BUSH ha rovinato gli USA (1 Viewer)

Ciampa

Forumer storico
tontolina ha scritto:
naturalmente per il governo del nano
è un alleato importante
con azioni comuni da compiere

chi si assomiglia si piglia

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lothar

Forumer storico
tontolina ha scritto:
da http://www.effedieffe.com/content/view/3779/179/
Il FMI controllerà gli Stati Uniti


Quando uno Stato è incapace di tenere i suoi conti in ordine, accumula debiti su debiti con le banche estere, ed è vicino all’insolvenza, di solito riceve la visita di esperti del Fondo Monetario Internazionale. Questo ente sovrannazionale, nato a Bretton Woods, gestisce la sanità del sistema monetario internazionale; può fornire ulteriori prestiti al Paese rovinato, ma come contropartita, può imporre durissime «ricette di risanamento», che vanno dalla svalutazione della moneta nazionale, alla «privatizzazione» o vendita di «attivi» nazionali (miniere, ad esempio), a tagli della spesa pubblica giudicata improduttiva (secondo i creditori). Praticamente, il Paese è sottoposto a gestione controllata e a pignoramento.

Accade, per lo più, che ricevano la visita del FMI piccoli Paesi africani, o di nessun peso politico. È accaduto all’Argentina. Accade all’Italia, per via del nostro immane debito pubblico.

Ma non è mai accaduto che i revisori del Fondo Monetario bussassero alla porta di Washington: non foss’altro perchè Washington è il principale «azionista» del Fondo, di cui detiene con Londra (i due vincitori della seconda guerra mondiale)
il 60% delle quote.

Stavolta invece accade, e ne dà notizia lo Spiegel: il Fondo Monetario «ha informato» Ben Bernanke, il governatore della Banca Centrale USA (Federal Reserve) che intende procedere a un esame generale del sistema finanziario USA. Il consiglio direttivo ha decretato quello che chiama un «Financial Sector Assessment Program» delle finanze americane. Sarà, scrive Der Spiegel, «nè più nè meno che una radiografia completa del sistema finanziario USA».

ciao prof!

se il fmi riserverà loro lo stesso dell'argentina ne vedremo delle belle!

buna giornata

lot
 

tontolina

Forumer storico
lothar ha scritto:
ciao prof!

se il fmi riserverà loro lo stesso dell'argentina ne vedremo delle belle!

buna giornata

lot
non ci sperare
Il FMI voleva fare un'ispezione sullo stato patrimoniale USA
ma ha promesso al presidente BUSH che lo farà dopo che lui sarà andato in pensione



certo è che
la futura ispezione ha accelerato il panico

allego articolo interessante
AMERICAN CRACK
AMERICAN CRACK – CAUSE ECONOMICHE, ERRORI POLITICI, RESPONSABILITà BANCARIE: DA CLINTON A BUSH, L'ORIGINE DELLA GRANDE DEPRESSIONE 2008 SPIEGATO AL POPOLO – UN ARTICOLO-DOCUMENTO DA SALVARE…


Con il sistema finanziario internazionale in ginocchio, da giorni gli addetti ai lavori si chiedono che cosa stessero facendo le autorità di vigilanza americane mentre il mercato veniva sistematicamente imbottito di carta straccia. In particolare la tanto rinomata Federal Reserve, ultimamente tanto attiva nel distribuire soldi a destra e manca per fermare l'emorragia, dov'è stata per tutti questi anni?

Il resto di noi si pone invece una domanda più terra terra: di chi è la colpa? Il Sole 24 Ore ha voluto ricostruire le origini e il decorso di questa crisi nel tentativo di trovare risposta a questi interrogativi. E, laddove possibile, puntare il dito su chi ha specifiche responsabilità.

LA COLPA ORIGINALE
Il primo nome che merita di essere fatto è quello di Phil Gramm, oggi principale consigliere economico di John McCain e ritenuto papabile per il ruolo di Segretario del Tesoro in un'eventuale amministrazione repubblicana. Dieci anni fa, Gramm era in Congresso dove occupava la poltrona di presidente della "Commissione banche, edilizia e affari urbani" del Senato. Non era mai stato un fan della regulation.


