Fiat (F) Capitalizzazione a 10.8 e Debiti a 6.1 MLD (1 Viewer)

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ordine 11.110
FIAT: PERDITA NETTA DI 800 MLN EURO NEL 2009
di WSI-Ansa
Nel 2008 l'utile netto era stato di 1,7 mld di euro. Il gruppo si aspetta per il 2010 ricavi in crescita fra il 3 e il 6%, un utile della gestione ordinaria di 1,5 miliardi di euro e un indebitamento netto inferiore a 5 miliardi.

Il gruppo Fiat ha chiuso il 2009 con una perdita netta di 800 mln di euro e include un impatto di 0,6 mld derivante da oneri atipici. Nel 2008 l'utile netto era stato di 1,7 mld di euro.

I risultati sono stati approvati oggi dal Cda che propone un dividendo complessivo per le 3 categorie di azioni di 237 mln, escludendo le azioni proprie. Il gruppo Fiat chiude il 2009 con un utile della gestione ordinaria di 1,1 mld di euro, con un forte contributo del business delle automobili.

Il gruppo Fiat si aspetta per il 2010 ricavi in crescita fra il 3 e il 6%, un utile della gestione ordinaria di 1,5 miliardi di euro e un indebitamento netto inferiore a 5 miliardi.

L'indebitamento netto industriale e' stato ridotto, a fine 2009, a 4,4 miliardi di euro (5,9 miliardi di euro alla fine del 2008) e la liquidita' e' aumentata significativamente a 12,4 miliardi di euro (3,9 miliardi di euro nel 2008). Il dato relativo all'indebitamento e' migliore del target.
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ordine 11.110
fiat: sciagura nazionale

La crisi economica, soprattutto nel settore auto, è un dato di fatto, eppure per le grandi imprese è una occasione d'oro per ristrutturarsi, ridurre i salari, ed eliminare personale, utilizzando per di più gli aiuti dello Stato. A questo proposito, la Fiat rappresenta un caso emblematico. Dopo aver beneficiato nel 2009 di consistenti aiuti statali, che hanno pesato per il 40,7% sulle nuove immatricolazioni auto in Italia (675mila veicoli su un totale di 1,67 milioni), la Fiat riceverà nel 2010 un ulteriore incentivo di 300-350 milioni, come prevede il decreto che dovrebbe essere approvato a breve dal governo Berlusconi. E tutto questo senza contare i consistenti aiuti statali sotto forma di cassa integrazione, che la Fiat ha esteso a tutti gli stabilimenti in questo inizio di 2010

Fino ad oggi, la Fiat è ricorsa al ricatto: niente aiuto statale, niente mantenimento dei livelli occupazionali. Una equazione che non ha sempre funzionato, e che non ha impedito alla Fiat di ridurre costantemente la forza lavoro impiegata in Italia, aumentandola globalmente negli ultimi tre anni, caso pressoché unico tra le multinazionali dell'auto europee e Usa.
Più recentemente, nonostante i soldi pubblici ricevuti, la Fiat ha decretato la morte dello stabilimento siciliano di Termini Imerese. In effetti, come ha spiegato la Repubblica, esisteva un piano Fiat per espandere Termini e renderlo più profittevole, portandolo dal semplice assemblaggio di pezzi a sito di produzione di un maggior numero di componenti. Questo progetto, però, è stato messo da parte, ufficialmente per ragioni burocratiche legate all'impossibilità dell'uso industriale dei terreni richiesti per gli impianti.

La ragione vera è, però, un'altra. Siamo ad un passaggio di fase importante nel modello di accumulazione, che si caratterizza nel contempo per una maggiore concentrazione, attraverso fusioni e alleanze, e per un maggiore impulso alla internazionalizzazione.
Gli investimenti che dovevano andare in Sicilia sono stati dirottati in Serbia. Qui, nello stesso giorno in cui Marchionne annunciava la morte di Termini, arrivava un investimento di 100 milioni di euro, la prima tranche di un totale di 700 milioni. La nuova Fiat serba rileverà la vecchia Zastava, che produceva nel passato modelli Fiat su licenza, e sarà al 67% della Fiat e al 33% dello Stato serbo. Quindi, anche in questo caso la Fiat beneficerà di un consistente aiuto statale.

