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Galloni sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia



"Per evitare che l'Italia torni alla sovranità monetaria anche in caso di uscita dall'euro"

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Il prof. Nino Galloni sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia

Il prof. Nino Galloni sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=6753
di Alessandro Bianchi, Notizia del: 29/01/2014

Nino Galloni. Economista. Ha insegnato all'Università Cattolica di Milano, all'Università di Modena ed alla Luiss. Dal 2010 è membro effettivo del collegio dei sindaci all'INPS. Autore di Chi ha tradito l'economia italiana? e Prendi i tuoi soldi e... scappa? La fine della globalizzazione.


- Ancora in discussione in Aula in queste ore il decreto che intende imporre una rivalutazione delle quote di Bankitalia, ferme ai 156 mila euro di valore del 1936. Il capitale - se il decreto legge stilato da Saccomanni il 26 novembre scorso dovesse essere convertito entro stasera - passerà a 7,5 miliardi di euro di riserve della Banca centrale e agli azionisti, principalmente banche private, sarà garantito un dividendo del 6%, quindi fino a 450 milioni di euro di profitti l'anno. Infine, le quote della Banca di Italia potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari. Si tratta dell'ennesimo regalo, ormai neanche così tanto mascherato, alle banche o c'è qualcos'altro di più dietro questa iniziativa del governo Letta?

La questione è sicuramente più complessa del regalo alle banche su cui si sofferma gran parte del dibattito oggi. Non è quella la reale posta in gioco e sono altri due i punti chiavi che devono essere compresi.
Primo. Si vuole evitare che, anche in caso di uscita dall'Italia dall'euro, il Paese possa tornare ad esercitare in futuro la piena sovranità monetaria con una Banca nazionale attiva. Mentre oggi con un capitale di 156 mila euro sarebbe piuttosto agevole rendere nuovamente pubblica la Banca Centrale e salvare anche le nostre lire, con il decreto deciso dal governo Letta diventa praticamente impossibile. Per ripristinare la sovranità monetaria, nel caso dell'Eurexit e nel caso che dovesse passare questo decreto, l'unica soluzione sarebbe creare una nuova Banca d'Italia. Operazione chiaramente molto complessa. Comunque, la vicenda è un segnale di forte debolezza da parte di chi oggi combatte per sostenere l'euro.
Secondo punto. A parte i regali a questa o quella entità bancaria, vi è una questione molto più delicata e riguarda il Monte dei Paschi di Siena. Il suo presidente Alessandro Profumo ha dichiarato recentemente che se non si fa la ricapitalizzazione subito di Mps salta tutto il sistema bancario italiano. Traduzione: se non si fa la ricapitalizzazione e Mps diventa pubblica comprerà il denaro dalla Bce allo 0,25%, lo rivenderà allo Stato allo 0,30% e, quindi, quella differenziale di guadagno che oggi hanno le banche dai tassi d'interesse sui titoli di Stato e lo 0,25% non lo ricaveranno più. Sono questi i due aspetti più importanti della questione che devono essere compresi per avere piena consapevolezza della posta in gioco.


- Con questo decreto si vuole quindi assicurare che, qualunque sia lo scenario politico che si produrrà a seguito dell'immane crisi economica in atto, lo stato non possa comunque riappropriarsi della sua sovranità monetaria?

Si lo ribadisco è il primo punto. La vera battaglia in corso non è solo tra pro-euro o anti-euro, ma che scenario abbiamo in mente in caso di uscita dalla moneta unica. Lo si farà ripristinando la sovranità monetaria e degli Stati o rimanendo schiavi con monete diverse dall'euro? Questo decreto sulla Banca d'Italia è il segnale di cosa? Il fronte anti euro non è oggi una realtà omogenea e si divide tra coloro che vogliono uscire dall'euro a qualunque costo e quelli che vogliono farlo ripristinando la sovranità monetaria. E l'obiettivo, oggi, è tagliare la strada a questi ultimi ed evitare che il giorno dopo che salta l'euro, magari nei modi più imprevedibili, lo Stato possa tornare ad esercitare la piena sovranità monetaria. Certamente lo scenario che si creerebbe in questo modo sarebbe di grande confusione con conseguenze che non si possono oggi prevedere, ma gravi.

- Qual è un modello sano di governance di Banca centrale da prendere a modello?
Lo è sicuramente quello dell'Inghilterra, dell'Australia o degli Stati Uniti d'America, se poi i dollari non li stampassero per questioni discutibili. In generale, quello che vedo è che solo la vecchia Europa abbia deciso di abdicare alla propria sovranità monetaria. Non è da tutti avere rinunciato ad una funzione così essenziale. In futuro, la Banca d'Italia, dovrà essere autonoma ma non indipendente.


