Fiat (F) Capitalizzazione a 10.8 e Debiti a 6.1 MLD (1 Viewer)

ciaociao

Banned
dngmrz..chi le ha comperate nell 2009 oggi ha una lauta plusvalenza
se poi avesse acquistato le privilegio da 1,9 sono arrivate a 8,5


sul discorso produttivo ci mancherebbe che marchionne
nn valutasse dove produrre x restare competitivo, visto l'avvento
delle tigri asiatiche ...vero traino dei mercati sui contributi lo stato con una mano da e con l'altra prende ....
 

DNGMRZ

ordine 11.110
Pierluigi Bonora per Il Giornale


Genericamente si potrebbe dire che furono tutti i big della politica della prima Repubblica a prestare un'attenzione particolare al gruppo Agnelli. Nella forma di aiuti, sostegni, spintarelle, scambio di favori, piaceri, paletti protezionistici. Il caso più clamoroso fu la protezione data da Romano Prodi in occasione dell'asta sull'Alfa Romeo.

Ma ci furono interventi apparentemente marginali, però dalle conseguenze favolose per la Fiat. Basti pensare a quella nuova tassa che si inventò il governo Andreotti nel 1976, chiamata superbollo per i motori Diesel. Sotto al vestito una grande mano ai motori torinesi che all'epoca erano praticamente solo a benzina e di cilindrate basse. E la fuoriuscita dei motori stranieri a gasolio, all'epoca più avanzati.

E poi la famigerata Cassa del Mezzogiorno, feudo democristiano, che con la scusa dell'industrializzazione gettò miliardi anche nelle fabbriche del gruppo (ma non solo ovviamente). Andiamo per ordine.

Le ultime dichiarazioni di Sergio Marchionne («dall'Italia non arriva alla Fiat un euro di utile») hanno riportato alla ribalta il tormentone dei tanti sussidi, diretti e indiretti, di cui il gruppo che fa capo alla famiglia Agnelli ha beneficiato nella sua lunga storia. «Per elencare tutti i favori - dice maliziosamente un esperto del settore - ci vorrebbe un'enciclopedia». Sul banco degli «imputati» sono soprattutto i governi di centrosinistra e gli uomini che li hanno condotti: Romano Prodi, Massimo D'Alema e Giuliano Amato firmano i provvedimenti che danno maggiore ossigeno all'azienda torinese.

A molti brucia ancora il regalo, già accennato, fatto da Prodi, all'epoca alla guida dell'Iri, alla Fiat: quell'Alfa Romeo strappata alla Ford, che nel 1986 (governo Craxi) aveva messo sul piatto 4mila miliardi di lire, ben più dei 1.050, da versare in cinque rate (la prima sei anni più tardi) senza interessi, offerti dal Lingotto allora amministrato da Cesare Romiti.

Se l'Alfa Romeo aveva problemi allora, la situazione nel tempo è stata oggetto di pochi alti e tanti bassi, tant'è che il destino del marchio milanese non è tuttora ancora ben delineato. Il simbolo di un nazionalismo industriale di cui lo stesso Marchionne oggi essendone vittima, si lamenta. C'è chi è arrivato a quantificare l'ammontare dei finanziamenti statali elargiti a Torino in 100 miliardi di euro.

Queste le voci considerate: rottamazioni (leggi incentivi: 400 milioni di euro solo nel '97 in virtù del piano Prodi), cassa integrazione, contributi per gli impianti al Sud, prepensionamenti, mobilità lunga, interventi sul fisco, barriere protezionistiche, leggi ad hoc.

Nel balletto di cifre proprio ieri la Cgia di Mestre ha fatto due conti: 7,6 miliardi di finanziamenti erogati dallo Stato solo negli ultimi 30 anni, da suddividere in contributi per realizzare le fabbriche di Melfi e Pratola Serra (1,279 miliardi tra il '90 e il '95 con i governi De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi e Berlusconi). Complessivamente, secondo la Cgia, tra il '77 e il '90 Torino ha beneficiato di 5,2 miliardi, avallati dai governi Moro, Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, Goria e De Mita: praticamente tutti i bei nomi della prima Repubblica.

Il gruppo degli Agnelli è stato aiutato, in base alla legge per il Mezzogiorno, a realizzare il suo programma di insediamenti industriali al Sud: oltre 6mila miliardi di vecchie lire in base al contratto di programma stipulato a Palazzo Chigi nel 1988 con i governi Goria-De Mita.

In anni successivi, e precisamente tra il '93 e il 2009 (governi Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema e Amato) alle voci ristrutturazioni, innovazione e formazione è corrisposta un'erogazione da parte dello Stato pari a quasi 500 milioni di euro. C'è poi lo stabilimento di Pomigliano d'Arco, ereditato dalla vecchia Alfa Romeo (20,5 milioni a carico dello Stato per l'innovazione dell'impianto tra il '95 e il 2000)e quello siciliano di Termini Imerese, costruito nel golfo di Cefalù in una delle zone meno adatte per un polo industriale e sicuramente più indicata a ospitare milioni di turisti.

La nascita del sito nel 1970 (governo Rumor) avvenne sulla spinta delle grandi lotte operaie del tempo che tra le principali rivendicazioni ponevano lo sviluppo del Mezzogior-no. Purtroppo, con il trascorrere degli anni, sono emerse le difficoltà di mantenere la produzione inun'area difficile da raggiungere e carente di infrastrutture, tant'è che la fabbrica che ha prodotto modelli di successo come 500, 126, Panda, Punto e Lancia Y, chiuderà a fine 2011. Di investimenti e contributi, comunque, Termini Imerese ne ha assorbiti: l'ultimo risale al 2007 (governo Prodi) con un intervento statale di 46 milioni.

Bisogna sempre considerare infine due fattori. Ogni impresa, in qualsiasi parte del mondo, chiede aiuti economici alla politica. Il problema è quando la politica cede con tanta dovizia come ha fatto negli anni con Fiat. E infine occorre sempre ricordare come in un paese dotato di pochi colossi industriali, il gruppo torinese abbia negli anni rappresentato uno dei pochi baluardi dell'occupazione e della ricerca. Basti pensare al recentissimo caso serbo: hanno fatto ponti d'oro,tra incentivi fiscali e contributi vari, affinchè la Fiat rilanciasse il suo stabilimento locale.
 