In effetti, l'abilità maggiore della multinazionale italiana si sta rivelando quella di andare in giro per il mondo a raccattare soldi pubblici, come ha fatto negli Usa, dove, attraverso l'acquisizione della Chrysler, il gruppo torinese comparteciperà agli aiuti massicci concessi da Obama al settore auto.
Mentre in Italia la Fiat licenzia, in Brasile (che è il suo primo mercato mondiale e dove pure ha ricevuto un forte sostegno pubblico) ha assunto negli ultimi tre anni 8mila addetti e in Serbia ne assumerà almeno altri mille. Un altro aspetto "strano" della situazione è che la Fiat in realtà non sta andando così male, soprattutto in confronto alle altre case automobilistiche. La Fiat, tra le prime dodici case della Ue a 27 con una quota dell'8,7%, è una delle sole quattro ad aver registrato nel 2009 un incremento delle vendite (+6,3%), portandosi al sesto posto a poche decine di migliaia di pezzi dalla GM. Solo le ultime due in classifica, la Hyundai e la Kia, hanno fatto meglio, ma con volumi assoluti non paragonabili a quelli della Fiat.

Anche in Italia la crescita delle vendite Fiat nel mese di gennaio è stata consistente, con un + 30,2%.
Il fatto è che la Fiat ha spostato la sua produzione fuori dall'Italia, dove si produce appena un terzo delle auto assorbite dal mercato interno, una quota inferiore non solo a quella di Paesi di nuova industrializzazione ma anche a quella di Paesi capitalisticamente maturi come Francia e Germania. I modelli a marchio Fiat che stanno realizzando i volumi maggiori, la 500 e la Panda, sono prodotti in Polonia ed importati in Italia. La strategia Fiat è evidente: concentrarsi sulla produzione di massa di auto economiche a livello globale e pertanto spostare quote crescenti di produzione nei Paesi in via di sviluppo. Nel 2002, secondo uno studio di Société Générale, i ricavi Fiat venivano dai mercati emergenti per il 14%, nel 2009 per il 28%, e si prevede che la percentuale salirà nei prossimi 3-5 anni al 44%. Le produzioni di auto premium a maggiore valore aggiunto, che normalmente vengono conservate nei Paesi più avanzati come accade in Germania con BMW e Mercedes, sono state abbandonate.
Due marchi prestigiosi, prima Lancia e poi Alfa Romeo, sono stati praticamente distrutti dalla rinuncia ad adeguati investimenti da parte della Fiat. Come sempre, la competizione viene affrontata dalla Fiat non con l'innovazione, ma con la riduzione dei costi.

Ma torniamo al rapporto Fiat-Stato. Secondo l'ineffabile Marchionne, fino a poco tempo fa osannato come salvatore della Patria e novello conquistador in terra americana, "Siamo il maggiore investitore in Italia, ma non abbiamo la responsabilità di governare il Paese.", intendendo con ciò che si lavava le mani di Termini. Se Marchionne, il quale come amministratore delegato percepisce annualmente la quisquilia di 3,4 milioni di euro, ha ragione a ricordare che la Fiat è una impresa privata il cui fine è la massimizzazione del profitto, non si capisce perché, anziché affidarsi al mercato, la Fiat accetti e solleciti i soldi pubblici. Per coerenza dovrebbe rifiutarli, cosa che si guarda bene dal fare. A questo punto, è bene fare un passo indietro. Tralasciamo il fatto che la Fiat nasce come grande agglomerato industriale grazie alle commesse statali, prima con la guerra di Libia e la Prima guerra mondiale e poi con le guerre del fascismo, e veniamo ad epoche più recenti. Negli anni 90 gli aumenti di capitale della Fiat sono stati congegnati in modo da ridurre al minimo l'impegno diretto degli Agnelli, cioè del capitale privato. Indovinate su chi si sono scaricati allora gli oneri degli investimenti? Sulle finanze pubbliche, ovvero sui lavoratori dipendenti (tra i quali sono gli operai Fiat), gli unici che pagano interamente le tasse.