- Anche se i media tradizionali hanno praticamente deciso di non occuparsi della questione, l'opinione pubblica si è mobilizzata sulla vicenda della ricapitalizzazione delle quote di Bankitalia ed in aula alcuni gruppi parlamentari, soprattutto il Movimento cinque stelle, si sono resi protagonisti di una dura azione di ostruzionismo sulla conversione del decreto. Ritiene che ci siano possibilità concrete che alla fine il governo possa fare un passo indietro?
Me lo auguro. Sicuramente ci si è mossi in ritardo, ma ora che è stata raggiunta una piena consapevolezza è importante proseguire in questa azione. Soprattutto per il Movimento cinque stelle sarebbe una vittoria mediatica importante, di risposta a tutti coloro che l'accusano di muoversi solo su questioni secondarie. Questa è una vicenda di fondamentale importanza per il futuro del nostro Paese.
 

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COMUNICATO STAMPA

MPS: ADUSBEF CHIEDE DI SOSPENDERE UN PROCESSO FARSA PER OSTACOLO ALLA VIGILANZA DI BANKITALIA, BASATO SU TEOREMA COSTRUITO A TAVOLINO, PER DIFENDERE DRAGHI,SACCOMANNI, TARANTOLA. INCRIMINARE PER OSTACOLO VERITA’,VIOLA- PROFUMO,ARTEFICI DEPISTAGGIO GIUDIZIARIO E BILANCI FALSI.

Giorno dopo giorno, si sgretola fin dalle fondamenta un teorema quasi perfetto, costruito a tavolino dalla quinta colonna di Bankitalia, quel Fabrizio Viola, mandato al Monte dei Paschi di Siena in sostituzione di Antonio Vigni, per occultare le precise responsabilità degli omessi controlli di vigilanza che hanno concretizzato bilanci falsi, che hanno procurato il crack Mps, ripianato finora dalla fiscalità generale con un esborso di 4,1 miliardi di euro.
Adusbef non ha alcun interesse, come dimostra la sua storia cristallina a tutela dei diritti e della legalità specie contro la piovra bancaria,ad attenuare responsabilità di Mussari,Vigni e Baldassarri, indagati dal tribunale di Siena nel processo per la ristrutturazione del derivato Alexandria ed accusati di aver occultato il mandate agreement stipulato con i giapponesi di Nomura.
Adusbef, avendo a cuore la verità e l’emersione delle responsabilità nel crack del Monte dei Paschi di Siena, chiede – anche con ulteriori esposti-denunce- la sospensione di un processo farsa che si sta celebrando a Siena per ostacolo alla vigilanza, fondato su teoremi costruiti a tavolino da uomini di Bankitalia, mandati appositamente al Monte dei Paschi di Siena per occultare l’omessa vigilanza e le precise responsabilità di Draghi,Tarantola, Saccomanni nel dissesto della terza banca italiana.
Come pubblicato oggi da giornalisti a schiena dritta, gli ispettori di Consob e Bankitalia notano già a fine 2011 che ‘il mandate agreement’, il contratto che lega le due operazioni (Btp 2034 e ristrutturazione Alexandria), l' operazione in Btp restava un' operazione in Btp, anche se somigliava terribilmente a un "derivato sintetico" con perdita automatica incorporata. L' esistenza del mandate agreement viene rivelata il 22 gennaio 2013, da un articolo che produce le dimissioni di Mussari dall' Abi. Due giorni dopo a Siena si svolge un' infuocata assemblea degli azionisti, chiamati a un aumento di capitale da 4,1 miliardi al servizio della eventuale conversione dei Monti Bond. Infatti a dicembre 2012, prima dello scandalo, Profumo ha avuto dal governo Monti un prestito di quell' importo, perpetuo ma convertibile in azioni quando lo decida la banca. Trattandosi di un aiuto di Stato, la Commissione europea dà la necessaria approvazione, provvisoria in attesa di un piano di ristrutturazione della banca.
All' assemblea del 25 gennaio, nonostante la fresca scoperta dei derivati nascosti di Mussari, Profumo nega le precise responsabilità del falso in bilancio. All' assemblea degli azionisti del 29 aprile successivo torna in ballo l' azione di responsabilità contro Mussari, e Profumo sfodera un argomento opposto rispetto a tre mesi prima: "La rilevazione operata a fini Eba a fine settembre 2011 ha evidenziato per la Banca una riserva AFS negativa per 3,2 miliardi circa (di cui 1,2 miliardi imputabili all' operazione Nomura e 870 milioni imputabili all' operazione Deutsche Bank), costringendo la Banca a ricorrere a onerose azioni di rafforzamento patrimoniale". Dunque le operazioni di Mussari hanno lasciato in eredità un buco patrimoniale di 2,07 miliardi, che Profumo fino a quel giorno aveva ascritto alla "crisi del debito sovrano.
Il processo in corso a Siena sul mandate agreement nascosto ipotizza il reato di ostacolo alla vigilanza proprio perché - per i pm Aldo Nastasi, Giuseppe Grosso e Antonino Natalini - il collegamento tra le due operazioni configurato dal contratto firmato da Vigni e poi messo in cassaforte, era stato nascosto alla Banca d' Italia e alla Consob. Poichè tale tesi è smentita dall’ex capo degli Ispettori di Bankitalia, Giampaolo Scardone (nel frattempo passato a Banca Carim come vicedirettore generale), laddove emerge che, prima del ritrovamento del contratto, Bankitalia e Consob avevano gli strumenti per capire le due operazioni ("struttura Btp 2034" e nota Alexandria ) con l’esatto collegamento tra due operazioni realizzate nello stesso periodo tra le stesse parti e aventi segno opposto e trova pure la commissione pagata per il favore da Mps a Nomura, ossia la differenza tra la perdita sul Btp per il guadagno su Alexandria, pari a meno 75,5 milioni di euro, Adusbef chiede di sospendere il processo per ostacolo alla vigilanza, con l’incriminazione urgente di Viola e Profumo, artefici di un depistaggio giudiziario la cui finalità è quella di occultare precise responsabilità degli organi preposti ai controlli, compreso il falso in bilancio.
Elio Lannutti (Presidente Adusbef)
Roma,29.1.2013

