Cottarelli vuole la patrimoniale pari al 10% del patrimonio (1 Viewer)

tontolina

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gli italiani sono troppo ricchi


Economia Italia: sorpresa positiva! Borghi: Minibot espediente per uscire dall'euro. Soros e il Papa
 

marofib

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cmq io farei cosi' e sarebbe + accettabile
i + ricchi li obbligo a comprare btp in una certa % del loro patrimonio...lo spread cala..i problemi si sistemano
i jap tirano avanti da sempre cosi'..senza obbligo ma tant'e'

poi pero' il primo che si becca a far il furbo con tangenti ecc, si butta via la chiave
 

alingtonsky

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Stefano Cingolani - 5 giugno 2019

C’è chi evoca la tempesta perfetta, chi il 2011, non mancano i complotti tecnocratici contro il popolo sovrano, né la solita Goldman Sachs che considera l’Italia il pianeta più lontano, pronto a uscire dal sistema solare. Una cosa è certa: si diffonde la convinzione che l’Italia sia in un vicolo cieco.
...
Al contrario, oggi la repubblica ellenica sembra un modello di virtù finanziaria tanto che lo spread sui suoi titoli quinquennali è addirittura inferiore a quello italiano. Il paradosso si spiega con un grafico che il governatore della Banca d’Italia ha pubblicato in appendice alle sue considerazioni finali, proviene dalle previsioni di primavera della commissione europea, ma non è stato preso molto sul serio finora né dai giornali né dai politici, al contrario di quel che hanno fatto gli operatori sui mercati. Mostra l’andamento dell’onere medio del debito pubblico rispetto alla crescita del prodotto lordo nominale. Ebbene, l’Italia è l’unico paese tra il 2019 e il 2020 in cui il servizio del debito peggiora, del resto lo spread ormai è superiore al pil nominale. In Grecia la crescita supera i tre punti percentuali e l’onere medio del debito sul pil è inferiore dell’1 per cento.

Che cosa dovrebbero concludere un operatore di mercato e una agenzia di rating? Che l’Italia rischia di non poter sostenere il proprio debito? Non proprio, risponde la Banca d’Italia: tutto dipende dall’avanzo primario, cioè le entrate fiscali debbono essere sempre superiori alle spese. E di quanto? Certamente più del divario tra pil e spread. Tre fattori rendono la situazione dei nostri conti pubblici potenzialmente esplosiva: un alto debito accumulato finora, l’aumento dei tassi d’interesse pagati dallo stato sul debito e una bassa crescita del prodotto lordo. Messi insieme, ha ricordato Ignazio Visco, fanno sì che il rapporto debito/pil aumenti spontaneamente di 1,3 punti all’anno.

Nella lettera con la quale Giovanni Tria ha risposto ai commissari europei, il ministro dell’economia spiega che nel 2018 il surplus primario è salito dall’1,4 all’1,6 per cento. Non basta per rispettare il fiscal compact e ridurre il debito, ma in ogni caso, ha scritto, “concordiamo con la necessità di conseguire un avanzo primario di bilancio più elevato per riportare il rapporto debito/pil su un percorso chiaramente discendente”, evitando così una crisi di insolvenza. Tria individua alcuni spazi risparmiando sulle spese anche per il welfare. Apriti cielo. La senatrice Taverna ha minacciato le barricate. Il reddito di cittadinanza non si tocca. Quanto alla Lega, guai a mettere in discussione la flat tax. Questi riferimenti sono saltati nella versione definitiva che parla di “revisione della spesa comprimibile” e di “entrate anche non tributarie”. Ma il ministro dell’economia e la Banca d’Italia hanno chiaro in mente il pericolo. E non sono i soli.

Al Fondo monetario si sta discutendo già di un taglio forzoso del debito italiano e i tecnici immaginano anche la percentuale: circa venti per cento che vuol dire grosso modo 460 miliardi di euro. Una enormità che andrebbe a colpire non solo i creditori stranieri, ma i risparmiatori nazionali perché due terzi dei titoli di stato, compresi quelli delle banche e della Banca d’Italia per conto della Bce, sono in mani italiane. C’è un altro intervento straordinario del quale si parla ed è la patrimoniale. Non l’imposta sulle grandi fortune, alla francese, amata dai Cinque stelle, che non darebbe in ogni caso un gettito consistente. Nemmeno altre tasse sulle case anche perché in autunno dovrebbe partire le revisione del catasto che porterà senza dubbio un aggravio. No, piuttosto una operazione che ricorda quella di Giuliano Amato nel 1992. Allora fu un prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti. Oggi ci sono 1.500 miliardi di euro depositati nelle banche, liquidi, immediatamente aggredibili. Un sei per mille darebbe appena 9 miliardi. Ci vuole molto di più. Una stangatona.