Infatti, Massimo Mucchetti in "Licenziare i padroni?" ha scritto: "Nel decennio 90 lo stato italiano ha dato al gruppo Fiat un po' più di 10 miliardi di lire e ne ha ricavato più o meno 6500 di imposte. Nello stesso periodo, gli azionisti della Fiat hanno versato un po' meno di 4200 miliardi nelle casse sociali sotto forma di aumento di capitale e ne hanno ritirati quasi 5700 sotto forma di dividendi. Nel rapporto tra Stato e azionisti è chiaro chi ha dato e chi ha preso. (...)
Nondimeno è curioso che i due terzi dei mezzi freschi immessi dalla Fiat negli ultimi dieci anni provenga dallo stato."


No, per la verità non è affatto curioso, si tratta di un andazzo storico, che si ripete ancora oggi allorché la Fiat, da una parte, licenzia e prende soldi dallo Stato e, dall'altra parte, distribuisce un dividendo di 237 milioni ai suoi azionisti. All'estero le cose non vanno esattamente nello stesso modo. In Francia, ad esempio, la Renault è stata costretta dal governo Sarkozy a ritornare sulla sua decisione di spostare all'estero la produzione della nuova Clio, garantendo i livelli occupazionali. La stessa garanzia ha dovuto dare la Opel a fronte degli aiuti del governo tedesco, mentre, sempre in Germania, la Daimler si è accordata con i sindacati per assicurare il mantenimento dei 37mila addetti attuali fino al 2020, rinunciando a spostare la produzione della classe C negli Usa. La presunta efficienza privata sembra non poter resistere senza la comoda rete di salvataggio pubblica. Il capitalismo reale è dappertutto questo: profitti privati con soldi pubblici.

Ma in Italia il governo e lo Stato, assumendo una posizione del tutto subalterna di fronte alla Fiat, non ottengono neanche una contropartita minima in termini occupazionali in cambio dei soldi pubblici erogati, che finiscono per finanziare soltanto l'espansionismo estero della Fiat. A maggior ragione il governo di un premier, Berlusconi, che ha tutto l'interesse a non scontentare la Fiat in vista dei giochi di riassetto del potere economico in cui è impegnato in Italia.

Domenico Moro
Aprileonline.info: La FIAT prende i soldi e scappa all'estero
4.02.2010
 

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speculazione in arrivo

2 - IL PIANO SEGRETO DI MARPIONNE: ENTRO GIUGNO MIRA A SCORPORARE FIAT AUTO PER UNA FUSIONE CON CHRYSLER (IL DESTINO DI YAKI? MONETIZZARE IL LINGOTTO E ANDARSENE A VIVERE A PARIGI)

Ogni giorno che passa Sergio Marpionne si sente sempre più un emigrante.
Con questo spirito si è ritrovato nel fine settimana con la comunità abruzzese del Michigan in una località poco fuori Detroit. Qui il figlio di Concezio, maresciallo dei carabinieri di Chieti, si è sentito in famiglia anche se ormai è sempre più chiaro che la testa e il cuore sono dentro l'America.

Il manager italo-canadese da Detroit passerà a Ginevra dove la Fiat ha prenotato un grande stand per presentare cinque modelli e il nuovo motore bicilindrico, poi farà un salto in Brasile, nuova Mirafiori sudamericana, e venerdì sarà a Roma per un confronto con il ministro dell'aeroporto di Albenga Sciaboletta Scajola.
Questa almeno è l'agenda di Marpionne, anche se non è affatto certo che l'impegno previsto con l'esponente di governo sia rispettato. D'altra parte bisogna capirlo perché ormai la sua decisione sulla chiusura di Termini Imerese è irrevocabile e davvero risibile appare la proposta di Sciaboletta Scajola per un'asta internazionale sul sito siciliano.
È evidente - come Dagospia ha scritto nei giorni scorsi - che le 16 offerte pervenute finora per Termini Imerese sono aria fritta, altrimenti non si capirebbe l'esigenza di lanciare una gara internazionale dove Sciaboletta pensa che cinesi, indiani e altri soggetti stranieri stiano sgomitando per mettere le mani sullo stabilimento della Fiat.

