CERCASI CONTROFIGURA... PER TUTTA LA DURATA DELLE FESTE NATALIZIE (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
La Federal Reserve per statuto ha, come la BCE, un divieto nell’acquisto diretto,
sul mercato primario dei titoli del debito a stelle e strisce.

Però sappiamo che esiste “Fatta la legge, trovato l’inganno”, ed anche in America hanno imparato bene i trucchi.

Prendiamo per esempio la recente emissione di BOT USA, cioè i T-bond a 182 giorni. emessi per 34 miliardi di dollari e piazzati in asta competitiva per 23 miliardi:



PRIMO PASSAGGIO.
il 19 dicembre, tre giorni dopo l’emissione dei titoli ed esattamente lo stesso giorno del regolamento dei pagamenti, quasi 4 miliardi degli stessi vengono rivenduti alla FED



Si tratta di una vendita POMO, cioè le operazioni periodiche di riacquisto dei titoli dal mercato che la FED effettua per rifinanziare il mercato creditizio.
Praticamente lo stesso giorno in cui i titoli dovevano essere pagati, 4 miliardi sono stati venduti alla FED.

SECONDO PASSAGGIO.
Il giorno dopo la FED conduce un’altra operazione POMO….



Questa volta dei 23 miliardi di dollari emessi dal Tesoro 1,6 miliardi vengono ricomprati dal Tesoro sotto forma di POMO.

In tutto 5,6 miliardi di dollari su 23 emessi sono stati riacquistati dalla FED nei 4 giorni successivi alla loro emissione.

Formalmente la Banca Centrale ha rispettato il proprio mandato perchè non ha comprato sul mercato primario,
direttamente dal Tesoro USA, però quasi il 25% dell’emesso è stato ricomprato entro 4 giorni dall’emissione.

Praticamente la Banca Centrale Americana ha dato un premio ad una o più banche per acquistare i titoli USA con un’intermediazione.

Siamo, praticamente, al limite del MMT, o al limite delle operazioni che la Bank of Japan svolge per ricomprare il debito nipponico.
 

Val

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Il buon Fede direbbe....che figura di merda ....

Già all’inizio della Campagna Elettorale in Emilia Romagna avevamo sottolineato come i candidati del PD fossero ormai… in incognito,
nascondendo quindi il simbolo del PD, il partito che li candida.

Una cosa veramente unica, che fa sogere un dubbio: MA NON E’ CHE SI VERGOGNANO DEL LORO PARTITO?

Ultimo esempio Piacenza, dove la candidata Benedetta Scagnelli si presenta coni cartelloni… senza il simbolo !!



La candidata in Incognita, l’ennesima del PD.

Se vedete la sua sede elettorale è completamente rosa….



Una sede completamente rosa per la Candidata del PD fa pensare a due alternative:

  • che in realtà si presenti per il partito di HELLO KITTY, sezione di Piacenza
  • che sia vero quello affermato da Fusaro, cioè che il governo Conte II sia il realtà il governo “Giallo Fucsia”, in cui il PD costituisce la colorazione più tenue.
  • si prepara a passare a qualsiasi movimento politico che si intoni bene con il rosa, che sò, il nero, il bianco, il lilla, qualcosa che sfumi, che faccia fine.. Sa Contessa,
  • la vita è così dura per i candidati, poi oggi questi populistacci….
L’avversario locale, del territorio, Matteo Rancan, invece non ha paura di far vedere che è della Lega.
Ha messo dei bei simboli visibili nel suo profilo e sui suoi manifesti:



Del resto la Scagnelli non ha fatto che seguire le orme del suo Capo, Bonaccini, peccato che gli Emiliano Romagnoli non siano tutti fessi……

 

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Quando leggo certe esternazioni di titolati professori che, sempre di più mi fanno domandare cosa diavolo insegnino ai giovani,
e che propongono loro personalissime, quanto devianti opinioni, piegando le norme, fornendone originali quanto isolate interpretazioni,
potrei pensare al fine di disinformare e far credere alla gente quel che non è … beh, allora mi disturbo, e zitto non ci rimango.

Stavolta è stato il Prof. Paolo Flores d’Arcais a suscitare la mia attenzione, vista l’immagine che ha proposto
di una sorta di “chiamato” al doveroso compito, immagino auto-assegnatosi, di esprimere le sue opinioni, o forse desideri,
su un quotidiano con cui collabora, e che spesso spicca nell’accreditare tesi che la stragrande maggioranza degli italiani diciamo solo … non condivide.

