CHI NON COMPRENDE IL TUO SILENZIO PROBABILMENTE NON CAPIRA' NEMMENO LE TUE PAROLE (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Ma il calendario delle "cretinate assurde" non termina qui.
Perchè l'assunto iniziale è sempre lo stesso.

POSITIVO CON GREEN PASS - CONTAGIA

TAMPONATO NEGATIVO SENZA GREEN PASS - NON CONTAGIA



Fra stop ad alcuni divieti da un lato e obbligo di green pass semplice,
Super green pass e vaccinazione per over 50 dall'altro, il calendario è ancora lungo.
Ecco quindi le date principali:


Dal 1° febbraio 2022 il green pass "base" sarà richiesto anche

a chi accede ai pubblici uffici,

servizi postali,

bancari,

finanziari,

ed attività commerciali (quindi negozi, ma anche centri commerciali),

"fatte salve eccezioni che saranno individuate con un Decreto del presidente del Consiglio", si legge nelle faq del governo.


E proprio oggi Draghi dovrebbe firmare il Dpcm con la lista di tutte le attività esenti dal certificato verde.

L'obbligo scadrà il prossimo 31 marzo. (ma se lo stato di emergenza non dovesse terminare ?, BOH)


Per le persone che accederanno senza green pass ai servizi e alle attività in cui è obbligatorio averlo,
è prevista una sanzione da 400 a 1.000 euro.

La stessa sanzione si applica al soggetto tenuto a controllare il possesso del Green Pass se omette il controllo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Questi hanno qualcosa di più in zucca.......


Il premier britannico Boris Johnson non è mai stato così chiaro
come durante il suo ultimo intervento presso la Camera dei Comuni.

Praticamente da oggi, quindi addirittura in anticipo rispetto alla data già prefissata del 26 gennaio prossimo,
il Regno Unito dice bye bye al Green Pass, allo smart working e finanche alle mascherine ovunque.



La variante Omicron del Coronavirus è ormai giunta nel Regno a una fase endemica,
e non trattandosi più, pertanto, di pandemia,
essa deve essere affrontata con cautele sanitarie ordinarie, senza più misure eccezionali ed emergenziali.


La terza dose booster sta facendo il proprio lavoro,
impedendo il verificarsi di quella pressione sugli ospedali riscontrata nel 2020 ed in parte nel 2021.

Quindi, gli inglesi possono tornare a vivere, lavorare e anche svagarsi all’insegna della libertà pre-Covid.


Certo i conservatori d’Oltremanica come pure i Repubblicani d’Oltreoceano,
hanno sempre preferito affidarsi, durante tutte le fasi della pandemia, al binomio “libertà e responsabilità”,
rifiutando una eccessiva violazione statale dei diritti individuali.

Il Green Pass obbligatorio dappertutto, quindi anche e soprattutto sul posto di lavoro,
non è mai stato contemplato in Gran Bretagna.


Al di là di qualche interesse strumentale, quasi sempre presente in politica,
il ritorno britannico alla normalità e alla libertà pre-Covid costituisce una mossa di buonsenso
dettata dalle necessità contingenti di una lotta al virus che sta cambiando o è già cambiata.


Se ne è accorto Johnson, ma anche il suo omologo spagnolo Pedro Sánchez,
il quale ritiene che d’ora in poi il Covid possa essere trattato come una normale influenza.

Quando una determinata realtà diventa visibile a 360 gradi,
fattuale direbbe il Crozza/Feltri, cadono persino le barriere ideologiche,
e possono prenderne coscienza sia i conservatori alla BoJo che i socialisti come Sánchez.


Chi si accanisce a sostenere il contrario, come sembra ancora fare il Governo italiano,

è in malafede e forse trae vantaggio da una situazione emergenziale procrastinata all’infinito.


Ed, in ogni caso, ben oltre a ragioni di salute pubblica.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Però anche la "sinistra" Svezia ha adottato lo stesso principio.

Il Governo svedese, per tutta la pandemia, ha fatto affidamento sulla responsabilità individuale,
limitandosi a segnalare norme e restrizioni e mai veri e proprio blocchi.

Tanto che in Svezia non occorre mantenere la distanza interpersonale
(tranne in alcune situazioni specifiche), né utilizzare la mascherina.


Le nuove restrizioni puntano a mitigare l’effetto della variante.

