobbiamo decidere se questa unione disfunzionale meriti di essere salvata, o se non sia meglio lasciarla morire e tornare sul terreno sicuro delle democrazie nazionali.
La distrazione sulle quattro note a margine fatte da Cameron è andata troppo oltre. Prima decidiamo di affrontare le questioni strategiche fondamentali meglio è.
 

tontolina

Forumer storico
loro sono corrotti e noi siamo avvelenati


Salute: probabilmente morirai. Oppure no? #StopGlifosato Occhio alla soia.
 

tontolina

Forumer storico
Tredicesimo Piano - Il ritorno di Derek Morgan
La biofinanza contro la rabbia e il dissenso
Ma ora il grande gioco sta saltando. Alcuni meccanismi collaudati sembrano fuori fase. Oggi la finanza è il capro espiatorio. Vedono le nostre mani dietro a ogni disastro
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Milano, 14 luglio 2016

La mano tiene una sfera. La sfera riflette l’immagine di un uomo anziano, seduto nella poltrona di uno studio. Non mi avvicino, in modo da mantenere la stessa prospettiva e concentrarmi sui dettagli. Gli occhi dentro l’occhio che restituisce la realtà. Una realtà. Mi sposto di qualche passo: l’immagine rimane identica. Lo stesso uomo con lo stesso sfondo, la stessa prospettiva.

Mi sposto ancora di qualche passo, nella sala incorniciata da stucchi e decorazioni dorate, lontano dalla litografia intitolata Mano con sfera riflettente. Venire in Italia significa anche potersi permettere un paio d’ore a palazzo Reale, godere della temporanea di Maurits Cornelis Escher.

Faccio per raggiungere un’altra opera, ma indugio davanti a uno specchio. Vedo riflesso un uomo sui cinquanta. La camicia bianca, il vestito scuro. Questa è l’immagine di Derek Morgan. Così mi vedono gli altri. Un americano sobrio ma elegante, uno dei più importanti banker di Wall Street, un uomo che siede nel board della grande banca di Murray Street, Manhattan, New York City.

Eppure quest’immagine è solo una parte di me. Ce n’è un’altra che non si vede, che solo in pochi conoscono. Nessuno dice tutto di sé, ma le mie motivazioni sono di quelle pesanti, perché non posso dire che faccio parte di un circolo d’uomini che indirizza l’orbita del pianeta Terra. Non posso dire che mi riunisco con loro in un grattacielo di Midtown Manhattan affacciato sul mondo. È il luogo del potere, lo chiamano il Tredicesimo piano, e io non posso parlarne mai.

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Tutti quelli che entrano nel mio ufficio della grande banca sanno che alla parete, davanti alla scrivania, ho una riproduzione del Mulino di Escher. Sanno che l’illusione ottica mostra l’acqua salire dal basso. Non sanno, però, che anche quelli come me hanno il potere d’ingannare la vista, manipolare la realtà, confondere le menti di milioni di uomini e donne. Quelli come me sono in grado di compiere prodigi.

Abbiamo mosso risorse pubbliche per salvare banche, trovato la rotta in mezzo alla tempesta della Crisi, arrestato apocalissi e tacitato profeti d’uguaglianza. Custodiamo l’ordine, l’unico ordine possibile, manteniamo l’equilibrio, difendiamo le rendite, garantiamo la stabilità del sistema.

Ci chiamano i Diavoli.

Mi fermo davanti a un’altra opera, esattamente in corrispondenza del suo centro. Devo fare uno sforzo per non disilludermi subito. È la prima volta che la vedo dal vivo, ma conosco l’inganno e voglio comunque abbandonarmi: finché ci riesco.

Per prima cosa, osservo la perfetta apparenza di simmetria. L’insieme di scale e figure contrapposte, i sostegni e le cavità. Due metà che dialogano alla stessa altezza, si direbbe.

Invece no. Per rompere l’incantesimo scelgo di partire dai due uomini che dànno l’assalto al margine della litografia: sono rappresentati da prospettive diverse, quello a sinistra è mostrato dall’alto, l’altro dal basso. Ed è così in tutta l’opera. L’uscita dall’illusione è liberatoria e triste allo stesso tempo. Un gioco di concavità e convessità da cui esce sconfitto chi guarda soltanto, e vittorioso chi si ferma a vedere.

Sospiro. Per molto tempo, l’inganno prospettico è stato il prodigio che mi riusciva meglio. Mostrare concavo ciò che era convesso. Indebolire l’euro per nascondere la debolezza del dollaro. Usare la moneta per riformare i sistemi politici. Poi le cose sono cambiate.

È svanito l’incantesimo su cui avevamo retto l’Occidente fin dalla caduta del Muro di Berlino. È stato svelato il trucco. Si è incrinata l’offerta politica che avevamo adeguato alle esigenze del capitale globale e ai molteplici cambiamenti del suo ecosistema. Si è rotto un congegno che ha funzionato per due decenni. Proprio adesso mi accorgo, per la prima volta, che le scale del ponte, a sinistra, diventano l’imposta di un arco a destra.

Il nostro sistema è un organismo complesso a garanzia dell’equilibrio. Deve assecondare l’alternanza di fasi recessive ed espansive, e dev’essere assecondato dalla politica. Nel buio del teatro, dietro le quinte, a volte perfino sulla scena illuminata, abbiamo finanziato/pagato leader che rispondevano al nostro disegno. All’opinione pubblica abbiamo offerto finte alternanze al potere. Perché noi non siamo solo il mondo della finanza: siamo l’ordito segreto della realtà, nel tempo in cui tutto è intrecciato e connesso.