DNGMRZ

ordine 11.110
MEDITA, MARPIONNE, MEDITA - L’AD FAREBBE MEGLIO A RIFLETTERE SU QUALCHE NUMERO, ANZICHÉ PROPINARCI I SUOI MODELLI SOCIO CULTURALI: 1.5 MLN DI AUTO PRODOTTE IN FRANCIA NEI PRIMI NOVE MESI DEL 2010, 4,1 IN GERMANIA, OLTRE 930MILA IN GRAN BRETAGNA E 1,4 IN SPAGNA. SOLO 444MILA IN ITALIA - IL PROBLEMA DUNQUE NON È LA GLOBALIZZAZIONE, NÉ LA FIOM CGIL. MA LA FIAT, IL SUO MANAGEMENT E LA FAMIGLIA CHE NE MANTIENE IL CONTROLLO CON L’AIUTO DI MOLTI SOLDI ALTRUI…

Bankomat per Dagospia

Marchionne farebbe meglio a darsi meno arie e comprarsi una giacca. E meditare su qualche numero, anziche' far meditare noi sui suoi modelli socio culturali.
Un milione e mezzo di auto prodotte in Francia nei primi nove mesi del 2010. In Germania 4,1 milioni circa, oltre 930mila in Gran Bretagna e 1,4 milioni in Spagna. Solo 444mila in Italia. Parliamo di fior di Paesi europei che, in un anno certo non di grande boom, hanno prodotto in casa loro una enorme quantita' di auto, con leggi civili e costi europei. E per carita' di Patria non citiamo Polonia e Repubblica Ceca, che qualcuno potrebbe non ritenere paragonabili in tutto e per tutto all'Italia.
Questi dati desolanti pubblicati oggi da Repubblica , e con la precisazione ad esempio che in Germania l'operaio guadagna 500 euro al mese più' del collega italiano, sono un macigno sulle tante balle spacciate da anni dalla Fiat e dai suoi giornali e politici amici. Il problema dunque non e' la globalizzazione, ne' la Fiom Cgil che pure qualche suo problemino culturale lo ha. Il problema sono la Fiat, il suo management e la famiglia che ne mantiene il controllo con l'aiuto di molti soldi altrui.
Ieri era uscito un altro dato: Audi investira' in quattro anni oltre 11 miliardi, dei quali circa meta' in Germania. Marchionne, ma di cosa stiamo parlando? Qui ci sono sul tavolo 11 miliardi di investimenti della sola Audi, non certo un produttore di auto di massa per il popolo.
La grande abilita' della Fiat e' stata in questi anni far credere a tutti che c'era un problema di mercato mondiale di cui era vittima la Fiat, ma che, soprattutto, le auto non si vendono perche' per motivi di contesto esterno si produce poco e male in Italia. E' vero l'esatto contrario: si progettano e si vendono male le auto fiat sicche' la produzione in Italia cala a livelli ridicoli.
Ma gli esperti di auto e di marketing, oltre che i normali consumatori, pensano davvero che le auto Fiat si vendono poco perche' costano troppo care? Per colpa dei privilegi del ricco e satollo operaio Fiat? Appare triste in questo quadro la soddisfazione del grande vecchio di casa Agnelli. Parliamo di quel Gabetti che assolto per ora dal Tribunale di Torino, insieme a Grande Stevens Avvocato Franzo, ma condannati entrambi da Consob, ha sempre rivendicato di aver fatto la cosa giusta nel garantire agli Agnelli il controllo di Fiat. Ad ogni costo.
Questo del resto e' il male eterno del nostro sistema di capitalismo familiare: si profondono sforzi finanziari e manovre spesso legalmente border line per garantire la continuita' dinastica. Vediamo il caso Ligresti in questi giorni.
Ed e'triste una classe dirigente che da Berlusconi a Marchionne, da Geronzi a Passera, da Montezemolo a Colaninno, invece di migliorare le cose per gli italiani predica sempre agli Italiani su cosa e' bene e cosa e' male.
I dati sulle produzioni europee di auto sono duri e chiari: spocchiosi leader italiani, andate in Francia e Germania, non nel terzo mondo, e prendete appunti, grazie.
E non fracassateci più' con le storie da finto libro cuore su Marchionne figlio di un carabiniere ed immigrato in Canada. Ma residente in Svizzera.

[28-12-2010]
 

DNGMRZ

ordine 11.110
Fiat, quanto pesa il Lingotto? Oltre 62 miliardi all'anno. E l'accordo di Mirafiori spacca il Pd
È il fatturato di auto, trattori, robot, camion (e relativi indotti). Il settore core di Torino vale 9 miliardi ma arriva a 31,5 con la componentistica. Intanto rispunta un Pd conservatore, legato a doppio filo alla Cgil e alla Fiom, incapace di guardare avanti?
di Paolo Bricco e Goffredo De Marchis

Di che cosa parliamo quando parliamo di Fiat? L'automotive italiano è un tessuto industriale articolato. C'è il gruppo di Torino e ci sono migliaia d'imprese impegnate in una filiera caotica ma efficiente che rende la dorsale padana - che dal capoluogo piemontese raggiunge Vicenza e innerva la Lombardia e l'Emilia Romagna - il sistema probabilmente più competitivo d'Europa: livelli tecnologici tedeschi e prezzi italiani.

La struttura non è gerarchica, ma il baricentro resta Torino. Non fosse altro perché nell'auto, ormai non troppo distante per complessità scientifico-organizzativa dall'aeronautica e dall'aerospazio, gli investimenti in ricerca e sviluppo restano significativi: soltanto le case produttrici se li possono permettere e sono i loro laboratori a studiare le innovazioni radicali - in particolare i nuovi motori e i nuovi modelli d'ingegnerizzazione - che poi vengono travasate verso i componentisti.

Questi ultimi dispongono di autonome capacità d'innovazione, ma resta fondamentale la pressione esercitata dall'alto dalle case produttrici, che produce nell'intera filiera una spinta industriale verso il miglioramento continuo. Quindi, con un effetto a catena, ecco i componentisti distillare conoscenze e competenze ai subfornitori e cosi via, fmo ai più piccoli protagonisti del sistema. Le cifre in gioco nel nostro paese sono difficili da fissare con precisione.

Stando alla relazione finanziaria al 31 dicembre del 2009, in Italia l'intero gruppo Fiat (non solo l'auto, ma anche i trattori, i robot, le macchine movimento terra) ha 64 siti fra stabilimenti e sedi non prettamente manifatturiere e puo' contare su poco più di 80 mila occupati. Dal lato dei ricavi, l'intero gruppo Fiat ha fatturato l'anno scorso in Italia 12,7 miliardi. Sempre secondo i documenti forniti al mercato dal Lingotto, il fatturato globale dell'auto, riferito non solo all'Italia ma a tutto il mondo, è stato di 26 miliardi di euro. L'azienda non dichiara nemmeno agli analisti quanto fattura con l'auto nel nostro paese. Proviamo a fare una stima ragionevole.

Dai bilanci risulta che il prezzo medio a cui il Lingotto vende un'autovettura uscita dai suoi stabilimenti ai suoi rivenditori è di 10.844 euro. Si tratta di un prezzo medio mondiale. Se s'ipotizza che la cifra per l'Italia possa essere intorno agli 11mila euro e la si moltiplica per le 721.921 macchine vendute nei 2009, ecco che si potrebbe formulare l'ipotesi che il fatturato contabile dell'auto in Italia sfiori gli 8 miliardi.