Dal 23 dicembre il Governo introduce per la prima volta delle restrizioni,
seppur soft se paragonate a quelle italiane e di altri Paesi europei.

Per esempio il Governo ha invitato tutti coloro che ne hanno l’opportunità a lavorare da casa.

Anche nei ristoranti e nei bar vengono introdotte regole
come l’obbligo di essere serviti seduti e il mantenimento di un metro di distanza tra i tavoli.

Per gli eventi pubblici con un pubblico tra le 20 e le 500 persone è stato introdotto l’obbligo di stare seduti e distanziati,
mentre per eventi con oltre 500 persone è richiesto il certificato di vaccinazione.

Dal 24 dicembre si aggiungono: la prenotazione obbligatoria dei posti su treni e autobus per viaggi lunghi,
un numero massimo di partecipanti (50) per riunioni al chiuso.
 

Val

Torniamo alla LIRA
In attesa che si sciolga il nodo del nuovo presidente della Repubblica,

l’Italia continua a vivere sotto un soffocante regime di restrizioni sanitarie.


In pochissimi, soprattutto nel compiacente mondo dell’informazione,

si chiedono il motivo di tutto ciò, malgrado circa il 90 per cento della popolazione sia vaccinata.


Soprattutto non si chiedono come mai tanti altri Paesi stiano procedendo nella direzione opposta alla nostra,

trattando il Sars-Cov-2 al pari di un virus influenzale.


Evidentemente le cose sono due:

o il nostro virus è più cattivo

od in troppi stanno speculando su una malattia che ha sempre riguardato le persone più fragili.


Tertium non datur
.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La risposta alla prima domanda la do direttamente.

Il vaccino serve solo a "diminuire" gli effetti del covid,
soprattutto sulle persone anziane e su quelle con patologie pregresse.

NON IMMUNIZZA DAL COVID.

Ogni "vaccinato" è portatore del virus e può contagiare. Punto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahah

Immaginiamo la scena.

Due persone si aggirano con fare sospetto per le vie del centro storico di Roma.

Le mascherine, in qualche modo, favoriscono la copertura parziale della loro identità.

Sarà stato anche per il freddo pungente, improvvisamente i due accelerano il passo
e, sempre guardandosi alle spalle per assicurarsi che nessuno li segua,
si avvicinano ad un portone e suonano un campanello.

Nessuno apre o risponde al citofono.

Continuano a suonare ma nulla accade.

Uno dei due impugna allora lo smartphone: “Ma lo vuoi aprire sto’ cavolo di portone?”.

I due si intrufolano nei meandri del lussuoso palazzo capitolino
e si intrattengono per un bel po’ di tempo con il padrone di casa
per dirsi cosa ancora non è chiaro ai più.


Alle 10:04 della stessa mattinata i tre postano sui rispettivi profili un tweet “copia&incolla”:

uguale in tutto e per tutto nella sua intrinseca e inutile ovvietà.


Lo specchio di una realtà con la quale i partecipanti al summit nella mattinata romana non riescono proprio a fare i conti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Aspetta un po' ....non ricordo....ma chi c'era al governo nel 1936 ?


Il Testo unico della legge bancaria – Regio Decreto legge del 12 marzo1936, numero 375 –
aveva strutturato il sistema bancario secondo un criterio rigorosamente gerarchico.


L’ordinamento verticistico del credito collocava all’apice il Cicr-Comitato interministeriale per il credito e il risparmio.


Il Cicr era composto da ministri preposti a Dicasteri economici (ministri con portafoglio) ed era presieduto dal primo ministro.

Al Cicr la legge assegnava l’alta vigilanza sul credito che si concretizzava nell’indirizzo politico.

Alle riunioni partecipava il governatore della Banca d’Italia in veste di segretario senza diritto di voto.

In realtà, svolgeva la funzione di consulente tecnico a supporto delle decisioni dell’organo politico, quale era il Cicr.

Il ministro del Tesoro – membro del Cicr – aveva la facoltà di emettere decreti di urgenza che, alla prima riunione del Cicr, venivano ratificati.


La Banca d’Italia svolgeva la funzione di vigilanza sulle banche e sul credito
ed attuava la politica monetaria su indirizzo dell’organo politico.

Il governatore della Banca d’Italia,
espressione massima della competenza in materia di governo del credito e della politica monetaria, era nominato a vita.

