Chi è il vero Macron? Qualche indizio partendo dal maestro Ricoeur (1 Viewer)

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Né di destra, né di sinistra: Macron vara il nuovo governo francese. Ecco i ministri (c’è anche la campionessa di scherma)

Pubblicato il 17/05/2017
Ultima modifica il 17/05/2017 alle ore 16:51
LEONARDO MARTINELLI - PARIGI

Emmanuel Macron aveva promesso un Governo «di destra e di sinistra», paritetico a livello di uomini e donne e aperto alla società civile: ha mantenuto la parola, anche se globalmente questo esecutivo, che sarà presieduto da Edouard Philippe, il sindaco di Le Havre, esponente dei Repubblicani, sembra avere il suo baricentro più a sinistra (o almeno nel centro-sinistra) che a destra.

Socialista doc è anche Jean-Yves Le Drian, 69 anni, già ministro della Difesa sotto François Hollande, e che ora, invece, si occuperà degli Esteri e dell’Europa. Originario di una famiglia operaia e cattolica della Bretagna profonda, è il prototipo di quel cristianesimo sociale così tipico dell’Ovest francese e che ha avuto fra i suoi teorici il filosofo Paul Ricoeur, di cui Macron è stato discepolo.
Poi, uno degli «uomini» di Le Drian è il nuovo ministro della Coesione dei territori, Richard Ferrand, uno dei primi parlamentari socialisti ad avvicinarsi a En Marche !, il movimento macroniano, di cui è ormai il segretario generale.

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Nel Governo, ovviamente, trova posto anche François Bayrou, 65 anni, in Francia il centrista per eccellenza. Diventa responsabile del dicastero della Giustizia. Cattolico, laureato in lettere classiche, grande cultura umanistica, era già stato ministro solo una volta, ma dell’Educazione, fra il 1993 e il ’97, in governi di destra. Durante la campagna per il primo turno delle ultime presidenziali, ha accettato di appoggiare Macron e gli avrebbe permesso di piazzarsi primo, perché Bayrou, ancora oggi, ha un seguito minoritario, ma fedele. E dal partito di Bayrou, il MoDem, proviene anche la nuova ministra della Difesa, Sylvie Goulard, 52 anni. Marsigliese ed europeista convinta, è stata consigliera di Romano Prodi, quando era presidente della Commissione europea. Parla perfettamente inglese, italiano e tedesco.

Una delle rare «prede» a destra è invece rappresentata da Bruno Le Maire, il neoministro dell’Economia. 48 anni, laureato in lettere alla Normale e anche all’Ena, questo ex diplomatico e alto funzionario pubblico, è stato a lungo vicino a Dominique de Villepin, esponente di una destra riformista in Francia. ...

Il governo Macron, più a sinistra che a destra


17 Maggio 2017 alle 20:22
di Redazione

Nove uomini e nove donne e un’età media di 54 anni.
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Gérard Collomb, ministro dell’Interno
Figura dell'ala social-liberale del partito socialista. Supporter della prima ora di Emmanuel Macron, il senatore e sindaco di Lione ha sostenuto l'ascesa del futuro presidente quando era ancora ministro dell'Economia di François Hollande. La differenza di età tra i due uomini (39 e 69) e la vicinanza della loro posizione politica li fa passare per padre (spirituale) e figlio, scrive il Figaro, anche se Collomb si considera un consulente che "condivide la sua esperienza", 50 anni di vita politica: Collomb ha cominciato a militare con Mitterrand nel 1968. Nel 1981, a 34 anni, è diventato deputato del Rodano. Nel 1999, ha cambiato Assemblea, diventando senatore. A Lione, aveva assunto nel corso degli anni il ruolo di leader dell'opposizione comunale, fino al 2001, quando ha preso le redini del comune. Se è riuscito a ritagliarsi un piccolo impero nel Rodano, non si era però mai affermato a livello nazionale: nessun ministero nel suo curriculum.
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Nicolas Hulot, ministro della Transizione ecologica e solidale
L'ex conduttore televisivo, che ha contribuito a diffondere tra il pubblico francese l’attenzione alla tutela dell'ambiente e la lotta al riscaldamento globale, era stato corteggiato anche dal governo Hollande ma senza successo. L'enfasi posta da Macron sul rinnovamento, sulla partecipazione della società civile nelle decisioni e sulla transizione energetica, infine, hanno convinto il 62enne Hulot. Ma ora le cose inizieranno a farsi più difficili. Ecologista dietro la macchina da presa, Hulot sarà ora dall’altra parte della barricata, dove il negoziato, il compromesso, le battute d'arresto e gli attacchi sono il pane quotidiano. I suoi avversari ricorderanno che alcune aziende come Edf o L'Oreal, spesso bersaglio degli ambientalisti, sostengono la sua fondazione. Dopo l'incidente di Fukushima in cui ha chiesto "il ritiro dal nucleare", Hulot questa volta dovrà difendere la tabella di marcia di Macron che sostiene il settore.