Se invece si considerano gli automezzi prodotti in Italia e si ragiona su una stima di sostanza e non formale (una quota potrebbe finire su bilanci non italiani) il calcolo è di poco diverso: il gruppo di Torino ha prodotto in Italia l'anno scorso 782.561 fra auto, veicoli commerciali leggeri e pesanti. A questo punto, si arriva a poco meno di 9 miliardi. In ogni caso, che si consideri i fatturato contabile o di sostanza, i numeri sono quelli. Numeri interessanti, perché costituiscono una buona base per calcolare qual è l'impatto della Fiat sul resto dell'economia.

Secondo gli analisti dell'Osservatorio sulla componentistica di Torino istituito dalla Camera di commercio della città (dove il presidente è Alessandro Barberis, dal 1982 al 1993 amministratore delegato di Magneti Marelli e per un breve periodo numero uno del Lingotto) e dall'Anfia, 100 euro fatturati dalla Fiat ne producono almeno 250 nell'indotto: un calcolo che include tutti, dai fornitori che progettano in tre dimensioni parti del motore, ai designer, fino ai titolari delle ditte di pulizia che tengono in ordine gli uffici e le linee produttive della Fiat e dei componentisti.

Nelle imprese della filiera le commesse della Fiat genererebbero altri ricavi per circa 22,5 miliardi. Ecco che il Lingotto, fra ricavi diretti e ricavi generati nelle altre imprese automotive, produce un giro d'affari aggregato per una trentina di miliardi. C'è, poi, l'altrettanto interessante questione sull'impatto delle attività del gruppo Fiat sul mondo non direttamente automotive. Proviamo a usare la stima del fatturato contabile: i ricavi Fiat nell'auto dovrebbero valere 8 miliardi.

Il resto potrebbe valere circa 5 miliardi. In questo caso, l'effetto prodotto sul resto del sistema economico italiano è di equivalenza fra ordini e fatturato, più qualcosina che viene generata nelle transazioni. A questo punto è stimabile che - fra camion, robot, siderurgia, componenti, macchine movimento terra - 100 euro di fatturato di Fiat ne producano 120 nelle altre imprese. A quel punto i 5 miliardi diventano 6 miliardi. In tutto, le attività non direttamente riconducibili all'auto, in maniera diretta o indiretta, valgono 11 miliardi.

Torniamo alla questione dell'auto, che rappresenta l'incognita politicamente più sensibile. Abbiamo detto che esiste un legame molto stretto con la Fiat. E sussistono dei dubbi sulla possibilità di avere un sistema complesso e articolato come una filiera senza una testa pensante, in grado di catalizzare risorse finanziarie sulla ricerca, di elaborare strategie commerciali e di definire un posizionamento sui mercati globali: tutti fattori difficili da gestire in piccole e medie strutture. Secondo l'Osservatorio sulla componentistica, l'intera filiera dell'automotiVe - tenendo fuori Fiat - ha generato ricavi pari a 42 miliardi.

Una ventina di miliardi sono dovuti alle attività ottenute con le altre case produttrici, in un processo di diversificazione che ha portato la filiera a orientarsi anche verso i produttori stranieri, in particolare tedeschi e francesi. Al di là della possibilità o meno che esista un sistema acefalo, è difficile pensare che una regressione dell'attività di Fiat in Italia non incida su una filiera che già l'anno scorso ha visto i fatturati aggregati calare in media del 16,9%% (più del totale del manifatturiero, che è sceso del 15,5%).

Con una questione in più: il futuro della filiera italiana sarà determinato dalla scelta o meno di Fiat non solo di produrre negli stabilimenti del nostro paese, ma anche di progettare le prossime piattaforme qui o altrove. Il valore aggiunto materiale e immateriale, che scende giù per i rami nell'albero di un automotive italiano che storicamente ha avuto come unico tronco il gruppo di Torino, si concentra e prende forma e forza proprio intorno alla concezione e all'ideazione delle future piattaforme.

Distogliendo però lo sguardo dal futuro, e provando invece a sintetizzare di che cosa parliamo quando parliamo di Fiat, si può fare una buona stima ragionevole. Nove miliardi di fatturato auto che generano altri 22,5 miliardi. In tutto, fanno 31,5 miliardi di fatturato all'anno. Considerando i fili ad alta tensione che collegano Torino con tutto il resto della filiera e assumendo che è difficile pensare a un sistema privo di un produttore nazionale anche per quanto riguarda le attività dei componentisti e dei subfornitori non connesse a Fiat (un'altra ventina di miliardi) ecco che potremmo azzardare un numero finale, dato dall'influenza diretta o indiretta del gruppo di Torino sull'intero automotive: 51,5 miliardi.

A questa somma, giusto per capire bene di cosa parliamo quando parliamo di Fiat, vanno aggiunti i 5 miliardi delle attività industriali non auto che, a loro volta, producono nel resto del sistema produttivo italiano altri 6 miliardi di ricavi. In tutto, fanno 11 miliardi. Unendo la doppia dimensione, auto e non auto, e considerando l'influenza diretta e indiretta del Lingotto, ecco che il fatturato aggregato complessivo collegato in qualche maniera alla Fiat diventa di 62,5 miliardi. Una stima prudenziale e relativa soltanto alla dimensione più spiccatamente industriale, dato che in ogni caso non tiene conto degli effetti moltiplicatori che, giù nel profondo della società e dell'economia del nostro paese, l'attività del gruppo di Torino produce sui consumi e sugli investimenti dei dipendenti e sui redditi da capitale.

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DNGMRZ

ordine 11.110
la fiat censura i giornalisti scomodi

1- FERRUCCIO TORNA FLEBUCCIO E IL CORRIERE DELLA SERA TORNA IL POMPIERE DELLA SERA - 2- SCUSA, PADRONE MARCHIONNE, SCUSA! NON LO FACCIAMO PIÙ! TERREMO ’STO MUCCHETTI A FRENO, TERREMO PRESENTE CHE TRA I PADRONI DI RCS ESISTE SUA NULLITà JOHN ELKANN E NON FICCHEREMO PIÙ, MAI PIù, IL NASO NEI 38,8 MILIONI L’ANNO, TRA COMPENSI E STOCK OPTIONS, CHE L’IMPULLOVERATO SI FA BONIFICARE SUL SUO CONTO CORRENTE SVIZZERO (COME SE NON BASTASSE LA SUA RESIDENZA FISCALE NEL CANTONE SVIZZERO DI ZUG che GLI CONSENTE UN SIGNIFICATIVO RISPARMIO SULLE IMPOSTE) - 3- PER SALVARSI LA POLTRONA FLEBUCCIO SCOMODA PURE LA BUONAnima DI LUIGI EINAUDI -


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Marchionne fascio
Coperti e allineati. È questa la parola d'ordine scattata al "Corriere della Sera" sulla vicenda Fiat e soprattutto sull'intraprendenza di quel Marpionne che con la "saggezza pratica dei contadini" e la cultura dei manager giapponesi-americani è riuscito a spaccare l'Italia.

