Con l'attacco alla Siria hanno “normalizzato” Trump (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Non è stato Assad
Non è stato Assad –

IL PROF. POSTOL
Theodore Postol è uno scienziato del MIT di Boston.
In quella che è una delle più importanti Istituzioni di Ricerca del mondo, Postol insegna Tecnologia e Sicurezza Internazionale; ha lavorato per anni con il Pentagono, è stato consulente della Cia ed ha ricevuto innumerevoli premi scientifici per la sua attività di ricerca nel settore tecno-militare.
Già nel 2013, le sue analisi contribuirono a confutare la teoria dell’Amministrazione Obama secondo cui l’attacco chimico di Goutha alla periferia di Damasco, che produsse centinaia di morti, era stato causato dall’artiglieria siriana di Assad. Attacco che, ricordiamolo, aveva spinto Obama a dichiarare “superata la linea rossa” che apriva all’intervento militare Usa contro la Siria.
Ma proprio le contraddizioni delle informazioni e la non certezza dell’inchiesta, spinsero il Presidente americano a retrocedere e, con l’aiuto della Russia, limitarsi ad imporre al regime di Assad la distruzione del proprio arsenale chimico; distruzione completamente avvenuta, secondo il monitoraggio delle organizzazioni internazionali.


Ora il prof. Postol interviene a confutare nuovamente la Casa Bianca, sul “presunto” attacco chimico a Khan Shaykun, nel nord della Siria nella provincia di Idlib.


Facciamo un passo indietro.

IL REPORT DELLA CASA BIANCA
Tre giorni fa l’amministrazione Trump ha reso pubblico un documento di quattro pagine “declassificato” con le “valutazioni inequivocabili” dell’intelligence Usa, secondo cui sarebbe stata l’aviazione siriana ad usare le armi chimiche che hanno causato circa 80 morti e centinaia di feriti. Le immagini dei bambini morti o agonizzanti colpiti dal gas Sarin, hanno scosso l’opinione pubblica mondiale e spinto gli Usa ad attaccare Assad senza alcuna autorizzazione internazionale.


In realtà il documento americano, riportato con enfasi impressionante da tutti i media occidentali, non prova minimamente che l’attacco chimico è stato opera del regime siriano. Lo dice, ma non lo prova.

Nei giorni scorsi persino a noi che non siamo tecnici, quelle quattro pagine sono apparse quantomeno superficiali e dubbie.
Le prove raccolte dagli americani si basano su fotografie satellitari ed intercettazioni (che però non sono mostrate), più una serie di (testuale): “report di social media pro-opposizione” e “video open-source”, cioè praticamente filmati presi da internet e materiale fotografico, prodotti ovviamente da chi era sul terreno e aveva agibilità nella zona colpita dal bombardamento.
Bisogna ricordare che la zona interessata non è sotto il controllo di romantici “ribelli moderati”, ma sotto le formazioni mercenarie di Al Qaeda; sono loro ad aver girato i video e fatto circolare immagini che la Cia e i media occidentali hanno preso come base di conclusione.

E noi stessi, avevamo sollevato il dubbio che forse, nessuna Commissione d’Inchiesta internazionale avrebbe preso il documento americano come prova per confermare l’accusa al regime siriano e legittimare un intervento armato.
Ed è esattamente quello che scrive Postol: “il documento non fornisce la benché minima prova che il governo siriano sia stata la fonte dell’attacco chimico in Khan Shaykhun. L’unico fatto indiscutibile riportato nel dossier della Casa Bianca è l’affermazione che un attacco chimico di gas nervino si è verificato”.
Postol è categorico: il rapporto della Casa Bianca “non contiene assolutamente alcuna prova che possa indicare chi è stato l’autore di questa atrocità”.
Non solo, ma lo scienziato del MIT va ben oltre e analizza l’immagine che gli americani hanno individuato come prova del bombardamento chimico da parte di un aereo siriano: il famoso “cratere nella strada a nord di Khan Shaykun” con all’interno il presunto resto di bomba che avrebbe rilasciato il Sarin.

Questa immagine riprodotta più volte sulla rete e ripresa sul mainstream, sarebbe per l’intelligence Usa la pistola fumante che inchioda Assad e il suo regime al crimine.

Secondo il documento Usa, “i resti di munizione osservati presso il cratere e la colorazione attorno al punto di impatto sono coerenti con una munizione che si è attivata, ma le strutture più vicine al cratere non hanno subito danni che ci si aspetterebbe da un normale carico ad alto potenziale. Al contrario, hanno subito un danno più coerente con una munizione chimica”.


LA BOMBA NON È UNA BOMBA
Secondo il prof. Postol è esattamente il contrario; questa immagine dimostrerebbe che “il rapporto della Casa Bianca contiene conclusioni false e fuorvianti”.

Perché?

Innanzitutto il munizionamento è un tubo apparentemente di 122 mm simile a quelli usati in artiglieria. Nel 2013 furono questi razzi modificati ad essere utilizzati per l’attacco chimico di Goutha. Di certo questo oggetto non ha nulla a che vedere con un bomba d’aereo.
“Il tubo originariamente sigillato nelle due estremità si presenta schiacciato e con un taglio longitudinale (…) Ma la deformazione del manufatto indica che non è stato lanciato dal cielo.

Se il cratere e la carcassa contenente il Sarin “non sono una messa in scena” ma vere “come ipotizzato nella relazione della Casa Bianca”, allora secondo Postol la munizione è stata quasi certamente messa a terra con un esplosivo detonante esterno su di essa che ha schiacciato il contenitore in modo da disperdere il carico di Sarin”.