E si adoperava come nessun altro politico perché il sistema finanziario Usa fosse il meno regolato possibile ( negli anni la comunità finanziaria americana lo ha ringraziato con contributi elettorali per un totale di 4,6 milioni di dollari). La sua più grande vittoria politica la ottenne il 12 novembre 1999, quando venne ratificato dal presidente Clinton il Gramm-Leach-Bliley Act, la più radicale riforma bancaria dagli anni della Depressione.

Commentando quella legge, il governatore della banca centrale Laurence Meyer parlò all'epoca di dispositivi "Fed-light". E cioè di una regolamentazione molto più soft di quella precedente. Pur confermando il ruolo che aveva la Federal Reserve di supervisore supremo sul sistema finanziario, la legge ne limitava significativamente il potere di controllo su soggetti come le banche di investimento e gli istituti di credito ipotecario i cui organi di controllo primari erano la Security Exchange Commission (la Consob americana) e i singoli Stati.

Alcuni mesi dopo, Gramm riuscì a imporre il suo punto di vista anche sul mercato delle commodities, inserendo nella finanziaria del 2000 un emendamento di 262 pagine, il Commodity Futures Modernization Act, che deregolamentava il trading di derivati. In particolare il trading di Credit Default Swap, o Cds, contratti privati tra controparti che scommettono, l'una contro l'altra, sulla probabilità di default di un debitore.

Seppur creati per fornire una protezione da un rischio, i Cds avevano un enorme potenziale speculativo perché potevano essere utilizzati anche per scommettere su un evento catastrofico altrui. In questo secondo scenario, un prodotto nato per ridurre il rischio speculativo poteva diventare un acceleratore di quel rischio e quindi un elemento di forte squilibrio e distorsione del mercato. Con l'emendamento di Gramm, il trading di Cds non avrebbe più avuto supervisione alcuna. Né da parte della Sec, né della Commodity Futures Trading Commissione, né dal Tesoro. Né tantomeno della Fed.



IL CREDITO FACILE
E veniamo agli anni di George W. Bush. Il 18 giugno 2002, il successore di Clinton annunciò la propria intenzione di allargare il mercato dell'acquisto della prima casa a chi aveva redditi bassi e alle minoranze: «Diventare proprietari della propria casa è un modo di realizzare il sogno americano, e io voglio estendere il sogno a tutto il Paese», disse Bush.

Scendendo nei dettagli, aggiunse: «La gente spesso vorrebbe comprare una casa, ma non ha soldi per l'anticipo. E a questo c'è rimedio... Altro problema: i contratti sono troppo complicati. La gente è scoraggiata da tutte quelle clausole. Ci sono troppe parole! Quindi faremo sì che venga semplificata la documentazione richiesta ... Infine, abbiamo bisogno di maggiori capitali per gli acquirenti a basso reddito. E sono oggi fiero di annunciare che Fannie Mae ha recepito questo bisogno ... e che anche Freddie Mac è disposto a fare la sua parte».
Da parte sua,l'opposizione non aveva interesse a mettersi di traverso: i democratici non potevano infatti ostacolare una politica che dava accesso alla casa ai ceti meno abbienti.

In quel momento, il sistema finanziario e l'economia americana stavano riprendendosi da due durissimi colpi: lo scoppio della bolla di internet che nel corso dei due anni precedenti aveva bruciato circa 3mila miliardi di dollari di valore in Borsa, e l'attacco dell'11 settembre.
La scelta di Bush fu quella di assicurare la crescita economica sostenendo i consumi. «In un modello di bassi salari come era quello americano, il sostegno al consumo poteva venire solo in un modo: con il credito.
Ed è proprio grazie alla politica creditizia di manica larga fatta dalla Fed fino al 2004 che si spiega buona parte del differenziale di crescita tra Usa ed Europa », dice un ex banchiere centrale europeo oggi al vertice di una grande banca.

Il 2002 è anche l'anno dell'esplosione delle emissioni delle cosiddette asset-backed securities (Abs), cioè titoli garantiti da pacchetti di prodotti sottostanti, per lo più prestiti. In particolare parliamo delle cartolarizzazioni di mutui residenziali con le quali le banche commerciali cominciarono a cedere il controllo del credito immobiliare a Wall Street, dove però non c'era lo stesso grado e soprattutto la stessa qualità di sorveglianza. E dove, in seguito anche alla riforma di Gramm, la Fed non aveva compiti di vigilanza.