FERRUCCIO DE BORTOLI
Nell'attesa del referendum, che secondo tutte le previsioni avrà un esito positivo per il vertice Fiat e sbatterà fuori dai cancelli di Mirafiori la rabbia della Fiom, il direttore del giornale milanese Flebuccio De Bortoli ha deciso di mettere la parola fine alle critiche nei confronti del manager dal pullover sgualcito, preso di mira dall'editorialista Massimo Mucchetti.
Costui ha sgranato nell'ultimo mese una serie di articoli precisi e pungenti sulla strategia dell'italo-canadese con residenza svizzera. Il rosario è cominciato il 12 dicembre con un articolo ("Fiat, gli strani numeri del ministro Romani") che cercava di far luce su Fabbrica Italia dubitando che i 20 miliardi promessi siano sufficienti per triplicare entro il 2014 la produzione dell'azienda.

John Elkann
Lo spunto era dato dalle dichiarazioni del ministro ex-Opus Dei Paolo Romani che aveva trionfalisticamente applaudito all'impegno di passare da 650mila a 2,1 milioni di auto prodotte. Il buon Mucchetti, che ha sempre cercato la verità dei numeri oltre il diaframma delle parole, sentiva odore di bluff e nel suo articolo diceva: "non si capisce se Mirafiori resterà una grande fabbrica o si ridurrà a una fabbrica di cacciavite, di mero montaggio...e non si capisce se la Fiat sia la più astuta della compagnia o se i modelli non li possa lanciare perché non li ha, avendo indebolito la progettazione sul piano tecnico e finanziario".

Massimo Mucchetti - Copyright Pizzi
Poi si chiedeva retoricamente: "il ministro Romani è in grado di rispondere nel merito o garantisce a scatola chiusa?".
Dopo questo sberleffo Mucchetti non si è fermato e dopo aver mangiato il panettone di Natale si è rimesso davanti al suo computer (ripulito dalle cimici degli spioni che gli avevano affibbiato il nomignolo di "Mucca Pazza") e il 4 gennaio ha ripreso il concetto della fabbrica-cacciavite con un'analisi sui modelli e sui conti di Fiat.

PAOLO ROMANI
In questo caso ha spezzato una lancia in favore del patrimonio di intelligenza della società chiedendosi se sarebbe stato liquidato oppure salvaguardato nella "sua intelligenza, spesso svenduta in passato".
Ai piani alti della Fiat e degli azionisti del Gruppo Rcs che pubblica il "Corriere della Sera" ha cominciato a serpeggiare l'inquietudine e qualcuno ha cominciato a mandare segnali di impazienza nei confronti del buon De Bortoli che in quei giorni stava consumando una lunga vacanza in Kenia.

SUSANNA CAMUSSO
Purtroppo il cervello matematico di Mucchetti non si è fermato e tre giorni dopo (venerdì 7 gennaio) è andato avanti raccontando in un altro articolo ricco di dati, ma di difficile lettura, che negli accordi di Torino per scalare Chrysler c'era un piccolo giallo. Lo spunto era dato dalle dichiarazioni di Marpionne di inizio anno quando ha affacciato la possibilità che la scalata al 51% di Chrysler avvenga nel 2011, una notizia che ha fatto schizzare le quotazioni di Fiat spa in Borsa, ma che era stata nascosta al mercato fino a poco più di un mese prima.

operai fiat
Al Lingotto e a via Solferino le sedie hanno cominciato a ballare perché si è capito dove sarebbe andata a parare la "pazzia" razionale del 57enne giornalista bresciano. E infatti, puntuale come un orologio, due giorni dopo eccolo di nuovo a pagina 19 del "Corriere della Sera" mentre sgancia un micidiale articolo sullo stipendio e le stock options del figlio del carabiniere Concezio.
Dai suoi calcoli è venuto fuori che in 79 mesi al vertice della Fiat "Marchionne ha totalizzato un valore pari a 255,5 milioni. Ovvero 38,8 milioni l'anno". E come se non bastasse la sua residenza fiscale nel Cantone svizzero di Zug gli consente un significativo risparmio sulle imposte.

OPERAI FAIT
Dopo questo calcolo, che è diventato un tormentone nei talk show televisivi e nelle assemblee sindacali, il buon Mucchetti concludeva la sua analisi al napalm con queste parole: "Enrico Cuccia e Cesare Romiti non vollero mai azioni di Mediobanca e di Fiat per non essere condizionati da interessi personali e restare del tutto liberi di decidere, magari sbagliando, per il bene dell'impresa".

Maurizio Landini della Fiom e Susanna Camusso CGIL
A questo punto le sedie ai piani alti del Lingotto e dei soci forti di Rcs (in prima linea Fiat) non hanno più traballato, ma sono state letteralmente rovesciate perché il troppo è troppo e come dice il proverbio stroppia. Il messaggio è arrivato forte e chiaro alle orecchie dell'abbronzato De Bortoli che ha deciso di interrompere il rosario di Mucchetti.

Maurizio Landini
Così oggi il "Corriere della Sera" si allinea perfettamente alle voci bianche e meno bianche che cantano l'inno di Marpionne. E lo fa utilizzando la penna di uno studioso come Giuseppe Bedeschi, che dopo il marxismo "critico" degli anni '70 è diventato un apologeta del liberalismo.
Sul "Corriere" di oggi il 71enne professore di filosofia morale alla Sapienza, si esercita in una lezione dove la globalizzazione e il cambiamento del capitalismo vengono armoniosamente congiunti alla democrazia.

referendum fiat big
Il capitalista - scrive Bedeschi citando Luigi Einaudi - non è il vero protagonista della rivoluzione industriale "perché questo ruolo spetta all'imprenditore, l'inventore, l'organizzatore, il capitano di uomini e di strumenti". Quando Einaudi declinò queste parole Marpionne era ancora con i calzoni corti e la valigetta dell'emigrante in Canada, ma di sicuro il padre della Repubblica aveva in mente il suo nome.
Per evitare ogni equivoco e rendere più sicura anche la sua poltrona Flebuccio De Bortoli ha pensato di ricordarlo.
 

DNGMRZ

ordine 11.110
il vero problema di Fiat? L’auto non produce reddito - I margini, secondo il "sole", sono all’1,8% sui ricavi. Alessandro Penati sulla REpubblica del lingotto sul 2010 calcola il 2,2% - e a tenere su tutta la baracca è il Brasile. Senza (margini all’8%) l’auto sarebbe morta da anni - é chiaro che Marpionne appena può non solo porterà tutto negli Usa, ma l’auto finirà in mano americana prima che ce ne accorgiamo. Alla faccia di Sacconi e Bonanni.....


