Crimea sceglie la Russia. Occidente furioso (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
querela di Kiev per ponte Kerch dettata da rabbia e impotenza [kiev non può bombardare la crimea che è difesa dalla Russia e schiumano di rabbia]
© REUTERS/ Andrew Osborn
Mondo
17:12 30.09.2017(aggiornato 17:15 30.09.2017) URL abbreviato
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Il tentativo delle autorità di Kiev di coinvolgere la Russia in un contenzioso per la costruzione del ponte sullo stretto di Kerch dovrebbe essere considerato come una mossa dettata dalla rabbia e dall’impotenza.
Lo ha detto a RIA Novosti il vice primo ministro della Crimea Georgy Muradov.

Il presidente dell'Ucraina ha ordinato di avviare una causa legale contro la Russia per i danni ambientali derivanti dalla costruzione del ponte sullo stretto di Kerch.

"Il presidente dello stato vicino, a quanto pare, è assalito dalla rabbia per l'impotenza dinnanzi al successo della costruzione del ponte, che rispetta tutte le norme ambientali e strutturali… Questa mossa ha anche implicazioni politiche, finalizzate ad attirare l'attenzione sul tema della Crimea e tenerlo costantemente a galla", ha detto Muradov.

Secondo lui, le autorità di Kiev sono preoccupate dal fatto che i leader occidentali parlano sempre più spesso della necessità di rimuovere il tema della Crimea dell'agenda politica internazionale e del ripristino della cooperazione costruttiva con la Russia.

"Tutte le cause sono senza speranza. Servono solo ad attirare l'attenzione sul tema della Crimea, in modo che rimanga nell'agenda politica", ha aggiunto il vice primo ministro crimeano.

 

alingtonsky

Forumer storico
AUTORE
Jose Ros Gonzalo

TRADUTTORE
Eleonora Lat
17 marzo 2015
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In Crimea non c'è stato un intervento ufficiale ma l'azione di forze armate senza mostrine - ovvero senza gradi (i cosidetti "uomini verdi") - che controllavano la penisola, forzando la ritirata dell'esercito ucraino che esitava a difendersi per paura delle conseguenze. Secondo il governo di Kiev e l'OTAN, queste truppe ed il loro armamento provenivano dalla vicina Russia, cosa che poi è stata confermata dallo stesso Putin. Secondo la Federazione Russa, invece, erano forze di autodifesa del luogo, armatesi per conto proprio. La distinzione serviva a qualificare il conflitto come interno o internazionale, illecito in entrambi i casi: il governo ucraino era l'unico a possedere la legittimità dell'uso della forza nel proprio territorio e la manovra di usare truppe senza distintivo sarebbe stato un sotterfugio del governo russo per evitare l'applicazione di norme internazionali, visto che la presenza dei militari era da considerarsi come un'aggressione all'Ucraina.

Alterazione dello "status quo" territoriale
Il principio giuridico adottato è stato quello del diritto di autodeterminazione. Secondo la Carta delle Nazioni Unite del 1945, sono titolari di questo diritto i "popoli" (articolo 1.2) che scelgono la decolonizzazione (articolo 73 e 76). Il territorio in cui può essere esercitata l'autodeterminazione è quello delle unità amministrative coloniali, un principio legale chiamato uti possidetis iuris. Una volta finita la decolonizzazione, i cambi territoriali sono possibili solo di mutuo accordo ed è proibito qualsiasi spostamento delle frontiere mediante l'uso della forza.

In Kosovo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU emise la Risoluzione 1244 che istituiva la MINUK, una missione di amministrazione temporanea. Dopo anni di intenti volti a trovare una soluzione negoziata durante il conflitto, l'inviato speciale dell'ONU propose l'unica via possibile secondo lui, ovvero l'indipendenza del Kosovo che però non fu mai approvata a causa del veto posto dalla Russia. Davanti a ciò, e in contrasto col diritto internazionale, l'Assemblea del Kosovo proclamò unilateralmente la propria indipendenza. Accettando l'ipotetica esistenza del diritto di autodeterminazione nazionale, bisogna anche considerare che non esiste una nazione kosovara, ma una minoranza albanese in territorio serbo. Il caso avrebbe necessitato l'applicazione del principio dell'uti possidetis iuris, così come indicato negli anni '90 dalla Commissione Badinter, ma il Kosovo non era una delle entità amministrative dell'ex-Jugoslavia.