Lo scambio di letterine tra Roma e Bruxelles (vedremo oggi quale sarà la risposta alla risposta) ha evocato in molti osservatori la lettera inviata ai primi di agosto del 2011da Francoforte e firmata da Jean-Claude Trichet presidente della Bce e da Mario Draghi governatore della Banca d’Italia. Fu quella a far precipitare una situazione già fortemente compromessa. Val la pena ripassare la sequenza temporale facendoci aiutare dal bloc notes di uno dei protagonisti.

Lo spread sui titoli di stato italiani e spagnoli comincia ad aumentare a maggio, quando emerge che l Grecia sta ristrutturando il debito. Il governo Berlusconi anticipa il Dpef, ma rimanda al 2013, dopo le elezioni politiche, l’aggiustamento fiscale. E in ogni caso perde le amministrative di fine maggio. La caduta della roccaforte milanese è un vero e proprio choc per Berlusconi che pensa a una “sferzata fiscale” mentre Giulio Tremonti ministro del Tesoro invita a “volare basso” per evitare gli scogli. Lo spread continua a salire in giugno e luglio soprattutto quando si capisce che l’accordo sulla ristrutturazione del debito greco non funziona. Ai primi di agosto lo spread supera 500 punti base. Il 2 agosto la Bce riunisce il comitato direttivo. La discussione è accesa, ma alla fine viene deciso di acquistare titoli italiani, a condizione che il governo si impegni ad adottare alcune misure.

E così parte la famosa lettera. La Bce era già intervenuta in Grecia a fronte di un programma con la troika. Con l’Italia non si fa più in tempo. Del resto, il governo non intende ricorrere al Fondo monetario internazionale. La prima parte della lettera è interamente dedicata alle riforme strutturali (tra l’altro pensioni e mercato del lavoro), la seconda al risanamento delle finanze pubbliche. Il governo italiano accetta tutto e la Bce interviene. Lo spread nei giorni successivi si riduce immediatamente. A quel punto, il governo si divide, il coordinamento delle politiche economiche viene accentrato a palazzo Chigi, emarginando Tremonti, mentre la Lega Nord proclama un solenne no alla riforma delle pensioni. Lo spread risale, la Bce discute se intervenire ancora, ma la maggioranza ritiene che sia inutile.

A settembre tutti sono nel pallone. Le riunioni del G7, del G20, l’Ecofin, il Consiglio europeo non sanno come affrontare una crisi che si sta trasformando in un vero effetto domino, la Grecia è la prima tessera che cade sulla Spagna la quale a sua volta cade sull’Italia. Angela Merkel tenta di convincere sia Zapatero sia Berlusconi ad accettare il Fmi in un drammatico incontro raccontato dallo stesso Zapatero. Il primo ministro spagnolo rifiuta: ci sono le elezioni anticipate, è convinto di perderle, ma vuole cadere in piedi. Berlusconi è tentato a fronte di un intervento pari a 80 miliardi di euro. Tremonti è contrario: “Conosco modi migliori per suicidarmi”. In ogni caso, senza la Spagna sarebbe una resa incondizionata. Siamo a Cannes dove si riunisce il G20, è la notte tra il 3 e il 4 novembre 2011.

Lo spread oggi non è così elevato, ma senza dubbio ci sono molte cose in comune. La frustata di Berlusconi assomiglia al “forte stimolo fiscale” del quale parla Matteo Salvini portando il deficit al 3,5% e il debito al 140%. La Bce possiede strumenti di intervento più sofisticati come le Omt, le operazioni monetarie definitive introdotte da Draghi il 2 agosto 2012, le quali sono collegate a politiche fiscali rigorose. Le divisioni interne al governo e il gioco dei veti incrociati è un’altra impressionante somiglianza. C’è, però, una differenza di fondo: allora la crisi precipitò sull’Italia, ma non partì da qui; oggi invece non ci sono alibi, nemmeno la “tragedia greca”; con una commissione europea scaduta e Mario Draghi in scadenza, siamo soli e da soli dobbiamo affrontare i nostri guai.

Debito e spread, ecco perché siamo alla vigilia della tempesta perfetta sull’Italia. E questa volta è peggio - Linkiesta.it
 

alingtonsky

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Non è vero che Cottarelli vuole una patrimoniale.
Piuttosto si è chiesto se sarebbe utile una patrimoniale una tantum per abbattere il debito pubblico italiano.
Cottarelli ha detto che " è una soluzione drastica, forse meno grave di una ristrutturazione del debito, ma è molto difficile da attuare".

L'OCP presieduto da Cottarelli ha esaminato pro e contro.