La strategia del figlio del carabiniere Concezio è chiara da tempo, e oggi sull'inserto "Affari&Finanza" di "Repubblica" vengono riproposte le ragioni che separano sempre di più le sorti della Fiat da quelle dell'Italia. Il giornale di De Benedetti non fa mistero dell'appoggio che in questo momento la Sacra Famiglia degli Agnelli sta dando all'uomo che nel giugno 2004 l'ha salvata dal disastro. L'appoggio più forte all'americano Marpionne arriva da Yaki Elkann e Luchino di Montezemolo, due personaggi che non possono toccare palla dentro l'azienda, ma che hanno tutto l'interesse a salvarne il futuro.
E non potrebbe essere diversamente nel caso di Luchino che l'anno scorso ha percepito tra Fiat e Ferrari un compenso di 5,17 milioni di euro. Nonostante gli 800 milioni di perdita registrati nel bilancio 2009 e uno scenario da crisi (dove senza gli incentivi l'utile scenderà di 350-400 milioni), i furbetti del Lingotto si sono portati a casa stipendi superiori a quelli dell'anno precedente e Marpionne, che ha guadagnato 4,7 milioni, ha ormai in tasca 19,2 milioni di stock options.
Il più povero appare Yaki, il 34enne nipote dell'Avvocato che si è portato a casa soltanto 631mila euro, ma è il più convinto sostenitore di una politica dei dividendi e della strategia industriale del grande Sergio. A Torino circola una battuta molto cattiva nei confronti del "povero" Yaki secondo la quale "non guiderà mai la Fiat perché al massimo potrebbe dirigere un condominio a Parigi".
Sono parole feroci attribuite a un personaggio molto vicino alla Sacra Famiglia degli Agnelli, che sottovalutano l'operazione in serbo al Lingotto. Sembra infatti - e Dagospia l'ha appreso nella sua infinita miseria - che a giugno si realizzerà il famoso spin-off, cioè quella separazione di Fiat Auto che secondo gli analisti è la strada per far emergere il valore reale di un'azienda ingabbiata. Dello spin-off si parla dal 2004 e lo stesso Marpionne l'ha definito "possibile" nel dicembre 2007, poi il 22 luglio dell'anno scorso ha parlato di "decisione inevitabile".
Non a caso a maggio, quando era in ballo la fusione con Opel, fu affidato a tre banche (Intesa SanPaolo, Unicredit, Goldman Sachs) il ruolo di global coordinator in vista di una newco nella quale potrebbe confluire Fiat Auto.
La novità è rappresentata dal fatto che stanno maturando velocemente i tempi per una fusione di Fiat con Chrysler, ed è questo l'annuncio che secondo voci insistenti Marpionne potrebbe fare tra poche settimane. È trascorso quasi un anno (era il 30 marzo 2009) da quando Obama diede la sua benedizione per il salvataggio della Casa di Detroit mettendosi di traverso alle banche americane che ne chiedevano il fallimento.
Il figlio del carabiniere Concezio attraversa i continenti con il suo pullover sgualcito, ma vuole sentirsi le mani libere a capo di una nuova società in cui Fiat Auto e Chrysler diventano una realtà unica in nome dell'efficienza.
È un disegno che gli evita di essere "ingabbiato" e gli consente una totale autonomia decisionale, ma è un disegno condiviso dalla Sacra Famiglia degli Agnelli che con la quotazione in Borsa della "nuova" azienda si riempirà le tasche di quattrini.
 

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Spin-off auto.

Deja-vu delle varie speculazioni che avvengono ciclicamente sul peggior titolo del listino :rolleyes::rolleyes:
 

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AUTO: FIAT STA CERCANDO DI RISTRUTTURARE CON LE BANCHE QUASI 1/3 DEL DEBITO, PARI A 5 MILIARDI
di WSI-ANSA
Marchionne al lavoro con le banche creditrici (il debito netto a marzo ammontava a 16,8 miliardi). L'operazione puo' rientrare nell'ambito dell'ipotizzato scorporo delle attivita' Auto. La lista.

