Confindustria italiana delocalizza in Brasile (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Gli errori di Dilma Rousseff e l'attacco all'America Latina. Il Brasile spiegato da uno dei massimi esperti italiani
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anche il nuovo Presidente che ha sostituito Dilma Rousseff è nei guai seri

Brasile, le accuse al presidente Michel Temer: autorizzò tangenti
Rai News -

Spuntano alcune registrazioni fornite da due imprenditori coinvolti nello scandalo di corruzione Petrobras. Brasilia smentisce, sei partiti chiedono le elezioni anticipate. Temer: "Non mi dimetto, sono vittima di una cospirazione". Presidente Michel ...

Questo caso di impeachment arriverebbe dopo quello contro l'ex presidente Dilma Roussef, di cui Temer era vice. Tutto nasce dallo scandalo Petrobras che vide pezzi grossi della costruzione pagare tangenti di miliardi di dollari a politici di spicco, soprattutto per l'assegnazione di appalti. Con l'Operação Lava Jato (Operazione Autolavaggio), la polizia federale ha scoperchiato il caso e le indagini si sono gradualmente allargate fino a coinvolgere anche il settore della carne cruda o confezionata. Il bilancio è stato di oltre 190 ispezioni, oltre 100 rinviati a giudizio, 21 aziende coinvolte e 38 arresti, tra ispettori sanitari che consentivano sostanze proibite e cambi di etichetta sulle carni scadute in vendita. Ciò ha portato al blocco delle esportazioni. - See more at: Brasile, le accuse al presidente Michel Temer: autorizzò tangenti
 

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Il Brasile prova a superare il nuovo scandalo

La politica brasiliana trema ancora e le scosse rischiano di coinvolgere la Borsa locale. Il presidente Michel Temer è stato accusato di corruzione dopo che è stata resa pubblica una registrazione realizzata da Joesley Batista, l’ex chairman di JBS (uno dei maggiori gruppi alimentari del paese) nella quale, secondo l’accusa, si fanno riferimenti a delle tangenti.

La notizia ha preoccupato gli osservatori e gli investitori anche perché sono passati meno di 12 mesi dall’ultimo scandalo politico che ha portato all’impeachement dell’ex presidente Dilma Rouseff per uno scandalo legato alla società energetica Petrobras. In quel caso i mercati sono stati felici di vedere la fine della sua amministrazione e l’indice azionario locale (Bovespa) è cresciuto del 61% (in dollari) fin da quando si è iniziato a parlare di impeachment all’inizio di gennaio 2016. “La ripresa del Brasile ha fatto crescere la fiducia nei paesi emergenti in generale”, spiega Cherry Reynard, analista di Morningstar. “Il problema ora è capire se la nuova crisi farà cambiare direzione all’indice”.

La ritirata, in realtà, è già iniziata.
La Borsa brasiliana ha perso il 5%, mentre altre piazze nei paesi sviluppati ed emergenti sono rimaste
flat. “Questo è dovuto in parte al legame che esiste in Brasile fra la politica e le società quotate”, spiega l’analista di Morningstar. “La società al centro dello scandalo Rousseff, ad esempio, fra gli azionisti ha il governo ed è l’azienda più grande quotata al Bovespa oltre che nel paniere Msci dedicato al Brasile”.
Detto questo, è innegabile che il paese abbia fatto dei progressi. All’inizio del 2016 l’inflazione viaggiava a doppia cifra mentre ora è al 4%. I tassi di interesse erano al 14% e ora sono al 10%. “Ci sono veri segnali di una ripresa economica”, dice Reynard. “Il Brasile è in una situazione migliore rispetto a 18 mesi fa. Ora però fra gli investitori c’è la sensazione che il nuovo scandalo possa rallentare le riforme economiche”.

Cautela in Borsa
Da punto di vista operativo la situazione richiede cautela, soprattutto quando si ha a che fare con società i cui destini sono legati a doppio filo a quelli del governo. “Per aziende come Petrobras non c’è allineamento fra gli interessi del management – nominato dai politici – e quelli dei piccoli soci”, dice l’analista di Morningstar. “L’impresa spesso persegue finalità che niente hanno a che fare con la creazione di valore per gli azionisti”.

La buona notizia, per gli investitori, è che il Brasile sta abbandonando la dipendenza dalle commodity. “La Borsa si sta diversificando”, dice Reynard. “Nel 2007 le materie prime rappresentavano il 60% del mercato brasiliano. Ora ne formano il 25%. Il settore che pesa di più ora è quello finanziario, ma ci sono anche grandi gruppi nel segmento dei beni di consumo”.