... motivo per cui l’imposta patrimoniale straordinaria viene considerata possibile soluzione per la riduzione del debito pubblico è quanto detto dallo stesso Keynes nel 1923, ovvero che l’imposizione di una patrimoniale straordinaria sarebbe un’alternativa preferibile a quella della ristrutturazione del debito pubblico, in quanto non penalizzerebbe “coloro che hanno dato fiducia allo Stato e perché, in linea di principio, può essere modulata secondo principi di equità, ad esempio esentando i patrimoni più modesti e imponendo un’aliquota progressiva in funzione della dimensione dei patrimoni o dei redditi delle diverse categorie di contribuenti”.

Detto questo, la strada per ricorrere alla sua imposizione non è affatto scorrevole, visto che questo tipo di imposta “difficilmente può dare un gettito tale da ‘risolvere il problema del debito’. Inoltre, ” non ha certo le caratteristiche di equità (esenzioni, progressività ecc.) che in teoria potrebbe avere un’imposta che abbia come base imponibile l’intero patrimonio dei contribuenti”.

L’OCP spiega:

“Il fatto che la patrimoniale a sorpresa non possa avere dimensioni tali da risolvere il problema del debito è un fattore che ne sconsiglia fortemente l’utilizzo perché essa darà luogo necessariamente a fughe di capitali che potrebbero aggravare la condizione finanziaria dello Stato. Probabilmente questo è quello che successe nell’estate del 1992: le imposte straordinarie di luglio aggravarono le fughe di capitali che erano già in corso e accelerarono la svalutazione della lira nel Sistema Monetario Europeo che ebbe luogo a settembre”.

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Abbattere il debito con un'imposta patrimoniale? | Università Cattolica del Sacro Cuore
 
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tontolina

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La WELT Terrorizzata dai minibot!!!


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Si dice che “Il terrore corre sul filo del telefono”, ma oggi si potrebbe dire “Il terrore corre sul minibot” , soprattutto dopo aver letto la Welt, il noto quotidiano conservatore. Il titolo è esemplare “LA VALUTA PARALLELA DELL’ITALIA E’ ESPLOSIVA PER LA ZONA EURO”.

Il giornale spiega cosa siano i minibot, il modo tutto sommato preciso, cioè titoli al portatore utilizzati per pagare i creditori pubblici ed utilizzabili per pagare il debito pubblico, prendendo anche qualche cantonata (il taglio minimo non sarebbe 100 euro, ma 5), e sul tema viene intervistato il noto economista Thomas Mayer, che afferma come questo strumento, pur non violando, e non permettendo di violare, le norme sul bilancio ed il deficit, il famoso limite al deficit del 3%, permetterebbero di allentare le tensioni finanziarie sul debito.

Tutto bene quindi? No, quello che traspare dal pezzo, da come l’Italia possa riuscire ad ottenere quello che la Grecia non ha ottenuto, nello scandalizzato stupore perchè i nostri interessi sono inferiori a quelli greci, e nel fatto che , incredibilmente, possa esistere una via di fuga dall’euro, dalla “Vergogna”” del debito. Ed ecco il terrore:

“La minaccia di una valuta parallela da sola potrebbe destabilizzare l’Eurozona. Con un debito totale di 2,3 trilioni di euro, Roma ha un enorme potenziale di minacce.

Ecco qui il terrore . Il debito può essere un’arma , soprattutto quando chi lo detiene si comporta in modo assurdo, distruttivo verso il debitore al punto da sollevarne ogni obbligazione dal punto di vista morale. Perchè se il terrore della classe media tedesca è che l’Italia possa trovare una via peer gestire il proprio debito senza togliere nulla a nessuno, allora qualcosa in quest’Europa solidale non va.
 

alingtonsky

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Giulia Merlo - 4 Jun 2019 12:38 CEST

«La verità economica non si può cambiare: le risorse sono scarse, la crescita è ferma», esordisce Riccardo Puglisi, economista e professore all’Università di Pavia, per analizzare la situazione in cui deve muoversi il governo Conte, instabile anche politicamente e sempre più in difficoltà nel determinare le proprie scelte in materia economica.

Professore, in questo clima politico che cosa potrà stare dentro la prossima manovra economica del governo? Ma soprattutto che cosa dovrà rimanere fuori… Parto da un elemento di cui si parla poco ma che è centrale. Il punto, ora, è tenere basso il deficit strutturale ( la componente del deficit pubblico che non tiete conto delle componenti straordinarie e degli gli effetti del ciclo economico ndr) e non farlo invece esplodere. Per farlo, è necessario stare attenti in particolare a Quota100 e al reddito di cittadinanza, che sono provvedimenti che lo aumentano. Attualmente la disputa tra il premier Conte e i grillini è proprio su questo: Conte vorrebbe usare i risparmi di quota100 e del reddito di cittadinanza per limare il deficit strutturale.