«Per l'amministrazione Bush, le cartolarizzazioni rappresentavano una sorta di quadratura del cerchio, perché permettevano di aumentare il credito senza mettere a rischio le banche, le quali non avevano più incentivi per essere selettive con i debitori. I rischi dei mutui venivano infatti trasferiti agli investitori, inclusi quelli stranieri», aggiunge l'ex banchiere centrale. «Oltre a esternalizzare il rischio, in questo modo l'America riusciva anche a finanziare i propri consumi con i capitali delle banche e degli investitori stranieri».



IL NUOVO MODO DI FARE BANCA
A partire dal 2002, con il boom di securities di seconda o terza generazione,e cioè dei cosiddetti derivati sintetici, sempre più lontanamenti imparentati con i mutui originali, come le Collateralized debt obbligation (o Cdo) e i già citati Credit default swap, le cartolarizzazioni si affermarono come un nuovo modo di fare banca.
«A fronte di strumenti finanziari e modelli di business nuovi- con le banche che originavano e distribuivano anziché originare e tenersi il rischio - il sistema di vigilanza Usa avrebbe dovuto adeguarsi, chiedere maggiori requisiti di capitale, creare un mercato ad hoc per gli Abs con requisiti/margini di liquidità minimi.
Invece sono mancati screening periodici forti sul cosiddetto liquidity gap, i controlli sugli erogatori del credito e i cosiddetti stress test.In pratica non sono stati adottati segnali d'allarme», commenta il dirigente di un'agenzia di vigilanza europea.

Per i primi anni tutto filò comunque liscio. Anzi, sembrava una sorta di magico circolo virtuoso in cui ognuno avrebbe solo guadagnato: i cittadini non abbienti compravano casa pur non avendone i mezzi, i broker che avevano piazzato i mutui guadagnavano più commissioni, i grossisti che rastrellavano mutui facevano più profitti, le case d'investimento che impacchettavano e cartolarizzavano- i cosiddetti arranger- incassavano fee da favola, i reimpacchettatori ne percepivano altre ancora maggiori e gli investitori si trovavano a disposizione prodotti specialistici molto redditizi su cui investire a seconda delle loro esigenze, con efficienze prima impensabili (per esempio, le società di assicurazione con polizze a 30 anni potevano comprarsi prodotti contenenti solo mutui dello stesso periodo).


L'INSOSTENIBILITÀ DEL MODELLO
In realtà, nel medio e lungo termine, il modello di business era insostenibile. Perché il pool di mutui di qualità era limitato, mentre Wall Street aveva un continuo bisogno di volumi sempre maggiori di materia prima- cioè nuovi mutui ipotecari.
La fortissima domanda portò a una rapida riduzione della qualità della materia prima. Finché, a partire dal 2005, si cominciò ad alimentare la rete di rifornimento finanziario con mutui sempre più " tossici".
«Il vintage, e cioè l'anzianità dei mutui sottostanti, è un indicatore di qualità. Le securities con vintage precedente al 2005 sono le migliori. Dopo il 2005 si trova invece paccottiglia di ogni genere»,spiega l'ex banchiere centrale.

A contribuire all'aumento della "tossicità" dei mutui fu anche un altro sviluppo nella po-litica di de-regolamentazione finanziaria di Bush. Il 7 gennaio 2004 l'Office of the Comptroller of the Currency, la branca del Dipartimento del Tesoro che governa le banche, aveva deciso che le banche multistatali sarebbero state esentate dalle normative statali contro il "credito predatorio".
Già allora ci fu chi lo ritenne un invito all'abuso. E gli abusi prontamente arrivarono. Anche perché, proprio quell'anno, la Federal Reserve aveva cominciato a rialzare il tasso di sconto.


ENTRANO IN CIRCOLAZIONE I MUTUI PEGGIORI
Cominciarono a diffondersi mutui con teaser rate, tassi-civetta che iniziano molto bassi ma poi esplodono,mutui low-doc oppure nodoc, la cui istruttoria era fatta con scarsa documentazione o addirittura senza alcuna documentazione ( che passarono dal 28% del totale dei sub-prime nel 2001 al 50% nel 2006). Peggio ancora:arrivarono i mutui con l'opzione di non pagare né interessi né capitale per i primi due o tre anni.