La gestione della politica economica e di quella monetaria era in mano al ministro del Tesoro ed al governatore della Banca d’Italia.


Anche le banche, prevalentemente di proprietà pubblica,
erano strutturate secondo una rigida gerarchia.

Le banche si distinguevano in:

- Istituti di credito di diritto pubblico;

- Casse di risparmio e monti di credito su pegno;

- Banche di interesse nazionale;

- Banche popolari;

- Casse rurali ed artigiane.



Gli Istituti di credito di diritto pubblico erano:

- il Banco di Sicilia;

- il Banco di Napoli;

- la Banca Nazionale del Lavoro;

- il Monte dei Paschi di Siena;

- l’Istituto San Paolo di Torino;

- il Banco di Sardegna (che si aggiungerà in seguito).


Gli Istituti di credito di diritto pubblico, statutariamente,
avevano lo scopo sociale di sviluppare l’economia delle aree in cui operavano.

Le Casse di risparmio e i monti di credito su pegno (anch’essi banche pubbliche)
dovevano svolgere l’attività bancaria in ambito regionale.

Le Banche popolari (Banche private) potevano operare solo nella provincia di riferimento

ed, infine, le Casse rurali ed artigiane (anch’esse private),
potevano operare solo nei Comuni dove avevano la loro sede legale e operativa o nei Comuni limitrofi.


Le Banche popolari e le Casse rurali erano costituite nella forma giuridica di cooperative per azioni
ed erano vere e proprie banche di prossimità, in quanto finanziavano le imprese e le famiglie del territorio
ed, in molti casi, i Consigli di amministrazione erano diretta espressione delle piccole e medie imprese locali.


Il sistema bancario italiano era stato pianificato sulle esigenze specifiche del tessuto imprenditoriale

che storicamente, in larga parte, era composto da piccole e medie imprese,

che ancora oggi rappresentano la struttura portante del nostro sistema produttivo
.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Poi sono arrivati quelli "intelligenti", quelli "progressisti".......



Nella seconda metà degli anni ’80, con il consolidarsi della Germania come potenza economica europea,
il sistema bancario subisce una profonda ristrutturazione.

Le banche del Nord Europa, con particolare riferimento a quelle tedesche e francesi,
avevano fatto leva sul principio comunitario di reciprocità.

Se le banche italiane avevano la possibilità di aprire proprie filiali nei Paesi della Comunità europea,
le banche dei Paesi membri avevano il diritto di aprire le loro filiali in Italia.


Le motivazioni dell’interesse delle banche tedesche e francesi erano quelle di attingere al ricco mercato del risparmio italiano.


Le nostre banche, che operavano in un mercato caratterizzato da un oligopolio protetto,
non erano preparate alla concorrenza bancaria e, soprattutto,
erano banche di piccole dimensioni rispetto ai colossi bancari tedeschi e francesi.


Si rese necessario privatizzare le banche pubbliche
ed incentivare la concentrazione delle banche
attraverso operazioni straordinarie di “fusione propriamente dette”,
o “fusioni per incorporazioni”, con l’obiettivo di raggiungere livelli dimensionali comparabili con i nuovi competitor.


Le banche vennero privatizzate in linea con il processo di abbandono dell’economia da parte dello Stato

a favore di un sistema economico pienamente di mercato.


Purtroppo, con la privatizzazione, molte banche italiane vennero acquisite da banche straniere

anche grazie a privatizzazioni fatte senza lungimiranza.


In sostanza, quella che doveva essere l’ottimizzazione della gestione delle banche pubbliche, non sempre ha avuto l’effetto sperato.



Ritengo che, se non fossero intervenuti i vincoli dell’Unione europea sugli aiuti di Stato,
i politici avrebbero volentieri proceduto alla ri-nazionalizzazione delle banche in crisi.


Corsi e ricorsi della storia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ops....che tombolata.



Qual è il colmo per un movimento nato dal Vaffa Day,
cresciuto maledicendo “la casta” e diventato adulto combattendo le lobby di Stato?

Finire nell’elenco dei “lobbisti” finanziati da una grande azienda a rischio bancarotta.

Se non fosse scritto nero su bianco nella “relazione tecnica” sul bilancio della Moby Spa,
società dell’armatore Vincenzo Onorato indagato assieme a Beppe Grillo per traffico di influenze illecite,
potrebbe apparire uno scherzo.

