Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi (1 Viewer)

stockuccio

Guest
la Cina sta mollando il dollaro e non lo dice ?



Why Is There A $71 Billion Difference Between China's FX Reserves And... China's FX Reserves?

Submitted by Tyler Durden on 02/05/2010 20:06 -0500



Zero Hedge has been following the topic of Chinese FX reserves, and specifically their change over time, with great interest, as this (presumably) primarily dollar-denominated amount is the critical "dry powder" that our key foreign purchaser of Bonds, Notes and Bills uses when bidding on Treasury Auctions. Should China's FX reserves decline, or be forcibly diversified, the amount left over for UST purchases will be correspondingly less at a time when every UST auction could be the last should PDs, Indirect and Direct bidders not have enough bidding interest to cover growing supply. As China is very secretive about the composition of its FX reserve portfolio, there is usually a lot of guess work involved in tracking where and how the money flows. What we do know, according to a January 15th report by People's Bank of China (PBOC), is that in 2009 FX reserves increased by $453.1 billion to a total of $2.399 trillion... Or so we thought. Yesterday China's official State Administration of Foreign Exchange (SAFE) released an update on FX reserves, according to which FX reserves increased... by only $382.1 billion, a $71 billion differential from the PBOC's number. (an English translation of the SAFE page can be read here).
We quote from the PBOC's December 2009 Financial Statistics report:
At end-December 2009, China’s foreign exchange reserves reached USD2.3992 trillion, registering an increase of 23.28% year on year. In 2009, official foreign exchange reserves rose by USD453.1 billion, adding USD35.3 billion year on year. In December, foreign exchange reserves expanded by USD10.4 billion. At end-December, the RMB exchange rate stood at RMB6.8282 per USD.
Next we quote from SAFE:
China's international reserve assets of 393.2 billion U.S. dollars of change. Among them, foreign currency reserve assets of 382.1 billion U.S. dollars deal of change (excluding the exchange rate and price changes in the value of non-trading effect), special drawing rights increased by 108 million U.S. dollars in IMF reserve position increased by 3 billion dollars.
Even for China, this is a very large discrepancy and its existence could be due to several key reasons.

  1. FX rate calculations and mark to market result in a substantially negative impact on the actual notional of FX holdings. This is starkly at odds with expectations of how the PBOC operates, as pundits have long believes the PBOC's reserve data reflects not only exchange rates (these are FX reserves after all, not some Bank of America Level 3 asset) but also asset valuations. Indeed, if this is the true explanation, it casts into doubt all other PBOC data that is supposed to be adjusted for MTM differentials.
  2. There has been a "factual" discrepancy between the two reporting agencies, and the differential is a simple slip. In light of much speculation that China tends to misrepresent data, this would not be very surprising, although somewhat blatant, instance of being caught "red handed."
  3. The two numbers are correct, to the extent data is available. As SAFE is the primary custodian of actual FX data dissemination, there may have been a less than overt cash outflow, of which the PBOC was simply unaware. Whether the use of funds was buying and transferring bearer bonds from Italy to Switzerland, buying several tons of gold, or taking down several auctions as a direct bidder, we are confident China could have found a willing recipient of the cash.
  4. This indicates that China may have well diversified its existing FX base away from dollars far beyond what has been projected. The $71 billion is roughly 3% on the total FX reserves of $2.4 trillion. Analysts estimate that of China's FX holdings at least 66% is dollar-denominated, 20% is in euros, and the remainder is in secondary currencies such as JPY, GBP and CHF. Obviously there would be no MTM variation on the dollar denominated assets, and assuming the delta comes from euro holdings, a $71 billion variation on an estimated $480 billion in euro notional is a stunning 15% - this means that China has not accounted for virtually the entire change in the relative value of the EUR/USD pair over 2009.
We will follow the PBOC's future releases closely and superimpose SAFE data on them to see if the two numbers somehow miraculously converge. With China and the US rapidly approaching a full trade war detente, which would severely cripple the rate of growth of USD FX reserves, having a credible indication of just what the real FX number is, becomes increasingly relevant.
 

acro26

Nuovo forumer
Scusate, ma ho come l'impressione che il contagio si stia diffondendo verso l'Italia , guardate i prezzi dei BTP , mi sembra stiano cedendo un pò tutti, è il primo segnale ?:eek:
 

Gaudente

Forumer storico
finche' continua a tenere fisso il cambio del renmimbi a 6,83 , la Cina non puo' mollare proprio un bel nulla, ma deve continuare ad ingozzarsi di tutti i $ che le sue aziende esportatrici incassano dagli USA e decidono di cambiare in renmimbi.
Solo la libera fluttuazione del cambio puo' alterare il flusso e la conseguente accumulazione.
 

troppidebiti

Forumer storico
finche' continua a tenere fisso il cambio del renmimbi a 6,83 , la Cina non puo' mollare proprio un bel nulla, ma deve continuare ad ingozzarsi di tutti i $ che le sue aziende esportatrici incassano dagli USA e decidono di cambiare in renmimbi.
Solo la libera fluttuazione del cambio puo' alterare il flusso e la conseguente accumulazione.


io la vedo così:

la cina vende yuan e compra dollari...ma non è detto che questi dollari li debba reinvestire in treasury...60 miliardi per il carbone in Australia ...un pò di terra in Africa qualche partecipazione strategica in europa ecc...ec...