Paolo Flores d’Arcais nasce professionalmente come ricercatore universitario di “filosofia morale”, iscritto al PCI, espulso dalla FGCI, si legge su internet,
“.. per la sua prolungata e grave attività frazionistica …”. Passato attivamente, e ovviamente, per il ’68, che per alcuni “fa titolo”,
ha una breve e intensa vicinanza con Craxi e Martelli, per poi passare al PDS di Occhetto, passare per gli ormai dimenticati “girotondi”,
sostenere Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, e avvicinarsi infine ai 5 Stelle, per prenderne poi le distanze.

Non volendone farne un’altra biografia, che già ce ne sono tante su internet,
ho riportato solo i passaggi che mi sono apparsi più interessanti,
anche perché sono convinto che, per capire una persona, la si debba inquadrare nei fatti e non nelle descrizioni.

Il pezzo, così come proposto, offre una personalissima interpretazione di una norma che non dice affatto quel che vuol accreditare l’egregio professore,
che evita accuratamente di citarne altre, ben più pertinenti.

L’attribuzione della “particolare tenuità” a cui si riferisce il Prof. d‘Arcais, prevista dall’art. 131 bis c.p., intitolato
“Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, dice “…
la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta … l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

Non abituale egregio professore, come Lei non può non sapere, significa che una che ha collezionato dodici condanne,
se è vero quel che riportano molti giornali, non conoscendo io il casellario della poco gentile professoressa in pensione
(poco gentile deriva dal capo di imputazione “violenza privata”, che trovo almeno incompatibile con la gentilezza),
ancorchè non vi sia stata una dichiarazione di abitualità al crimine (art. 103 c.p.), si sia resa responsabile,
e questo lo stabiliscono i Giudici e non i professori, di reati del genere di quelli collezionati da questa arzilla pensionata.

Poi, ma non lo dico ovviamente a Lei egregio Professore, che sono convinto lo sappia perfettamente, ma il reato di violenza privata,
almeno secondo la dominante giurisprudenza, in testa quella della Suprema Corte, non è affatto un reato da poco,
visto che nella sua forma più grave, che riguarda proprio la sua protetta, può arrivare a una condanna fino alla bellezza di quindici anni!

E allora sia bravo, eviti di dare interpretazioni così faziose e tanto lontane dalla realtà.

Per concludere infine, evitando di scomodare l’art. 87 della Costituzione, da Lei implicitamente richiamato,
che prevede che il Presidente della Repubblica “può” concedere la grazia, sia bravo egregio professore, Lei sa bene,
oltre al fatto che quella è una “facoltà” e non un “dovere” … che, per poter accedere all’istituto, serve anche un altro piccolo requisito:
il condannato deve chiederla! Anche perché è una concessione, frutto di benevolenza, e non un diritto!

Quando però uno rifiuta di usufruire di benefici ai quali secondo la Legge, e non secondo i giornali o i professori avrebbe diritto,
beh vuol dire che il Presidente non può concedere qualcosa che non gli è stato neppure chiesto.

Men che mai aggiungo, se quel qualcuno prosegue nella sua condotta di rifiuto dello Stato e di rispetto delle norme,
ai quali sono invece tenuti tutti gli altri, cittadini e non, perché non sembrerebbe, alla luce di quel che si legge avrebbe detto la professoressa,
costei sia stata colta da una minima resipiscenza per il pessimo esempio che ha offerto con le sue condotte.

E vabbè che ormai c’è chi, perso di vista anche il buon senso, non giustifica, ma addirittura sostiene le violazioni di Legge di una figlia di papà
che dubito anche il Padreterno abbia capito perché graziata (lei si), da una giustizia terrena assai discutibile,
ma di qui a permettere tutto (ovviamente solo a chi è da una preciisa parte), ce ne passa egregi signori, e non poco!

Per cui, leggete tutti queste “opinioni”, non sia mai che io voglia censurare chicchessia e ragionate con la vostra testa.

Se poi, per caso avete ancora dubbi, oggi che internet permette verifiche in tempo reale, andatevi a leggere quelle norme
che taluni buttano lì per dar corpo a qualcosa che corpo non ha, per farvi una vostra idea, libera da più o meno subdoli condizionamenti.
 