Qui davanti a me, la colonna che a sinistra sostiene un tetto, a destra sostiene una volta. La finanza è la colla invisibile che unisce il debito pubblico alle start-up tecnologiche e all’industria alimentare e a quella degli armamenti. Noi siamo la cornice e il dipinto, la realtà e l’inganno. Noi siamo la contemporaneità di punti di vista opposti. Così, quelle che secondo la prospettiva dall’alto sembravano scale, cambiando prospettiva diventano sostegni di una mensola su cui una lucertola si arrampica. L’animale, però, rimane immobile nel gioco di quest’imbroglio: non sale e non scende, così come noi abbiamo congelato ogni ipotesi di mobilità sociale e reso lisce le pareti della piramide dalla cui sommità guardiamo in basso.

La finanziarizzazione dell’economia reale ci ha resi indispensabili. Siamo stati legiferanti e costituenti, senza mai essere eletti. L’onda della crisi del 2007 sembrava uno tsunami, eppure l’abbiamo gestita alla perfezione. La paura ci ha lasciato le mani libere.

Ma ora il grande gioco sta saltando. Alcuni meccanismi collaudati sembrano fuori fase. Oggi la finanza è il capro espiatorio. Vedono le nostre mani dietro a ogni disastro, ogni nostro endorsement è un bacio della morte, i nostri cavalli sono zoppi. Possiamo pure far scendere una cascata di dollari, ma non riusciamo più a comprare consensi. Bisogna ammetterlo. E una volta riconosciuta la sconfitta, occorre cambiare. Ancora. È arrivato il momento. Occorre modificare la strategia, e gestire il cambiamento.

Lungo un corridoio, con calma, raggiungo la sala dov’è esposto Altro mondo II. C’è una giovane coppia davanti all’opera.

Aspetto che i due se ne vadano. Non sbircio, per non rovinarmi l’effetto, ma neanche mi allontano per vedere gli altri pezzi della sala. Pochi istanti dopo, finalmente, mi ritrovo da solo di fronte alla xilografia. Di fronte alla compresenza dei tre angoli prospettici nella stessa incisione: frontale, dal basso e dall’alto.

“Un altro mondo è possibile” dicevano alcuni, all’inizio del Millennio. Quello che contestavano era il nostro ordine. A un certo punto l’onda sembrava essersi esaurita…

Invece sta tornando sotto una nuova forma. E rischia di spazzare via le architetture impossibili che abbiamo edificato per controllare il pianeta. Cancellare i miraggi delle nostre ottiche non convenzionali, capaci di sovvertire le leggi della Natura. Come il rovesciamento della statua dell’uccello e del corno che Escher compie qui. L’onda è lunga e matura, porta con sé tutte le contraddizioni che stanno travolgendo l’Occidente. Sta arrivando, con la sua potenza superiore, e sarà più difficile da surfare. È gonfia di rabbia e detriti, è lo slancio della gente libera dalle nostre illusioni.

Gli appuntamenti elettorali e referendari sono ingovernabili. Il voto è una delle poche variabili che ancora sfuggono alle logiche algoritmiche. Il ruolo della paura ha perso efficacia, la disillusione orienta verso cambiamenti sempre più radicali. Il mondo intrusivo dei big data può determinare tendenze di consumo e di comportamento, ma non riesce a governare le emozioni. Il voto è pre-razionale, per alcune fasce della popolazione, e quindi diventa illeggibile, per noi.

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Il microchip dell’illusione consumistica ha smesso di funzionare, il sonnambulismo è interrotto, la geometria torna a essere euclidea, la fisica riscopre gli universali che la governano, la legge di gravità può farci cadere e l’entropia può consumarci. Come se la linearità annullasse i capovolgimenti percettivi che Escher racchiude in questo parallelepipedo.

Io sono qui a guardare le opere del grande architetto d’inganni, colui che capovolse il mondo di Euclide e Newton, mentre i britannici hanno votato il Brexit. Il voto degli esclusi, il voto contro il sistema. Contro di noi.

Sì, abbiamo sbagliato. L’endorsement dei nostri uomini nella City a favore del Remain è stato un suicidio. Ora dobbiamo tornare nell’ombra perché la fase è mutata. I cambi delle valute non incidono più e le obbligazioni governative sono sterilizzate. Ora le nostre armi sono le banche, l’anello debole del sistema. Ogni voto contro il sistema viene tradotto in un collasso del sistema bancario: gli spagnoli lo sapevano e hanno votato con prudenza. La lezione greca è servita.

L’Europa ormai si fonda sulla fragilità del suo sistema bancario. Siamo passati dalla biopolitica applicata alla gestione del debito pubblico alla purezza della biofinanza nella gestione del sistema bancario…

Torno a guardare la xilografia dell’Altro mondo, la struttura che vaga sospesa nell’universo, i diversi sfondi su cui a seconda della prospettiva si stagliano Giove e Saturno e la superficie lunare.

Ecco uno sguardo che tutto abbraccia. Ecco cosa dobbiamo fare. Ecco come bisogna guardare agli Stati Uniti d’America: considerando tutte le visioni possibili senza sceglierne una da imporre.

Abbiamo avuto la presunzione di essere come Lucifero, portatori di luce. Abbiamo sbagliato.

Abbiamo voluto scegliere Hillary Clinton nel segno della continuità. Abbiamo sbagliato.

Rischiamo che una variabile nuova ci sfugga di mano, come in UK. Non dobbiamo più puntare su un solo cavallo per vincere. Dobbiamo addomesticare tutti i cavalli per non perdere.
 

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