In Crimea le autorità locali hanno convocato un referendum non riconosciuto da Kiev per chiedere alla popolazione se rimanere con l'Ucraina o passare a fare parte della Russia, opzione poi risultata vincente. Il giorno dopo il parlamento di Crimea ha dichiarato la sua indipendenza da Kiev e richiesto l'annessione alla Russia. Mettendo da parte le questioni sulla validità o meno della volontà manifestata - dato che il territorio era occupato da militari di origini discutibili - questi eventi contrastano col diritto internazionale: la Crimea non può essere considerata una nazione ma solo una minoranza russa in territorio ucraino e il cambio di regime in Ucraina dopo le proteste di Maidan non ha portato alla disintegrazione territoriale del paese.

Differenze politiche, non giuridiche
Entrambi i casi sono paragonabili dal punto di vista giuridico visto che sarebbero a priori illegali tanto gli interventi armati quanto la violazione dell'integrità territoriale di Serbia ed Ucraina. Le differenze tra Crimea e Kosovo si troverebbero invece nel campo politico, negli interessi e nelle strategie dei paesi coinvolti. Un esempio? La Russia non ha mai riconosciuto il Kosovo, mentre il referendum in Crimea sì.

Riguardo al Kosovo, i paesi che hanno sostenuto quegli avvenimenti affermano che questi fossero necessari per contenere la violenza e che si trattasse di una situazione eccezionale. Mentre i paesi contrari a quei fatti fanno presente che tutto ciò potrerebbe costituire un (rischioso) precedente per conflitti secessionisti. È per questo che il Kosovo è attualmente riconosciuto da solo 108 stati Onu su 193.

Per quel che riguarda la Crimea, alcuni paesi come la Russia giustificano i fatti in base alla volontà espressa durante il referendum. Altri credono che ciò metta a rischio il sistema di pace e sicurezza della comunità internazionale, specialmente se quel che è successo in Crimea dovesse verificarsi anche in altri posti della vecchia Unione Sovietica.
Il bilancio finale si riflette nei risultati del voto dell'Assemblea Generale dell'ONU a proposito della Risoluzione 68/262 (integrità territoriale dell'Ucraina): 100 a favore, 11 contrari (tra cui la Russia e i suoi alleati come Siria, Venezuela e Corea del Nord) e 58 astenuti (tra cui Cina, India e Brasile).

Kosovo e Crimea: cosa dice il diritto internazionale?
 

alingtonsky

Forumer storico
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/crimea-quel-referendum-e-illegittimo-10164

7 aprile 2014
Andrea de Guttry

I recenti eventi in Ucraina e nella penisola di Crimea hanno, giustamente e prevedibilmente, attratto l´attenzione dell´intera Comunità internazionale e dell´opinione pubblica mondiale. Quello che sorprende è che, pur nella divergenza, spesso totale, sullo svolgimento dei fatti, le parti direttamente coinvolte e altri attori internazionali di primo piano che si sono pronunciati in merito, hanno continuamente fatto riferimento al diritto internazionale per giustificare le rispettive posizioni e decisioni. Da parte della Russia, poi, le critiche USA sul mancato rispetto delle regole internazionali sono state rispedite al mittente accusato di non avere autorità a parlare di rispetto di regole, visto quanto volte queste sono state violate proprio dagli USA stessi(1) e di essersi dimenticato del precedente dell’indipendenza unilaterale del Kosovo che era stata appoggiata proprio dagli USA e da molti paesi occidentali(2).