«Il cuore della vigilanza è il controllo dell'attività di credito, per assicurarsi che le banche facciano un corretto processo di affidamenti valutando le iniziative buonee dando credito a chi ha la possibilità di rimborsarlo. Invece su questo fronte, non venne fatto proprio niente», commenta l'ex banchiere centrale.

Essendo latitante la vigilanza sul credito ipotecario (perché gli Stati non avevano una visione globale e la Fed era stata tenuta fuori), cominciarono a entrare in circolo pacchetti all'ingrosso con mutui a orologeria che raggiungevano l'80%del totale.Ma per gli arranger cambiava poco. L'importante era avere nuova materia prima da trasformare in prodotti lavorati da immettere nel mercato.

C'è da dire che in quella lavorazione si cimentavano alcune delle migliori menti matematiche al mondo, che costruivano modelli di finanza quantitativa molto complessi con sofisticate miscele di diversificazione intese a ridurre il rischio. In più, non ci fu mai alcuna negligenza o disinformazione nella presentazione al mercato del prodotto: era detto apertamente che il sottostante era fatto di mutui subprime.

A presentare come buoni quei lavorati, erano le più grandi agenzie di rating al mondo. «Il classico specchietto per le allodole era la tripla A delle agenzie di rating»,spiega l'ex banchiere centrale. «E ad assegnarla non erano le case d'investimento. Erano le agenzie di rating». E qui il pensiero va subito al conflitto d'interessi intrinseco nel meccanismo di compen-sazione delle tre grandi agenzie: a pagare Moody's, S&P e Fitch per il loro lavoro di rating erano infatti gli stessi arranger che dovevano piazzare il prodotto sul mercato.

Ma occorre anche dire che quei rating non venivano assegnati al buio. Erano il frutto di modelli storico-matematici dai quali risultava estremamente improbabile che si verificasse una percentuale di insolvenza dei mutui sottostanti necessaria per intaccare l'investimento. Che in questo caso invece superava il 15% del totale su pacchetti sempre meticolosamente diversificati. Storicamente non era mai successo che si superasse quel tetto di insolvenza. Il problema era che, storicamente, le istruttorie sui mutui erano sempre state molto più selettive. «Venendo meno la qualità delle istruttorie sono saltati anche i modelli matematici»,dice l'ex banchiere centrale.

A fornire comunque un'ulteriore garanzia sullaqualità dei prodotti erano case d'investimento terze o società di assicurazione, come la Aig. In caso di default se ne sarebbero insomma fatte carico loro. «Il fatto che società come Aig non esitassero a sostenere quei prodotti, segnalava al mercato che il loro rischio era limitato », osserva uno dei maggiori avvocati d'affari americani che preferisce non essere citato.


IL BOOM DEL 2006
Nel 2006, grazie anche a queste securities (che arrivarono a rappresentare il 33% del reddito totale, contro il 13% del 2000), le cinque grandi case d'investimento di Wall Street - Merrill Lynch, Bear Sterns, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Morgan Stanleydichiararono profitti per 130 miliardi di dollari. Altrettanto da record furono i compensi dei loro amministratori delegati.Solo per parlare delle banche ormai defunte: Stanley O'Neal,di Merrill Lynch,portò a casa 47,3 milioni di dollari, James Cayne, di Bear Sterns, 14,8 milioni e Richard Fuld, di Lehman, 10,9.

«Io non ho mai avuto la sensazione che a Wall Street avessero subodorato che c'era qualcosa che non andava nei sottostanti. Erano troppo lontani dall'erogazione dei mutui subprime per accorgersene», aggiunge l'avvocato d'affari. «Sono convinto che le grandi case di investimento non sapessero di vendere immondizia ».

La nostra inchiesta ci porta a confutare questa valutazione. Non tanto perché chiunque avesse analizzato il mercato dei mutui avrebbe visto che dopo il 2004 i fondamentali non quadravano più: i dati economici dicevano che i redditi stavano scendendo mentre i tassi stavano aumentando,com'era quindi possibile che la generazione di nuovi mutui per la prima casa non desse segno di rallentamento?