COME UN TUBO DI DENTIFRICIO
Un’ipotesi, secondo il professore, è che “una lastra di esplosivo ad alto potenziale” sia stata posta “sopra una delle estremità del tubo riempito di sarin e fatta detonare (…) Poiché il Sarin è un gas incomprimibile” con la pressione “ha agito sulle pareti e sull’estremità del tubo causando una fessura lungo la lunghezza e il cedimento del tappo” Per capire questo meccanismo immaginiamo “di colpire un tubo di dentifricio con un grande maglio.

La relazione di Postol è poi suffragata da ulteriori prove fotografiche ed un’attenta analisi delle condizioni metereologiche la mattina del presunto attacco chimico.

Sorprende che questo report non abbia avuto il benché minimo risalto sui media.

Postol non raggiunge conclusioni politiche. Da scienziato si limita a confutare le “presunte prove” poste da Washington; ma afferma che “nessun analista competente avrebbe omesso che il presunto contenitore di Sarin è stato con forza schiacciato dall’alto, e non è esploso dall’interno”.

NO SIRIANI, NO INCIDENTE. QUINDI?
Se la sua analisi è giusta, quello che si deduce è ancora più sconvolgente.
La versione americana dice che i siriani hanno effettuato un bombardamento chimico. I siriani dicono che loro hanno bombardato con armi convenzionali e che la strage chimica potrebbe essere determinata da gas che i ribelli nascondevano nei magazzini colpiti dalle bombe.
Qui ci troviamo di fronte ad una versione ancora più sconvolgente: non sono stati i siriani e non si è trattato di un incidente. Qualcuno da terra ha volutamente fatto esplodere un contenitore di Sarin, perché colpisse la popolazione civile.

Questo inoltre spiegherebbe il sostanziale numero limitato di vittime che nel caso di un bombardamento chimico aereo sarebbero state di gran lunga maggiore.

Ma chi può aver fatto questo?
Innanzitutto qualcuno che ha completa agibilità della zona.
E chi detiene il controllo della zona?


IL FRONTE CEDEVA…
Quest’ultima immagine è una cartina operativa del fronte di Hama, risalente al 31 marzo scorso (qualche giorno prima del bombardamento) pubblicata sull’account twitter @PetoLucem.

Come si vede l’offensiva scatenata dai ribelli nelle settimane precedenti era stata neutralizzata e l’esercito siriano non solo aveva riacquistato le posizioni ma stava premendo sulla linea difensiva del nemico in procinto di collassare. La provincia di Idlib, dove è avvenuto la strage chimica, è a circa 100 km più a nord di questo fronte ed è sotto il controllo totale dei gruppi legati ad Al Qaeda.

Perché i siriani, in un momento in cui stavano chiudendo in una sacca i ribelli sfondando le loro linee di difesa, dovevano fare una strage chimica sulla propria popolazione, in un posto sperduto senza alcuna ricaduta militare sul fronte operativo?

O meglio, stante questa situazione, chi aveva interesse a bloccare con qualsiasi mezzo possibile, l’offensiva di Assad scatenando una strage che avrebbe messo sotto accusa il regime e comportato l’intervento internazionale?

E infatti, come avevamo anticipato prima dell’intervento Usa, questo strano bombardamento chimico è servito proprio a colpire Assad e salvare i ribelli di Al Qaeda.

Se le analisi del Prof. Postol sono vere, e non è stata una bomba aerea a sprigionare il gas che ha ammazzato gli innocenti, ci troveremmo di fronte ad una clamorosa false flag.
E questo spiegherebbe perché i russi fin dal primo giorno hanno chiesto l’istituzione di una Commissione indipendente che indagasse su ciò che è realmente accaduto; commissione che americani ed europei si sono rifiutati di creare, convinti, come sempre, che la sola verità possibile sia quella dell’Occidente.

Vogliamo sperare che tutto questa ipotesi sia falsa e che la narrazione occidentale sia quella vera: Assad è un crudele dittatore che non si fa scrupoli di gasare il proprio popolo e noi siamo i buoni che corrono a salvare le vittime.
Ma dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia allo Yemen, ci siamo resi conto che le nobili democrazie sanno mentire più e meglio dei peggiori regimi dittatoriali.


Su Twitter: @GiampaoloRossi
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tontolina

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Siria e Nord Corea: il disperato tentativo atlantico di separare Mosca e Pechino
Scritto il 11 aprile 2017 by Federico Dezzani
Twitter: @FedericoDezzani
» Siria e Nord Corea: il disperato tentativo atlantico di separare Mosca e Pechino

Dopo il bombardamento del 7 aprile, domina l’interrogativo se il raid statunitense sia stato solo un evento isolato oppure il preludio di un più ampio coinvolgimento in Siria. Parallelamente le manovre americane in Nord Corea lasciano presagire un intervento militare anche in Estremo Oriente: c’è un nesso tra le due crisi simultanee? L’attacco chimico del 4 aprile, seguito dal blitz missilistico e dalle pressioni sul Cremlino per abbandonare Assad, è una maldestra manovra per riallineare la Russia agli USA ed al resto del blocco occidentale. La minaccia di un intervento contro il regime di Pyongyang, storico “vassallo” cinese, è il tentativo speculare di svincolare Pechino dalla Russia: constata la monoliticità del blocco euroasiatico, si va verso l’escalation militare?