1 - MA ADESSO IL LINGOTTO DEVE VENDERE PIÙ AUTO...
Alessandro Penati per "la Repubblica"


Le anticipazioni del bilancio Fiat per il 2010, annunciate la settimana scorsa, con lo spaccato dei conti post scissione e il piano fino al 2014, fanno capire perché l´azienda abbia spinto per un cambiamento dei contratti di lavoro in Italia, ma anche la vera portata di questi accordi per il futuro della società.
Il vero problema della Fiat (auto) sono i "margini": tolta la componentistica, tolta la Ferrari, che con il 6% del fatturato ha generato il 27% del risultato operativo, l´anno scorso ha prodotto appena 607 milioni di utili prima di imposte, oneri finanziari e poste straordinarie, su 30 miliardi di ricavi. Un margine del 2,2%: il più risicato tra i 20 maggiori gruppi automobilistici nel mondo. Peggio anche di GM, in uscita dalla bancarotta, e poco meglio di Chrysler. In leggero miglioramento rispetto all´1,8% del 2009, ma solo grazie a 350 milioni di risparmi su acquisti e spese generali.

Obiettivo del piano è triplicare i margini in 4 anni, portandoli al 5,5% del fatturato. Dipendendo ancora dall´Europa (56% delle vendite, di cui 30% in Italia), Fiat non può però sperare in un mercato in crescita, viste le prospettive economiche non brillanti. Né in aumenti del prezzo medio: nelle utilitarie, una concorrenza agguerrita farà da calmiere; e ci vogliono anni per trasformarsi in un marchio di pregio, come Bmw o Audi.

Poiché gli impianti italiani hanno una grado di utilizzo di appena il 37% della massima capacità tecnica (la metà degli altri impianti Fiat in Europa) è tuttavia possibile migliorare i margini sfruttando la capacità inutilizzata da noi per ripartire i costi fissi (impianti, rete commerciale, logistica, progettazione) su un numero maggiore di auto prodotte. Fiat però doveva contare su contratti di lavoro che assicurassero la possibilità di farlo. Lo scopo della contrattazione, dunque, non era ridurre il costo del lavoro, che anzi sale se si produce di più, e che comunque rimane una frazione del costo del venduto, ma ottenere la flessibilità per poter ridurre l´incidenza dei costi fissi, la principale componente di costo, per unità di prodotto.
Ma non basta produrre di più, Fiat deve adesso aumentare anche le vendite: su questo si mostra ottimista, prefiggendosi di far crescere il fatturato del 20% medio annuo da qui al 2014. Non l´aiuta aver perso quote di mercato nell´auto quasi ovunque l´anno scorso: una perdita che si è accentuata nell´ultimo trimestre (-1,5% in Europa, -3% in Italia, -2,8% in Brasile), facendole iniziare il 2011 con un´inerzia negativa. Riconquistare i clienti perduti è difficile: la fedeltà al marchio conta parecchio e il periodo medio di sostituzione è di svariati anni. Aver rallentato l´uscita di nuovi modelli perché il mercato era debole potrebbe rivelarsi un errore grave.


Chrysler non può aiutare per almeno 2 anni: la casa americana è a sua volta alle prese con i margini più bassi tra le 5 maggiori case presenti negli Usa. Può contare su una forte ripresa della domanda americana (siamo a 500 mila veicoli venduti al mese contro i 650 mila nel decennio precedente la crisi) e sul rifinaziamento meno oneroso dei prestiti elargiti dal governo per il salvataggio. Ma per sistemare i propri conti, non quelli di Fiat.
I sindacati hanno chiesto un impegno dell´azienda a investire: ma gli investimenti sono impliciti nella necessità di aumentare la produttività (il piano prevede 16 miliardi in 4 anni rispetto ai 2,8 del 2010). Altri hanno auspicato una partecipazione dei sindacati alla governance societaria.

Ma la cosa più logica sarebbe chiedere come premio una frazione predefinita del margine per ogni anno del piano: non ostacola il raggiungimento degli obiettivi aziendali, è il più credibile degli impegni, è nell´interesse dei lavoratori. Per Fiat, rinegoziare i contratti di lavoro è stata una condizione necessaria per il rilancio: ma non sufficiente. Quest´anno e il prossimo saranno dunque cruciali. Il piano è ambizioso. La Borsa ci scommette (o almeno scommette su Chrysler). I festeggiamenti però vanno rimandati a fine 2012.



2- QUEL PESO DELL'AUTO SUL GRUPPO
Fabio Pavesi per Sole 24 Ore

Fare automobili è un mestiere difficile e spesso poco redditizio: ci vogliono grandi volumi o modelli di alto valore aggiunto per ottenere margini di guadagno che abbiano un senso. Per Fiat, l'auto è stata spesso una sorta di calvario. Sotto la gestione di Sergio Marchionne la redditività è migliorata ma resta sempre a valori modesti. Nel 2009 i trading profit (di fatto gli utili operativi) per la divisione Fiat Auto sono stati di 470 milioni su vendite per oltre 26 miliardi.
Vuol dire che i margini di profitto sui ricavi viaggiano attorno all'1,8 per cento. E a contribuire massicciamente al risultato ci sono le attività in Brasile dove Fiat sulle vendite dei suoi modelli strappa una marginalità vicina al 10%, mentre stentano quanto a redditività le vendite nella Vecchia Europa.
Tanto per dare un'idea l'asset Cnh (cioé le macchine agricole che confluiranno in Fiat Industrial) ha prodotto nei primi nove mesi del 2010 trading profit per 605 milioni su un fatturato però che è solo il 40% di quello prodotto dall'Auto. Insomma grande fatica a ottenere risultati positivi.
Basti pensare che, come segnala R&S Mediobanca, la Fiat Group Automobiles ha visto nel 2005 un risultato operativo in rosso per 818 milioni. Da allora il recupero con oltre due miliardi di risultato operativo cumulati tra il 2006 e il 2009, ma con margini sui ricavi via via decrescenti e ben sotto il 2% nel 2008 e 2009. Niente a che vedere con i margini di guadagno dei concorrenti tedeschi. La Bmw sui veicoli a quattro ruote ha un utile operativo sui ricavi oltre il 7%, mentre la Volswagen è stabilmente sopra il 5 per cento. Un mestiere difficile fare auto. Molti, troppi investimenti e sempre appesi al ciclo congiunturale. Per Fiat più difficile di altri.
 