Sylvie Goulard , ministro della Difesa
La giurista cattolica Sylvie Goulard sperava almeno di aggiudicarsi il dicastero degli Affari europei. Sarà invece ministro della Difesa, una posizione piuttosto inaspettata visto il suo profilo e la sua vicinanza – rivendicata – a Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze di Angela Merkel. Marsigliese, poliglotta e convinta che la rifondazione dell’Europa passi per un rinnovamento del rapporto con la Germania, l’eurodeputata del MoDem è una nuova arrivata sulla scena del governo ma, in 52 anni, ha accumulato un grande bagaglio di esperienza europea. Goulard ha aderito a En marche! nel 2016, molto prima che venisse siglata l'alleanza tra Macron e il fondatore del MoDem, François Bayrou, nel febbraio scorso. Federalista di lunga data, sa che quest’etichetta non è facile da portare in un momento politico dove crescono i movimenti euroscettici. “Al di là del dibattito sulle strutture, l'idea è quella di ripristinare la fiducia, per portare serenità nel dibattito sull'Europa”, ha dichiarato. “L'obiettivo è anche quello di far avanzare la difesa europea, gestire al meglio i nostri confini e andare verso l’equità nel commercio”.
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Chi sono i ministri del nuovo governo francese e quali dossier hanno sul tavolo
 

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il punto e' nazionalismo europeo come nuovo macro stato tipo USA (peraltro non criminalizzato come quelli nazionali)
vs
nazionalismo dei nativi europei per singola regione/stato
un po quello che e' stato fatto con l'Italia unendo tutte le regioni in un unico stato e spazzando via i vecchi regni
e malgrado culturalmente molto simili siamo sempre stati molto divisi.
Posso immaginare cosa potra' succedere con un stato (europa) che ti mette l'obbligo di tenerti gli africani piu' altre amenita' come i gender per l'istruzione dei figli.

In francia ha vinto Macron? e per forza quasi tutti gli stranieri hanno votato per lui!
in questo modo se l'europa dovesse espandersi in africa noi italiani non conterremmo piu' nulla, diventeremmo dei salvadanai per gli africani, assurdo un suicidio di massa.
 

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il punto e' nazionalismo europeo come nuovo macro stato tipo USA (peraltro non criminalizzato come quelli nazionali)
vs
nazionalismo dei nativi europei per singola regione/stato
un po quello che e' stato fatto con l'Italia unendo tutte le regioni in un unico stato e spazzando via i vecchi regni
e malgrado culturalmente molto simili siamo sempre stati molto divisi.
Posso immaginare cosa potra' succedere con un stato (europa) che ti mette l'obbligo di tenerti gli africani piu' altre amenita' come i gender per l'istruzione dei figli.

In francia ha vinto Macron? e per forza quasi tutti gli stranieri hanno votato per lui!
in questo modo se l'europa dovesse espandersi in africa noi italiani non conterremmo piu' nulla, diventeremmo dei salvadanai per gli africani, assurdo un suicidio di massa.
Chi ha votato nelle presidenziali francesi è un francese, un cittadino francese, non uno straniero.