Due “regimi”, un obiettivo: il blocco euroasiatico
Il bombardamento del 7 aprile sulla base siriana di Shayrat ha creato molta amarezza tra i “populisti” europei, galvanizzando al contrario quei governi e quelle istituzioni che si sentivano orfani della salda guida della Casa Bianca: la Francia di François Hollande, la Germania di Angela Merkel, l’Unione Europea e la NATO hanno salutato con sollievo e soddisfazione il rinsavimento, o sarebbe meglio dire “la normalizzazione”, di Donald Trump. Allo choc seguito dal raid americano, un vero e proprio ribaltamento di 180 gradi della politica estera promessa da Trump durante la campagna elettorale, si è sommata la confusione circa le intenzioni di Washington nell’immediato futuro: una confusione alimentata dalla cacofonia della stessa amministrazione Trump, dove ad una fazione che preme per il cambio di regime a Damasco si contrapporrebbe una più conciliante, disponibile a negoziare una soluzione con Mosca.

La fazione dei “falchi” sarebbe capitanata dall’ambasciatrice americana alle Nazione Unite, Nikki Haley, secondo cui la defenestrazione di Bashar Assad è “inevitabile” ed è “una priorità degli Stati Uniti d’America”, insieme all’eliminazione dell’influenza iraniana in Siria1. Le “colombe” risponderebbero invece al Segretario di Stato, Rex Tillerson, che domenica 9 aprile ha ribadito che la linea della Casa Bianca non sia cambiata e che l’obiettivo più impellente rimanga la lotta all’ISIS2. È però forte il sospetto che la suddetta contrapposizione in seno all’amministrazione Trump sia solo apparente e sia riconducibile al classico gioco delle parti: a pochi è infatti sfuggito come, nelle immediate ore che hanno preceduto il blitz del 7 aprile, lo stesso Tillerson avesse ammesso che si stesse lavorando (“steps are underway”3) per rimuovere il presidente Assad. L’obiettivo di “falchi e colombe” è quindi lo stesso ed ognuno lavora a suo modo per raggiungerlo: la Haley parlando espressamente di cambio di regime manu militari, Tillerson proponendosi come mediatore.

La strategia del doppio binario, impostata nelle 72 ore successiva al bombardamento aereo, prosegue la settimana successiva. Da un lato, il Pentagono ed il governo inglese assumono posizioni sempre più intransigenti, evocando una responsabilità russa nell’attacco chimico del 4 aprile e premendo per un ulteriore irrigidimento dei rapporti diplomatici. Dall’altro, il Segretario di Stato Tillerson conduce l’estremo tentativo diplomatico teso a sganciare Mosca dal governo siriano e dall’abbraccio con Teheran: l’occasione è fornita dal G7 di Lucca del 10-11 aprile, trasformato, dopo gli ultimi drammatici sviluppi, in un summit straordinario sulla questione siriana.

Oltre ai rappresentati dei “sette Paesi più industrializzati” (etichetta ormai obsoleta), intervengono al vertice anche i delegati di Turchia, Emirati, Giordania, Arabia Saudita e Qatar: tutte le potenze sunnite schierate contro Damasco ed il suo alleato iraniano. Il G7 toscano, che precede di poche ore il viaggio di Tillerson in Russia, coincide con l’ultimo appello che l’establishment atlantico lancia a Mosca affinché ritiri il suo sostegno ad Assad, in cambio di un pieno reintegro della Russia nel circuito diplomatico-economico occidentale. “È chiaro a tutti noi che il regno di Assad sta arrivando alla fine. Le alleanze russe con Assad, Iran ed Hezbollah non servono gli interessi di Mosca, che dovrebbe riallinearsi con gli Usa e gli altri Paesi4 afferma Tillerson alla fine del summit. “Diciamo ai russi di cogliere l’opportunità (dell’attacco chimico, Ndr) per distanziarvi dagli orrori del regime di Assad e mostrare con sincerità che volete la pace5 gli fa eco il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault.

I tentativi del “russofilo” Tillerson (ha intessuto discreti rapporti con Putin nella veste di amministratore delegato della ExxonMobil) cadono però nel vuoto: la Russia non ha minimamente intenzione di abbandonare una regione dove ha ritrovato il suo rango di superpotenza mondiale per stringere un’infida alleanza con il blocco atlantico, lo stesso che ha ordito il cambio di regime in Ucraina e fomenta il terrorismo dentro i confini russi. Nei giorni che seguono il raid americano in Siria, l’intesa tra Mosca e Damasco non vacilla minimamente e si assiste, al contrario, ad un incremento del dispositivo militare russo e dei contatti con Teheran in vista di ulteriori attacchi americani: l’8 aprile la moderna fregata Admiral Grigorovich attraversa il Bosforo per posizionarsi davanti alle coste siriane, quasi contemporaneamente è diffuso in forma ufficiosa un comunicato congiunto di Mosca, Teheran ed Hezbollah che promette ritorsioni nel caso in cui gli USA violino di nuovo “la linea rossa” dell’ingerenza militare 6, il 9 aprile Vladimir Putin e l’omologo iraniano, Hassan Rouhani, intrattengono un colloquio telefonico per condannare congiuntamente l’azione statunitense.

Putin rimane sordo alle offerte occidentali e l’esplicito riferimento a Saddam Hussein ed all’armi di distruzione di massa, è una spia di quanto il Cremlino tema che possa avvenire dopo il suo rifiuto di “riallinearsi agli USA”: nuovi attacchi chimici e nuove accuse ad Assad7, prodromo dell’intervento militare americano in Siria. Fallito infatti il tentativo di Tillerson di incunearsi tra Mosca e Damasco, torna infatti alla ribalta il piano di Nikki Haley e dei falchi dell’amministrazione Trump: “If you gas a baby, if you put a barrel bombing to innocent people, I think you can see a response from this president” ha affermato il 10 aprile il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, spalancando le porte di un intervento militare con un ampissimo margine di discrezionalità della Casa Bianca.