Fiat sta cercando di rifinanziare fino a 5 miliardi di debiti con banche creditrici (il debito netto a marzo ammontava a 16,8 miliardi). Facendo riferimento a piu' fonti vicino al dossier, l'operazione puo' rientrare nell'ambito dell'ipotizzato scorporo delle attivita' Auto da quelle di Iveco, Cnh e Powertrain in Fiat Industrial. Nella lista delle banche le francesi Bnp Paribas, Credite Agricole e Societe' Generale, Citigroup (Usa) e alcune banche nazionali come Unicredit e Intesa-SanPaolo.


Parte dei crediti potrebbe essere utilizzata peraltro per rifinanziare circa 2 miliardi di euro di prestiti di alcune societa' del gruppo e per finanziare il piano quinquennale di Fiat. L'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne intenderebbe chiedere l'approvazione al piano di rifinanziamento intorno a luglio. Il Lingotto vuol chiudere il 2010 con ricavi per circa 50 miliardi di euro, un utile della gestione ordinaria tra 1,1 e 1,2 miliardi, un risultato netto vicino al pareggio e un indebitamento netto industriale superiore ai 5 miliardi. A fine marzo l'indebitamento netto industriale ammontava a 4,7 miliardi di euro, di poco superiore ai 4,4 miliardi di fine 2009.
 

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dati drammatici

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/articolo-17344.htm

AUTO IN EUROPA: LA FIAT E’ FUORI MERCATO E POMIGLIANO NON C’ENTRA NIENTE... - I DATI DEL PRIMO SEMESTRE 2010 SONO TRAGICAMENTE EVIDENTI: IL CALO DEL LINGOTTO NEL MERCATO DELL’EUROPA A 27 PAESI È DEL 20,8% (E SCENDE AL SESTO POSTO) - QUESTO VUOL DIRE CHE LE AUTO FIAT NON SONO FRA LE MIGLIORI E - COME VOLUMI - NON SONO IN LINEA NEPPURE CON LA MEDIA DEL MERCATO. PUNTO E BASTA. IL RESTO È CHIACCHIERA - MA LA POLITICA TUTTA E LA GRANDE STAMPA (ANCHE DI SINISTRA) LO NASCONDONO SEMPRE - IL GRUPPO FIAT È GRANDE PER NUMERI, E SOLO ASSOMMANDO TUTTO, DA IVECO AI TRATTORI ALLA MAGNETI MARELLI, MA NON È UN GRANDE E VINCENTE GRUPPO AUTOMOBILISTICO

1- AUTO IN EUROPA: LA FIAT E' FUORI MERCATO E POMIGLIANO NON C'ENTRA NIENTE...
Bankomat per Dagospia

Il dato non mente. Leggete "il Sole 24 ore", sul sito o sul quotidiano: si narrano i dati del mercato auto europeo del primo semestre 2010 rispetto al 2009, tragicamente evidenti.
Un modesto più 0,2% è il dato del mercato europeo nei primi sei mesi dell'anno, ma Fiat è fuori gioco, perché il suo calo nel mercato dell'Europa a 27 Paesi è del 20,8%.

Peggio di tutti i suoi principali concorrenti, mentre si conferma anche il fatto che, a valori assoluti, FIAT non è uno dei primi cinque produttori europei. Con il 7,4% di quota di mercato, è la sesta Casa automobilistica.

Questo vuol dire che le auto progettate e vendute da Fiat non sono fra le migliori e - come volumi - non sono in linea neppure con la media del mercato. Punto e basta. Il resto è chiacchiera. Qui non c'entrano Pomigliano, Epifani, la camorra, i comunisti, i meridionali. Qui c'entrano solo i cervelli torinesi e non solo di Mr Marpionne dal pullover ostentato. A Torino sono poco competitivi in termini di capacità progettuale e commerciale. Da anni, lo sanno tutti.