Il "nazionalismo dei nativi europei" cosa sarebbe? Razzismo?

Quali africani l' Europa potrebbe tenere o non tenere secondo te? Ci sono norme internazionali sui rifugiati che hanno alcuni diritti. Invece migranti economici , che in certe fasi sono la grande maggioranza , possono essere espulsi.
Figli e nipoti di africani nati in Francia, in quanto ormai cittadini francesi , non sarebbero stati espulsi nemmeno dalla Le Pen.

Cosa hai cercato di dire con "se l'europa dovesse espandersi in africa"?
In un certo senso l' Europa si era espansa in Africa nei 2 secoli passati con il colonialismo. Europei si erano trasferiti in Sud Africa, dove i loro discendenti sono ancora presenti.
 
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Cédric Villani alle politiche con «En Marche»
di Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi

Cédric Villani, 43 anni, è il celebre matematico vincitore nel 2010 della medaglia Fields (per comodità definita l’equivalente del Nobel), direttore dell’Institut Henri Poincaré di Parigi. Con la irrinunciabile cravatta Lavallière al collo — certo non una concessione al populismo — accoglie il Corriere nella sede della sua campagna elettorale in rue de Charles de Gaulle, smette di mangiare le patatine fritte che sono il suo pranzo e comincia a parlare in italiano, «lo conosco un po’ perché vent’anni fa ho lavorato alcune settimane a Pavia con il professor Giuseppe Toscani, un momento molto importante della mia carriera. Poi mi considero al 30% italiano, mio nonno apparteneva a una famiglia di emigrati napoletani nell’Algeria francese, e il cognome da ragazza di mia madre è genovese, Lavarello».
Villani poi cita le collaborazioni con i matematici della Normale di Pisa.

Lei si definisce europeo, non ha esperienze politiche precedenti, vanta una competenza scientifica straordinaria. È il perfetto candidato di Macron?

«È vero che ho tutti i requisiti, come si dice. Ma quelli sono solo la precondizione, il bello viene adesso».

Se a giugno verrà eletto in Parlamento di che cosa si occuperà? Scienza ed educazione, i suoi temi preferiti?

«Di quello ma non solo. Bisogna avere in testa anche le altre questioni. Per esempio se parliamo dei grandi giganti americani di Internet è una questione di scienza e tecnologia, ma anche di politica estera. L’intelligenza artificiale significa organizzazione del lavoro, conseguenze sulla disoccupazione e sul fisco. Siamo in un’epoca in cui le questioni tecniche e politiche sono intrecciate più che mai».

La critica tipica al movimento di Macron, così ottimista e aperto al mondo, è che è composto dai vincenti della globalizzazione, come lei. Che cosa risponde?

«Certo, non posso travestirmi, ho goduto della globalizzazione, ho viaggiato ovunque. Altri meno fortunati vedono l’Europa in modo astratto, sentono gli effetti della disoccupazione e della competizione mondiale, considerano che la situazione è ingiusta e li capisco. Riusciremo se ci rivolgeremo alle classi medie e popolari, se restituiremo loro la fiducia nel futuro».

Lei, insigne matematico, che cosa pensa del clima anti-esperti che ha imperversato prima del referendum sulla Brexit, in America con Trump e anche in Europa, dal FN al Movimento Cinque Stelle italiano?

«Sugli argomenti tecnici la parola di uno non vale quella di un altro, non sono uguali. Bisogna dirlo e riconoscere il merito degli esperti. L’importante è la credibilità: nel mio caso la competenza è stata riconosciuta, con il premio Fields, da una giuria internazionale. Ma paghiamo certi conflitti di interesse che in passato non sono stati trattati con sufficiente rigore. E poi dovremo dialogare con tutti».

Prima di Macron si definiva di destra o di sinistra?