Altra prova dell’aggressività angloamericana è la strage di domenica 9 aprile alle due chiese copte a Tanta e ad Alessandria d’Egitto: l’attacco rivendicato dall’ISIS e costato la vita ad una cinquantina di persone, costringe il presidente Abd Al-Sisi a proclamare lo stato d’emergenza per tre mesi, extrama-ratio contro la perdurante destabilizzazione di cui il Paese arabo è vittima 2011. Parliamo dello stesso Egitto che, dopo la Primavera Araba del 2011 e la tragica presidenza della Fratellanza Mussulmana, è progressivamente entrato nell’orbita russa, stipulando contratti miliardari, comprando ingente materiale bellico e progettando una comune strategia nella vicina Libia: colpire la comunità cristiana significa colpire il laico e nazionalista Ab Al-Sisi e, in ultima analisi, il nuovo partner mediorientale della Russia. L’ennesima spintarella affinché Mosca si “riallineai agli USA”.

Parella al dossier siriano, procede la crisi in Nord Corea: i destini di Damasco e di Pyongyang sembrano legati a doppio filo dall’attacco chimico di Idlib. Il raid del 7 aprile coincide con il vertice in Florida tra il presidente Trump e quello cinese Xi Jiiping, “protettore” della Corea del Nord come Putin lo è della Siria. Il 9 aprile, una flotta di navi americane guidate dalla portaerei americana USS Carl Vinson si dirige verso la penisola coreana. L’11 aprile, il presidente Donald Trump si dice pronto ad un intervento militare contro il regime nord-coreano: “la Repubblica Popolare di Corea è pronta a reagire con ogni modalità di guerra desiderata dagli Stati Uniti” risponde perentoriamente Pyongyang di fronte allo scenario di un’aggressione militare americana sempre più concreta. L’atomica, dice il regime nord-coreano, è un’arma indispensabile per prevenire attacchi simili al bombardamento in Siria.

In Estremo Oriente come nel Levante, il neo-presidente ha rapidamente assunto una postura diametralmente opposta alle promesse di disimpegno militare, abbandonando i vaghi propositi neo-isolazionisti ed adagiandosi al più classico interventismo in difesa dell’impero angloamericano. È possibile leggere in maniera organica le ultime mosse di Donlad Trump in Siria e Corea?

La strategia angloamericana messa in atto col raid aereo del 7 aprile è un maldestro tentativo di separare Mosca e Pechino: inscenando l’attacco chimico, bombardando la Siria con un raid puntuale ed invitando il Cremlino di abbandonare Assad, l’establishment atlantico offre alla Russia “l’occasione di riallinearsi agli USA ed agli altri Paesi del G7”, schierandosi così implicitamente nel blocco occidentale. Parallelamente è attuata la manovra per svincolare la Cina da Mosca: durante la visita in Florida del presidente cinese, Trump offre probabilmente a Xi Jiiping l’intangibilità del regime nord-coreano in cambio di un allentamento dei rapporti economici e politici col vicino gigante russo: ecco spiegata la simultaneità delle due crisi.

È un’operazione che si sta rivelando drammaticamente fallimentare: né Putin ha intenzione di abbandonare la Siria e tagliare i ponti con la Cina, né Jiiping è disposto a farsi ricattare dagli USA. I media cinesi hanno prontamente condannato il raid aereo del 7 aprile, schierandosi implicitamente con Mosca8, e la diplomazia russa ha già preso una ferma posizione contro un’ipotetica azione militare di Washington nella penisola coreana9. La disperazione angloamericana è dimostrata dal precipitare della situazione in Nord Corea: se Putin fosse rientrato nei ranghi dell’Occidente o se Jiiping avesse accettato di isolare la Russia, un eventuale intervento militare contro Pyongyang non sarebbe più all’ordine del giorno.

Dinnanzi alla monoliticità del blocco euroasiatico e all’avvicinarsi di un appuntamento elettorale, le presidenziali francesi, che rischia di infliggere il colpo di grazia alla UE/NATO con la vittoria di Marine Le Pen, cosa farà l’establishment atlantico? Procederà con un blitz in Nord Corea, simile a quello del 7 aprile, per poi passare all’invasione della Siria? E, soprattutto, cosa faranno Russia e Cina di fronte all’aggressività sempre più sfrenata gli Stati Uniti? Le tensione del sistema internazionale è destinata ad aumentare incessantemente nelle prossime settimane.




1Syria: Nikki Haley says regime change is inevitable - CNN.com

2Nikki Haley says 'regime change' in Syria. Rex Tillerson doesn't. What gives? - CNNPolitics.com

3‘Something should happen’ — cryptic comment from Trump suggests a new policy for Syria

4Tillerson:regime di Assad verso la fine

5Siria: ministro francese Ayrault a G7, nessuna soluzione con Assad

6Assad allies say U.S. attack on Syria air base crosses 'red lines'

7Putin a Mattarella: “Mi aspetto nuovi attacchi chimici in Siria”

8https://www.nytimes.com/2017/04/08/world/asia/china-xi-jinping-president-trump-xinhua.html

9Russia, before Tillerson visit, says worried USA may attack North Korea


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alingtonsky

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Syria chemical weapons attack: 'Proof' of Sarin use - CNN.com


There is ‘incontrovertible evidence’ sarin gas was used to attack a Syrian village


Il presidente siriano Bashar Assad ha beffato l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (che nel 2013 ricevette il Nobel per la Pace per aver distrutto l'arsenale siriano), l'Opac, ed il mondo perche' ha conservato centinaia di tonnellate di gas nei suoi depositi. E' quanto afferma il generale Zaher al-Sakat, capo della sezione armi chimiche nella potente V divisione dell'esercito siriano, fino alla sua defezione a marzo del 2013, secondo il quale Assad ha tenuto nascoste grandi quantitativi di gas nervino sarin (come quello che e' stato accertato, sempre dall'Opac, è stato usato nel raid del 4 aprile su villaggio di Khan Sheikun che fece quasi 90 morti) ed altri agenti letali.