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ordine 11.110
FIAT BLUFF - PER COMMENTARE LE SCELTE DI MARPIONNE NON C’è BISOGNO DI CORAGGIO: BASTA METTERE IN FILA I NUMERI - MUCCHETTI: "I governi americano e canadese sono stati rimborsati facendo altri debiti con le banche USA, salvate dalla Casa Bianca - Né la Fiat né Chrysler hanno il voto di sufficienza delle agenzie di rating. Ecco perché si tengono tanta, costosa liquidità in casa: l’accesso ai mercati finanziari rimane una scommessa"...



Massimo Mucchetti per il "Corriere della Sera"


obama marchionne
C'è qualcosa che stona nel modo in cui Sergio Marchionne, reduce dall'ascesa al 52%della Chrysler, si rivolge all'Italia: in questo suo ripetuto lagnarsi di non ricevere gli stessi elogi che gli vengono rivolti negli Stati Uniti. Stona, perché a un'intelligenza tanto veloce non sfugge la differenza di peso tra il vasto coro dei consensi e le isolate riserve della Fiom e le impertinenze di qualche osservatore.
Nel Paese dove la libertà si esercita anche dicendo male di Garibaldi, un manager che giostra sui due mondi, ma non ha una Caprera nel suo domani, sa bene che né lui né gli Agnelli possono vantare verso lo Stato italiano lo stesso credito politico che hanno verso la Casa Bianca: là la Fiat ha aiutato, qui è stata aiutata. La verità è che Marchionne segue la politica del carciofo. Mette sul piatto una foglia per volta.
Così si discute della parte, non del tutto. E allora lamentarsi dell'ingratitudine serve a lasciarsi le mani più libere: se fa, è un benefattore; se non fa, è colpa degli ingrati. Ora la notizia è che la Fiat si mette in condizione di arrivare al 100%di Chrysler. Rimborsati i 7,5 miliardi di dollari ai governi di Usa e Canada, Torino ha ottenuto un'emissione di azioni Chrysler che, al prezzo di 1,26 miliardi di dollari, le ha dato un 16%da aggiungere al 30%che già aveva avuto senza esborsi monetari.
Per altri 500 milioni, la Fiat riceve il 6%del governo Usa, al quale versa ulteriori 75 milioni per avere il diritto a rilevare la partecipazione del fondo sindacale Veba in Chrysler per 4,25 miliardi. Con l'ultimo 5%che le spetta gratis, la Fiat marcia verso il pieno controllo della casa di Auburn Hills. Questi accordi, tutti price sensitive, sono stati resi noti a rate. La Consob avrebbe potuto esigere maggiore puntualità e trasparenza nell'informazione. D'altra parte, pure le banche subiscono.

NAPOLITANO MARCHIONNE e LAPO
Alla vigilia di Natale, le italiane hanno aperto nuove linee di credito per 3,5 miliardi di euro, oltre a rifinanziarne di vecchie per un miliardo, senza ottenere nessuna notizia seria, ancorché adesso sembri che quei fidi servano più a chiudere il primo tempo dell'operazione Chrysler che a finanziare Fabbrica Italia. Ma stiamo alla sostanza. E la sostanza è che la Fiat sta aumentando il debito finanziario consolidato. Al 31 marzo 2011, la Fiat Spa dichiarava 16,3 miliardi di euro di debiti e 13 di liquidità.
A questi vanno sommati i debiti della casa americana, l'equivalente di 9,3 miliardi di euro, e la liquidità, 6,8 miliardi. Con gli ultimi acquisti di azioni Chrysler, il debito consolidato in euro sale da 25,6 a 27 miliardi; qualora fosse esercitata l'opzione sulle azioni del fondo Veba, il debito volerebbe a 30 miliardi di euro. E la posizione finanziaria netta, negativa, passerebbe da 5,4 a 9,6 miliardi.

Troppo, se la si confronta con quella delle tedesche, che esercitano l'attività industriale con i propri soldi e con margini ben superiori. I governi americano e canadese, per capirci, sono stati rimborsati facendo altri debiti con le banche americane, salvate dalla Casa Bianca. I nuovi tassi sono inferiori ai precedenti, decisi in situazione fallimentare, ma restano superiori all'8%.
Né la Fiat, che riscuote comunque maggior fiducia, né Chrysler hanno l'investment grade, ovvero il voto di sufficienza da parte delle agenzie di rating. E questo spiegherebbe, secondo gli analisti, perché si tengano tanta, costosa liquidità in casa: l'accesso ai mercati finanziari rimane una scommessa. Per il governo italiano, impegnato a trattare la questione sul mercato della propaganda, la Fiat non è un problema, ma per la Cassazione dei tassi d'interesse le sue obbligazioni restano junk bond, titoli spazzatura.

Massimo Mucchetti
Per quanto sia banale ripeterlo, la sufficienza si conquista fabbricando automobili gradite dal pubblico. Ma per farlo ci vuole una dedizione all'industria e uno stato patrimoniale che al momento paiono deboli.
Basti pensare che Chrysler ha un patrimonio netto tangibile negativo per 9,2 miliardi di dollari. La fantasia di Marchionne potrà arrivare perfino a esplorare la strada di un reverse take over della società figlia Chrysler su mamma Fiat, consentendo all'Exor degli Agnelli di diluire il proprio impegno nell'auto e di sanare la situazione Chrysler come ha fatto il London Stock Exchange con Borsa Italiana.
E poi, magari, pensare a integrare una casa giapponese minore o a farsi integrare dalla rinata Gm. In ogni caso, i conti prospettano l'esigenza di un aumento di capitale. E se questo avverrà in capo a Chrysler, ne uscirà ancor più rafforzata la capacità di attrazione del polo americano del gruppo su quello italiano


[06-06-2011]
 

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ordine 11.110
ANCHE “L’ESPRESSO” SCOPRE LE MANFRINE DI MARPIONNE: NUOVI MODELLI RINVIATI, PROGETTI PER L’ITALIA IN PANNE, LA PARTITA CON CONFINDUSTRIA PERSA (NESSUNO L’HA SEGUITO) - NON CHE IN CASSA NON CI SIANO SOLDI, MA L’IMPULLOVERATO NON SEMBRA AVER INTENZIONE DI SPENDERLI IN ITALIA MA PER SCALARE LA CHRYSLER - “BRAGANTINI: “IERI MI È SEMBRATO UN MARZIANO CHE SOVVERTIVA LE NOSTRE REGOLE STANTIE, ORA MI SEMBRA PIUTTOSTO UN PRESTIGIATORE. ERA MEGLIO VENDERE L’ALFA A VW”…


1 - FABBRICA USA - SERGIO L'AMERICANO RINVIA I NUOVI MODELLI E I PROGETTI PER L'ITALIA. E GUARDA SEMPRE PIÙ A DETROIT...
Maurizio Maggi e Paola Pilati per "l'Espresso"