«Non ho mai voluto scegliere, ho sostenuto personalità di sinistra come Anne Hidalgo o Gérard Collomb ma appoggiavo loro, non il partito. Quando è arrivato il movimento di Macron ho pensato che sembrava fatto apposta per me».

17 maggio 2017 (modifica il 17 maggio 2017 | 22:23)
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Francia, il candidato matematico «Uniremo élite e popolo»
 

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In sud Africa i bianchi europei sono perseguitati.
Io sono sposato con una straniera ma questo non vuol dire che il mio paese deve diventare una provincia africana. Inoltre se proprio dobbiamo essere tutti uguali non solo i nativi italiani devono "arrangiarsi" ma anche i superprotetti africani.
 

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RICCARDO LUNA - 24 maggio 2018 14:11

Mercoledì pomeriggio, ... mezza Silicon Valley era a Parigi, all’Eliseo, a parlare con Emmanuel Macron, il presidente che nel ritratto ufficiale ha posato con due iPhone. C’era il capo di Facebook Instagram e Whatsapp Mark Zuckerberg reduce dal difficile incontro con i parlamentari europei a Bruxelles; l’amministratore delegato di Microsoft Satya Nadella; la presidente di IBM Ginni Rometty; l’amministratore delegato di Uber Dara Khosrowshahi. In tutto erano una sessantina i tech leader presenti che da oggi fino a sabato partecipano ad una fiera con un titolo che è già un manifesto, Viva la Tecnologia, di cui dovremmo ricordarci quando in Italia spacciamo i nostri eventi come i più grandi eventi europei.
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Afp

Il summit non è nato per caso: esattamente un anno fa Macron è stato eletto alla presidenza della Repubblica francese con una agenda che puntava tutto sull’innovazione e sulla promessa di far diventare la Francia una startup nation, un paese dove per i giovani fosse facile lanciarsi in nuove imprese tecnologiche e trovare i capitali per provare ad avere successo. E’ presto per fare un bilancio e non sono certo gli eventi il metro di una strategia politica che funziona, ma i numeri sì.

IBM mercoledì ha annunciato che assumerà 1800 esperti in intelligenza artificiale in Francia entro due anni; Facebook e Google hanno detto che si preparano a dirottare i loro team da Londra a Parigi; i tedeschi di SAP e gli americani di Salesforce investiranno 2 miliardi di euro ciascuno in ricerca e sviluppo sempre in Francia. In tutto ciò il capitale di rischio per le startup è passato da 255 milioni di euro a 2.7 miliardi in tre anni, portando la Francia al primo posto europeo (noi siamo ultimi o giù di lì). Sono fatti non slogan, sono un esempio concreto e fattibile di cosa significhi davvero guidare un governo del cambiamento. Non si tratta di copiare Macron, che non è perfetto, e l’Italia non è la Francia, abbiamo le nostre specificità. Ma se vogliamo un futuro migliore per i nostri figli la strada non sono i muri e le pistole, la strada è solo una: l’innovazione.

Così Macron, il presidente con 2 iPhone, sta davvero facendo della Francia una startup nation
 

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10 maggio 2018

Appassionato discorso europeista quello di Emmanuel Macron, che dopo aver indossato la medaglia del Premio Carlo Magno stamane ad Aquisgrana, ha risposto alla laudatio pronunciata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, muovendosi lungo quattro imperativi: il primo, difendere la “sovranità europea”. “Non sono gli altri a poter decidere per noi”, tanto più se le loro scelte “ci mettono in difficoltà”, ha dichiarato Macron. “Se ciò avviene non c’è più dibattito democratico”.
Il secondo imperativo è stato un appello: “Non dividiamoci”, anche se “dappertutto risuona la musica del nazionalismo”; le divisioni sono “come una lebbra in Europa”, “spingono all’inazione”, “alla guerra delle posizioni”, perché “l’Europa non funziona sulle egemonie, ma sulla solidarietà costante”.
Il terzo imperativo è: “Non abbiamo paura dei nostri principi” e non cediamo niente della democrazia e dello stato di diritto, né all’interno dei nostri Paesi né su scala mondiale. Perciò, “no alla violenza, sì al confronto democratico delle idee”. E infine: “Non attendiamo, adesso è ora di fare la scelta dell’Europa” e di essere “chiari” in questa scelta come “chiari sono i demagoghi e le paure”. Nel suo discorso riferimenti alla necessità di “unità tra Francia e Germania”, come condizione per l’unità dell’Europa e al fatto che i Paesi dell’unione monetaria abbiano la possibilità di far avanzare il progetto dell’unione, che non è una “sinfonia del passato”, ma una musica nuova da comporre.