L'INTEGRAZIONE VERTICALE
A contraddire l'avvocato d'affari è piuttosto il grado di integrazione verticale che abbiamo scoperto esserci stato tra gli originator sul campo- cioè i fornitori dei mutui- e gli arranger a Wall Street.
Nel corso degli anni del boom di queste cartolarizzazioni, tutte le case d'investimento si erano messe in pancia istituti specializzati proprio nella lavorazione all'ingrosso di mutui subprime.
Lehman aveva comprato Harbourton Mortgage Investment Corp, BNC Mortgage Inc e Finance America LLC.
Bear Sterns aveva preso EMC Mortgage Corp e Encore Credit Corp.
Merrill Lynch aveva acquisito First Franklin Financial Corp, Nation Point e National City Home Loan Services.

A spiegare i motivi di queste acquisizioni è l'analista finanziario Jeffrey Levine,di Milestone Advisors: «Primo,servivano a garantire una fonte di produzione di materia prima per le cartolarizzazioni. Secondo, a intascare anche i profitti dei fornitori. Terzo, ad avere market intelligence per lo sviluppo di nuovi prodotti ».

L'ironia è che nella stessa documentazione depositata presso la Sec, abbiamo trovato prove dell'integrazione tra originator e arranger. Nel bilancio annuale depositato nel 2006 da Fremont General, uno dei più grossi istituti di credito a orologeria del Massachusetts, si legge:«La società ha cercato di massimizzare i profitti... monitorando attentamente i requisiti richiesti dagli acquirenti istituzionali dei mutui, dalle agenzie di rating e dagli inve-stitori. Ci siamo conseguentemente focalizzati su attività di produzione dei tipi di mutui che meglio rispondevano a quei requisiti».

La conferma più esplicita è venuta da William Dalls, amministratore delegato di Ownit, il quale ha dichiarato al New York Times che gli investitori istituzionali- e Merrill Lynch in particolare - avevano specificatamente chiesto di offrire più mutui low-doc,dicendogli che se non lo avesse fatto avrebbe perso grosse opportunità di profitto.


Continuando a salire nella catena di alimentazione, si nota che le banche di investimento erano anche proprietarie di Special Purpose Entity, cioè quei veicoli speciali registrati sotto forma di trust ai quali venivano conferiti pacchetti di mutui contro i quali emettere le obbligazioni.
Il Sole 24 Ore ha appurato che, nel singolo mese del 2005,
due veicoli di Lehman cartolarizzarono mutui residenziali per 1.268 milioni di dollari,
un veicolo di Merrill Lynch cartolarizzò 1.358 milioni di dollari
e uno di Bear Sterns altri 557 milioni.
Insomma, con questo grado di integrazione verticale, non si può non attribuire specifiche e dirette responsabilità della crisi a Wall Street.


IL CRACK
La miccia fu l'impennata delle insolvenze e dei pignoramenti registrata nel corso del 2006.
All'inizio del 2007 crollarono poi una ventina di istituti di credito specializzati in subprime.
A quel punto si aggiunse l'effetto moltiplicatore delle scommesse al ribasso degli hedge fund.
«Nei primi mesi del 2007 cominciammo a vedere i primi segnali preoccupanti», spiega l'ex banchiere centrale.«Nei nostri risk meeting interni notammo un maggior tasso di insolvenza e un allargamento degli spread. Allora iniziammo a mollare la posizione e uscire il più possibile dalle cartolarizzazioni ».

Dalle tesorerie delle grandi banche l'allarme si diffuse sul mercato, che smise di sottoscrivere. Il disimpegno degli investitori e il diffondersi dell'incertezza sull'entità e la distribuzione delle perdite nel sistema finanziario, provocò un'impennata della domanda di liquidità che fece schizzare ancora più in alto gli spread.


Con il mercato bloccato, le cinque case d'investimento, e Merrill Lynch in particolare, si trovarono in portafoglio grosse quantità di semilavorati che dovevano essere ancora assemblati - prodotti di pessima qualità a fronte dei quali non potevano fare più funding. Tentarono di ricorrere al mercato interbancario per rifinanziare gli attivi immobilizzati, ma invano.


