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A Roma la delinquenza non conosce la crisi




A Roma il corteo per il lutto della comunità cinese (Infophoto)
Siamo italiani, concedeteci di essere melodrammatici. Accettiamo e comprendiamo come atto equo la Cassazione che dice che l’ingiusta detenzione di un pregiudicato è da risarcire alla pari di quella di un incensurato, ma la nostra empatia oggi è ancora per la bimba uccisa col padre a Torpignattara. Ieri Roma ha osservato il lutto con un corteo le cui fila si sono ingrossate di ora in ora. Ha attraversato le strade fino a paralizzare anche il transito dei bus. Si è concluso con le fiaccole accese e c’è stato un contatto che, aldilà dei gonfaloni presenti, ha stretto gli uni agli altri. Da vera comunità multirazziale. Se qualcosa è stato seminato per una crescita della cultura dell’integrazione non lo sappiamo, ma in tanti hanno detto la loro. La frase che ci è rimasta in mente è “assaltano noi cinesi perché non denunciamo per non avere a che fare coi tribunali”. E’ probabilmente una frase che ha un contesto, ma è anche una frase che lo Stato ed il Comune non possono lasciar cadere. Per anni ho lavorato ai bordi delle periferie cino-pratesi, rilevando come esistessero in essa regole che derogavano a quelle del nostro ordinamento. Le aree metropolitane hanno tutte la vocazione di essere città del mondo se i propri cittadini hanno la forza e la volontà di dare regole cogenti unite a cultura dell’ospitalità. Purtroppo questo è difficile. Quasi tutti si fermano al primo stadio della Profezia di Celestino e ottengono gratificazione dal giudicare e dallo scagliarsi sul diverso e più debole fino a far progredire lo sviluppo di queste metropoli verso una struttura a enclavi, cioè città diverse per ceto e razza. Da ambìre od evitare. Mi ricordo che al Porticciolo di Punt’Ala, residenza allora esclusiva della Maremma, già negli anni ‘70 i condomini si ribellarono all’apertura di un supermercato e al calmieramento dei prezzi dei coni gelato. Avrebbero portato gente non gradita: ed era una storia di italiani che emarginavano italiani. Così le città si sviluppano per l’azione degli immobiliaristi e l’arroganza dei vigilanti, senza qualcosa da difendere se non la proprietà che è qualcosa che non tutti hanno. Roma ci proponeva ieri l’escalation delle rapine (+11% in 12 mesi per Sos Impresa), cui il questore ha aggiunto +26% arresti per rapina, +31% per furto. Il sindaco Alemanno ha sentito aria di contestazione e si è affrettato a mediocri spiegazioni: “Abbiamo meno delitti che nel resto d’Europa”. Ma la gente avverte altro. Farebbe bene a montare di nuovo sul suo motorino e girarsela dopo il coprifuoco come gli chiedeva Camillo Valerio da queste colonne domenica scorsa.
 

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Gli stupri di Roma e la campagna elettorale dimenticata di Alemanno

Nel 2008 Gasparri sentenziava: "La Roma di Prodi, Rutelli e Veltroni è il regno del terrore e dello stupro"


Scritto da Emilio Fabio Torsello il 4 marzo 2011 in Politica
Uno dopo l’altro, la Capitale in questi giorni è sferzata da uno stillicidio di notizie e indagini relative ad almeno tre stupri, l’ultimo – stando alla denuncia di una detenuta – perpetrato proprio da alcuni carabinieri in servizio presso la caserma al Quadraro, in via Selci. Una settimana prima, invece, una donna di origini croate aveva denunciato di aver subìto un’altra violenza: attirata nei fatiscenti locali dell’ambasciata somala – abitata per lo più da rifugiati abbandonati a se stessi, in condizioni igienicosanitarie spaventose – sarebbe stata violentata da più persone. In tutto sono tre le indagini per stupro nella Capitale.