Marco Caprotti

Fonte: www.finanzaoperativa.com
 

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La colpa di Lula? Aver reso possibile un altro mondo
Brasile. Solo la popolarità dell'ex presidente spiega la ragione di un accanimento giudiziario che non ha precedenti e ha portato a un processo impensabile in qualsiasi paese democratico
La colpa di Lula? Aver reso possibile un altro mondo

Lula

© LaPresse

Luciana Castellina

Edizione del 08.04.2018

Pubblicato 7.4.2018, 23:59

Aggiornato 15.4.2018, 16:02

Telefonano accorati gli amici brasiliani in Italia, prime fra tutti le compagne-suore che dovettero scappare dal loro paese quarant’anni fa perché avevano aiutato Lelio Basso a preparare il processo del Tribunale internazionale dei popoli che denunciò fra i primi l’orrore della dittatura brasiliana (e da allora sono il pilastro della Fondazione ); inviano messaggi rabbiosi da Rio gli amici del Forum mondiale di Porto Alegre, da San Paolo i compagni del Pt. Il più bello da Belo Horizonte, del cantastorie Erton Gustavo Prado: «Fine corsa per lei, ex presidente alejado (dalle dita amputate), non è a causa dei tre appartamenti che lei sarà condannato. È a causa della sua audacia nell’aiutare i ragazzi a diventare avvocati, nel contribuire all’ascensione del nero della favela che oggi crede di poter studiare medicina, uscire dalla miseria e perfino di conoscere la Cappella Sistina. Fine corsa per lei ex presidente stupido: lei viene condannato non per aver rubato, perché questo non è stato provato. Il suo sbaglio è stato essere storia e fare storia sulla dimensione del Brasile – l’80 % di approvazione popolare – per aver creduto nell’uguaglianza, per aver saputo governare. Fine corsa per lei ex presidente».

Da Buenos Aires chiama Adolfo Perez Esquivel, che fu per anni presidente della Lega internazionale per i diritti dei popoli, il braccio politico della Fondazione Basso (e io ho avuto l’onore di essergli vice) chiedendo sostegno alla raccolta di firme per ottenere che a Lula sia conferito – come avvenne per Martin Luther King – il Nobel per la pace.

Non sempre si scrive accorati su una questione drammatica avendo anche uno stretto rapporto d’amicizia con chi ne è protagonista. È quello che ora accade a me, ma anche a molti di noi qui in Italia: perché il presidente Lula l’abbiamo conosciuto quando era dirigente dei metalmeccanici, poi segretario del Partito dei lavoratori, a San Paolo ma anche, tante volte, qui in Europa, nei tanti momenti di impegno comune nella lotta per liberare l’America Latina dall’oppressione e dalle dittature. Poi, finalmente, quando è diventato il simbolo della grande speranza di riscatto, la prova «che un altro mondo è possibile».

Non credo abbia precedenti quanto sta accadendo in queste ore in Brasile: un presidente condannato a più di 12 anni di prigione che una folla immensa di lavoratori e di poveri tenta disperatamente di difendere dall’arresto, in vista di un’elezione a capo dello stato in cui resta di gran lunga il più favorito. Proprio la popolarità di Lula spiega la ragione di un accanimento giudiziario che non ha precedenti e ha portato a un processo impensabile in qualsiasi paese democratico. (Luigi Ferrajoli ne ha dettagliatamente illustrato ieri su questo giornale gli abusi). L’obiettivo, spudoratamente dichiarato era quello di impedirgli di partecipare alle elezioni, di eliminarlo come concorrente per via giudiziaria. E subito i militari, il corpo minaccioso di tutti i golpe dell’America latina, hanno fatto sentire la propria voce in favore di questo nuovo espediente per riportare la “normalità”: un governo che torni a favorire i ricchi, ponendo fine allo “scandalo” di un governo che tenta – e nel caso di Lula con notevole successo – di aiutare i più diseredati a uscire dalla miseria.

Il caso di Lula non è il solo. Anche la presidente Dilma Roussef è stata liquidata allo stesso modo. E in Argentina si sta imboccando la stessa strada. Difficile a chi si oppone denunciare: nel solo 2017 sono stati ammazzati nel subcontinente 42 giornalisti scomodi.

C’è però da restare sgomenti anche di fronte al modo con cui la vicenda di Lula viene raccontata dai nostri media: o in piccoli trafiletti, o, chi alla questione dedica più spazio, senza mai far cenno a come si è realmente svolto il processo. Nessuno ha detto bugie, per carità, ma le omissioni sono equivalenti.

Tocca a tutti noi mobilitarsi per non lasciare solo chi si batte per impedire l’ennesima controffensiva che cerca di spegnere la speranza. E nell’ultimo decennio l’America Latina è stata una grande speranza.
 

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