MARCHIONNE Di questi tempi, sono davvero in pochi a potersi permettere il lusso di infischiarsene dei rating. Uno è Sergio Marchionne, che ha appena incassato per Fiat la bocciatura di Moody's - Ba2, un altro gradino in giù nella scala dei titoli spazzatura - senza batter ciglio. La preoccupazione degli analisti? Si fa sempre più stretto l'abbraccio sul piano industriale con Chrysler - il cui rating è ancora più basso - e, se oggi le gestioni finanziarie delle due aziende restano separate, dietro l'angolo tutti vedono una fusione.
Certo, la prospettiva di una Fiad, "Fabbrica Italiana Automobili Detroit" allarma i mercati finanziari perché ragionano sul merito di credito (Fiat ha pagato il 6,37 per cento per raccogliere un miliardo di euro in aprile, Chrysler deve sborsare di più: che succederà una volta insieme?), ma non certo Marchionne, che fila dritto verso il suo obiettivo, che nessuno ormai smentisce, e che uno che la sa lunga come Luca di Montezemolo ha ben chiaro: "Qui è la Chrysler che salva la Fiat, non viceversa", va confessando agli amici.
Un unico grande gruppo da 58 miliardi di euro di ricavi e con un forte accento yankee - già nel 2012 i due terzi dell'utile operativo arriveranno da Detroit, poco importa l'alchimia giuridica su dove sarà la sede legale - una stazza multinazionale, e un'unica guida: lui, Sergio. Almeno fino al 2016, ha detto.
Logo "Fiat" Rotta ritenuta impensabile solo un anno fa, quando, dopo aver evitato alla famiglia Agnelli l'ignominioso crac, "Il sovversivo" - come lo definì "l'Espresso" un anno fa raccontando la sua scommessa - si proponeva come l'uomo del cambiamento delle liturgie nostrane, l'architetto dei nuovi rapporti in fabbrica e in politica. L'uomo della rottura. Ingombrante, muscolare, ma a suo modo rivoluzionario, appunto.
E ora? Ora Marchionne si trova in una difficile impasse anche perché non può tornare indietro: come molti dicono il suo è l'unico progetto possibile per salvare la Fiat. In Italia, la Confindustria che lui aveva sfidato in nome dello scontro frontale con il sindacato fino a minacciare l'addio, ha ripreso ruolo e centro della scena ("Doveva cambiare le relazioni industriali, dovevano seguirlo tutti, ma poi nessuno è uscito", trionfano in viale dell'Astronomia).
Negli Usa, da amministratore delegato e neo presidente di Chrysler di cui ha scalato il 58 per cento bruciando le tappe (Borsa rinviata solo per la crisi dei mercati), spendendo 1,8 miliardi di euro, si misura con la richiesta di aumenti del sindacato Uaw, che è anche suo socio con il 40 per cento della casa automobilistica (vedi articolo a pagina 46), e in molti si chiedono come farà a continuare a pagare i lavoratori neo-assunti 14,65 dollari l'ora, praticamente come una colf.
In Europa incassa un pesante crollo di vendite (in due anni la quota di mercato è scesa dal 9 al 7,3 per cento) e deve tenere a bada i concessionari - affamati di nuovi modelli - ai quali offre solo una Panda, pur se nuova, e chiede di consolarsi con il Freemont (la prima vettura nata dal riutilizzo italianizzato di un modello Chrysler), la Giulietta e la Ypsilon. Ma Alfa e Lancia invece dei 300 mila pezzi all'anno ciascuna, viaggiano intorno a quota 100 mila, mentre le concessionarie di Volkswagen&C si riempiono di fantasmagoriche novità.
"Il 2011 sarà la traversata del deserto", avvertiva Sergio mesi fa.
FIAT mirafiori Ora si è fatta più dura: la traversata si allunga parecchio, almeno sino a tutto il 2012. La prima conseguenza è stata la decimazione del piano di lanci di nuove auto e restyling. Molti slittati in avanti di almeno un anno. La Giulia, berlina e station wagon, attese per il 2012, non si faranno vedere prima del 2014, mentre tra le new entry è sparito il Suv di grandi dimensioni previsto per il 2014. La grande rentrée dell'Alfa in America ("Faremo un botto", aveva promesso Marchionne la scorsa primavera) non sarà prima del 2014.
Difesa dei margini, in un conto economico che ha appena imparato a rivedere gli utili? Certo. Preoccupazione di non fare investimenti azzardati quando il mercato non ha l'umore giusto per rinnovare il garage? Anche. D'altra parte gli ordini del capo sono chiari: limare, saldare i fornitori più tardi possibile (se Volkswagen paga in media a 30 giorni, e i gruppi francesi a 60 giorni, in Italia e in Polonia la Fiat viaggia intorno ai 120), proiezioni di redditività e volumi precisissimi, e chi sbaglia, salta.
Persino gli 80 milioni necessari a ricapitalizzare la Juventus, usciti dalle casse Exor della famiglia Agnelli, sono costati a John Elkann un ruvido confronto con Sergio, inflessibile cane da guardia del portafoglio. Ma il taglio ai modelli è letto da sindacalisti e politici di casa nostra come un messaggio inquietante: se non ci sono auto da produrre, a che servono fabbriche, catene di montaggio, operai?
fiat-panda Insomma, che fine farà la grande struttura produttiva della Fiat? "Nessuno è mai riuscito a far dire a Marchionne cosa progetterà e svilupperà in Italia", si scalda Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom: "ha preteso condizioni draconiane, ha diviso i lavoratori, ha avuto una legge Fiat su misura grazie a Sacconi, e nonostante questo non abbiamo nessuna garanzia: Marchionne ha solo giocato a nascondino con il Paese".
Il progetto Fabbrica Italia, infatti, offerto un anno e mezzo fa come prova di fedeltà alla bandiera dalla casa torinese, si è squagliato strada facendo. La Cnh di Imola: chiusa; Termini Imerese: si spegne a fine anno; la Irisbus di Avellino: appena condannata; Mirafiori: buio pesto. "Sta per partire Pomigliano, con l'investimento di quasi un miliardo che dovrebbe garantire l'attività per vent'anni", dice il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, "e nella ex-Bertone si farà la piccola Maserati, 40 mila pezzi l'anno". E poi? "Aspettiamo fiduciosi, ma con qualche palpitazione che si chiarisca la vicenda Mirafiori: senza quei modelli, la Fiat non tira avanti, l'intera strategia salta", ammette.
Logo "Chrysler" Senza contare tutta la gente in cassaintegrazione, che sperava in una ripresa dallo scorso giugno e ora vede nero. "Marchionne il piano industriale non lo svela semplicemente perché non c'è", è la tesi estrema dello storico Giuseppe Berta: "lui fa come Napoleone: osserva la situazione e si comporta di conseguenza".
Insomma, si tiene le mani libere. Ragiona un analista che segue il titolo Fiat da anni: "Secondo la Fiat, per Fabbrica Italia si dovrebbero investire 16 miliardi di euro. A Pomigliano, l'unico sito in cui gli investimenti sono già partiti, si spenderanno al massimo 800 milioni. Ammettendo di investire la stessa somma su tutti gli altri quattro impianti italiani in cui producono auto, si sale intorno ai 4 miliardi. Come si arriva a 16 miliardi?". Già.
Non che in cassa non ci siano soldi. il gruppo è munito di una cospicua liquidità, 18 miliardi, che lo rende autosufficiente per 24 mesi, nel deserto e oltre. Marchionne però non sembra aver intenzione di spenderli in Italia. C'è l'espansione internazionale da curare, l'unica che gli può offrire la chance di arrivare ai 5,9 milioni di euro di vetture nel 2014. L'alleanza con l'indiana Tata non dà i risultati sperati: troppo grosso il partner, troppo scarsa la penetrazione nel sub-continente. Molto indietro la Russia.
Una scommessa finora perduta la Cina, con soci che non si dannano mentre i concorrenti europei lì fanno faville. Insomma, c'è ancora molto da fare. Quanto all'Italia... "Verificheremo tra breve un nuovo piano industriale Fiat", assicura il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, "di sicuro noi abbiamo fatto la nostra parte per offrire alla Fiat le condizioni ideali per restare". Eppure il "demonio" Marchionne (epiteto attribuito a Giulio Tremonti, poi smentito) recalcitra. Non si fida.
FABBRICA CHRYSLER DI TOLUCA IN MESSICO Il suo incubo resta il sindacato. O meglio, quel terreno minato che sostiene siano le relazioni industriali in Italia. È per questo che ha sfidato la Confindustria di Emma Marcegaglia minacciando, cosa irrituale per le sabaude consuetudini storiche, l'uscita dai ranghi e la creazione di una federazione auto tutta sua. L'Avvocato si è rivoltato nella tomba, si sono crucciati in Confindustria. Ma poi si sono presi la rivincita: la Marcegaglia ha bacchettato platealmente la Fiat nell'ultima assemblea, accusandola di pretendere regole su misura; quindi ha riallacciato il dialogo con tutto il sindacato, anche la Cgil che era stata messa al bando.
Ed è arrivata a un accordo, quello del 28 giugno. "Importante anche per la Fiat", spiega Bonanni, "perché sancisce che su un contratto su cui non c'è unità di vedute di tutti i sindacati, a decidere sia la maggioranza. E che uno sciopero contro questa decisione non sarebbe legittimo, neanche davanti a un giudice". È quello che gli addetti ai lavori definiscono l'erga omnes": un accordo a maggioranza vale per tutti. Punto. Proprio ciò che chiedeva la Fiat.
"Possibile che fosse necessario fare tanta polvere come ha fatto Marchionne?", ironizza Giuliano Cazzola, deputato Pdl ed ex sindacalista; più severo Matteo Colaninno, deputato Pd e imprenditore: "Marchionne ha ottenuto tutto ciò che si riproponeva. Ma l'approccio ultimativo ha avuto un costo rilevante sulle relazioni industriali: si è alimentato un conflitto sindacale e si è creata una frattura in Confindustria. La strada maestra è quella della concertazione". Parola che a Marchionne fa venire l'orticaria.
Fiat Freemont Anche perché davvero tutto risolto non è: restavano pendenti le cause del passato, quella pioggia di azioni legali intentate dalla Fiom contro le intese sindacali che non l'avevano vista d'accordo. È qui che è entrato in campo il governo. Sacconi ha inserito, nella manovra economica appena passata con la fiducia, un articolo (il numero 8), che Airaudo definisce "legge Fiat", che aggiunge la validità di legge alla clausola "erga omnes", e "mette al riparo la Fiat dalle contestazioni della Fiom", come spiega il ministro.
Molti dubitano che l'articolo 8 tagli davvero le unghie ai contestatori, ma ad ogni modo toglie al capo di Fiat l'ultimo alibi per non investire in Italia, o comunque gli offre una carta in più per giocare al tavolo del rilancio. E ora, la traversata del deserto. Ce la farà Marchionne?