In questo contesto, si procederà ad una breve, e senza alcuna pretesa di esaustività, analisi di quelli che sono i profili rilevanti di diritto internazionale, che dovrebbero essere sempre alla base delle scelte di politica internazionale di uno stato specie in quelle situazioni che potrebbero avere ricadute per l’intero sistema di relazioni internazionali. L’oggetto di quest’approfondimento sarà limitato al referendum in Crimea e alla successiva decisione di secedere dall’Ucraina e di trasferire il territorio sotto la sovranità della Federazione russa nonché alle conseguenti reazioni della Comunità internazionale.

Gli eventi

Il territorio della Repubblica di Ucraina è suddiviso in 27 regioni: di cui 24 province (oblasts), 1 repubblica autonoma (Crimea) e due città con statuto speciale (Kiev e Sebastopoli). In quanto repubblica autonoma, la Crimea ha una propria Costituzione approvata nel 1998 (in sostituzione di quella del 1992 che concedeva un maggior grado di autonomia alla regione), che le conferisce un certo grado di autonomia pur essendo espressamente previsto che il Parlamento ucraino può porre il veto a qualsiasi legge approvata dal Consiglio Supremo della Repubblica autonoma di Crimea (Parlamento)(3).

Il 27 febbraio 2014, a seguito di varie turbolenze istituzionali e cambi di leadership, il Parlamento della Crimea ha deciso d'indire un Referendum al fine di chiedere una maggiore autonomia dall’Ucraina (non l’indipendenza): la legittimità di tale decisione è stata subito contestata dal Parlamento Ucraino. Ciononostante, e dopo svariate vicende interne, il Parlamento della Crimea decide, il 6 marzo 2014 di anticipare la data del referendum al 16 marzo e di modificarne l´oggetto: non più una maggiore autonomia dall’Ucraina ma l’adesione alla Federazione Russa. Agli elettori sostanzialmente era chiesto di esprimere la propria preferenza per una delle seguenti opzioni: 1. Riunificazione della Crimea con la Russia oppure 2. Ritorno alla Costituzione del 1992 e allo status della Crimea quale parte dell’Ucraina.

A fronte di questi avvenimenti, il Consiglio di Sicurezza, convocato su richiesta dell’Ucraina(4), si è riunito il 15 marzo per discutere una bozza di Risoluzione, presentata da circa 30 stati, nella quale, tra le altre cose, il Consiglio dichiarava che «this referendum can have no validity, and cannot form the basis for any alteration of the status of Crimea; and calls upon all States, international organizations and specialized agencies not to recognize any alteration of the status of Crimea on the basis of this referendum and to refrain from any action or dealing that might be interpreted as recognizing any such altered status»(5).

Com’è ben noto, la Risoluzione, che pur ha raccolto 13 voti a favore e un’astensione (della Cina), non è stata approvata a causa del veto della Russia.

Il Referendum ha avuto luogo il 16 marzo e, secondo le fonti ufficiali della Repubblica Autonoma di Crimea 1.274.096 elettori vi hanno partecipato (circa l’83,1% degli aventi diritto)(6) e l’opzione riguardante la riunificazione con la Russia avrebbe ottenuto circa il 97% dei voti validi espressi(7). Il giorno successivo il Consiglio Superiore della Repubblica Autonoma di Crimea, dopo aver proclamato l’indipendenza dall’Ucraina, ha formalizzato la richiesta alla Federazione Russa di ammettere la Crimea come una nuova Repubblica della Federazione stessa. Poche ore dopo tale richiesta il presidente russo Putin ha adottato un decreto che riconosce la Crimea come stato sovrano. Il 18 marzo il presidente Putin ha presentato al Consiglio della Federazione russa a) una legge di riforma costituzionale che prevede la creazione di due nuove entità all'interno della Federazione russa: la Repubblica di Crimea e la Città di Sebastopoli e b) un trattato internazionale che sancisce il passaggio della Crimea all’interno della Federazione russa(8). Nei giorni immediatamente successivi, il Parlamento russo ha approvato le proposte del presidente.

L´Unione europea e altri attori internazionali hanno deciso di adottare delle sanzioni economiche contro la Russia preannunciandone ulteriori.