Europa: Premio Carlo Magno a Macron. "Nazionalismi sono come una lebbra in Europa". Difendere democrazia e unità | AgenSIR


Ultima modifica il 11/05/2018 alle ore 10:38
LEONARDO MARTINELLI
PARIGI

Ha parlato a una platea di europei eccellenti, nel municipio di Aquisgrana, un tempo capitale dell’impero carolingio: lì, a Emmanuel Macron è stato consegnato ieri il premio Carlo Magno, proprio per il suo impegno proeuropeo. Ma in realtà il presidente francese parlava soprattutto ad Angela Merkel, che lo ascoltava concentrata, talvolta con imbarazzo. Voleva spiegarle, in maniera a tratti dura o almeno franca, la sua idea d’Europa: per convincerla. E così Macron ha esortato la Germania «a prendere dei rischi» e a rinunciare «ai suoi feticismi sui surplus di bilancio e commerciali».
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Agire, sì, ma per fare cosa? «Credo a un budget europeo più ambizioso e a una zona euro più integrata, con un bilancio proprio». Il Presidente francese non demorde. Sembra aver rinunciato ai progetti di un superministro europeo delle Finanze e di un Parlamento dell’eurozona, inconcepibili per Berlino. Ma non all’idea del budget della zona euro, che pure non convince i tedeschi, tanto meno il socialdemocratico Olaf Scholz, ministro delle Finanze in quel governo che la cancelliera è riuscita a costituire solo dopo mesi di faticosa crisi. La Germania ritiene che un budget del genere spingerebbe ancora di più al lassismo i Paesi del Sud Europa. Ma ieri, Macron non l’ha mandata a dire ai tedeschi: «La Germania non può avere un feticismo perpetuo sui surplus di budget e commerciali, anche perché questi si costituiscono a spese degli altri». Più tardi la Merkel ha preso la parola e ha notato che con la Francia «abbiamo discussioni difficili » e «diverse culture politiche e maniere di affrontare i temi europei». Ha promesso qualche passetto «in direzione dell’unione bancaria e del rafforzamento dell’eurozona ». Così prudente e timorosa rispetto al suo giovane collega.
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Macron: “L’Europa non si divida. Dall’Italia campanelli d’allarme”
 

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Idee e proposte dal fronte europeista e liberale che vuole respingere l’ondata populista alle elezioni del prossimo anno