Così il generale al britannico Daily Telegraph, che ricorda come Assad riuscì a scampare alle conseguenze del superamento della "linea rossa" tesa da Barack Obama, usare il gas contro il proprio popolo, cosa che fece a Ghouta il 21 agosto 2013, uccidendo 1.400 persone, perchè si impegnò, su mediazione dell'alleato russo, a consegnare le 1.300 tonnellate di armi chimiche ufficialmente in suo possesso all'Opac perché le distruggesse.
...

Il 53enne alto ufficiale, che sostiene di aver mantenuto contati in Siria, ha riferito che il regime di Assad prima dell'arrivo degli ispettori dell'Opac ha rapidamente spostato e occultato il contenuto di alcuni arsenali. Diverse tonnellate di armi chimiche sono state trasportate nei depositi fortificati nelle montagne di Homs e nella citta' costiera di Jableh, vicino a Tartus, sede dell'unico porto russo nel Mediterraneo.
...

Lo stesso Sakata ha ammesso che mesi prima della sua defezione, il suo comandante, il generale Hali Hassan Amar, gli ordinò di effettuare tre attacchi usando gas. Il primo a ottobre del 2012 sulla città meridionale di Sheikh Maskeen, il secondo a dicembre sulla vicina Harak e l'ultimo a gennaio 2013 a Busra al-Hairi. Tutti centri dove si erano registrate manifestazioni anti Assad. In tutti i casi gli era stato ordinato di impiegare il fosgene, gas usato per la prima volta nel 1915 nei campi di battaglia della I Guerra Mondiale, che causa il dissolvimento delle membrane delle cellule causando il riempimento delle vie respiratorie di liquido e quindi la morte per asfissia. Al-Sakat sostiene che approfittando della notte allungo' con acqua la concentrazione di fosgene, riuscndo a ridurre significativamente il numero delle vittime.

Proprio in quei giorni i servizi segreti di Assad arrestarono il figlio Mohammed, cadetto all'accademia, facendogli firmare la confessione di crimini mai commessi. Sakat dovette pagare un riscatto per riavere il figlio. Ma dopo il terzo attacco 'annacquato' i suoi superiori si insospettirono e lui decise di scappare, prima in Giordania e poi in Turchia per unirsi al Libero Esercito Siriano, una delle prime formazioni anti-Assad.
14 aprile 2017 ©
"Assad ha almeno 2.000 tonnellate di armi chimiche". L'accusa di un generale siriano



Assad still has ‘hundreds of tonnes’ of chemical weapons in stockpile

Bashar al-Assad still has 'hundreds of tonnes' of chemicals stockpiled, former Syrian weapons research chief claims


US Defense Secretary Mattis: Syria still has chemical weapons
 
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alingtonsky

Forumer storico
Trump’s War Policy in Syria


La politique de guerre de Trump en Syrie

Aprile 23, 2017 Rodolfo Casadei
...
Questi e altri indizi fanno intendere molto chiaramente che gli Usa non stanno pensando a un’escalation bellica in funzione anti-russa e anti-Assad a vantaggio dei ribelli, ma hanno lanciato forte e chiaro l’avvertimento che governativi di Damasco e loro alleati russi non possono pensare di risolvere la crisi siriana con una vittoria delle armi, bensì devono fare i conti con gli Usa e negoziare per davvero con loro un accordo onnicomprensivo.

Secondo la grande stampa anglosassone ed europea la nuova politica siriana dell’amministrazione Trump nasce dall’esigenza di recuperare un po’ di consenso presso un’opinione pubblica in maggioranza critica dell’operato del neo-presidente: mentre fino a ieri secondo la Gallup gli americani che approvavano la sua azione politica oscillavano attorno al 40 per cento, il bombardamento di Shayrat e le durissime dichiarazioni su Assad hanno registrato un consenso del 57 per cento. Ma soprattutto sarebbe la risposta alla pressione e financo ai ricatti dello “stato profondo” (espressione evocata non da sostenitori di Trump, ma dal peraltro nemicissimo New York Times) che con continue fughe di notizie mira ad avvalorare l’immagine di un’amministrazione presidenziale infeudata a Putin.

Il presidente, accusato di avere vinto le elezioni anche grazie all’aiuto degli hacker russi che avrebbero attaccato i server del Partito democratico e del capo della campagna presidenziale di Hillary Clinton, ha perduto in febbraio il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn da lui nominato, proprio per vicende legate a rapporti con dirigenti di Mosca: il generale in pensione è stato costretto alle dimissioni per aver mentito su suoi incontri con diplomatici russi. E il 31 marzo è stata diffusa la notizia che Flynn era pronto a testimoniare non si sa che cosa in cambio dell’immunità. La svolta di Trump avrebbe a che fare con quelli che sembrano essere veri e propri ricatti, ai quali già avrebbe ceduto nominando a capo dell’ufficio del Consiglio di sicurezza nazionale che si occupa della Russia e dell’Europa una diplomatica nota per le sue critiche a Vladimir Putin, cioè Fiona Hill.