Val

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Chissà se dopo la clamorosa eliminazione del generale iraniano Qassem Suleimani
qualcuno racconterà ancora la barzelletta che vuole gli Usa di Donald Trump intenti a disimpegnarsi dal Medio Oriente?

L’attacco con i droni, condotto in un Paese amico come l’Iraq, ha avuto un’evidente funzione dimostrativa.

Il messaggio è: questa è casa nostra, qui noi possiamo fare ciò che vogliamo, nessuno che ci ostacoli può sentirsi al sicuro.

Solo il risentimento anti-Trump che prolifera nelle province dell’impero americano poteva far prendere lucciole per lanterne,
perché questo atto di guerra contro l’Iran è il culmine di una politica che invece, da parte della Casa Bianca, è stata piuttosto coerente.
 

Val

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Il 2019 non è stato un anno buono per molte attività USA:
il 2019 ha segnato il maggior numero di posti di lavoro persi a causa dei fallimenti aziendali, con oltre 62 mila posti di lavoro distrutti, dopo il 2005



Come vedete il numero i posti di lavoro persi per fallimenti è perfino superiore al famigerato 2008 della crisi finanziaria.

Si torna al 2005, ma in quell’anno il numero di fallimenti era anche prodromo ad un incremento di differenze nei mutui e quindi alla crisi dei mutui subprime.
L’aumento attuale delle sofferenze per fallimenti potrebbe essere la preparazione a problemi ulteriori.

In totale il numero dei posti di lavoro cancellati è stato pari a 592 mila, ponendo il 2019 al quarto posto per numero di licenziamenti nell’ultimo decennio.



La disoccupazione si mantiene sotto controllo perchè, semplicemente, per ora nuove attività assumono tanto quanto viene licenziato,
cosa che in Europa ed in Italia non succede più da tempo, ma questa situazione può cambiare rapidamente nel caso di un ulteriore rallentamento economico interno.

Quindi la situazione economica USA è, letteralmente, appesa ad un sottile filo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Quando il Ministero dell’Economia e delle Finanze (il MEF) emette un titolo di stato del valore nominale di 100 euro, quanto vale quel titolo di stato? Ovviamente vale 100 euro.

Infatti per acquistarlo è necessario offrire in cambio qualcos’altro del valore di 100 euro.

Ad esempio una banconota da 100 euro, la quale è utilizzata per misurare il valore di beni e servizi (e valori finanziari) che valgono 100 euro.

Ma nulla vieta a chiunque di noi di accettare un titolo di stato del valore nominale di 100 euro in cambio di una prestazione lavorativa avente il valore di 100 euro.

Quel titolo di stato vale 100 euro dal momento della sua emissione.
Prima era un pezzo di carta colorato, del valore commerciale di 0,20 € (il costo della carta e della stampa).
Una volta emesso, per legge, la legge che disciplina le modalità di emissione dei titoli di stato, assume il valore “legale” di 100 euro.

E’ la Legge che attribuisce il valore legale di 100 euro al titolo di stato.

Quando la Banca Centrale Europea emette una banconota del valore nominale di 100 euro, quella banconota vale 100 euro.
Infatti per “acquistarla” è necessario offrire in cambio qualcos’altro del valore di 100 euro.
Ad esempio un titolo di stato del valore legale di 100 euro.
O, più comunemente, una prestazione lavorativa avente il valore di 100 euro, cosa che facciamo ogni volta che ci viene pagato lo stipendio od ogni volta che un commerciante vende una merce.

Quella banconota vale 100 euro dal momento della sua emissione.
Prima era un pezzo di carta colorato, del valore commerciale di 0,30 € (il costo della carta e della stampa).
Una volta emesso, per legge, la legge che disciplina le modalità di emissione dei titoli di stato, assume il valore “legale” di 100 euro.

E’ la Legge che attribuisce il valore legale di 100 euro alla banconota ed è la Legge che attribuisce alla BCE titolo di stato.

In entrambi i casi è la Legge che stabilisce che cosa vale 100 euro e cosa no, chi ha diritto di trasformare un pezzo di carta in un “valore legale” di 100 euro.

Tale Legge è stata votata dal Parlamento a nome del Popolo.

La sovranità monetaria, ovvero il potere di creare ricchezza finanziaria, sotto forma di titoli di stato o di banconote, è quindi una prerogativa che appartiene giuridicamente allo Stato.