di Mauro Zanon

21 Ottobre 2018 alle 19:13

Issy-les-Moulineaux
. “Il compromesso, in politica, è inevitabile. Ma non dobbiamo scendere a compromessi sul nostro liberalismo”. È la frase simbolo della giornata di tavole rotonde e riflessioni attorno al progressismo organizzata ieri a Issy-les-Moulineaux, a sud di Parigi, dalla République en marche (Lrem) di Emmanuel Macron assieme ai think tank parigini Fondation Jean-Jaurès e Fondation pour l’innovation politique. E a pronunciarla è stato Nick Clegg, ex capo del Partito liberal-democratico e vice primo ministro britannico, appena nominato capo della comunicazione internazionale di Facebook. Accanto a lui, in una giornata che i dirigenti di Lrem non hanno esitato a definire “ideologica”, hanno preso la parola altre figure di rilievo del liberalismo europeo, che vedono in Macron e nel suo celebre discorso della Sorbona il punto di partenza per respingere l’ondata populista alle elezioni del prossimo anno: Helle Thorning-Schmidt, ex primo ministro danese, che nel suo intervento ha invocato la necessità di redigere un “manifesto del progressismo”; Luis Garicano, responsabile economico dei liberali spagnoli di Ciudadanos, secondo cui il decollo della nuova forza progressista e europeista dovrà essere effettuato in occasione del prossimo congresso dell’Alde, dall’8 al 10 ottobre; Sandro Gozi, ex sottosegretario agli Affari europei del governo Renzi e principale interlocutore italiano dell’Eliseo; Guy Verhofstadt, presidente dell’Alde ed ex primo ministro belga, che con l’abituale trasporto emotivo ha detto che “la rifondazione dell’Unione europea deve avvenire nel 2019, altrimenti l’Europa sparirà”.
È stato un sabato ricco di idee e di proposte, durante il quale Lrem ha messo le basi per una vasta riflessione sulla sua dottrina ideologica, sulla colonna vertebrale di un macronismo che deve ancora definirsi in maniera esatta. Ma è stato anche un sabato dove per la prima volta si è vista una vera convergenza tra le “terze vie” europee, che lascia ben sperare in vista della prossima, delicatissima scadenza elettorale.

“Dobbiamo proporre un’alternativa progressista dinanzi ai nazionalisti oscurantisti”, ha detto Christophe Castaner, neopromosso ministro dell’Interno ed ex presidente di En Marche!, prima di aggiungere: “Il nostro progressismo è un ritorno alla visione iniziale della sinistra sociale che voleva liberare i cittadini dalle loro catene, e alla concezione iniziale del liberalismo, che rifiutava gli abusi, i privilegi, i monopoli, la concentrazione del potere nelle mani di pochi. Ma non dobbiamo riprendere soltanto le migliori idee del passato. Dobbiamo fare di più”. C’è la consapevolezza di un’“urgenza” da parte di tutte le forze europeiste, urgenza che Macron indicava fin da quando era ministro dell’Economia, e affermava che la sua generazione, quella dei quarantenni, sarebbe stata la generazione dei “rifondatori o dei becchini dell’Europa”.

“Dobbiamo risvegliare l’opinione proeuropea”, ha detto ieri Verhofstadt durante la tavola rotonda in cui si è discusso di “come costruire un arco progressista”, lui che è stato il primo a tendere pubblicamente la mano a Macron per accompagnarlo nella fondazione di un movimento transnazionale liberale e europeista. Sulle pagine di Ouest-France, lo stesso quotidiano che ha intervistato il capo dell’Alde un mese fa, si è espresso così Sandro Gozi: “[L’alleanza con Macron] è l’unica via per rifondare l’Europa. Non può essere rifondata senza costruire una nuova alleanza politica transnazionale. È impossibile farlo se si lascia il Parlamento europeo nelle mani del Ppe e dei nazionalisti. Bisogna organizzare una nuova maggioranza progressista, europea, per un’Europa che moltiplica le protezioni e le opportunità. Rivolgendosi a tutte le forze progressiste, oltre i clivage tradizionali”. Insomma, un’En Marche! europea.

L'Europa progressista si incontra a Parigi
 

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29 ottobre 2018

Emmanuel Macron a Bratislava

Nella sua prima visita ufficiale in Slovacchia venerdì scorso, con cui intendeva sottolineare anche la sua attenzione per il 100° anniversario della nascita della Cecoslovacchia, il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato i più alti funzionari eletti del Paese. Con il presidente Andrej Kiska ha discusso del futuro dell’UE, dell’attuale situazione in Europa e degli attuali sviluppi nella regione. Kiska ha detto di essere «lieto di dare il benvenuto al presidente Macron, che è uno dei leader con una visione chiara per l’Unione europea. Chiama i problemi col loro nome e propone delle soluzioni». «L’Unione europea deve completare i progetti che abbiamo avviato: Schengen, l’area dell’euro e il mercato comune. E dovremmo unirci contro le soluzioni populiste, e discutere con empatia e comprensione». «Mi piacerebbe vedere altri rappresentanti dell’Unione europea, così come il presidente Macron, visitare la nostra regione e difendere i nostri pensieri».