I profili di diritto internazionale

Dal punto di vista del diritto internazionale, così frequentemente richiamato da tutte le parti in causa, due sono le questioni che saranno esaminate in questa sede. In primo luogo la legittimità del referendum indetto dal Parlamento della Crimea e in secondo luogo la legittimità dell´annessione dalla Federazione Russa, per incorporazione, della Repubblica di Crimea e della città di Sebastopoli.

Le critiche circa la legittimità internazionale del refe-rendum stesso non sono sempre state puntuali, anche perché spesso si sono concentrate più che sul referendum stesso, sulle sue conseguenze. A ogni modo è utile richiamare, in questo contesto, quanto affermato nelle Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 17 marzo nel quale il Consiglio

« … strongly condemns the holding of an illegal refer-endum in Crimea on joining the Russian Federation on 16 March, in clear breach of the Ukrainian Constitution. The EU does not recognise the illegal “referendum” and its outcome. It also takes note of the draft opinion of the Venice Commission on this “referendum”. It was held in the visible presence of armed soldiers under conditions of intimidation of civic activists and journalists, blacking out of Ukrainian television channels and obstruction of civilian traffic in and out of Crimea».

In altri termini, il referendum sarebbe stato illegittimo in quanto organizzato a) in violazione della Costituzione Ucraina(9) e b) in condizioni tali da non permettere il libero esercizio del diritto di voto da parte degli aventi diritto. Quest’ultimo punto, già anticipato nelle conclusioni del Consiglio, è stato ripreso con maggiore dettaglio nella Relazione della Commissione di Venezia adottata il 21 marzo 2014 e da altre organizzazioni dedite alla protezione dei diritti umani(10). Sia da parte della Repubblica autonoma di Crimea sia da parte della Federazione Russa tali argomenti sono stati rigettati con vigore(11). È del tutto evidente, sulla base della prassi assai diffusa di organizzazioni quali l’ONU, l’OSCE e l’UE, particolarmente attive nelle attività di monitoraggio di elezioni e di referendum, che le asserite condizioni che avrebbero caratterizzato l’espressione del voto in occasione del referendum, non erano tali da garantire un processo “genuino” e in grado di assicurare la libera espressione della volontà dei votanti come invece richiedono le rilevanti convenzioni internazionali in materia(12).

Sul secondo profilo, quella della legittimità, dal punto di vista del diritto internazionale, della secessione della Crimea e della città di Sebastopoli dall’Ucraina e dell’incorporazione nella Federazione Russa, le questioni giuridiche sono più complesse anche perché sono in gioco valori a principi non sempre facilmente compatibili e componibili, quale quello dell’autodeterminazione dei popoli e quello dell’integrità territoriale. Qualora il distacco di una parte del territorio (per formare un nuovo Stato, o per fondersi con un altro Stato o anche per incorporarsi in uno stato già esistente) avvenga con il consenso dello stato da cui ci si stacca e previa consultazione della popolazione locale, non sorgono particolari problemi di rilievo giuridico. Molti sono i precedenti che si possono citare in questo senso: dalla separazione delle varie ex repubbliche russe dall’URSS alla separazione tra Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca e, più di recente, la separazione del Sud Sudan dal Sudan. Ma questo certamente non è il caso della secessione della Crimea e della città di Sebastopoli.

Qualora, come nel caso in esame, non vi sia il consenso delle parti interessate, la questione giuridica diviene più complessa: la regola generale è, comunque, che non sono ammesse violazioni dell’integrità territoriale. L’unica eccezione si potrebbe verificare in presenza di uno stato sul quale vivono più popoli, ciascuno dei quali gode, a sensi dell’art 1 para 2 della Carta delle Nazione Unite, del principio di autodeterminazione. Secondo un’opinione diffusa d’interpretazione delle regole internazionali (soprattutto alla luce della Dichiarazione del 1970 dell’Assemblea Generale riguardante i principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite)(13), il diritto all’autodeterminazione potrebbe includere anche il diritto alla secessione se il Governo centrale si comporta in maniera discriminatoria nei confronti dei vari popoli stanziati sul proprio territorio(14). In caso contrario prevale il principio dell’integrità territoriale, salvo l’obbligo dello stato di assicurare ai vari popoli adeguate forme di autonomia istituzionale. Nel caso in esame non pare proprio possibile invocare il principio di autodeterminazione a giustificazione della secessione: non solo perché non è del tutto pacifico che in Ucraina vi siano più popoli (da tenere ben separato questo concetto da quello di minoranza), ma anche perché il governo ucraino non ha attuato discriminazioni tra le varie realtà esistenti sul proprio territorio.
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alingtonsky