Attualmente, sempre per Legge, il potere di conferire valore legale ai titoli di stato è prerogativa del MEF,
mentre il potere di conferire valore legale alle banconote è stato delegato alla BCE.

Per intenderci: basterebbe modificare la Legge per conferire lo stesso potere ad un altro organo dello Stato,
ad esempio alla Banca d’Italia (ricondotta al pieno controllo pubblico) o allo stesso MEF.

Quando un lavoratore o una impresa producono un bene o un servizio del valore di mercato di 100 euro,
esso viene venduto in cambio di una banconota da 100 euro, la quale certifica il valore di 100 euro della transazione economica.

Il valore di 100 euro è il valore reale, il valore di utilità sociale di quel bene o servizio prodotto.
La banconota rappresenta un “valore finanziario” ovvero un mezzo per favorire lo scambio di beni e servizi.
Chi detiene la banconota da 100 euro, infatti, è creditore di 100 euro in beni o servizi nei confronti della “società economica” che li produce.
Quando il debito viene ripagato, cedendo la merce all’acquirente, il certificato di credito di 100 euro passa nelle mani del venditore,
il quale diventa a sua volta creditore nei confronti della “società economica” di 100 euro di beni e servizi.

Lo Stato che, tramite la Legge, ha creato la banconota da 100 euro, non ha creato un valore reale di 100 euro,
ma ha creato uno strumento che può essere utilizzato per attivare la produzione di 100 euro di beni o servizi.

Chi produce 100 euro di beni e servizi di valore reale, infatti, li cederà solo in cambio di un “certificato di credito” di 100 euro, rappresentato da una banconota a valore legale.
Se il potenziale acquirente non dispone della banconota, la produzione non verrà attivata e non vi sarà la produzione di un valore reale d’uso.

Ma ritorniamo ora al titolo di stato da 100 euro.

Se lo Stato ha il potere giuridico di conferire ad un pezzo di carta il valore legale di 100 euro,
per quale motivo decide di creare delle banconote da 100 euro e dei titoli da 100 euro?

Il motivo è che il denaro non ha solo la funzione di supporto di scambio di beni e servizi, ma ha anche la funzione di risparmio.

Una banconota da 100 euro viene emessa affinché venga utilizzata per acquistare beni e servizi,
mentre un titolo di stato da 100 euro viene emesso per certificare un risparmio di 100 euro.

Chi detiene una banconota da 100 euro, infatti, può decidere di non spenderli in cambio di beni o servizi,
ma di investirli presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale accetta “depositi” in banconote cedendo in cambio dei titoli.

I titoli danno il diritto di lucrare un certo tasso di interesse, il quale consente di ridurre la svalutazione del capitale causata dal tasso di inflazione.

Il meccanismo del “servizio pubblico di risparmio” offerto dal MEF prevede, quindi,
l’emissione di banconote che il settore privato (cittadini, imprese) ottiene in cambio della produzione di beni e servizi.
Una parte di tali banconote vengono utilizzate per acquistare titoli.
Quando i titoli vanno in scadenza, lo Stato restituisce il capitale più l’interesse, in banconote.

A quel punto il settore privato (cittadini e imprese) può usare le banconote per acquistare beni e servizi o di nuovo per risparmiare, acquistando altri titoli.

Nel momento in cui un soggetto cede una banconota in cambio di un titolo, quel soggetto diventa “creditore” e lo Stato diventa “debitore”.
Ma non si tratta di un “debito da pagare”. Si tratta semplicemente dei fattori del servizio di risparmio.

Lo Stato che detiene le banconote ricevute, infatti, è a sua volte “creditore” verso il settore privato
che produce beni e servizi, potendo usare quelle banconote per acquistarli, tramite la spesa pubblica.

Dopo di che i destinatari della spesa, cittadini e imprese, diventano “debitore” nei confronti dello Stato, dovendo pagare le tasse,
il che fa ritornare le banconote allo Stato, il quale le usa per garantire il servizio di risparmio pagando i titoli di stato in scadenza.

Se guardiamo il sistema al netto degli strumenti finanziari (banconote, titoli di stato, tasse), è proprio la circolazione di banconote,
unita ad una sana dose di risparmio, a consentire a cittadini e imprese di produrre i beni e servizi che costituiscono la ricchezza reale del paese.