E’ questo il punto, anche per la Commissione Ue?

Su questa visione divergono le letture della Commissione Ue e del governo. Mi spiego: il governo sta cercando di enfatizzare gli effetti del ciclo economico, sostenendo che l’Italia va peggio ma è una fase congiunturale. La Commissione, invece, ritiene che l’Italia stia crescendo poco proprio rispetto alla media.

Intanto Salvini vuole procedere con la flat tax…

Salvini, a meno di ulteriori novità, dovrebbe ottenere che una parte dei risparmi di Quota100 e reddito di cittadinanza vengano usati per la flat tax. Si tratta, però, di una misura molto costosa.

Quindi infattibile?

Quindi, per farla, bisognerebbe ottenere un po’ di spazio in termini di deficit aggiuntivo da parte della Commissione Ue. E, forse, dovrebbero accettare un aumento dell’Iva. Ma questo, in particolare, mi sembra difficilmente possibile.

Ma è una misura che lei considera utile?

Può essere sensato farla, perchè in Italia la pressione fiscale è in effetti elevata. Però, a mio parere, la prima cosa sui cui intervenire sarebbero le tasse sugli immobili, in particolare diminuendo l’Imu. Sarebbe anche nell’interesse di Salvini, che tanto odia Monti. Il grande malato dell’economia italiana è il settore immobiliare, peccato che non sia nei radar del governo.

Ne parlava lei prima: l’aumento dell’Iva avrebbe un senso, economicamente parlando?

Esiste un divario tra cosa è politicamente sensato e cosa è economicamente sensato. Economicamente, aumentare l’Iva ha un senso se si vogliono fare altre misure fiscali. Politicamente, invece, è una scelta insensata perchè nel breve periodo fa perdere molti consensi.

Quindi lei aumenterebbe l’Iva?

Io dico che aumentarla darebbe respiro per fare la flat tax oppure tagliare l’imu. Però aggiungo che ciò che manca, purtroppo, è un interesse strutturale a fare spending review in modo da abbassare il deficit spendendo di meno.

Come mai? La parola spending review fa paura, politicamente?

Credo che la ragione principale sia un’altra: Salvini è sotto la pesante e deleteria influenza dei suoi consiglieri no- euro, Claudio Borghi e Alberto Bagnai.

Si riferisce ai minibot?

Sì, che è da sempre il cavallo di battaglia di Borghi per pianificare l’uscita dall’euro. La mozione approvata in Parlamento è una scelta terribile, il primo passo verso l’Eurexit, e Forza Italia e Pd ci sono stupidamente caduti dentro. Creare una sorta di moneta parallela per pagare i debiti commerciali dello Stato è una strada pericolosissima, che spaventa chi compra titoli di Stato, oltre che portare in una direzione non auspicabile. Bisogna fermare questa deriva prima di arrivare al baratro. Non penso sia nemmeno utile discuterne.

E lei pensa che Salvini abbia questa prospettiva in mente?

Di sicuro la linea “domandista” capeggiata da influenti no- euro come Borghi e Bagnai è molto ascoltata da Salvini, che preferisce loro a Tria e Giorgetti. Ecco, trovo che questo sia il vero problema al momento.

Quale sarebbe la linea di Borghi e Bagnai?

Loro sostengono una linea vecchia, sostanzialmente basata sull’illusione che il deficit possa aumentare il tasso di crescita economica. Non parlano mai di produttività.

Non parlano più nemmeno di uscire dall’Euro…

Certo che no, perchè sono al governo e se lo facessero spaventarebbero cittadini e mercati. Però i minibot vanno esattamente in quella direzione e bisogna fermarli prima che diventino un’ipotesi plausibile per il governo, sotto laspinta di questa corrente minoritaria della Lega.


E ora è Salvini che comanda?

Io credo che, dopo il voto europeo abbia reso Salvini tracotante. Oggi, il leader della Lega confonde il consenso politico con il diritto a fare ciò che preferisce. Invece, il fatto di non avere vincoli politici non fa venir meno i vincoli economici, che valgono a prescindere dal voto. Invece Salvini dovrebbe sentirsi più vincoli, non meno.

Cosa intende?

Ora Salvini è l’azionista di maggioranza di questo governo, quindi è il più responsabile di qualsiasi scelta, in particolare economica.

A proposito di questo, come ha letto il giallo sulla lettera a Bruxelles di Tria?

Io condivido la linea di Tria, ma noto che non ha appoggi politici. Dico solo una cosa: chi è convinto di cambiare il tasso di crescita facendo deficit è semplicemente irrazionale.

Ci sarebbe una mossa giusta?