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Rendita monetaria e democrazia
La salvezza della RES PUBLICA è la legge suprema.








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Biglietto da 500 neolire (euro-equivalenti)













































lunedì 11 novembre 2013

STATO ITALIANO E MAFIA BANCARIA: DATE IMPORTANTI DEL 1992



STATO ITALIANO E MAFIA BANCARIA: DATE IMPORTANTI DEL PRIMO PAPELLO EUROPEO CHE CEDE LA SOVRANITÀ ALLA BCE

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7 FEBBRAIO 1992
Il Trattato di Maastricht (formalmente, il Treaty on European Union o TEU) venne firmato dai membri della Comunità Europea a Maastricht, Olanda. In italia era presidente Francesco COSSIGA che risulta firmatario rappresentato da Gianni De Michelis e Guido Carli. Nella delegazione, Cossiga assente, è presente Giulio Andreotti.

23 MAGGIO 1992
La Strage di Capaci è l'attentato in cui il 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. L'attentato ricorda da vicino quello di cui fu vittima nel 30 gennaio 1989 il CEO della Deutsch Bank Alfred Herrhausen, che aveva una posizione "non gradita" sul concambio del Marco tra Germania Est e Germania Ovest in occasione della riunificazione. In ambedue gli attentati i mandanti sono ignoti.

28 MAGGIO 1992
Viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Viene ricordato per lo scandalo sui fondi riservati dei servizi segreti (SISDE). I funzionari fornivano versioni di uso "regolare" dei fondi riservati, ma uno degli indagati, Riccardo Malpica, ex direttore del servizio, affermò che Mancino e Scalfaro gli avrebbero imposto di mentire; aggiunse inoltre che il SISDE avrebbe versato ai ministri dell'interno, Scalfaro incluso, 100 milioni di lire ogni mese.

19 LUGLIO 1992
La strage di via D'Amelio fu un attentato di stampo terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino, all'epoca Procuratore della Repubblica a Marsala, e la sua scorta. I mandanti rimangono invisibili.

17 SETTEMBRE 1992
Il Senato ratifica il Trattato di Maastricht
• 176 sì, 16 no e un astenuto, il Senato ratifica il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea: oltre al quadripartito (Dc, Psi, Psdi, Pli) votano sì anche Pds, Lega Nord, Pri e Verdi (con l’astensione di Molinari), l’msi vota no perché, spiega il segretario Gianfranco Fini, bisogna «riflettere bene prima di consegnarci mani e piedi alla Bundesbank». La parola passa adesso alla Camera.

Giovedì 29 OTTOBRE 1992
L’Italia ratifica il Trattato di Maastricht
• 403 voti a favore, 46 contrari (Msi e Rifondazione), 18 astenuti (Verdi e Rete più quattro deputati della Lista Pannella su cinque, il quinto, estratto a sorte, ha votato sì), la Camera approva il Trattato di Maastricht (il Senato aveva già detto si a SETTEMBRE), che entra in vigore in Italia l’novembre 1993 (comunicato














 

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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio

11 ore fahttps://it-it.facebook.com/pages/Abbattiamo-la-Frode-Bancaria-e-il-Signoraggio/208622872545749#

RIBELLARSI PER SOPRAVVIVERE

VOI POTRESTE ESSERE L'ULTIMA GENERAZIONE
A CUI E' ANCORA POSSIBILE RIBELLARSI.
SE NON VI RIBELLATE
POTREBBERO NON ESSEERCI PIU' POSSIBILITA'...

L'UMANITA' POTREBBE ESSERE RIDOTTA ALLO STATO DI ROBOT
QUINDI RIBELLATEVI FINCHE' C'E' ANCORA TEMPO

OSHOVisualizza altro
— con Tatiana Stepanova Veg e Cristina Pelloni.