Il contagio ha poi raggiunto il mercato dei Credit default swaps, nel frattempo schizzati a 62mila miliardi di dollari di valore nozionale ( contro i 144 miliardi di 10 anni fa).
E chi era uno dei più attivi player in questo mercato? Aig, che tra l'altro era anche garante di molte securities di Lehman.

E adesso?
Quanto è stato intaccato il ruolo di riferimento delle autorità americane per il resto del mondo?
«La reputazione del sistema di vigilanza ne ha sicuramente risentito, soprattutto perché gli americani sono sempre stati all'avanguardia», conclude il dirigente dell'agenzia di vigilanza europea.

«Con questa crisi la loro credibilità si è a mio parere dimezzata».

Claudio Gatti
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/
24.09.08

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=11911
 

alias333

Forumer attivo
E adesso?

Cosa potrà succedere con 700 mld di $ sul mercato?

Penso sarà denaro fresco altrimenti dovrebbero tassare ciascun americano per quasi 2000 $ !

Quindi inflazione? O si comincerà subito a drenare imponendo tasse ( anche a chi non può o fatica a pagare i mutui) che si era promesso di diminuire?

Aumenteranno la velocità delle rotative della FED ? (che dovrebbe essere la corrispondente della BCE se non sbaglio)

La quale è dello stato americano o di qualche pool di azionisti? E quindi l'utile della FED chi andrà a rimpinguare?

Grazie e brava/o a chi mi saprà rispondere anche parzialmente! :up:


P.S. Certo che il valore del denaro uno potrebbe domandarsi a cosa è ancorato. Forse sulla fiducia nei politici :-?
 

tontolina

Forumer storico
8 anni fa quando venne eletto presidente Bush
l'economia USA girava alla grande e l'unione americana godevva di ottima solvilbilità
e non aveva neppure obbligazioni trentennali
perchè il presidente Clinton l'aveva governata come un buon padre di famiglia



ora dopo 8 anni BUSH lascia il trono del mondo dopo anni di menzogna continuata
ma la finanza degli USA è messa come l'ITALIA

Usa, il debito pubblico supera il Pil
15 mila miliardi dopo i salvataggi di Stato Quasi metà dei bond del Tesoro all’estero

http://www.corriere.it/esteri/08_se...il_fe64177e-8b88-11dd-9547-00144f02aabc.shtml

Sidney Winter, docente della Wharton School di Philadelphia, così riassume la crisi americana in una mail a un collega della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa:
«Abbiamo scoperto che la nostra ricchezza è di qualche migliaio di miliardi di dollari inferiore alle attese e ora dobbiamo decidere come ci dividiamo la sberla ».
La sberla è violenta.
E gli Stati Uniti non ne nascondono più i lividi sui loro conti pubblici e privati.
Per cominciare, la Federal Reserve si scopre senza più margini di manovra.
Ha già impegnato la metà delle riserve, circa 500 miliardi, in prestiti al mercato e finanziamenti al Tesoro (Consolidated statement of condition of all Federal Reserve Banks, 18 settembre 2008).

E non è nemmeno chiaro se le toccherà anche fare le due iniezioni di capitali freschi per 100 miliardi ciascuna per la nazionalizzazione di Freddie Mac e Fannie Mae.
Gli americani vedono la loro banca centrale diventare una holding che, direttamente e indirettamente, controlla la più grande compagnia assicurativa del mondo, l’Aig, e le due più grandi agenzie di mutui, Fannie & Freddie, e che, dopo il salvataggio della banca d’investimento Bear Stearns, funge pure da ricettacolo di titoli tossici, anche in valuta estera. Questa banca centrale zoppicante non avrebbe potuto far fronte, senza «stampare» altra moneta, al piano del governo per ritirare dai portafogli delle banche titoli illiquidi, e cioè non più negoziabili, nella misura straordinaria di 700 miliardi di dollari.
Eppure, chi mai dovrebbe farsi carico di un piano salva-banche se non l’istituzione che eroga il prestito di ultima istanza?
L’apertura dell’ombrello del Tesoro sopra l’ombrello della Fed ben segnala la gravità del momento, portata all’estremo dal rischio di un imminente tracollo di Goldman Sachs e Morgan Stanley, le ultime due banche d’investimento rimaste su piazza.