Guardi, le rispondo politicamente: per il Paese, la cosa giusta sarebbe che nascesse un partito di centro, interessato alla crescita della produttività, che non faccia promesse irrealizzabili. La mossa giusta, economicamente, sarebbe tagliare la spesa pubblica per tagliare le tasse, poi spendere per investimenti e aiutare il settore immobiliare.

Questo governo potrebbe cadere per un fattore esterno, come lo spread?

Lo spread non è un fattore esterno ma un fattore endogeno, perchè il suo aumentare è determinato da politiche di finanza pubblica non credibili. Detto questo, è possibile che lo spread aumenti, visto che gli investitori sono razionali e quindi, se non si fidano delle scelte, chiedono interessi più alti.


Puglisi: «La vittoria ha reso Salvini tracotante. Ma rischia il Paese» - Il Dubbio
 

tontolina

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La WELT Terrorizzata dai minibot!!!
Ecco qui il terrore . Il debito può essere un’arma , soprattutto quando chi lo detiene si comporta in modo assurdo, distruttivo verso il debitore al punto da sollevarne ogni obbligazione dal punto di vista morale. Perchè se il terrore della classe media tedesca è che l’Italia possa trovare una via peer gestire il proprio debito senza togliere nulla a nessuno, allora qualcosa in quest’Europa solidale non va.

Minibot Borghi, alert Bundesbank su Target 2. E Ifo dice basta: ‘Se Italia continua così, Bce tagli crediti a Bankitalia’
06/06/2019 12:20 di Laura Naka Antonelli
Per punire Roma, la banca centrale potrebbe anche imporre svalutazioni sulle garanzie sul debito italiano, o potrebbe alla fine, così come fece nei confronti della Grecia, cacciare l’Italia dal sistema …

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Clemens Fuest, responsabile dell’IFO Institute tedesco, ha detto apertamente che la Bce dovrebbe iniziare a porre limiti alle linee di credito che Bankitalia riceve nel sistema dei pagamenti Target 2, nel caso in cui il governo M5S-Lega continuasse a sfidare le autorità dell’Unione europea.
Lo riporta il Telegraph nell’articolo di Ambrose-Evans Pritchard “German Bundesbank Comes Clean on Euro Default Risks After Italy’s ‘Parallel Currency’ Decree”: ovvero, tradotto, “la Bundesbank tedesca confessa i rischi legati al default dell’euro dopo il decreto italiano sulla ‘moneta parallela’. A essere chiamata in causa, nell’articolo, è l’approvazione da parte della Camera della mozione sui minibot di Claudio Borghi. Dunque, il rischio che l’Italia voglia davvero lanciare una moneta parallela, con tutti i rischi annessi e connessi.

In realtà, è stato lo stesso economista Borghi a smentire più volte che i minibot siano una moneta parallela. Lo ha fatto, per esempio, quando l’anno scorso il Financial Times ha lanciato l’allarme sulla sua proposta dei minibot, paventando la distruzione dell’euro.


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Qualche giorno fa, a seguito dell’approvazione della mozione, l’allarme moneta parallela è stato rilanciato di nuovo, stavolta dal Telegraph.
Dopo qualche ora, la Bundesbank pubblicava un’analisi sul rischio che la Germania correrebbe nel caso in cui un paese appartenente all’euro decidesse di fare default sulle passività note come Target 2. E Ambrose Evans Pritchard riprendeva le dichiarazioni dell’economista Fuest, consigliere tra l’altro della cancelliera Angela Merkel, sulla necessità, magari, di considerare una riduzione delle linee di credito che Bankitalia riceve dalla Bce nell’ambito del sistema dei pagamenti dell’Eurozona. Da segnalare che già in passato Fuest aveva avanzato questa proposta.

Ifo: Bce ponga paletti a crediti Italia in sistema Target 2
Prima di gridare all’ennesimo affronto che Berlino sarebbe pronta a infliggere all’Italia, è necessario fare un po’ di chiarezza, riprendendo l’altro articolo del Telegraph che parla della richiesta dell’istituto Ifo tedesco e, anche, di un’analisi stilata dalla Bundesbank (la banca centrale tedesca guidata dal falco Jens Weidmann possibile successore, tra l’altro, di Mario Draghi, alla presidenza della Bce) sul nodo del Target 2.
Si tratta di uno studio che esamina le eventuali conseguenze che potrebbero concretizzarsi nel caso in cui un qualsiasi paese tra i più importanti dell’Eurozona decidesse di lasciare l’euro, e facesse default sui debiti che deve al sistema della Bce.
La rottura dell’euro, in realtà, viene considerata soltanto come ipotesi da parte della Bundesbank: tuttavia, si rileva che l’avverarsi di una situazione del genere comporterebbe costi inevitabili sia per la Germania che per gli altri stati membri dell’Unione monetaria europea. Difficilmente – si legge inoltre nello studio – le autorità di politica monetaria, ovvero la Bce in primis, disporrebbero di “una chiara strategia per gestire una crisi del genere”. [la Bundesbank dimentica che fu l'Italia a salvare le banche tedesche con 50 miliardi dal fallimento perchè troppo esposte al debito Greco... quando si tratta di prendere sono prontissimi ma poi non restituiscono il favore, anzi da allora l'Italia è perseguitatat dall'asse franco-tedesco]