In realtà la mossa di Trump in Siria mira a prendere due piccioni con la stessa fava: serve ad allentare la pressione mediatica e politica (non ancora giudiziaria, siamo in America) che vuole presentarlo come un presidente a capo di un’amministrazione venduta alla Russia, ma è anche la strada per arrivare a un accordo coi russi sulla Siria e non solo su quella. La differenza fra Obama e Trump non è che il primo era intransigente coi russi mentre il secondo sarebbe stato fino a una settimana fa accondiscendente, prima di rinsavire e diventare anche lui intransigente. La differenza è fra un’amministrazione che mirava a logorare Mosca per provocare un “regime change” al Cremlino e una che vuole concludere accordi vantaggiosi per gli Usa con gli attuali governanti russi.

L’appoggio misurato ai ribelli siriani che hanno messo alle corde gli Assad storici alleati di Mosca, il sostegno alle Rivoluzioni arancioni, l’allargamento della Nato, lo scudo antimissilistico in Polonia e Repubblica Ceca, il sabotaggio della soluzione di compromesso che avevano raggiunto governo e opposizione a Kiev nel febbraio 2014 sotto l’egida dell’Unione Europea per arrivare alla caduta pura e semplice del governo del filorusso Viktor Janukovyč sono state tappe di uno strangolamento della Russia che doveva incoraggiare l’opposizione interna a Putin a iniziare una rivoluzione arancione anche a Mosca, e invece ha causato reazioni aggressive come l’annessione della Crimea, la guerra segreta nel Donbass, l’intervento militare in Siria. Trump, il cui famoso libro L’arte di fare affari ha venduto un milione e 100 mila copie nella sola edizione inglese, sa meglio di tutti che il modo migliore per fare un buon affare, cioè alle migliori condizioni per sé, è scegliersi come controparte qualcuno che ha assolutamente bisogno di concludere un accordo. In Siria quelli che ogni giorno che passa hanno più bisogno di arrivare a un accordo sono i russi. Se li si mette in difficoltà, saranno loro a fare concessioni.


Gli Stati Uniti non intendono intervenire in forze, ma non vogliono nemmeno che qualcuno dei contendenti arrivi alla vittoria sul campo. I ribelli non devono poter abbattere Assad, perché si correrebbe il rischio che le armi chimiche ancora presenti negli arsenali di Damasco finiscano nelle mani di gruppi terroristi: per allungarsi la vita Assad non ha bisogno di usare le armi chimiche, gli basta continuare a detenerle. Nessun leader mondiale sano di mente vorrà correre il rischio di veder cadere nelle mani dell’Isis o di Al Qaeda il sarin siriano: in Europa i terroristi non farebbero più gli attentati coi camion, ma col sarin. Ma nemmeno Putin e Assad devono poter vincere, nel momento in cui gli Usa possono impedirlo e lucrare vantaggi geopolitici da questo.

La politica di Damasco e Mosca finora è stata quella di guadagnare tempo con inconcludenti negoziati a Ginevra, per progredire intanto sul campo di battaglia. Con il bombardamento di Shayrat e le successive dichiarazioni Trump ha voluto chiarire che Mosca, Damasco e Teheran non possono in nessun modo sperare in una vittoria sul campo, e che gli Usa vogliono essere realmente parte contraente di un accordo, per la definizione del quale ognuno deve rinunciare a qualcosa nel momento stesso in cui fa valere i suoi interessi. Adesso che nessuno in America può più pensare che Trump e i suoi siano marionette del Cremlino, il negoziato per il “grand deal” con Putin può cominciare.

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tontolina

Forumer storico
i bugiardoni americani non sanno più cosa inventare per convincere alla guerra giusta contro la Siria


ci siamo stufati della loro aggressività
hanno pure la pretesa di avere il supporto morale dei popoli
ma USA+UK+Israele restano un impero peggiore del 3° Reich
Damasco smentisce Usa su esecuzioni di massa in Siria
ANSA.it - ‎


Il governo siriano nega ''categoricamente" le accuse degli Usa sulle esecuzioni di massa nel carcere e sul crematorio per bruciare le vittime. L'agenzia ufficiale governativa siriana Sana cita una non meglio precisata "fonte responsabile al ministero degli esteri", secondo cui "le asserzioni dell'amministrazione americana sul cosiddetto crematorio della prigione di Saydnaya fanno parte di una storiella ideologica staccata dalla realtà". Il governo siriano ha sempre smentito di commettere violazioni ai diritti umani nelle carceri del paese.

Ong, in zone de-escalation 94% meno violenza - E' diminuito fino al 94% il grado di violenza in Siria nelle "zone di de-escalation" definite dall'accordo di Astana raggiunto 10 giorni fa da Russia, Iran e Turchia, col benestare dell'Onu e con l'assenso di fatto degli Stati Uniti. Lo riferisce oggi l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), che monitora le violenze nel paese grazie a una capillare rete di attivisti e ricercatori. - Secondo l'Ondus, nelle quattro zone di "de-escalation" (Idlib, Daraa-Qunaytra, Homs-Hama, sobborghi orientali di Damasco), è diminuito sensibilmente il numero delle vittime di raid aerei e di artiglieria russi e governativi, facendo segnare una flessione dell'85% in alcune aree e del 94% in altre.