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Scritto da M5S Camera News pubblicato il 30.01.14 13:06









Il golpe non è avvenuto ieri sera. Il golpe è avvenuto stamattina.
In Commissione Affari Costituzionali, secondo i giornali, "è stato approvato il testo della legge elettorale": non è vero. Nello spazio di pochi secondi, il Presidente della Commissione ha avocato a sé il ruolo di relatore in aula, e ha fatto approvare il testo arrivato da Renzusconi senza alcuna discussione né tantomeno alcuna votazione.
Il tutto in mezzo alle proteste del MoVimento 5 Stelle, che ha chiesto il conteggio dei voti, che non è avvenuto. Il Presidente è scappato. I parlamentari non hanno praticamente avuto alcuna possibilità di discutere o emendare il testo di legge, che va in aula così com'è.
Intanto, i "grillini" vengono dipinti dall'informazione come i sabotatori della democrazia.
Quale democrazia? E' morta stamattina. Il Parlamento non esiste più.



Postato 3 hours ago da Nicoletta Forcheri


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La Lombardia batte moneta per sostenere le sue aziende

Si chiamerà Lombard e sarà denaro virtuale caricato su un borsellino digitale





[COLOR=#555555 !important] Giannino della Frattina - Ven, 31/01/2014
http://www.ilgiornale.it/news/interni/lombardia-batte-moneta-sostenere-sue-aziende-987581.html


Milano - Si chiamerà «Lombard», il vecchio tasso di cambio dei commercianti medioevali in giro per il mondo.

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Ma promettono che per coniarla non sarà usata la rosa camuna, l'incisione rupestre della val Camonica risalente all'età del ferro e diventata simbolo della Regione Lombardia. Dove proprio ieri la commissione Attività produttive ha varato un progetto di legge per dar vita a una moneta complementare a cui consiglieri e assessori (soprattutto leghisti) lavoravano da tempo. Un testo passato con i voti favorevoli della maggioranza (Carroccio, Forza Italia, Nuovo centrodestra) e del Movimento 5 stelle. A sorpresa, ma non troppo visto che appena eletto sindaco di Parma fu proprio il «cittadino» Federico Pizzarotti a ventilare l'ipotesi di battere una moneta alternativa all'euro, nemmeno fosse un principe rinascimentale. Un modo per sfuggire alla stretta creditizia e al morso feroce della finanza, disse ai giornali salvo poi rimangiarsi tutto accorgendosi di averla sparata un po' troppo grossa. Ma il voto di ieri in Lombardia sembra confermare il filo rosso che nella crociata contro l'euro potrebbe unire i «grillini» ai leghisti. C'è da dire che per ora quello della moneta lombarda è solo uno dei capitoli del progetto di legge che mira a stabilire nuove norme per la competitività e la semplificazione a favore delle imprese lombarde. Ma è chiaro che a far parlare sarà soprattutto la suggestione della nuova moneta attesa da un voto del consiglio regionale già calendarizzato per l'11 febbraio. Voto che, viste le forze in campo, non dovrebbe riservare sorprese. E varare al più presto il «Lombard», un accordo tra privati che aderiscono a una piattaforma informatica che mette i soggetti in un rapporto commerciale. Cosa che già succede in Svizzera con il Wir dove fin dal 1934 è utilizzato da un'impresa su quattro e muove il 2 per cento dell'economia con 75mila iscritti al circuito. Oppure in Inghilterra con il Bristol Pound con i quali il sindaco si è fatto pagare lo stipendio per non pesare sulla collettività, in Francia con il Nantò e in Sardegna con il Sardex dove è attivo dal 2009 e coinvolge 200 imprese per un giro di affari di 350mila euro. Un'operazione territoriale di natura «complementare», spiegano al Pirellone dove precisano che non si tratta di moneta corrente e che la disciplina della materia spetta allo Stato, mentre la Regione può solo incentivare un accordo tra privati. «Non un attacco agli istituti di credito, alle banche e all'euro - aveva spiegato l'allora vice presidente leghista Andrea Gibelli, oggi direttore generale nell'era Maroni - Un'operazione territoriale per aiutare le imprese paralizzate dal blocco del credito imposto dalle banche». Da scavalcare con il principio del baratto. Per avere accesso ai «Lombard» imprese o soggetti singoli, privati o pubblici, devono iscriversi al «circuito di credito» nel quale ci sarà un istituto di garanzia (magari Finlombarda) predisposto per l'emissione. Non carta, né moneta sonante, ma denaro «virtuale» caricato su un «borsellino digitale». I vantaggi? È una moneta, dicono, che costa di meno perché è indipendente dai mercati finanziari, incentiva gli scambi perché essendo svalutabile non si ha interesse ad accumularla e così fa emergere l'economia locale. Solo fantaeconomia? «Nel mondo - assicurava Gibelli - ce ne sono già 5mila». La guerra all'euro è appena cominciata.