Tutto parte dal parametro Target 2. Intanto, c’è da ricordare che cosa si intende con questo termine. Si tratta, praticamente, del debito che una banca centrale ha verso il resto dell’Eurosistema.[pertanto è il debito privato e non statale]

Nel sito di Bankitalia si legge che “operativo dal 2007, il Target 2 si basa su una piattaforma unica condivisa (Single Shared Platform, SSP) – sviluppata dalle banche centrali di Francia, Germania e Italia – che regola gli ordini di pagamento provenienti dagli intermediari bancari e finanziari europei. Target 2 rappresenta quindi un presupposto necessario al buon funzionamento della moneta unica ed è uno dei pilastri sui quali si regge il processo di integrazione finanziaria dall’area dell’Euro tutt’ora in corso”.
Nel caso dell’Italia, le passività del Target 2 hanno inanellato diversi record, confermando l’ammontare significativo di debiti che il paese dovrebbe onorare nei confronti degli altri paesi creditori dell’Eurozona (leggi Germania inclusa) nel caso in cui decidesse di uscire dall’euro.

La Germania vanta invece nel sistema dei pagamenti un credito totale di quasi 1 trilione di euro, pari a 920 miliardi di euro, che rappresentano il 27% del suo Pil.

Il problema è che ora, in una fase in cui si torna a parlare di rischio Italexit, di una possibile uscita dell’Italia dall’euro, dei minibot di Claudio Borghi che vengono interpretati alla stregua di una moneta parallela, queste passività italiane stanno innervosendo non poco i paesi creditori nel sistema dei pagamenti dell’Eurozona, Germania in primis.[i miniBot sono debito pubblico già esistente.... e non servono a far fronte al target2 che dove passa il debito privato]

I debiti Target 2 che l’Italia ha nei confronti dell’Eurosistema si aggirano si avvicinano ai 500 miliardi di euro. Se davvero volesse lasciare l’euro, in base alle regole europee, Roma dovrebbe ripagare quei debiti. A tal proposito, vale la pena di riprendere l”intervista rilasciata all’agenzia Agi a fine 2018 da David Blake della City University of London, autore di uno studio, secondo il quale il Target 2 è un vero e proprio “sistema di salvataggio occulto” che ha finora tenuto insieme la moneta unica.

Un sistema occulto che però, essendo entrato nel dibattito politico tedesco, ha precisato Blake, “sta finendo per minacciare l’esistenza dell’euro, a meno che non si vada verso una reale integrazione economica, ovvero quello che Berlino non ha mai voluto”.

Nel corso di quell’intervista Blake ha ricordato i compiti e i doveri dell’Italia ricordando, nel commentare il successo dei nazionalisti e dei populisti, che qualche misura preventiva per scongiurare il peggio e anche per evitare di essere raggirata, l’Eurozona l’ha comunque presa, a dispetto delle varie falle presenti comunque nei suoi meccanismi:

“Come ha scoperto la Grecia, gli architetti dell’Eurozona hanno assicurato in modo efficace che un membro in deficit non possa lasciare l’Eurozona senza pagare appieno i suoi debiti Target 2, non può semplicemente andarsene. Se ci provasse, gli sarebbe negato il credito dell’Emergency Liquidity Assistance della Bce e il suo sistema bancario si bloccherebbe subito“.
Dunque, in teoria l’Italia non potrebbe mollare l’euro e andarsene tranquillamente per la sua strada senza pagare dazio.

Debiti Target 2: e se l’Italia facesse default?
Nell’analisi della Bundesbank riportata dal Telegraph, tuttavia, viene riportato un altro interrogativo: Cosa succederebbe se l’Italia facesse default su quelle sue passività Target 2?

Chi pagherebbe la grave crisi che Roma innescherebbe? Come verrebbe risanato quel grande buco che si creerebbe nello stesso sistema dei pagamenti dell’area euro?

“In un momento – spiega l’articolo del Telegraph – in cui è lo stesso Fmi ad avvertire che sarebbe difficile prevenire una crisi del debito sovrano in Italia che non avesse un effetto domino su Spagna e Portogallo, c’è il rischio concreto che la Bce sia costretta a far fronte a una crisi che ammonterebbe quasi a 1 trilione di euro, se il governo italiano ribelle desse il via a una reazione a catena emettendo i minibot”.

