Cassazione apre a class action contro Equitalia (1 Viewer)

tontolina

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Equitalia gli chiede 63mila euro con un bollettino


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Equitalia ha chiesto ad un cittadino, Simone Casti, ben 63.000€ con un bollettino. Un debito che è aumentato in pochi mesi di 18.000€. Ma lui non ci sta: non vuole suicidarsi, ....
 

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Forumer storico
Equitalia non rottama le "anguille" e si perdono quasi mille miliardi
Pubblicato: 13/10/2016 15:26 CEST Aggiornato: 13/10/2016 15:27 CEST
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Equitalia non rottama le "anguille" e si perdono quasi mille miliardi


In questi giorni fibrillanti della vigilia della legge di stabilità, nella spasmodica ricerca di soldi per far salire il montepremi a disposizione del governo e per portare a Bruxelles conti accettabili, in questi giorni di febbre altissima con il ministro Padoan che "non dorme più la notte", da settimane, ecco spuntare un tesoretto del quale si parla poco.

Se ne parla poco ma potrebbe rivelarsi un colpo d'ala, una sferzata di energia, un tonico ricostituente. Si parla di un "miliardino" secco da tirar fuori attraverso una operazione che ha il sapore di una piroetta deja vu: un condono sotto forma di rottamazione delle cartelle di Equitalia.

Per capire il senso di questa giravolta acrobatica serve elencare alcuni dati. Nella pancia di Equitalia vi sono depositati, in varie forme, crediti fino al 31 dicembre 2015 per la stratosferica cifra di mille e più miliardi di euro. Sì, avete letto bene: mille miliardi di euro, quasi la metà del debito pubblico italiano.

Se questi crediti fossero veramente esigibili, e cioè i debitori li onorassero, il nostro paese avrebbe risolto la più gran parte dei suoi problemi e potremmo a capodanno brindare a champagne della miglior marca.
Purtroppo i fatti non stanno così.

La ragione: i debitori sono di cera. Tra questi il 20 per cento è stato annullato dai creditori per diverse e svariate ragioni, dei restanti 841 miliardi un terzo viene ritenuto di difficile riscossione per altri e più diversi motivi (chi è morto, chi è fallito, chi è nullatenente, chi è irreperibile, chi è in galera, chi sta vicino alla estrema unzione).

Per altri 314 miliardi Equitalia ha tentato invano azioni esecutive, tutti buchi nell'acqua, tonnellate di carte bollate, messaggeri di pace e di guerra sconfitti dalla burocrazia, pratiche lasciate morire per inconcludenza. Insomma. un patrimonio che da reale al principio è divenuto nei fatti solo virtuale.

Altri cento miliardi, questi sì incassati, o rateizzati quindi da incassare sperabilmente in tempi certi. In magazzino, in cassa se volete, restano ottantacinque miliardi di cui 34 non sono lavorabili da Equitalia perché sono cifre inferiori ai limiti legali per le azioni cautelari ed esecutive. Si tratta di cifre molto modeste che è quasi inutile inseguire, anzi troppo costoso rispetto al risultato preventivato.

La rottamazione delle cartelle si riduce così a solo 51 miliardi di euro, il cinque per cento del valore iniziale.

La stessa operazione venne fatta nel 2002 con un analogo punto di partenza, la massa dei crediti, e un risultato pari a un miliardo effettivamente incassato. Se tanto ci dà tanto, anche in questa occasione si ipotizza di incassare solo qualche spicciolo rispetto alla speranza iniziale, quei mille miliardi in magazzino.
In questo contesto si inserisce, a gennaio prossimo, la chiusura di Equitalia e il passaggio delle carte e delle cartelle alla Agenzia delle Entrate.

Se tanto lavoro costoso e frustrante produce un risultato tanto scarso e scadente ci si deve chiedere che senso ha continuare e perseverare nell'errore o non piuttosto mettere mano a delle idee capaci di inceppare la macchina che porta alla rottamazione dei crediti e li renda effettivamente esigibili.

Forse è il caso di lavorare sulla qualità e non sulla quantità: usare il bisturi e non il machete. Se il paziente contribuente si estingue prima di potere e dovere pagare il conto con l'Erario è inutile portarlo in sala operatoria sperando di rianimarlo. Bisogna pensarci prima, usare metodi di attacco alla malattia con i farmaci giusti. Scusate la metafora clinica ma è proprio questo il problema. Si agisce a valle anziché a monte.

La mancata riscossione delle cartelle che per mille rivoli si disperdono nel mare nelle opere incompiute alla fine risultano essere soltanto un costo improduttivo per la collettività e in più forniscono la idea che, per un verso o per l'altro, a ragione o a torno, sono i furbi a riuscire a superare la rete dei controlli.

Se dovessimo scommettere anche solo un euro su come andrà a finire la riscossione di quel miliardo probabilmente lo perderemmo. Ne vinceremmo uno per certo se invece la scommessa riguardasse chi sono davvero questi debitori insolventi: tra essi rintracceremmo personaggi poco raccomandabili che hanno dedicato tempo e denaro non a pagare le tasse ma a cercare di sfuggirle inventando gli stratagemmi più svariati. Da ora in avanti li chiameremo le anguille del fisco.

Il governo lancia continui appelli per glorificare la lotta all'evasione, certi dati confortano questo sforzo con segnali di incassi davvero significativi: ma è la piaga dell'evasione in sé che resta grande e purulenta. Se la diagnosi è precisa è la terapia che va cambiata. Terapia d'urto please, contro le anguille costrette a fare i conti con il fisco come tutti gli altri contribuenti.
 

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