Ancora venerdì 18 settembre, all’annuncio del piano, nessuno credeva che Goldman e Morgan avrebbero chiesto la licenza di banche commerciali, rinunciando alla totale libertà di manovra avuta fin qui in cambio della protezione della Fed e del Tesoro.
E invece domenica la licenza l’hanno implorata e ottenuta.
Coincidenza che aggiunge più di un sospetto alle domande di fondo che il piano salva-banche propone di per sé.
I 700 miliardi richiesti da Hank Paulson, il segretario al Tesoro che viene dalla Goldman e che dunque fa il pompiere dopo avere per anni attizzato il fuoco con i colleghi di Wall Street, saranno ottenuti con emissioni di titoli di Stato aggiuntive rispetto al programma ordinario di rifinanziamento del debito pubblico.
A quali tassi saranno offerti?
I risparmiatori americani stanno fuggendo dalla Borsa verso i Treasury bonds, il cui rendimento (somma algebrica del tasso d’interesse e del differenziale tra il prezzo corrente e quello d’emissione) è sceso poco sopra lo zero. Questa tendenza dovrebbe facilitare il collocamento delle emissioni aggiuntive.

Ma la scelta dei risparmiatori, dettata dalla paura, riapre la questione del rischio Paese nel momento in cui lo Stato interviene dove i capitali privati domestici rinunciano senza più essere sostituiti da quelli delle economie emergenti e dei loro sovereign wealth funds.

Ora Morgan, con la licenza in tasca, sta cercando nuovi soccorsi a Pechino: sarà interessante valutare il prezzo e i diritti di governance che il China Investments pattuirà dopo la batosta subita al primo ingresso.
Quanto poi delle emissioni al servizio del piano non fosse accettato dai mercati, sarà fatalmente accollato alla Fed in contropartita a nuova moneta.

Il rischio Paese, dunque. Ne influenzano il livello la politica estera, la potenza militare, l’interdipendenza con l’estero che detiene il 45% del debito pubblico Usa, mentre 40 anni fa ne aveva 9 volte meno.

Il rischio America dipenderà dalla capacità di generare reddito mentre si va esaurendo la spinta ai consumi indotta dai tagli fiscali di Bush, costati 160 miliardi al bilancio federale e non più replicabili.
Ma dipenderà anche da altro.
Dall’entità del debito pubblico, per esempio.

Di quello che si vede oggi e che, con il consolidamento di Freddie & Fannie, arriva a 15 mila miliardi contro un prodotto interno lordo che quest’anno viaggia sui 14300 miliardi. E del debito pubblico che si intravede per domani a consuntivo dei salvataggi, operazioni non amate da nessuno e tuttavia necessarie a evitare che la crisi finanziaria colpisca in modo troppo radicale i fondi pensione privati, già in drammatica sofferenza, con la conseguente necessità di estendere l’ombrello pubblico alla previdenza privata. Il rischio Paese, infine, dovrebbe considerare anche la ricchezza delle famiglie.

Secondo il Bureau of economic analisys del governo americano, nel 2005 la ricchezza netta pro capite (case e risparmi meno i debiti) era pari a 176 mila dollari, più 38,2% a valori costanti rispetto al 1995.
Secondo la Banca d’Italia, sempre nel 2005 la ricchezza netta pro capite degli italiani era pari a 134 mila euro, più 47% benché il reddito sia aumentato solo in ragione di uno a tre rispetto a quello americano.
Diversi stili e obiettivi di vita? Maggior presenza in Italia di redditi non ufficiali? Vero.
Ma alla base c’è la maggior propensione americana a indebitarsi quale emerge dalla tabella sulla ricchezza delle famiglie nei diversi Paesi del G-7 (Girouard, Kennedy, André, Has the rise in debt made households more vulnerable?, Oecd working paper, 2006). E una più ineguale distribuzione del patrimonio tale per cui l’americano medio (ovvero la fascia di popolazione egualmente lontana dalle fasce più ricche e dalle più povere) dispone di una ricchezza inferiore a quella dell’italiano comparabile (Sierminska, Brandolini, Smeeding, Comparing wealth distribution across rich countries, Banca d’Italia, 2007).
Questa caratteristica americana accentua il rischio dei fallimenti.