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La grande menzogna di chi ci governa: la rovina dell'Italia non è la spesa pubblica ma l'interesse sul debito pagato alle banche

di Stefano Di Francesco
05/08/2013​
16:19:04​

http://www.ioamolitalia.it/blogs/vi...-interesse-sul-debito-pagato-alle-banche.html
http://www.ioamolitalia.it/blogs/vivere-senza-l-euro/la-grande-menzogna-di-chi-ci-governa-la-rovina-dell-italia-non-e-la-spesa-pubblica-ma-l-interesse-sul-debito-pagato-alle-banche.html

Abbiamo un debito totale di quasi 4.000 miliardi di euro, distribuito equamente tra settore pubblico e settore privato. Come si è potuti arrivare ad una simile dimensione? La tabella che segue ci permette di riflettere su alcune situazioni.
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Indubbiamente la cosa più sconcertante è verificare l’entità degli interessi pagati dallo Stato italiano sul proprio stock di debito: più di 3.000 miliardi di euro dal 1980 ad oggi!!!direi che i creditori sono stati ben pagati… forse troppo ben pagati!!
Altra considerazione è da fare sull’entità del saldo primario di bilancio,che nel corso di questi ultimi anni, ha prodotto un valore positivo di 740 miliardi di euro che però, a causa della spesa per interessi sul debito, ha fatto si che i deficit reali divenissero sempre più considerevoli. Insomma nonostante una serie di politiche improntate ai tagli di spesa e risanamento dei conti pubblici, i risultati ottenuti sono pari a ZERO!! Nulla!! Il debito non si riduce di una virgola!!!Anzi.
Se infatti consideriamo anche la dinamica del debito privato (famiglia, imprese, banche), oggi abbiamo un livello di debito complessivo di circa 4.000 miliardi, sul quale gravano interessi annuali di circa 160 miliardi di euro ( interessi sul debito pubblico => 2000 x 4% = 80 miliardi)+ (interessi sul debito privato =>2000 x4%=80 miliardi) = 160 miliardi di euro l’anno
Sono praticamente oggi il 10% del PIL!!
Quanto alla spesa pubblica, erroneamente considerata la principale causa della crescita del debito, credo sia utile osservare il seguente grafico:
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Si osserva che il rapporto Spesa Pubblica / PIL è salito vertiginosamente negli anni 70 per poi stabilizzarsi a partire dagli anni 80 in un range di variazione compreso tra il 46 ed il 53% del PIL. Ma il debito pubblico invece è passato nello stesso arco temporale dal 56,1 al 130% del PIL!!!! Come si può dire dunque che è la spesa pubblica la principale responsabile del debito pubblico? Perché non dicono la verità, ovvero che sono gli interessi passivi sul debito che lo Stato paga ai creditori (principalmente banche, fondi hedge, istituzioni finanziarie,…) la ragione della nostra rovina finanziaria?
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Possiamo dunque affermare che le cause che han determinato la crescita del debito pubblico, sono sostanzialmente tre:
1 - l’abolizione degli accordi di Bretton Woods del 1971, con cui il Dollaro si sganciò dalla convertibilità in oro e da quel momento ne furono stampati troppi; le valute iniziarono a fluttuare tra loro passando da un sistema a cambi fissi ad uno a cambi flessibili. Questo cambiamento del sistema monetario è quello che ha permesso questa Globalizzazione basata sul mantenimento di colossali deficit esteri cronici. Ovviamente anche la Lira fu agganciata al Dollaro dal 1949 al 1971, come tutte le altre valute occidentali; i cambi erano fissi rispetto al dollaro che a sua volta era fisso rispetto all'Oro e in questo modo era impossibile avere disavanzi esteri sistematici (come hanno gli USA oggi) e nessuno poteva stampare dollari in eccesso, perchè le riserve di oro erano limitate .
Quando si realizzava un deficit estero, l'oro usciva dal Paese ed si era costretti a dare una stretta monetaria alzando i tassi d’interesse, creando una recessione, limitando i consumi, facendo così scendere i salari e i prezzi. In questo modo il valore delle monete rimaneva sempre "allineato" e nessuno era sopravvalutato o sottovalutato. Questo era un meccanismo "duro", automatico, che disciplinava sempre tutti e impediva l'inflazione.
Il seguente grafico mostra come il debito sia cresciuto esponenzialmente da tale data:
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2 – l’abolizione della legge della preferenza comunitaria nel 1973, secondo la quale, l'80% degli scambi commerciali ( prodotti agricoli e beni di consumo)dovevano avvenire dentro la Comunità Europea, ha segnato il punto di svolta per l’avvio di una progressiva deregolamentazione negli scambi internazionali. Anche per i lavoratori, oltre che per le imprese, fintanto che resse il protezionismo, vissero in una sorta di paradiso, perchè non soffrivano la concorrenza di centinaia di milioni di turchi, polacchi, cinesi, indiani, egiziani, messicani, giapponesi, coreani, taiwanesi.
Dal 1973 in poi, le cose cambiarono notevolmente come testimoniano anche i numerosi lavori del più grande economista del secolo scorso,il premio Nobel Maurice Allais che ha scritto invano libri su libri e articoli su articoli per mostrare che dal 1973 in poi la disoccupazione in Europa è raddoppiata ; fino ad allora era stata sul 5% per 20 anni, ma una volta aperto il mercato europeo ad importazioni a basso costo l'occupazione e i salari europei ovviamente hanno sofferto.