Ma la politica e la grande stampa lo nascondono sempre come è appena possibile.
Il Gruppo Fiat è grande per numeri, e solo assommando tutto da Iveco ai trattori alla Magneti Marelli, ma non è un grande e vincente gruppo automobilistico.

Le auto da sempre le fanno meglio in Francia, Germania e Giappone (non in Polonia India e Corea, con rispetto parlando per questi onesti Paesi: in EUROPA occidentale!). E pure la Ford è meglio della Fiat. In un'Italia finto liberale e mercatista del Cavalier Berlusconi questa amara e secca verità dovrebbe essere detta. Ma non è conveniente forse neppure alla sinistra.


2- GIUGNO NEGATIVO PER LE VENDITE DI AUTO IN EUROPA. IN CALO LA QUOTA DI MERCATO FIAT
Dal "Sole 24 ore"

Giugno negativo per le immatricolazioni di nuove auto in Europa (paesi Ue27 + Efta), calate del 6,2% a 1.383.445 unità rispetto allo stesso mese del 2009, mentre il parziale dei primi sei mesi del 2010 é ancora in rialzo dello 0,6% a 7.495.520 unità rispetto allo scorso anno. Secondo i dati Acea, nella sola area Ue27, invece, le vendite sono diminuite in giugno del 6,9% a 1.341.092 unità, mentre nei primi sei mesi del 2010 rimangono positive dello 0,2% a 7.285.487 unità.

Vendite in calo in Germania (-32,3%), Italia (-19,1%) e Francia (-1,3%). Positivi invece i mercati di Spagna (+25,6%) e Regno Unito (+10,8%). Il maggior calo é stato segnato in Slovacchia (-40,6%), mentre il maggior incremento in Irlanda (+75,8%).

Il gruppo Fiat ha registrato nell'Europa a 27 un calo delle vendite del 20,8% 98.687 unità. Si riduce anche la quota di mercato che passa dall'8,7 al 7,4%, un dato che colloca la casa torinese al sesto posto tra i costruttori. Nei primi sei mesi le vendite sono scese del 10% a 598.382 unità, mentre la quota di mercato è diminuita dal 9,1 all'8,2 per cento.

Nel confronto con i risultati dell'anno scorso va considerato che allora, grazie agli eco-incentivi, Fiat Group Automobiles aveva ottenuto volumi e quote record. Anche in giugno, come già a maggio, il calo delle vendite del Gruppo in Europa è causato principalmente dalle minori immatricolazioni in Italia, dove il mercato globale ha registrato una contrazione del 19,1%, e in Germania, dove le immatricolazioni complessive sono scese del 32,3 per cento.

Passando in rassegna le altre maggiori case automobilistiche, in giugno sono calate dell'8,1% le immatricolazioni di Volkswagen, del 5,0% quelle di Peugeot, del 14,8% quelle del gruppo Ford, del 12,4% le immatricolazioni di Toyota, mentre c'é stato un saldo positivo invece per il gruppo Renault (+3,8%), per Bmw (+7,1%) e Nissan (+27,1%). La miglior performance mensile appartiene al gruppo Jaguar Land Rover con un +29 per cento.
 

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Vittorio Malagutti per "il Fatto Quotidiano"


In un'intervista al settimanale Panorama del dicembre 2006, Sergio Marchionne spiegò che la sua missione si sarebbe compiuta nel 2010 "quando faremo 5 miliardi di utile operativo". L'amministratore delegato della Fiat si è sbagliato di 3 miliardi. Quest'anno il gruppo torinese chiuderà il bilancio con 2 miliardi circa di utile operativo.


Certo, nel frattempo il mondo ha vissuto una catastrofica crisi industriale e due (General Motors e Chrysler) delle tre big americane si sono risollevate dal crac solo grazie agli aiuti del governo Usa. Da questa parte dell'Atlantico, però, altri concorrenti hanno fatto decisamente meglio di Torino.