Forumer storico
10 falsi miti sull'indipendentismo catalano - Il Post

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gli indipendentisti nell’attuale Parlamento catalano sono stati votati da 1,9 milioni di persone, pari al 47,7 per cento del totale dei votanti; la Costituzione del 1978 fu appoggiata da 2,7 milioni di catalani, pari al 91,09 per cento dei votanti. La Catalogna fu, insieme all’Andalucía, la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza più ampia la Costituzione, alla cui scrittura parteciparono tra l’altro catalani molto importanti. Secondo il País, inoltre, il testo votato non si può considerare in nessun modo quello di uno “stato ostile” ai catalani, ma tipico di uno stato profondamente decentralizzato.
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Nel 1979, un anno dopo l’adozione della Costituzione, fu adottato un nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna che tra le altre cose stabilì «un sistema di autogoverno senza precedenti nella storia della Spagna»: fu recuperata la lingua catalana, il cui uso era stato vietato durante il franchismo, si fecero passi avanti sulla corresponsabilità fiscale e si ridistribuirono le competenze tra stato e comunità autonoma.
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La Costituzione affida la competenza esclusiva di indire un referendum di particolare importanza al Parlamento e al governo spagnoli, mentre il referendum dell’1 ottobre è stato convocato unilateralmente dal governo catalano.

Il País aggiunge anche un’altra cosa: sostiene che le due leggi approvate dal Parlamento catalano per realizzare il referendum – quella del 6 settembre e un’altra dell’8 settembre – siano illegali, anzitutto per questioni procedurali: sono state votate dal Parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi richiesta per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna, e senza avere ottenuto il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il tribunale costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legalità delle leggi approvate dalla comunità autonoma. La Ley del referéndum sarebbe illegale anche per il suo contenuto: una legge ordinaria non può infatti autoproclamare che «prevale gerarchicamente» sullo Statuto di Autonomia e sulla Costituzione, e non può stabilire un’autorità elettorale con la sola maggioranza assoluta.
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È vero che il diritto internazionale riconosce il principio di autodeterminazione dei popoli, ma non inteso come diritto alla secessione, quanto piuttosto diritto del popolo, o di una parte di esso, a essere cittadino e potersi realizzare politicamente, a partecipare alla vita democratica delle istituzioni del proprio paese. Il diritto alla secessione viene riconosciuto solo in alcuni specifici casi, per esempio dove c’è un dominio coloniale, un’occupazione militare di una forza straniera e dove vengono compiute gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Nel resto dei casi il diritto internazionale fa prevalere la “garanzia del confine”, ovvero l’integrità territoriale dello stato, sulle esigenze di autodeterminazione.