L’analisi della Bundesbank spiega che se l’Italia o qualsiasi altro paese lasciasse l’euro, e la sua propria banca centrale (in questo caso Bankitalia) dichiarasse default sulle proprie passività del Target 2, la Bce dovrebbe a quel punto utilizzare una serie di cuscinetti di capitali: in primis, quelli suoi – fatto di per sé già drammatico – e poi, drenando liquidità dalle altre banche centrali sulla base della regola del capital key.

A quel punto, scrive il Telegraph, sarebbero i contribuenti tedeschi, olandesi, francesi, finlandesi a dover firmare “grossi assegni per salvare le banche centrali”.

E’ uno scenario terribile del genere ad aver portato Clemens Fuest, responsabile dell’IFO Institute tedesco, a dire apertamente che la Bce dovrebbe iniziare a porre limiti, smettendo di estendere linee di credito a Bankitalia, nel caso in cui il governo M5S-Lega decidesse di continuare a sfidare le autorità dell’Unione europea (e il tema è quanto mai attuale, visto il rischio concreto di una procedura di infrazione che proprio ieri Bruxelles ha detto di ritenere giustificata). E non è neanche la prima volta che Fuest lancia questa minaccia.

Riguardo al fatto che il Target 2 rappresenti un problema soprattutto per la Germania creditrice, si è scritto parecchio: A “Trillion Euro” Problem: Target 2 as a Risk for Germany. Ovvero “Un problema da un trilione di euro: il Target 2 rischio per la Germania”. Così scriveva l’economista Sebastian Płóciennik, facendo riferimento al sistema di pagamento dell’Eurozona: un sistema che “ha accumulato simultaneamente i bilanci positivi della Bundesbank e quelli negativi delle banche centrali dei paesi del Sud Europa”, provocando uno squilibrio considerato da tempo rischio economico e politico per la Germania.

L’analista spiegava nel suo articolo che questo sistema di pagamenti iniziò a sollevare dubbi e interrogativi soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008 quando fu chiaro che, a fronte di un target 2 della Bundesbank in nero, pari a 996,3 miliardi, i conti italiani e spagnoli erano entrambi in rosso (rispettivamente di 480,9 miliardi e 398,3 miliardi. Dati che si riferiscono al giugno del 2018).

In Germania il dibattito continua. Il Telegraph riporta altre opzioni che la Bce avrebbe a disposizione per mettere in riga l’Italia, tra l’altro vicinissima a essere colpita da una : la Bce potrebbe imporre svalutazioni sulle garanzie sul debito italiano, o potrebbe alla fine, così come fece nei confronti della Grecia, cacciare l’Italia dal sistema dei pagamenti Target 2 e/o costringerla a imporre controlli sui capitali.
 

tontolina

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analisi e studi Giugno 6, 2019 posted by Francisco La Manna
Borghi, i minibot e i sani di mente
Borghi, i minibot e i sani di mente

Si è aperta una enorme polemica economica in questi giorni, attorno al provvedimento dell’On. Claudio Borghi della Lega, che vorrebbe introdurre lo strumento dei minibot.



Sinceramente non abbiamo ben capito perché un italiano sano di mente e con una infarinatura minima di macroeconomia dovrebbe essere contrario: è una misura “ossigenante” per i pagamenti insoluti della Pubblica Amministrazione, sono esenti da interessi, e ,cosa più importante, sono accettati come pagamento delle tasse.

Si poteva fare di più? Certo, forse proponendo anche i certificati di credito fiscale Marco Cattaneo & Stefano Sylos Labini (una forma rielaborata in chiave nazionale dei Mosler’s Bond), ma è un primo passo a nostro avviso più che positivo.

Chi conosce un po’più da vicino il funzionamento macroeconomico sa che il minibot non è una misura risolutiva e che magari una maggior spesa a deficit per dei piani di lavoro garantito sarebbero stati molto più utili: ma non è questo il momento, e non è questo il contesto favorevole. E poi anche i jobs guarantee sarebbero stati computati come aumento di deficit e quindi maggior debito.

È evidente che i minibot siano una partita di giro, uno sgravio fiscale indiretto che nella testa del legislatore potrebbe togliere dal pantano molte aziende in difficoltà, a prescindere dalla speranza di volerli tramutare o meno in una moneta parallela.