Usa contro Assad,prigionieri uccisi e bruciati in forni - Esecuzioni di massa dei prigionieri della guerra civile tramite impiccagioni e distruzione dei loro corpi in un crematorio per nascondere le prove: è la terribile accusa mossa oggi dall'amministrazione Trump a Damasco. Il governo di Assad "è sprofondato in un nuovo livello di depravazione" con il sostegno di Russia e Iran, ha denunciato Stuart Jones, alto diplomatico Usa per il Medio Oriente mostrando le foto satellitari del presunto crematorio, che sarebbe stato ricavato modificando un edificio della prigione militare di Saydnaya, a 45 minuti a nord di Damasco. Sono immagini scattate durante vari anni, a partire dal 2013, e che non costituiscono una prova schiacciante e definitiva sulla natura dell'edificio ma mostrano una struttura coerente con tale uso. In una foto presa nel gennaio del 2015, ad esempio, si vede un'area del tetto dell'edificio con la neve che si scioglie. "Noi crediamo che il regime siriano abbia installato un crematorio nella prigione di Sednaya che potrebbe disfarsi dei resti dei detenuti per nascondere l'ampiezza delle esecuzioni di massa", ha spiegato. Secondo fonti credibili, ha aggiunto, molti corpi sarebbero invece gettati in fosse comuni. Gli Usa, ha promesso, presenteranno le prove alla comunità internazionale. Il Dipartimento di Stato ritiene che nella prigione siano impiccati circa 50 detenuti al giorno. Era stata Amnesty international a puntare per prima il dito contro il carcere di Sednaya: in un rapporto dello scorso febbraio sosteneva che vi venivano impiccate mediamente da 20 a 50 persone a settimana, per un totale tra 5000 e 13 mila vittime in quattro anni. Una carneficina, con l'ombra sinistra di un crematorio che evoca gli eccidi nazisti. L'accusa arriva all'indomani di un'intesa anche tra Usa e Russia sulla creazione di zone cuscinetto in Siria, concordata nei colloqui di Astana tra Mosca, Ankara e Teheran. Ma Jones ha espresso dubbi anche su questo: "Alla luce del fallimento dei precedenti accordi per il cessate il fuoco, abbiamo motivo di essere scettici". E ha rilanciato il monito al regime di Assad perché fermi tutti gli attacchi contro i civili e le forze di opposizione, richiamando la Russia alla sua responsabilità nel far rispettare a Damasco i suoi impegni. "Siamo inorriditi dal fatto che queste atrocità sono state compiute dal regime siriano apparentemente con l'incondizionato sostegno della Russia e dell'Iran", ha aggiunto il diplomatico.

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tontolina

Forumer storico
i bugiardoni americani non sanno più cosa inventare per convincere alla guerra giusta contro la Siria

ci siamo stufati della loro aggressività

hanno pure la pretesa di avere il supporto morale dei popoli

ma USA+UK+Israele restano un impero peggiore del 3° Reich
2. A febbraio, Amnesty International (che promuove gli interventi della NATO) ha pubblicato una relazione ad effetto su presunti omicidi nelle prigioni siriane. Come scrivemmo al tempo:

“Un nuovo report di Amnesty afferma che il governo siriano ha impiccato tra i 5.000 e i 13.000 prigionieri in un carcere militare in Siria. Non c’è nessuna prova, si basa tutto su fonti anonime. I numeri stessi sono stime che nessuno scienziato e nessuna corte accetterebbe mai. È fantascienza, come dimostra il titolo del documento, “Mattatoio umano”.

Il Dipartimento di Stato americano ora riutilizza questa falsa relazione e ci aggiunge immagini satellitari, mal interpretate, per diffamare ulteriormente il governo siriano:

Stati Uniti: Siria brucia corpi per nascondere la prova delle uccisioni di massa.

Nelle sue ultime accuse, il Dipartimento ha dichiarato di credere che circa 50 detenuti al giorno vengano impiccati nella prigione militare di Saydnaya, circa 45 minuti a nord di Damasco. Molti dei corpi sono poi bruciati in un forno crematorio “per coprire l’entità degli omicidi di massa che si verificano”, ha dichiarato Stuart Jones, il principale diplomatico statunitense per il Medio Oriente, che accusa il governo di Assad di sprofondare “in un livello ancor maggiore di depravazione”.

Il dipartimento ha rilasciato fotografie satellitari che mostrano quel che è descritto come un edificio carcerario, modificato per ospitare il forno. Le foto, riprese nel corso di diversi anni a partire dal 2013, non dimostrano che l’edificio sia un crematorio, ma mostrano una costruzione che può sembrarlo.

Se ce ne fosse uno nella prigione Saydnaya, come mai nessun testimone di Amnesty ne ha parlato nella recente relazione?
Questi testimoni sono stati in quella prigione e hanno osservato tutti i dettagli. Hanno detto che tutti i morti vengono sepolti in tombe di massa.

Un esperto militare olandese ha esaminato le immagini del satellite e l’interpretazione che lo Stato ne dà e si chiede:
Ian Grant @Gjoene – 6: 2 PM – 15 maggio 2017
È uno scherzo @StateDept? Anche prima del 27 agosto ’13 queste “aperture” erano presenti. Vedasi i filmati allegati da Terraserver.com (03 aprile ’13) #Sednaya

Un altro specialista approfondisce:
Aldin Abazović @CT_operative – 5:33 – 15 maggio 2017
Immagini che mostrano il presunto forno crematorio della prigione di Saidnaya, #Damascus #Syria. Per quanto non mi piaccia parlare di questo argomento, queste foto non dimostrano nulla. L’edificio potrebbe essere una semplice caldaia o un locale di riscaldamento per la struttura carceraria. A meno che non si effettui una visita, non c’è modo di dimostrare alcunché. È facile manipolare immagini satellitari. Basta mettere un’etichetta x sulla cosa y. Non posso confermare quale particolare parte della prigione sia né per cosa sia utilizzata.