Nella conferenza stampa tenuta dopo il colloquio, il capo dello Stato francese ha detto che se ci si aspetta che l’UE progredisca è necessario un accordo tra tutti gli stati membri. Dobbiamo sempre ricordare, ha ammonito, che non c’è divisione tra vecchi e nuovi membri, dato che tutti hanno contribuito alla “riunione” dell’Europa. Secondo Emmanuel Macron, stare in Europa non è solo questione di geografia, ma anche di ambizioni. Kiska ha replicato dicendo che l’Unione europea non è un problema, ma una soluzione, e nessun paese da solo può affrontare i problemi come ad esempio la crisi migratoria. Egli crede che l’UE debba restare unita, anche perché ci sono altre potenze che vorrebbero vederla divisa. Al collega francese Kiska ha assicurato che l’essere dentro l’UE è “interesse vitale” della Slovacchia, e anch’egli ha convenuto che non vi sono divisioni dell’UE tra ‘vecchia’ e ‘nuova’ Europa.

Macron ha poi incontrato il primo ministro Peter Pellegrini. I due, oltre che sulle questioni europee e internazionali, si sono confrontati sul tema delle relazioni bilaterali tra Francia e Slovacchia. Pellegrini ha detto dopo l’incontro che il suo paese intende essere un partner responsabile per l’Unione europea, e vuole contribuire a cementare l’unità, la forza e l’auto-difesa dell’Unione. Egli ha rassicurato la controparte che su questa materia la Slovacchia sarà sempre dalla parte francese. Pellegrini e Macron hanno discusso di un approfondimento dell’integrazione all’interno dell’eurozona, dei progetti comuni di difesa così come delle minacce informatiche, di cui sia Bratislava che Parigi sono state vittime di recente. A questo proposito, i due hanno concordato di approfondire la cooperazione in questo campo con incontri di esperti di entrambi i paesi per analizzare quando accaduto e contrastare il ripetersi di questi attacchi. Il premier slovacco ha riferito di «un dialogo aperto, costruttivo e amichevole» con Macron, e un pranzo di lavoro «che hanno confermato ancora una volta non solo le nostre buone relazioni personali, ma soprattutto quelle tra i nostri paesi. La Repubblica Francese è nostro partner strategico, abbiamo interessi e visioni comuni. Sono lieto che la riunione congiunta abbia portato ad ulteriori accordi».
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Il presidente francese ha poi concluso la giornata slovacca partecipando a un dibattito pubblico sul futuro dell’Unione europea nella Sala Specchi del Palazzo Primaziale, l’edificio dove fu firmata oltre 200 anni fa la pace di Presburgo (1805) tra la Francia di Napoleone Bonaparte e l’Austria di Francesco I. Nel suo intervento, che era in particolare rivolto ai giovani, Macron ha affrontato diverse questioni calde che l’UE deve affrontare. La prima è la protezione dell’ambiente, poi c’è la cooperazione nel fronteggiare le migrazioni, ha continuato con le sfide poste dal nazionalismo e dal populismo, sottolineando la necessità di eliminare dal dibattito pubblico i discorsi d’odio per promuovere la verità, e infine l’allargamento dell’Unione europea, che lui considera un’opportunità per la riunificazione dei paesi europei. Dobbiamo pensare, ha detto tra l’altro, «che i valori europei come la pace e la libertà non sono automatici in tutti i paesi e che dobbiamo lottare per mantenerli».

La visita di Macron è stata la terza di un presidente francese in Slovacchia.

Pellegrini a Macron: Francia “alleato strategico, abbiamo visioni comuni”
 

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