insomma questi si stanno arricchendo con il tarocco del cambio e gli investimenti esteri:

io investitore estero vendo euro e compro yuan solo per il fatto che con un euro compro 9 yuan il tarocco è il cambio fisso e le enormi riverve estere della cina sono dovute al tarocco del cambio altro che export cinese
 

METHOS

Forumer storico
PORCELLI CON LE ALI

di Paolo Manasse 10.02.2010
Se per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna valessero gli stessi criteri usati per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, sarebbero tutti indicati a rischio default. Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. Verosimilmente per l'appartenenza all'euro, l'accesso ai mercati finanziari e a linee di credito intergovernative, per le banche centrali nazionali all'interno dell'euro-sistema e l'assenza di recenti episodi di insolvenza. Ma fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?

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Da internet.



Quanto è alto il rischio d’insolvenza per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, i paesi più indebitati dell’euro, noti con il dispregiativo acronimo di “maiali”, Piigs, che invece io chiamerò Gipsi? (1)
I timori dei mercati finanziari si riflettono sui differenziali d’interesse pagati sul debito di questi stati rispetto ai titoli a tedeschi (aumentati fino a 350 punti base per Grecia, e oltre i 150 punti per Irlanda), sui premi per assicurarsi contro l’insolvenza di questi stati, i famosi spread dei Cds, sull’euro, indebolitosi rispetto al dollaro di oltre il 9 per cento rispetto a dicembre, e sui mercati azionari, dove sono prese di mira soprattutto banche esposte nei confronti dei governi. Sono fondati questi timori?
CRISI DEL 1992
L’esperienza europea del recente passato non ci aiuta molto: nella crisi europea più vicina, quella valutaria del 1992, gli attacchi speculativi contro le valute “deboli” portarono all’uscita di lira, sterlina, peseta e corona svedese dal meccanismo di parità fisse. Ma fu proprio grazie alla svalutazione che questi paesi riuscirono a sollevarsi dalla recessione. Oggi l’euro rende questa strada impercorribile: il debito degli stati è denominato in euro, e dunque il ritorno a una moneta nazionale, svalutata, porterebbe diritto all’insolvenza.
DEFAULT NEI PAESI EMERGENTI E GIPSI
Più interessante è il confronto con le crisi d’insolvenza dei paesi emergenti. Semplificando, possiamo classificare le crisi in tre diverse tipologie: crisi di solvibilità (segnalate da un elevato rapporto tra debito estero e Pil, e da un elevato rapporto tra debito pubblico verso l’estero ed entrate fiscali); crisi di liquidità, dovute alla concentrazione dei rimborsi nel breve termine (e segnalate da un elevato rapporto tra necessità di finanziamento a breve, debito a breve e partite correnti, rispetto alle riserve ufficiali; crisi “macro-tasso di cambio”, anticipate dalla forte caduta della crescita in presenza di un cambio sopravvalutato in termini reali.
La tabella 1 mostra gli indicatori di vulnerabilità per i Gipsi nel 2009. Gli squilibri sono macroscopici. Il caso dell’Irlanda è il più grave, perché somma tutti e tre i problemi, solvibilità, liquidità e recessione con cambio sopravvalutato. Il debito estero irlandese è pari a nove volte (!) il Pil, quello pubblico (sull’estero) è oltre il doppio delle entrate, le riserve della Banca d’Irlanda coprono solo un 460mo (!) del debito a breve, il cambio reale si è apprezzato del 13 per cento dal 2005 e il Pil è crollato del 7,5 per cento nel 2009. Il caso dell’Italia è quello meno grave. Si noti che gli squilibri fiscali, certamente un fattore di rischio per tutti i paesi, sono dovuti in larga misura alla recessione. Ad esempio, la Spagna nel 2007 aveva un surplus di bilancio, pari circa all’2 per cento del Pil, mentre nel 2009 si ritrova con un deficit balzato al 12 per cento.
Insomma, se (e sottolineo il se) valessero per i Gipsi gli stessi criteri che si usano per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, andrebbero tutti classificati a rischio di default (probabilità di crisi nel 2010 pari al 47 per cento). (2)
Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. L’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari, alle linee di credito intergovernative, l’appartenenza delle banche centrali nazionali all’euro-sistema, l’assenza di recenti episodi di default, sono verosimilmente tra i fattori che più spiegano queste differenze. Rimane il dubbio: fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?
Tabella 1: Indicatori di vulnerabilità



manasse1.1265796698.jpg


1) Fonte: IMF Joint external debt hub, IMF (Data template on international reserves and foreign currency liquidity), IMF (World economic outlook database).
2) Fonte: EIU
Elaborazioni di Barbara Masi, Università Bocconi



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(1) Nella sigla originale, Pigs indicava i paesi del Mediterraneo: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/PIGS. Poi, per nostra fortuna, ci è subentrata l’Irlanda, ma oggi si trova spesso l’acronimo Piigs.
(2) Questo numero si ottiene applicandole “regole del pollice” descritte nel modello P. Manasse e N. Roubini, “Rule of Thumb for Sovereign Debt Crises”, Journal of International Economics, (2009), Si veda in particolare la figura 1.
 

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