Il seguente grafico mostra l’andamento dell’occupazione in Francia dai primi anni 50 fino agli anni 90 ed evidenzia gli effetti della globalizzazione sulla forza lavoro:
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3 – il divorzio tra la Banca d’Italia ed il Governo del 1981, con il quale si impediva alla Banca Centrale di sottoscrivere i titoli del debito pubblico obbligando lo Stato ad indebitarsi verso il mercato a tassi d’interesse maggiori del tasso d’inflazione. Fin dal 1950 lo Stato si finanziava stampando moneta e tenendo dei controlli ai capitali per cui quando si emettevano titoli di stato questi rendevano meno dell'inflazione (repressione finanziaria come la definisce il FMI) e non li voleva quasi nessuno. Se la gente però non li comprava, la Banca d'Italia finanziava lei il governo; se si esagerava si creava inflazione e pressione sul cambio, le riserve di oro diminuivano, si alzavano i tassi, si riduceva il credito disponibile,l'economia rallentava ecc..ed il sistema si stabilizzava di nuovo.
Quando nel 1971, il dollaro si sganciò dall'oro, la Banca d'Italia era ancora nella condizione di poter finanziare lei il governo, questo era libero di stampare moneta senza il vincolo esterno dell'oro. Cosa successe, il cambio andò a picco ? No, si svalutò contro dollaro, ma non molto.
Questo fino al 1981 quando si "tagliò" il legame tra Bankitalia e Governo vietando alla prima di finanziare il secondo e obbligando lo Stato ad andare ad indebitarsi sul mercato vendendo BTP e remunerando gli investitori con tassi ben superiori all’inflazione.. Questo rese il cambio della lira più stabile ? No,esattamente produsse l’effetto contrario come si vede dal grafico seguente.
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In altre parole oggi abbiamo invertito tutti e tre gli elementi del sistema monetario che avevano fatto ricca l'Italia durante il miracolo economico. Attualmente ci troviamo dunque in una situazione in cui:
a – la Moneta elettronica e cartacea viene emessa dalle Banche Centrali e dal sistema bancario senza alcuna riserva di valore;( creata dal nulla)
b – tale emissione di Moneta è volta al finanziamento di crescenti deficit sia di bilancio che esteri, come nel caso degli USA favorendo la formazione di debiti colossali;
c – la Globalizzazione selvaggia ed indiscriminata ha travolto sia le imprese che i lavoratori dei paesi occidentali a vantaggio di quelli asiatici e sudamericani.
Una conclusiva osservazione va fatta a proposito del confronto tra il debito pubblico italiano e quello di paesi come l’Inghilterra; osservando il grafico si nota come i due valori tendano a divergere nel tempo, cioè mentre il debito pubblico italiano sale, quello inglese scende. Perchè?
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Il motivo è piuttosto semplice: laddove non è lo Stato ad indebitarsi, a farlo debbono essere i privati come accade in UK e negli Usa.
Infatti se andiamo ad analizzare il livello d’indebitamento delle famiglie ed imprese (debito privato) osserviamo che questo assume valori di assoluto rilievo in tutti quei paesi che non hanno invece un elevato debito pubblico, come si nota dal seguente grafico :
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Ma a che punto siamo oggi?
Il PIL è praticamente fermo al livello del 2007 , mentre il debito rispetto al 2007, è aumentato di 400 miliardi di euro!!
La spesa per interessi sul PIL è in crescita sia in termini percentuali che assoluti, il che significa maggiori tasse , minori servizi e riduzione della spesa pubblica.
Tutto questo nonostante lo Stato italiano abbia negli ultimi 20 anni realizzato avanzi primari di bilancio per una cifra di 740 miliardi di euro, che non ha eguali in Europa. Ma non è servito a nulla e non serviranno a nulla i sacrifici futuri, i decreti del “Fare”, i provvedimenti tardivi per pagare i debiti della pubblica amministrazione, la caccia all’evasore condotta sui media come se di tutto sto macello l’evasione e l’economia sommersa fossero i principali responsabili!!
Ora tornano alla carica per vendere, ops… svendere i gioielli di Stato a qualche Fondo Sovrano, qualche banca cinese,araba,americana impoverendoci ancor di più e privando il Paese di asset strategici. Sono una manica di somarelli che non capiscono il mondo in cui vivono e quel che è peggio è che le nostre esistenze dipendono dal loro operato. Siamo messi male. Molto male.
La chiave di tutto è capire come funziona l’economia, cosa è la moneta, chi la emette,perché siamo giunti a questo livello di debito globale colossale,come si spiegano i 640.000 miliardi di operazioni in derivati rispetto al PIL mondiale di 70.000 miliardi (addirittura il PIL globale è inferiore alla cifra di 100.000 miliardi che ogni anno si pagano per gli interessi sul debito mondiale).
La moneta è la chiave di tutto ed uscire dall’euro non basta. Bisogna avere un piano, semplice,realizzabile e che porti immediati benefici all’economia reale. Quel piano ora c’è. Devono darci la forza per realizzarlo, ora, subito, prima che sia tardi.
L’Unione Europea, la tecnocrazia, il sistema bancario ( banche centrali e banche commerciali), la burocrazia, l’Euro sono la nostra prigione. Dobbiamo uno ad uno, aprire dei varchi nelle menti delle persone, perché è possibile tornare a crescere,perché è possibile vivere degnamente, perché la speranza possa nuovamente trovar posto in questa nostra splendida, meravigliosa,inestimabile Italia.