Se venissero eliminati i titoli di stato, estinguendo il debito pubblico (dando credito a coloro che pensano di doverlo ridurre), cesserebbe il servizio pubblico di risparmio.

Se venissero eliminate le tasse, non vi sarebbe più produzione di beni e servizi ad uso collettivo, erogati dallo Stato.

Se venissero eliminate le banconote dalla circolazione, si bloccherebbe l’economia di scambio, cesserebbero i servizi pubblici la produzione privata di beni e servizi: ritorneremmo al baratto!

Molti dei problemi attuali dell’Italia derivano da forti squilibri in questi meccanismi fondamentali:

la creazione di banconote è stata delegata alla BCE, al di fuori del controllo dello Stato.

Lo Stato non ha più la libertà di impostare la propria politica fiscale, dovendo sottostare alle richieste della Commissione Europea.

Non essendo l’emissione di banconote coordinata con l’emissione di titoli, il debito pubblico non svolge più una funzione di risparmio,
ma è diventato l’unico modo per lo Stato di disporre di banconote da mettere in circolazione nell’economia del paese.

La situazione è ancora più complicata dal fatto che almeno il 95% dei mezzi di pagamento che utilizziamo
non è costituita da banconote a corso legale, ma da note scritturali delle banche private.

Ma di questo ne parleremo un’altra volta, per non complicare ulteriormente la comprensione del sistema attuale.

Il concetto fondamentale da comprendere è che lo Stato conserva tutt’ora il potere giuridico di conferire valore legale a dei pezzi di carta
e che questi pezzi di carta possono essere utilizzati per supportare gli scambi di beni e servizi.

Ciò che differenzia le banconote dai titoli di stato è il loro “grado di liquidità”.

Se lo Stato emettesse dei titoli di stato con scadenza a 100 anni (per non dire infinita) e ad interesse pari a 0,
se li accettasse come mezzo di pagamento per le tasse e se li usasse per pagare i propri fornitori (dipendenti pubblici, imprese esterne),
questi titoli diventerebbero a tutti gli effetti una nuova moneta a valore legale, circolante in parallelo agli euro.

E sarebbe accettata, in quanto ogni anno gli italiani devono pagare 700 miliardi di tasse (o quanto è)
e in quanto ogni anno lo Stato paga 800 miliardi i vari fornitori, i quali a loro volta devono pagare le tasse.

Una moneta è accettata se è spendibile e in fatto che lo Stato la usi, la rende spendibile.

In conclusione pare del tutto evidente come i governanti che ci dicono di non disporre del denaro per ridurre la pressione fiscale
e per aumentare gli investimenti pubblici per far ripartire l’economia, dimostrano una totale incomprensione di come funzionano gli strumenti finanziari in una moderna economia.


Il denaro si crea per legge. I titoli possono essere trasformati in banconote.

E’ come se lo Stato disponesse di un “tesoro nascosto” di migliaia di miliardi di euro a cui attingere secondo necessità.

E poi: il “debito pubblico” non esiste, come debito.

Lo Stato è in grado, in qualsiasi momento, per legge, di creare nuovi titoli di stato aventi un valore legale tale da “ripagare” i titoli in scadenza.
Ed è in gradi di creare, per legge, se lo vuole, nuove banconote avente un valore tale da “ripagare” anche in banconote i titoli in scadenza.

L’unica cosa che, per legge, non si può creare sono i cittadini-lavoratori, quelli che, in cambio di pezzi di carta a valore legale, producono beni e servizi di valore reale.

Per creare cittadini-lavoratori avere delle famiglie che li mettano al mondo, che li crescano, che li educhino.
E’ necessari formarli attraverso la scuola, l’università, l’apprendistato nel mondo del lavoro.

E’ su questo che l’Italia deve investire, emettendo “pezzi di carta” a valore legale, usandoli per incentivare la nascita, la crescita e la formazione dei futuri cittadini-lavoratori.

Da troppo tempo, invece, l’Italia disinveste sui cittadini-lavoratori, scoraggiando chi mette al mondo dei figli
(nel 2019 abbiamo stabilito il record storico negativo per le nascite in Italia), riducendo gli investimenti su scuola e ricerca,
portando al fallimento le nostre imprese con un eccessivo e insensato carico fiscale, spingendo troppi giovani ad emigrare all’estero.

E ci presentano tutto questo come un “fatto inevitabile”.

Le soluzioni, invece, esistono.