Il sindaco Gianni Alemanno, nel caso della violenza avvenuta nell’ambasciata somala, si è fatto ritrarre in giacca, cravatta e caschetto giallo accanto agli operai che muravano quell’angolo di inferno nascosto nella “Roma bene”. «Nella Capitale – ha assicurato in quei giorni il prefetto Giuseppe Pecoraro – non c’è nessun allarme sociale e la città non è nel caos. Quanto è avvenuto la scorsa notte – ha aggiunto – non poteva essere né prevenuto e né interrotto anche se ci fossero per la città ulteriori postazioni fisse o mobili delle forze dell’ordine”, affermazione sostanzialmente vera ma la realtà cittadina vede sempre più commissariati chiusi nella Capitale. Colpa del Viminale e dei tagli decisi dal governo, si risponderà. E’ sempre colpa di qualcun’altro.

Quello che molti romani sembra abbiano dimenticato – e con loro i media nazionali – è un dato fondamentale: l’attuale sindaco di Roma nel 2008 vinse la sua campagna elettorale cavalcando proprio il tema della sicurezza. Erano i giorni in cui i telegiornali dettavano l’agenda del confronto tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno, rimbalzando ad ogni edizione notizie di violenze avvenute proprio a ridosso delle elezioni amministrative a Roma. Da una parte una sinistra accusata di non aver saputo garantire la sicurezza della Capitale, dall’altra l’homo novus – Alemanno – che prometteva di porre fine al degrado cittadino.

La sera del 16 aprile 2008, infatti, a Roma si era verificato uno stupro – dai contorni per alcuni aspetti mai chiariti, uno degli interrogatori venne addirittura secretato – ai danni di una donna del Lesotho, sventato da due “angeli”: Massimiliano Crepas e Bruno Musci. La Capitale, in quei mesi, si era appena ripresa dalla notizia del brutale omicidio di Giovanna Reggiani, avvenuto il 30 ottobre 2007 a Tor di Quinto. La campagna elettorale per le amministrative partì proprio da questi episodi. A sostegno di Alemanno, tutto il centrodestra.

Il 20 aprile 2008, a una manciata di giorni dalle elezioni, Maurizio Gasparri (PdL), sentenziava: “La Roma di Prodi, Rutelli e Veltroni è il regno del terrore e dello stupro. Bisogna rimettere ordine in Italia e nella capitale. Allontanare subito clandestini e rom” e aggiungeva “la politica voluta anche da Rutelli, vice presidente del governo dell’indulto, ha ridotto Roma a un luogo da incubo. Battere il terrore alimentato dalla sinistra è la prima emergenza democratica. Basta con la resa al crimine”. Mentre Fabio Rampelli, deputato An, uscendo dal seggio affermava: “chiunque diventerà sindaco deve garantire ai romani che si occuperà di questa emergenza illegalità” e inoltre che ”l’ennesima aggressione di una donna nelle periferie degradate di Roma” è ”quello che i romani, purtroppo, conoscono da molto: favelas abusive sulle sponde del Tevere, pregiudicati in libertà, illegalità diffusa e senza controllo”. Tutte dichiarazioni in palese contrasto con quanto sostenuto dalle statistiche che nell’ultimo semestre del 2007 avevano visto calare – seppur di poco – il numero delle violenze sessuali nella Capitale: 154 contro le 166 nello stesso periodo dell’anno precedente. Dati drammatici se si pensa che dietro ad ogni numero c’è una donna, una persona violata nella sua integrità, ma che comunque non avrebbero dovuto giustificare il clamore mediatico abilmente cavalcato in quei giorni dal centrodestra.

Secondo quanto riportava il Centro antiviolenzadonna in quei giorni, inoltre, su 612 donne che sono state assistite nel 2007, nel Centro antiviolenza del Comune di Roma di Torre Spaccata (uno dei tre operanti nella capitale, gli altri sono invia di Villa Pamphili, nel quartiere Monteverde e in via Montedelle Capre, al Trullo) risultava che nell’80% dei casi sono state vittime di violenza domestica e solo nel 20% dei casi hanno subito stupri da sconosciuti. La violenza, dunque, non era proprio così come politici e media la raccontavano in quei giorni, eppure proprio sulla paura dello straniero e sulla questione della sicurezza, il giovane Alemanno conquistò la poltrona di sindaco di Roma.

Ad oggi, ben poco sembra cambiato ma altrettanto poche sono le voci che ricordano i contorni di una campagna elettorale vinta nel 2008 più sull’onda del tormentone sicurezza che non sulla base di un programma politico concreto e condiviso.
 
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