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Caso Bankitalia: il regalo alle banche è il meno
di Aldo Giannuli - 31/01/2014

Fonte: aldogiannuli












Il decreto relativo a Bankitalia è passato nella disinformazione generale. Cerchiamo prima di tutto di capire cosa prevede, partendo da un brevissimo excursus storico (ci scusi il lettore già informato, che può saltare a piè pari queste righe). La Banca d’Italia è una banca di diritto pubblico che, per tutto il periodo repubblicano, ha avuto un consiglio di amministrazione espressione delle banche del paese, ma questo aveva molti contrappesi: il consiglio aveva (ed ha ancora) poteri molto limitati, Bankitalia aveva un rapporto di dipendenza dal Ministero del Tesoro, le quote non erano commerciabili e le tre principali banche (Credit, Bancoroma e Comit) erano di proprietà dell’Iri. Di fatto, il potere reale dell’Istituto si concentrava nelle mani del Governatore nominato a vita dal Capo dello Stato (sino alla riforma del 2005, che ha definito la durata temporale dell’incarico) ed assistito dall’apparato tecnocratico della banca, mentre al consiglio di amministrazione, sia prima che dopo la riforma del 2005, restavano poteri abbastanza marginali.
A partire dal 1981 le cose sono iniziate a cambiare, mentre si facevano velocemente strada gli indirizzi monetaristi della scuola di Chicago, l’allora Ministro del Tesoro Andreatta, con un colpo di mano, avviò il “divorzio” fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia che acquisiva una sua marcata autonomia definitivamente sancita nel 1992 quando il ministro Guido Carli stabilì che la decisione sul tasso di sconto diventava competenza esclusiva del Governatore.
Negli anni novanta, le tre banche Iri vennero privatizzate. E questo iniziò a produrre una serie di effetti a catena.
La Banca d’Italia ha funzione di vigilanza sulla correttezza delle banche, per cui dovrebbe indagare sui comportamenti di suoi azionisti, il che era una contraddizione della normativa precedente, ma essa era meno stridente sinché le banche sono state pubbliche (e, come tali, assoggettate, almeno in teoria, ai controlli del Tesoro).
Il mutamento maggiore fu prodotto dal processo di concentrazione bancaria degli anni novanta e primi duemila, per cui, mentre prima l’azionariato era molto più frammentato, la fusione di molti istituti portò Intesa San Paolo a possedere il 30,3% ed Unicredit il 22,1% cui si aggiungono le Assicurazioni Generali con il 6,3%. Quindi, tre soggetti totalizzano il 58,7%, il che, per quanto limitati siano restati i poteri del consiglio di amministrazione, è cosa ben diversa dal passato.
Questo per quanto riguarda il passato. Veniamo al riassetto appena deciso:
a- viene autorizzato l’aumento di capitale della banca (rimasto a quota 300.000 milioni di lire, fissata con la legge del 1936 e poi trasformata in 156.000 euro) sino a a
7,5 miliardi di euro, utilizzando le riserve statutarie;
b- viene deliberata la riorganizzazione del pacchetto azionario, per cui nessuno potrà superare il tetto del 3%; le quote eccedenti saranno acquisite dalla stessa Banca d’Italia che le deterrebbe per un massimo di tre anni per poi ricollocarle sul mercato;
c- i sottoscrittori delle quote messe sul mercato potranno essere banche ed imprese assicurative con sede nella Ue, fondazioni bancarie, enti ed istituti di previdenza e assicurazione con sede in Italia e fondi pensione;
d- il Consiglio superiore della Banca d’Italia «valuterà la professionalità e la onorabilità dei soggetti entranti e delle relative compagini, con un diritto di veto».
L’italianità è salvaguardata dall’obbligo per i soci di mantenere per i soci la sede legale in Italia e nel caso questa condizione venga meno occorrerà vendere la propria quota di partecipazione.
Chi ci guadagna?
In primo luogo, le banche che ci ricavano una sostanziosa rivalutazione del proprio asset, il che, in vista degli adeguamenti richiesti da Basilea III non è affatto una cosa di scarso peso, ma per la quale la Bundesbank ha ripetutamente arricciato il naso (“S24” 6 dicembre 2013 p. 10) ed anche la Bce non si mostrata del tutto persuasa. Staremo a vedere gli sviluppi.
In effetti, la valutazione di Bankitalia a 156.000 Euro potrebbe apparire assolutamente sottostimata (c’è stato chi si spingeva a dire che il suo valore reale si aggirerebbe di 25 miliardi) ma questo, sin qui, non ha avuto alcuna importanza, perché le azioni non sono state commerciabili e la fissazione del valore era puramente discrezionale. Per di più, la remunerazione delle azioni era limitata solo ai dividenti di alcune attività dell’istituto –che non comprendevano il signoraggio- per cui si trattava di pochi spiccioli.