O una barzelletta.

Invece è tutto vero.


Non entreremo nel merito dell’inchiesta,
delle presunte pressioni che Grillo avrebbe fatto su ministri e parlamentari grillini per sostenere le istanze di Onorato.

Siamo e restiamo garantisti, anche quando c’è il comico di mezzo.

E poi il “traffico di influenze illecite” è un reato così fumoso che solo il M5S e il suo dj Fofò
potevano pensare di aumentarne le pene previste.


Baggianate: non ci sarà nulla di penalmente rilevante.

Il punto qui è politico.

E cioè il fatto che Grillo e sodali,

quelli che denunciavano i legami tra politica e finanza,

quelli che si sono scagliati contro i Benetton,

sono caduti negli stessi peccatucci che hanno sempre sbandierato come grandi scandali.


Per capirlo basta prendere l’analisi redatta dai commercialisti della Chiaruttini&associati su Moby Spa
e scorrere fino a pagina 183, parte sesta, quella riferita agli “ulteriori trasferimenti” di denaro nel quinquennio 2015-2019.


Sotto la dicitura “Dazioni a partiti politici, influencer e lobbisti”

(esatto: influencer e lobbisti) compaiono proprio la società del fondatore del Movimento Cinque Stelle e quella di Casaleggio.




“Per quanto attiene i rapporti contrattuali con la Beppe Grillo S.r.l. – si legge –
il verbale della seduta consiliare del 16 gennaio 2020 riporta che
‘con questa v’era in essere un accordo volto ad acquisire visibilità,
con finalità pubblicitarie per il proprio brand sul blog presente nel sito www.beppegrillo.it
nonché attraverso i canali redazionali social della Beppe Grillo S.r.l. avvalendosi del loro supporto redazionale,
il tutto per un corrispettivo di 120mila euro annui”.

Per la precisione, Moby aveva sottoscritto “un contratto di servizi,
efficace dal 1^ marzo 2018 al 1^ marzo 2020, con riferimento al quale veniva versato l’importo complessivo di 200mila euro”.

Non proprio spiccioli.


I rapporti con "In data" la società di Casaleggio invece prendono corpo il 7 giugno 2018, con lo scopo di

“sensibilizzare le istituzioni sul tema dei marittimi” e “raggiungere una community di riferimento di 1mln di persone”.


Il tutto, pagando alla Associati “un corrispettivo annuo pari ad 600mila,
oltre alla previsione di goal fee legate al raggiungimento anticipato dei suddetti obbiettivi tra 50mila e 150mila euro”.


Cosa strana, va detto, il contratto viene “approfondito” solo due anni dopo la sottoscrizione,
ovvero il 16 gennaio del 2020, quando alla Moby si accorgono che
“a fronte di un corrispettivo di € 50.000 mensili” la Casaleggio si era occupata di tre questioni:

1) “della creazione del sito internet www.marittimi.com e della gestione e produzione dei suoi contenuti,
attività quest’ultima tutta consultabile on line e direttamente ricollegabile al Presidente di questo Consiglio di Amministrazione e con evidenti richiami al brand della Società”;

2) “della creazione e gestione della pagina Facebook […] marittimiofficial/ movimento a tutela dei diritti di quella categoria di lavoratori che sono anche i dipendenti di questa Società;

3) “della creazione e gestione della pagina Instagram […] marittimiofficial/ anche in questo caso servizi volti a sensibilizzare l’opinione pubblica
sulla tematica della limitazione dei benefici fiscali del Registro internazionale alle sole navi che imbarcano equipaggi italiani o comunitari,
il tutto con evidente ritorno d’immagine per la Società potenziando la connessione tra il brand Moby ed il concetto di italianità”.


Il tutto alla “modica” cifra di 1,2 milioni di euro “sino alla risoluzione consensuale del contratto, intervenuta a partire dal 1 marzo 2020”.


Vero è che Grillo e Casaleggio non sono gli unici due ad essere stati finanziati dalle società di Onorato.

Nel calderone compare un po’ tutto l’arco costituzionale.

Tra il 2014 e il 2015 la federazione Val di Cornia-Elba del Partito Democratico ha incassato 30mila euro,

altri 50mila sono andati ad Ernesto Carpone (sempre del Pd)

e ulteriori 10mila hanno sostenuto la campagna elettorale della dem Silvia Velo.