La Volkswagen, per esempio, che nel 2006 aveva realizzato 2 miliardi di profitto operativo (quindi poco più di Fiat), quest'anno supererà quasi certamente quota 6 miliardi: nei primi 9 mesi è già arrivata a 4,8. E la francese Renault, reduce da una gravissima crisi, tra gennaio e settembre del 2010 ha visto crescere del 10 per cento le vendite di auto in Europa, mentre per Fiat il mercato continentale segna un calo del 12,3 per cento.

Il gruppo francese nei mesi scorsi ha ripreso a macinare profitti a gran velocità, tanto che a settembre ha potuto rimborsare un miliardo dei tre ricevuti in prestito dal governo di Parigi ad aprile 2009.

Marchionne quindi, a quasi quattro anni di distanza da quell'intervista in cui fissava gli obiettivi, è ancora costretto a rincorrere. E allora non può fare altro che rilanciare. Il piano industriale per i prossimi cinque anni serve proprio a questo, ad alzare l'asticella degli obiettivi spostando più avanti nel tempo, almeno sul piano mediatico, l'inevitabile confronto con un mercato sempre più difficile.

Nascono da qui i discorsi sulla produttività, il confronto tra gli stabilimenti Fiat in Italia e quelli negli altri Paesi, in primis in Polonia. Perchè Marchionne ha fissato per il 2014 obiettivi a dir poco ambiziosi di redditività. Per il solo settore auto il margine operativo in percentuale sul fatturato dovrebbe crescere dall'1,5 per cento previsto per quest'anno fino al 4,7 per cento del 2014. E per guadagnare di più Fiat deve utilizzare la capacità produttiva dei suoi stabilimenti molto più di quanto non sia successo finora. Ma la produttività non basta.

Se Marchionne vuole davvero centrare il bersaglio deve però riuscire a vendere di più, molto di più rispetto a quanto stia facendo oggi. In che modo? "Modelli ce ne sono finché volete", ha risposto l'amministratore delegato di Fiat a una domanda di Fabio Fazio nell'intervista trasmessa domenica sera. In effetti, il piano industriale prevede il lancio addirittura di 34 nuovi modelli, di cui 13 prodotti in Nordamerica negli stabilimenti Chrysler.

Il gruppo torinese vuole innanzitutto aumentare la sua presenza nelle fasce medio alte di mercato, quelle dove i margini di guadagno sono mediamente più elevati. Il fatto è che finora si è visto poco o niente di tutto questo. Secondo Marchionne "non ha senso lanciare nuovi modelli in un mercato strutturalmente così debole".

Ma se il mercato è debole per Fiat, che nel solo mese di settembre ha perso in Europa il 20 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, lo è decisamente di meno per alcuni grandi gruppi come Volkswagen (-4,3 per cento), Peugeot-Citroën (-6,6), Renault (-8,7). E pensare che secondo il piano industriale nel 2014 Fiat vorrebbe riuscire a piazzare in Europa almeno 2,15 milioni di veicoli, addirittura l'80 per cento in più di quelle vendute nel 2009, pari 1,23 milioni.

Come fare allora per toccare il traguardo dei 6 milioni di vetture prodotte e vendute in tutto il mondo indicato da Marchionne come il traguardo del 2014? Bisogna puntare sui Paesi emergenti. C'è il Brasile, forse l'unico mercato dove la casa torinese può sfoggiare risultati commerciali in miglioramento. Ma il grosso della crescita potenziale, quella su cui puntano tutti i grandi produttori, è attesa altrove.

E cioè in Cina e India. Nel 2009, un anno a dir poco difficile per l'automobile, la produzione è cresciuta del 48,3 per cento in Cina e del 13 per cento in India. Sempre l'anno scorso in Italia le auto prodotte sono calate del 17,6 per cento e negli Stati Uniti addirittura del 34,3 per cento. Rotta verso est, allora, ma in Oriente Fiat è ancora molto lontana dai suoi principali rivali.

Volkswagen e Peugeot-Citroën vantano già una solida presenza da quelle parti. Per non parlare della giapponese Toyota. Insomma, la strada da fare è ancora tantissima. E la meta al momento sembra così lontana da sembrare un miraggio. Forse per questo a Marchionne conviene parlare di Melfi e dei 10 minuti di pausa in meno. Per quel che valgono.
 

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