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La morte

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Una riduzione nell'imposizione fiscale alle famiglie finanziata con un inasprimento fiscale alle imprese: al netto di entrate tutte da verificare e promesse di future riforme nella spesa. Questa sembra essere la sintesi delle Finanziaria, non certamente un contributo alla competitività in una fase di perdurante ristagno dell'economia.



Il compito del Ministro dell'Economia per la Finanziaria del 2003 era sicuramente arduo. Stretto tra gli obiettivi del Patto di Stabilità europeo, gli impegni del Patto per l'Italia siglato con le parti sociali, le promesse elettorali più volte riconfermate ed una congiuntura internazionale per niente favorevole, Tremonti ha dovuto fare i salti mortali per cercare di dimostrare come tutte queste esigenze potevano conciliarsi. Tuttavia, la soluzione trovata con la Legge Finanziaria approvata il 30 settembre presenta una coerenza che sa più di aritmetica previsionale che di economia.



Aumento delle entrate dello Stato

Ancora una volta, come purtroppo abbiamo visto fare in Italia con tanti altri Governi, la fretta di dover intervenire e l'impossibilità politica di fare delle riforme sulla spesa pubblica, hanno indotto a trovare nell'aumento delle entrate la quadratura del cerchio.

In effetti, la Finanziaria del 2003 si basa quasi essenzialmente su una previsione (ovviamente tutta da verificare) di un aumento delle entrate pubbliche: 8 miliardi di euro sono il gettito dei condoni previsti, a cui vanno aggiunti 4 miliardi di euro per la vendita di patrimonio, anch'essi destinati ad aumentare le entrate delle casse dello Stato, nonché il gettito del decreto fiscale (modifica della DIT, del regime delle svalutazioni e del trattamento delle riserve della assicurazioni) varato pochi giorni prima della Finanziaria, e che è stato valutato dal Governo per il 2003 in circa 4 miliardi di euro di aumento della pressione fiscale sulle imprese, ma che stime più aggiornate indicano in cifre ben superiori (fino al doppio).

In totale, la Finanziaria del 2003 fa incrementare le entrate dello Stato di almeno 16 miliardi di euro, ossia di un punto e mezzo di PIL. Se poi si tiene conto delle annunciate riduzioni delle imposte sulle famiglie ed imprese per circa 7,5 miliardi di euro (6 secondo la relazione tecnica inviata in Parlamento), la manovra netta sulle entrate pubbliche si situa fra i 9 e i 10 miliardi di euro.



Riduzioni di spesa

A fronte di questo aumento netto di entrate, sono state ipotizzate riduzioni di spesa pubblica per 8 miliardi di euro, delle quali, tuttavia, una parte rischia di trasformarsi in maggiori entrate di enti locali o parastatali. Infatti, non sono state proposte riforme dei meccanismi legislativi che generano la spesa pubblica degli enti locali, bensì sono stati ridotti i trasferimenti a tali enti di risorse finanziarie da parte dello Stato, ferme restando tutte le loro competenze ed obblighi legislativi nei confronti dei cittadini. In queste condizioni, è lecito attendersi che tali enti cercheranno di reperire altre risorse, pur in presenza di un vincolo temporaneo a non aumentare alcune tasse locali, attraverso l'aumento dell'IRAP per le regioni (sfuggita al blocco delle tasse locali), di contributi, tariffe ed altri meccanismi con cui gli enti di spesa decentrati possono finanziarsi.



Emergenza finanziaria

Se, quindi, l'aritmetica delle cifre rispetta alcuni dei vincoli imposti dall'Europa, tuttavia è facile vedere come l'Italia non esca dall'emergenza finanziaria, dato che molte misure sono di portata incerta ed hanno un carattere temporaneo. La previsione di bilancio pubblico del 2003 fa largo affidamento su una crescita del 2,3% del PIL, che noi tutti ci auguriamo, ma che vediamo sempre più improbabile, data l'evoluzione in corso in questi ultimi mesi del 2002 ed i timori di guerra nel Medio Oriente.

Inoltre i gettiti dei condoni sono quanto meno incerti, per un paese che ha già condonato tutto il possibile negli anni passati, oltre ad essere moralmente discutibili per l'implicito invito a non rispettare le leggi. Questa volta, poi, si cercherà di condonare anche il futuro attraverso i concordati preventivi, sicché il reato di evasione fiscale finirà per non esistere più in questo paese come, d'altra parte, sembra testimoniare anche la deposizione dell'on. Previti nel processo che lo riguarda. Anche i tagli alla spesa pubblica sono quanto meno improbabili, visto che ci si è limitati a dare meno risorse finanziarie agli enti decentrati, senza modificare i loro obblighi, sicché, accanto ad alcune auspicabili economie, si assisterà piuttosto a qualche ritardo nei pagamenti e a sicuri sfondamenti degli obiettivi.

C'è quindi il rischio, per tutto il 2003, di una emergenza finanziaria, con continui richiami della Commissione Europea e successive misure per assicurare gli obiettivi di finanza pubblica, a meno di non immaginare ancora un anno di sfondamento dei vincoli, come è già largamente avvenuto nel 2001 e nel 2002, anni in cui il disavanzo pubblico accertato è stato ben superiore di quello previsto e concordato in sede europea.



Imprese penalizzate

In questo scenario, le uniche misure permanenti sembrano essere gli sgravi fiscali per le famiglie di reddito medio-basso (annunciata nel Patto per l'Italia e nel comunicato ufficiale del Governo all'atto di presentazione della Finanziaria in 5,5 miliardi di euro, ma poi stabiliti a 3,5 nella relazione tecnica), finanziati in larga parte dall'aumento della pressione fiscale sulle imprese: almeno 3 miliardi di euro che è il saldo dell'aumento minimo della pressione fiscale dovuta al decreto fiscale e la riduzione delle aliquote sugli utili più la riduzione prevista per l'IRAP. Se poi si tiene conto della riduzione degli incentivi alle imprese (limitazione delle risorse per il Mezzogiorno e leggi speciali e/o loro conversione in prestiti), allora si può dedurre che la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie non deriverà da minori spese pubbliche, ma da aggravi sui conti delle imprese. V'è da domandarsi allora quale senso abbia oggi il cosiddetto Patto per l'Italia che ha generato tante tensioni e spaccature tra le parti sociali per conquistare una riduzione della pressione fiscale che si è trasformata in un finanziamento da parte delle imprese italiane alle famiglie, con la conseguente perdita di competitività che finirà per manifestarsi in un periodo di congiuntura ancora molto difficile e con tensioni sindacali accese.

di Innocenzo Cipolletta
 

La morte

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Laoma

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La morte ha scritto:


In pratica, mi sembra di di arguire che :) , il " Cinese " che ha rovinato l'economia Italiana non sia il popolo Cinese ma chi aveva fatto questa finanziaria. :eek: :uhm:

Le stregha son tornate :( :( :(
 

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