Inoltre, tra il 2015 e il 2016, ben 200mila euro sono finiti alla Fondazione Open riconducibile a Matteo Renzi.

E non fanno eccezione Fratelli d’Italia (10mila euro)

ed il Comitato Change “facente capo” a Giovanni Toti (100mila euro).


La domanda però è una sola:

se le cifre versate e Grillo e Casaleggio avessero riguardato un qualsiasi altro partito

e se queste carte fossero finite nelle mani dei grillini, cosa sarebbe successo oggi?


Ve lo diciamo noi:

gogna mediatica,

titoloni sul Fatto Quotidiano,

accuse di favoritismi.


In fondo, nella sua carriera politica Grillo

se l’è presa con le lobby del tabacco (2017),

con le lobby in Rai (2013)

e con le lobby in generale.


Per poi finire nell’elenco dei lobbisti di una società privata.


Anche questa, una nemesi grillina.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Si sono tirati un colpo sulle palle da soli.......neanche quello riescono a capire.



Se a Roma c’è un giudice, deve essercene anche un altro che annulla il lavoro del precedente.


Ha quasi dell’incredibile, la storia della sentenza del Tar Lazio,
che alcuni giorni fa aveva sospeso il famoso protocollo Speranza,
quello basato su “paracetamolo e vigile attesa” e che, si leggeva nel dispositivo,

“anziché dare indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio”,

riporta

“un lungo elenco delle terapie da non adottare”.

Ponendosi così “in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico
nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia”
:

compito del dottore, infatti, non è mettere in standby il paziente,

bensì

“agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta
quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito”.



Insomma, per i giudici amministrativi di primo grado, il protocollo Speranza impediva ai medici di fare i medici e ai pazienti di curarsi.


Fin qui, tutto bene.

Il ministro aveva fatto l’ennesima figuraccia e, soprattutto, giustizia sembrava fatta.

Ed invece…


Ed invece, ieri,

nientepopodimeno che con “decreto monocratico”,

il presidente del Consiglio di Stato (l’organo amministrativo d’appello),

l’appena nominato Franco Frattini,

ha sospeso la sentenza del Tar del Lazio
.


Il motivo?

Reggetevi forte:

le linee guida del dicastero,

contenute nella circolare sulle terapie domiciliari,

erano solo “raccomandazioni” e non “prescrizioni vincolanti”
.


Come dire: se i dottori avevano tanto a cuore la salute dei pazienti,
potevano anche bellamente fregarsene e agire di conseguenza.


In effetti, qualcuno l’ha fatto.


Ed è grazie a questi pochi coraggiosi,

che abbiamo capito anche in Italia che il Covid è curabile,

che esistono trattamenti efficaci,

che, soprattutto prima dell’arrivo dei vaccini, ma anche ora,
come strumento complementare di lotta contro la malattia,
si sarebbe potuta evitare un’ecatombe.



Tuttavia, non tutti sono eroi.

Non tutti hanno la forza di remare controcorrente,

attirandosi talora calunnie da parte dei colleghi

ed incappando nell’ostracismo delle autorità,

o magari rischiando la sospensione dall’Ordine,

come il dottor Geraldo Torre,

l’uomo che ha curato a casa 3.000 pazienti e che è finito alla sbarra
,

dinanzi agli altri medici, per non aver

“rispettato le disposizioni previste dal protocollo nazionale in materia di cura della patologia Covid-19”.


Ma come?

Non s’è detto che quel regolamento non conteneva “prescrizioni vincolanti”?



Fatto sta che quel regolamento ha prodotto conseguenze nefande per un numero indefinito e sicuramente enorme di malati.

I camici bianchi meno audaci, o che semplicemente si sono fidati dell’autorità competente, lo hanno seguito pedissequamente.


Molti nostri concittadini, che si potevano salvare con un trattamento precoce

tutto sommato semplice e poco dispendioso, non ci sono più.



Ed il Consiglio di Stato che fa?


A tempo di record, soccorre Speranza e sospende la sentenza dei magistrati di primo grado.


Uno dei cardini della democrazia liberale è il principio dei pesi e contrappesi istituzionali.

Ecco: ora il piattino pende mostruosamente a favore dell’arbitrio sconsiderato e mortifero dei governi in carica.


Chi ha voglia di riequilibrare un po’ la bilancia?
 

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