Il Dipartimento di Stato non ha alcuna prova a riguardo, tranne la relazione di cui sopra, che non dice nulla di un crematorio, e alcune immagini satellitari che non mostrano ciò che il dipartimento asserisce. Si vuole gettare fango sul governo siriano sperando che ciò faccia effetto. Questo rilascio di non-notizie creerà alcuni titoli nelle pubblicazioni “occidentali”. Probabilmente è propaganda per una guerra ancor più ampia in Siria.

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tontolina

Forumer storico
Provocazione Putin: «Niente segreti
I verbali di Lavrov ve li diamo noi»

Il presidente russo riceve Gentiloni. Sul caso americano: «Schizofrenia politica»
di Paolo Valentino, inviato a Sochi

Provocazione Putin: «Niente segreti I verbali di Lavrov ve li diamo noi»



«Dovrò rimproverare Sergei Lavrov, perché di ritorno da Washington non ha svelato alcun segreto, né a me, né ai nostri servizi», dice Vladimir Putin con un sorriso malizioso e condiscendente. Nella conferenza stampa che chiude il vertice con Paolo Gentiloni, il presidente russo usa l’ironia per affondare colpi pesanti contro i media e la classe politica americana. «Se l’Amministrazione lo ritiene appropriato, forniremo il resoconto stenografico dell’incontro di Lavrov con Donald Trump».

Putin è attento a tenere fuori quest’ultimo, naturalmente, precisando di «aver apprezzato molto» l’invito nello Studio Ovale al suo ministro degli Esteri, che ricambia quello suo di poche settimane prima al Cremlino al segretario di Stato Rex Tillerson.

La procedura
Ma sulle informazioni top secret, che Trump avrebbe rivelato agli ospiti russi, il leader del Cremlino affonda il bisturi: «Schizofrenia politica», che ostacola il lavoro di Trump. Comportamento che al contempo «fa ridere e preoccupa». Un «nonsense perfino difficile da immaginare». Putin si dice sorpreso che «questa gente», riferendosi ai media e ai congressisti che accusano la Casa Bianca, «tenti di fomentare sentimenti anti russi» nell’opinione pubblica americana: «Delle due l’una, o non capiscono il danno che fanno al loro stesso Paese e quindi sono stupidi, oppure capiscono tutto e allora sono pericolosi e corrotti».

Fuochi d’artificio a parte, è un successo la visita del premier italiano in quello che è ormai il «Cremlino di Primavera», dove Putin da un mese, tra un Gran Premio di Formula 1, una partita di hockey su ghiaccio e un viaggio a Pechino, fa residenza fissa e riceve i leader stranieri, da Erdogan ad Angela Merkel.

Nei colloqui di Sochi si parla di scenari globali, crisi regionali, lotta al terrorismo e si firmano accordi che segnalano una nuova stagione di cooperazione economica fra Italia e Russia. Ma soprattutto la visita cristallizza un simbolismo che è anche sostanza: una settimana prima del G7 di Taormina, Gentiloni, che ne governa l’agenda, viene a raccogliere il punto di vista della Russia, «attore importante della scena internazionale». «Sappiamo cosa ci unisce e cosa ci divide — dice il presidente del Consiglio —, sappiamo che abbiamo un interesse comune alla stabilità, alla soluzione delle crisi in Libia, Siria e nella Penisola coreana. Tenere conto delle posizioni russe nella discussione al G7 è un dovere».

Gentiloni glissa sulla domanda se prima o poi il G7 tornerà ad essere G8 riammettendo la Russia, indicando nel «lavoro comune» la strada per ricucire lo strappo. Putin se ne esce con una battuta: «Il messaggio che ho dato a Paolo Gentiloni per il G7 è segreto». Ma non rinuncia alla stoccata, lodando i vantaggi del G20, un format più rappresentativo degli equilibri mondiali, «non limitato e non politicizzato», dove la Russia lavora «con buoni risultati» insieme alla Cina e ad altri partner.

La crisi libica occupa uno spazio di rilievo. «C’è speranza di stabilire una pace civile», spiega Putin, che si dice pronto a lavorare per la normalizzazione con gli altri partner regionali, «in primo luogo l’Egitto», confermando il crescente ruolo della Russia anche in Nord Africa. Per Gentiloni, l’obiettivo comune di Roma e Mosca in Libia è «l’ampliamento della base del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, in modo da includere anche la parte rappresentata da Haftar».

Sulle sanzioni alla Russia, conseguenza della crisi ucraina, il premier ribadisce la posizione italiana del «no a ogni rinnovo automatico». Ma in tema di rapporti economici con Mosca, esprimono una volontà molto più chiara dell’approccio pragmatico dell’Italia i sei accordi firmati in margine al vertice. Da un lato Rosneft, gigante energetico russo, dall’altro Eni e due aziende d’avanguardia nel settore, Pietro Fiorentini e Tecnoclima, specializzate rispettivamente in equipaggiamenti per la sicurezza dei pozzi petroliferi e sistemi per riscaldarli. Uno dei protocolli riguarda la formazione in Italia di tecnici e ingegneri e coinvolge il Politecnico di Torino e l’Università Mgimo di Mosca. Infine l’Anas, che si assicura la gestione di un tratto autostradale sulla Mosca-Rostov.

L’accordo di Rosneft con Eni apre nuove prospettive alla cooperazione strategica fra due colossi. «Contiamo sulla partecipazione delle compagnie italiane al lavoro di estrazione e alla costruzione di nuovi gasdotti lungo il percorso meridionale» ha detto Putin.

17 maggio 2017 (modifica il 18 maggio 2017 | 08:28)
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