Non ci appassiona molto il dilemma dell’aumento del debito, poiché sappiamo benissmo che non vi sarà soluzione pacifica nell’Eurozona capace di risanare la nostra economia senza un solido incremento della spesa pubblica, sia per quanto riguarda la diminuzione del cuneo fiscale, sia in termini di aumento dell’occupazione, sia per gli investimenti delle infrastrutture; del resto siamo confortati dalle recenti affermazioni dell’ex capo economista del FMI, Olivier Blanchard, che ci rassicura sulla sostenibilità del nostro debito e sulla necessità di attuare politiche economiche espansive da contrapporre alla linea austera dei Trattati Europei.
A lui si aggiunge quasi in coro il futuro dominus della BCE, Jens Weidmann, il quale ammette che in realtà i debiti sovrani dovrebbero esser garantiti da Francoforte in qualità di prestatore di ultima istanza.

Ora invece, notiamo attorno a noi folle oceaniche di Zarathustra dell’economia che si affannano a dare pagelle e a reinterpretare in chiave politica questo tentato provvedimento, come se 40 anni di dissennato sistema monetario europeo potessero essere tamponati da un unico semplice emendamento come i minibot.

Ci preme sottolineare che la politica non è tifoseria da stadio ma è soprattutto strategia, è una partita a scacchi contro la dannosità delle “regole sciocche”, o per chi preferisce la boxe, è una sequenza di round in un incontro dove i due pugili si studiano e si “toccano” per capire dove l’avversario è più scoperto e dove si può sfruttare meglio i sui errori.

Certo, si potrebbe correre il rischio di tornare a casa con le ossa rotte, ma prima di giudicare l’incontro, bisognerebbe aspettare l’ultimo “gong” senza farsi prendere dalle fregole del primo jet sul naso: raramente i mostri cadono con un colpo solo.

Insomma, cari “populisti”, un ultimo consiglio:cerchiamo di apprezzare di più l’impegno e il coraggio del Governo, e lasciamo la polemica sterile ai più fanatici euristi.


Francisco La Manna

Aldo Scorrano
 

alingtonsky

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La favola dei minibot

07.06.19
Tommaso Monacelli

Nella migliore delle ipotesi i minibot sarebbero del tutto inutili perché incapaci di risolvere il problema reale dei debiti della pubblica amministrazione verso imprese private. Nella peggiore, nascondono possibili scenari di uscita dell’Italia dall’euro.


Due ipotesi sui minibot

Dopo la mozione di indirizzo di recente approvata dal Parlamento, nel dibattito pubblico si ritorna (pericolosamente) a parlare di minibot. Non esiste una proposta articolata, ma nella sostanza, dovrebbero essere passività dello stato di piccolo o piccolissimo taglio (10, 50 o 100 euro) emesse senza tasso di interesse e senza scadenza.

Una prima ipotesi è che i minibot siano emessi con la possibilità per imprese e famiglie di usarli per pagare le tasse. È ovvio che in tal caso sarebbero del tutto identici a un taglio delle imposte o, in modo equivalente, a un incremento di debito pubblico. Basta un semplice esempio per capirlo. Se alla fine dell’anno il signor Rossi deve 100 euro di tasse, ma lo stato gli comunica che può usare 100 minibot per pagarle, il signor Rossi risparmia 100 euro da spendere al ristorante, mentre lo stato non incassa quei 100 euro dovuti di tasse, e deve quindi finanziare il deficit di entrate in qualche modo: o riducendo la spesa pubblica, oppure con maggior debito. È una mera questione di identità contabile.

Una seconda ipotesi è che i minibot possano essere utilizzati dalle imprese per riscuotere i crediti che ancora vantano con la pubblica amministrazione (Pa). In questo caso, sarebbero del tutto inutili. Se lo stato deve 100 euro di pagamenti all’impresa del signor Rossi, potrebbe finanziarsi sul mercato emettendo buoni del tesoro per 100 euro e girare poi quei 100 euro al signor Rossi per estinguere il proprio debito. Di fatto, lo stato starebbe scambiando una passività (i pagamenti dovuti all’impresa del signor Rossi), con un’altra passività (i buoni del tesoro emessi per finanziarsi). Perché dunque usare i minibot?

L’unica ragione per farlo sarebbe quella di tassare implicitamente le povere imprese creditrici. Se un’impresa fornitrice della Pa venisse pagata in minibot oggi, potrebbe scontare il proprio credito solo più tardi al momento di pagare le tasse dovute. In ragione di questo lasso temporale (più o meno lungo), di fatto è come se l’impresa sostenesse un costo implicito in misura pari ai mancati interessi (altrimenti, perché semplicemente non ridurre le tasse alle imprese dello stesso ammontare dei crediti esistenti, senza alchimie cartacee?) Un guadagno per lo stato, una tassa implicita per l’impresa. E un ulteriore motivo per guardare i minibot con sospetto. Quello dei debiti inevasi della Pa con le imprese private è un problema reale, che va certamente affrontato. Ma deriva da inefficienze strutturali del nostro sistema amministrativo e non può essere risolto con trucchi monetari.
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La favola dei minibot
 

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