2 - SALVATORE BRAGANTINI: "SEMBRAVA UN MARZIANO, POI..."
Paola Pilati per "l'Espresso"


"I conti su Marchionne si faranno alla fine, ma se quando è arrivato come salvatore della Fiat mi è sembrato un marziano che sovvertiva le nostre regole stantie, ora mi sembra piuttosto un prestigiatore. Solo che non si sa ancora se nel cappello c'è davvero un coniglio, oppure no". Salvatore Bragantini, ex commissario Consob, è un osservatore attento delle vicende di Torino, sulle cui mosse non nasconde qualche perplessità.
LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO Quali sono i passi falsi di Marchionne?
"In Fiat, in passato - e qui non c'entra Marchionne - è mancato il coraggio di investire le somme necessarie per avere una gamma completa di modelli. È questo il grande problema del gruppo. Non mi pare che Marchionne possa, o voglia, invertire la tendenza. Un'impresa automobilistica richiede una continuità d'investimenti, che Fiat non ha mai praticato.
Faccio solo un esempio: sulla Cayenne la Porsche ha scommesso un miliardo di euro, ed è stata un successo. Guardi a Torino cosa succede sull'Alfa Romeo: dalla bizzarra idea di un suv Alfa per gli Usa, alla sua cancellazione, in una totale confusione. In queste condizioni sarebbe meglio vendere l'Alfa alla Vw, che promette di costruire una nuova fabbrica ad Arese".
È la Fiat che ha salvato la Chrysler o è viceversa?
"Fiat da sola era destinata ad essere assorbita da qualcuno. Marchionne sembra aver cambiato il gioco, puntando sul rilancio. Però credo che cercherà sempre di farla assorbire, solo in modo accettabile. Così la quota della capogruppo scenderà fino a diventare un investimento finanziario, che si può tenere o vendere, a seconda delle convenienze. Se Fiat avesse preso Opel, l'obiettivo sarebbe stato centrato da subito. Con Chrysler, ci si è avviati su quella strada".
SALVATORE BRAGANTINI Il "Corriere della sera" ha calcolato le stock option di Marchionne: 255 milioni in 70 mesi, oltre a uno stipendio di 6 milioni l'anno. È un guadagno appropriato?
"No, anche se non esiste un criterio oggettivo di valutazione di una prestazione, nessuno può valere questa somma".
Le regole volute in fabbrica da Marchionne sono giuste?
"In Italia ha preteso modifiche contrattuali senza impegnarsi né ad alcun investimento (Fabbrica Italia è un libro vaporoso), né a condividere con i lavoratori parte dei profitti. Ciò detto, quel che ha estorto ai sindacati va nella direzione di un riallineamento della competitività. Il problema della Fiat, però, non è il sindacato, ma il prima - progettazione e investimenti - e il dopo: fare auto che il mercato compra".
 

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