E sono molto semplici, se comprendiamo cosa è il denaro, cosa sono i titoli di stato ed il valore reale dei beni e servizi che produciamo con il nostro lavoro.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Articolo giusto nel suo fine.... ma con errori sopratutto nella spiegazione a cosa servono i titoli di Stato.

I titoli di Stato nacquero all’epoca del gold standard per far fronte ad una espansione monetaria
(necessaria per sviluppare l’economia) senza però avere le necessarie riserve auree.

Mi spiego meglio, siccome allora le banconote erano convertibili in oro, e questo era un limite all’emissione,
si decise di emettere titoli di Stato non convertibili in oro e la gente in cambio di questa non convertibilità veniva ripagata con gli interessi;
oggi dove il gold standard non esiste più potremmo tranquillamente eliminare i titoli di Stato e far risparmiare la gente solo con le banconote.....
gli interessi che uno Stato paga sono solo un modo di fare spesa pubblica a favore dei cittadini
e lo Stato a moneta sovrana non ha bisogno delle tasse per estinguere i titoli come dice l’autore di questo articolo....
ma lo fa semplicemente stampando moneta o emettendo titoli nuovi; la cosa è molto più semplice di come la spiega l’autore...
lo Stato emette moneta in regime di monopolio... prima la emette e poi la raccoglie per mezzo della tassazione...
affinché ci sia la possibilità che l’economia giri ne deve mettere in circolo più di quella che ne raccoglie con le tasse
altrimenti l’economia non dispone di quella quantità di moneta necessaria per scambiarsi tutti i bene e/o servizi prodotti
e magari qualcosa in più anche per risparmiare; perché è bene che sia chiaro....
il debito pubblico e’ esattamente tutta la spesa pubblica fatta dallo Stato meno quanto ha raccolto con la tassazione......
praticamente il debito pubblico e’ la quantità di mezzi finanziari che lo Stato lascia nell’economia cioè nelle nostre tasche.....
quindi il debito pubblico corrisponde esattamente alla lira al totale del risparmio privato..... cioè il debito pubblico e’ la nostra ricchezza
 

Val

Torniamo alla LIRA
Oggi una quota esigua del nostro debito pubblico è in mano, direttamente, ai piccoli investitori italiani, famiglie e imprese soprattutto,
mentre circa un terzo è in quelle straniere. Banche, fondi e assicurazioni italiane italiane detengono invece circa il 50% del debito.

Ma non è sempre stato così.Dai dati disponibili sul database della Banca d'Italia è possibile ricostruire come è cambiata la composizione dei possessori del debito, dal 1988 ad oggi

Il primo dato a saltare all'occhio è proprio la progressiva riduzione della quota di debito, sia in termini assoluti sia in termini percentuali, in mano ai risparmiatori italiani.

Contemporaneamente, e in particolare con l'adesione dell'Italia alla moneta unica, cresce la fiducia nel nostro Paese e con essa la porzione detenuta dagli investitori stranieri.

Il dato cresce dal 4% del 1988 al 32% attuale.

Quella degli investitori nostrani cala dal 57 al 6%.

Molto evidente anche l'impatto del programma di Quantitiative Easing della Bce operativo da marzo 2015.
Nel dettaglio la quota di titoli di Stato in mano alla Banca d'Italia, direttamente o attraverso la Banca Centrale Europea, passa dal 5% del 2014 al 16% attuale.

Diverso il caso delle banche.
La quota di debito in mano agli istituti di credito italiani nel 2018 è di circa il 27% del totale, pari a 612 miliardi di euro.

Il che spiega perché siano soprattutto gli istituti di credito a soffrire dei rialzi del differenziale.

Di questi però soltanto 342 sono titoli di Stato, mentre il resto è rappresentato prevalentemente da altri prestiti.

Se si considera un aggregato di banche e assicurazioni, italiane e straniere, l'ammontare è di poco inferiore ai 400 miliardi di euro.
A primeggiare in questo caso è il Gruppo Poste Italiane, che tra investimenti e riserve ha in pancia oltre 121 miliardi di titoli,
seguita da Generali, che al 30 settembre 2017 ne aveva oltre 63 miliardi , e Unicredit, che a fine marzo vantava 47,2 miliardi di titoli.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Questo è il problema.
Dobbiamo riportare il debito pubblico nelle mani dei cittadini.
Sul modello giapponese.
 

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