La crisi dei mutui subprime dimostra la pericolosità delle piccole insolvenze private quando i debiti siano integrati ai piedi del castello di carte montato dalla finanza. Per questo la decisione cui fa cenno il professor Winter non è tanto semplice:
come ci si divide il dolore per la sberla?

Gli obiettivi condivisi del piano salva-banche sono due: a) impedire il tracollo dei mercati finanziari; b) minimizzare, per quanto possibile, l’onere per il contribuente.
I critici radicali ritengono che questo piano salvi dal peggio i re decaduti del mercato, ma non il mercato. Perciò propongono di trasformare i crediti in azioni e poi di chiamare i mercati a ricapitalizzare le banche sopravvissute.
I sostenitori dell’intervento, ormai vincenti al Congresso e al Senato, osservano che, essendo le banche esposte con altre banche o con soggetti a loro legati, avremmo solo una partita di giro.

Ma il piano Paulson è vago su due punti cruciali: la determinazione del prezzo dei titoli tossici e la definizione dei diritti di proprietà in capo al pagatore di ultima istanza, e cioè al contribuente.

Il governatore della Fed, Ben Bernanke, acquisterebbe i titoli al prezzo di realizzo alla scadenza che dipende dal valore futuro dei beni sottostanti: caso classico, le case per i subprime.
Nessuno sa stimare questo valore, ma tutti capiscono che il prezzo di Bernanke è più alto di quello di mercato.
La differenza serve a ricapitalizzare le banche senza fare tutti gli aumenti di capitale che servirebbero.

Ai soci delle banche e ai loro ricchi gerenti si farebbe dunque il doppio regalo di rendere liquido l’illiquido, migliorando già così i ratios patrimoniali, e di farlo a prezzo di favore.
L’iniziale crisi di liquidità è diventata una crisi di capitali a causa dell'impennata delle garanzie richieste dalle controparti.
Il regalo, se ne conclude, è obbligato.
Certo, lo Stato potrebbe sempre acquistare con una serie di aste al ribasso a sconti decrescenti sul valore facciale dei titoli tossici.
In questo modo, caldeggiato da Winter, si riduce il favore sul prezzo. Ma resta aperta la questione dei diritti di proprietà.

La buona regola vorrebbe che chi paga comanda così da assicurarsi una gestione diversa e, con il tempo, riportare a casa qualcosa.
Dati i valori in campo, il Tesoro nazionalizzerebbe il sistema bancario americano se adottasse la buona regola. Sarebbe la rivoluzione. Ma sarebbe solo una rivoluzione apparente. La classe dirigente è sempre la stessa se il segretario del Tesoro è un banchiere della Goldman Sachs in quiescenza; e il massimo consigliere economico di Barack Obama, da ministro di Clinton, abolì il Glass Steagal Act, che per mezzo secolo aveva tenuto a freno il delirio di onnipotenza dei banchieri, per poi diventare un boss di Citicorp.

Massimo Mucchetti
26 settembre 2008
 

lobotomy

Forumer attivo
tontolina ha scritto:
naturalmente per il governo del nano
Bush è un alleato importante
con azioni comuni da compiere

chi si assomiglia si piglia

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Tonty, fossi un abruzzese ti chiedere di farci qualche copia e incolla di articoli su DEL TURCO.

Sai, forse dovremmo pensarla positivo e gioire che non sia arrivato a fare il presidente del Consiglio?

Chissà tua nonna se ce l'avrebbe fatta con la pensione a pagarsi le cure mediche, chissà? :D
 

lobotomy

Forumer attivo
Cmq, su BUSH l'ho sempre detto, la penso come te.
Ma io sono intellettualmente onesto e non mi appoggio ad altri per i miei comizi di partito, forse te di Bush e di questa situazione te ne sbatti le ovaie, ma è un ottimo pretesto per colpire giù di mannaia.
Quando tocchi le tasche al mediomen, ti da sempre le ragioni che vuoi.

Questa è una grande differenza.
 

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