La Costituzione spagnola non prevede il diritto alla secessione e un cambiamento dello status quo richiederebbe una riforma costituzionale con procedimento aggravato, quindi con una maggioranza rafforzata, proprio come in Italia. Ci sarebbe anche la possibilità di organizzare direttamente un referendum, ma il voto dovrebbe essere organizzato dal governo spagnolo e il risultato non sarebbe comunque vincolante (si parlerebbe di un referendum consultivo).
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C’è poi un’altra questione. Per come è fatto oggi il sistema internazionale, uno stato per essere tale deve avere un ampio riconoscimento internazionale (un’entità può definirsi stato in maniera unilaterale, ma se non viene riconosciuto dagli altri non può avviare relazioni diplomatiche, non può entrare a far parte di grandi trattati internazionali, e così via). Come disse lo scorso 25 marzo Artur Mas, ex presidente catalano, «se non ti riconosce nessuno, le indipendenze sono un disastro». Un passaggio fondamentale per ottenere questo riconoscimento è l’ONU. Per ammettere un nuovo stato nell’ONU, questo deve essere raccomandato dal Consiglio di Sicurezza, dove ci sono cinque stati con poteri di veto tra cui la Francia, che non sembra troppo incline a favorire spinte separatiste in un altro paese europeo. La candidatura deve poi essere approvata dai due terzi dell’Assemblea generale, organo che rappresenta tutti gli stati membri dell’ONU. È difficile dire come potrebbe finire tutto questo, visto che ci sono altri stati europei che sono soggetti a spinte indipendentiste e che probabilmente si opporrebbero a un riconoscimento della Catalogna indipendente, per non alimentare gli autonomismi o indipendentismi locali.
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Il referendum è stato ampiamente usato in passato dai regimi autoritari, tra cui quello di Franco in Spagna, che nel dicembre 1966 ne fece ricorso per approvare l’allora nuova Costituzione. Inoltre nel programma elettorale di Junts pel Sí, la coalizione al governo in Catalogna, non si parlava di referendum per l’indipendenza: non ci sarebbe nemmeno un mandato elettorale su cui fare leva. Affinché un referendum sia democratico, scrive il País, deve tenersi in un paese democratico rispettando le norme costituzionali di quello stato: una cosa che non sta avvenendo con il referendum sull’indipendenza catalana.
 
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big_boom

Forumer storico
Se e' per questo nemmeno Taiwan e' riconosciuto come stato.
Il diritto internazionale non dovrebbe essere considerato come valida scusa contro il diritto di autodeterminazione dei popoli.
Un esempio di democrazia viene dalla russia che ha concesso la ricostituzione di tutti quegli stati che durante la seconda guerra mondiale erano alleati con Hitler compresa l'Ucraina.
La stessa Inghilterra ha concesso il voto alla scozia per "scegliere" senza timori della volonta' del popolo.
Il caso Crimea della sua storia come regione russa nel passato con maggioranza di russi trova una simmetria con il caso istria in italia con Tito. Difficile fa capire ad un italiano comunista cosa vuol dire far cacciare 600.000 friulani dall'Istria, non lo capirebbero perche' sono ideologizzati male e guardagno ogni cosa con malvagita' perbenista.
Le costituzioni si cambino per gli interessi delle banche, delle lobby o dei depravati ma mai per gli interessi dei popoli perche' uno stato indipendente e unito e' pericoloso per chi detiene il potere.
 

tontolina

Forumer storico
ciò che vale per alcuni ... tipo Kossovo
non vale per la pacifica Krimea

2 pesi e due misure


ma hai visto in catalogna? roba da matti ... la polizia ha assaltato violentemente pure i vecchi e i bambini ....
tanta brutalità si è vista in italia al g8 a genova dove la polizia ha manganellato pure gli handicappati in carozzella
 

tontolina

Forumer storico
link.
13 febbraio 2015
Molti anni or sono, negli anni '70 del secolo scorso, nel corso di uno degli incontri settimanali che ero solito avere con lui, Massimo Scaligero mi disse molto seriamente che la diffusione delle droghe - e degli allucinogeni in particolare - fosse in realtà da attribuire alla CIA.
Si sarebbe trattato, a suo dire, di un piano - partito da Oltreoceano - per indebolire la gioventù e renderla più facilmente manipolabile.
Era un'affermazione molto forte che lì per lì misi da parte, indeciso tra la fiducia che avevo in Massimo e la apparente enormità di quella rivelazione.
Quest'estate - leggendo il bellissimo libro dell'amica Solange - sono rimasto senza fiato nel trovare la conferma a quelle rivelazioni.
Nero su bianco, con fonti, date, documenti, nomi e cognomi.
La verità può essere lenta, ma prima o poi vince.


Paolo Franceschetti: Il dissenso politico proviene da una devianza genetica
paolofranceschetti.blogspot.com
 

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