Ora, con la rivalutazione, stanti le norme vigenti, la remunerazione annua per le banche sale alla rispettabile cifra di 400 milioni di euro, che non è una cifra da capogiro, ma sono pur sempre soldi. Non tanti, però, da rendere particolarmente appetibile questo investimento finanziario, stanti anche i limiti persistenti ai poteri degli azionisti. E, infatti, il punto più delicato riguarda la ristrutturazione del pacchetto azionario. Stanti così le cose, Unicredit, Intesa e Generali devono mettere sul tavolo circa il 49% delle azioni possedute, vale a dire quasi la maggioranza assoluta. Sin qui le azioni non erano commerciabili, ma con il decreto lo diventano, il che pone, prima di tutto il problema di quel che faranno i tre gruppi principali: a chi le cederanno?
La soluzione prevista dal decreto è che le incameri, per ora, la stessa Bankitalia, che entro tre anni le ricollocherà. Però non è affatto chiaro se la cedibilità delle azioni possedute debba necessariamente passare per la banca o l’offerta possa rivolgersi direttamente al mercato. E non è un particolare da poco, perché questo avrà un riflesso tanto sul prezzo di compravendita quanto sugli assetti futuri della Banca.
Sul piano del prezzo, nel caso di acquisto da parte della Banca, non c’è dubbio che il pacchetto dovrebbe essere acquistato a prezzo pieno, per cui si tratterebbe di un più che cospicuo regalo a Unicredit, Comit e Generali. Poi, bisogna vedere quando Bankitalia dovesse ricollocare sul mercato le azioni a che prezzo questo avverrà. E c’è un precedente non incoraggiante, quello della Northern Rock, nazionalizzata dal governo inglese nell’autunno del 2008 e poi rivenduta, nel novembre di tre anni dopo (gli accordi internazionali non consentivano di protrarre ulteriormente il “parcheggio” presso il Ministero del Tesoro di Sua Maestà) ma con una perdita di circa 400 milioni di sterline-.
Agli eventuali investitori interessati, non resterà che aspettare la scadenza, quando Bankitalia dovrà cedere comunque le azioni, per comperare al prezzo più vantaggioso. Ed in questo gioco c’è solo da sbizzarirsi a pensare a chi vi si potrà inserire, al coperto di opportune architetture finanziarie: uno degli attuali possessori eccedentari, banche straniere collegate, fondi sovrani o forse il soggetto più liquido di tutti in questa fase: la borghesia mafiosa. Certo, il Consiglio superiore di palazzo Koch può sempre esercitare il suo diritto di veto, ma non è detto che abbia sentore dell’eventuale operazione nel tempo necessario. Ed, ovviamente, se qualcuno ha interesse alla cosa, il progetto sarà stato studiato opportunamente da tempo e resterà solo da metterlo in atto.
Ma, e siamo all’ultimo e più penoso capitolo della vicenda, non è scritto da nessuna parte (anche perché la Costituzione non parla affatto della Banca centrale e non pone limiti di sorta) che gli attuali limiti sull’ “italianità”, limiti ai poteri degli azionisti, l’uso della riserva aurea ecc. non possano essere superati da una nuova normativa. Anzi, è abbastanza logico attendersi qualche altro appassionante sviluppo della storia. E questo ci porta alla questione molto delicata della riserva aurea: quella italiana è la quarta del Mondo, dopo Usa, Germania e Fmi ed ammonta a 2.400 tonnellate. Questione della quale si parla poco e si sa pochissimo (la riserva c’è ancora? Depositata dove? Data in garanzia ed in che percentuale?), ogni tanto qualcuno come Alberto Quadrio Curzio (“S24” 5 settembre 2013) fa proposte sul come investirla, ma il discorso cade nel vuoto. E dire che siamo in un momento in cui, a causa dell’iper offerta di liquidità di questi anni, l’oro è oggetto di forti ondate speculative che lo fanno ballare dal massimo di 1.920 dollari l’oncia a 1.325 in poco più di due anni. Ed a soffrirne sono soprattutto le banche centrali (“Affari e Finanza” “Repubblica” 11 novembre 2013 p.53), ma bisogna considerare che, nello stesso tempo, per effetto del Tapering della Fed, è previsto un sensibile recupero nel prossimo biennio.
Dunque, non sarebbe male se il Ministro Saccomanni (tanto apprezzato dal Presidente Napolitano) riferisse in Parlamento sulla situazione della riserva aurea e su come si intenda garantirne il possesso dello Stato Italiano.
Anche perché, qui il problema più importante è un altro: per caso non è che si stiano ponendo le premesse per impedire il ritorno alla sovranità monetaria nazionale anche in caso di collasso dell’Eurozona? Qualcuno sta lavorando per il Re di Prussia? arianna editrice
 

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