tontolina
Forumer storico
Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera, liquida così la faccenda: "Sono schermaglie che non dicono nulla, parole in bruxellese".
Anticipo d'autunno. Il Governo dice no a Bruxelles sulla richiesta di manovrina
Per Ecofin servono 5 mld subito, 10 nel 2019. Tria prova a resistere. Borghi all'Huffpost: "Schermaglie inutili, il mio ministro è a Roma, non a Bruxelles"
Tony Gentile / Reuters
Come un adolescente che quando la mamma minaccia una punizione se non torna entro mezzanotte reagisce pensando "vediamo che ora faccio, e poi ci pensiamo". Il governo gialloverde, pur con diversità di accenti, si è posto con lo stesso stato d'animo quando Bruxelles ha posto paletti precisi: per rispettare la tabella di marcia nel risanamento dei conti pubblici l'Italia deve garantire 5 miliardi quest'anno, dieci il prossimo.
Che, tradotto, significa una manovrina subito e il resto da inserire in legge di stabilità. E se sulla prima trance il rifiuto è netto e si spera di poter aggirare il cucuzzolo, i secondi andrebbero a sommarsi ai 13 occorrenti per disinnescare l'aumento dell'Iva, più i 2 o 3 di spese indifferibili, andando a formare una montagna di 25 miliardi di euro da trovare per la prossima finanziaria. Una vetta invalicabile per qualunque altro possibile provvedimento di spesa che Lega e Movimento 5 stelle volessero mettere in cantiere (leggasi primi passi in direzione flat tax e reddito di cittadinanza).
È l'Ecofin a sancire che "vi è il rischio di una deviazione significativa dal percorso di aggiustamento raccomandato verso l'obiettivo di bilancio a medio termine nel 2018" e chiede uno sforzo di bilancio strutturale di almeno lo 0,3% del pil per quest'anno. Aggiungendo che nel 2019, "in vista del debito/pil sopra il 60% il tasso di crescita nominale della spesa netta primaria non deve eccedere lo 0,1%, in linea con un aggiustamento strutturale dello 0,6% del pil".
Tutto ciò suscita una scrollata di spalle da parte di tutta la maggioranza di governo.
Una via di mezzo tra il rimandare decisioni potenzialmente sanguinose e ignorare le raccomandazioni Ue, innescando uno scontro dagli esiti potenzialmente imprevedibili.
È dal Carroccio che arriva la risposta più sprezzante. Parlando con l'Huffpost, Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera, liquida così la faccenda: "Sono schermaglie che non dicono nulla, parole in bruxellese". Fonti sia leghiste che pentastellate al ministero dell'Economia smentiscono seccamente che l'esecutivo possa mettere in campo una correzione dei conti, rimanendo tuttavia molto vaghi su quel che sarà il contenuto della legge di stabilità. La trincea è quella in cui si sono rifugiati ogni volta che nelle ultime settimane è emerso l'argomento: "È troppo presto per fare previsioni".
Che la questione posta all'Ecofin non sia derubricabile a mero gergo tecnocratico è però Giovanni Tria a dirlo. Il ministro dell'Economia ha confermato che via XX settembre esclude nettamente di mettere in cantiere una manovrina. "Per quanto riguarda 2018 non cambiamo gli obiettivi, si vedrà in consuntivo se abbiamo rispettato l'impegno preso con la Commissione Ue", ha spiegato, precisando che "non ci sarà nessun allargamento di bilancio e nessuna manovra correttiva, riteniamo che questo sia sufficiente a raggiungere gli obiettivi". Insomma, una sorta di vediamo che succede, senza garanzia alcuna di rispetto dei vincoli.
Tria, pur tenendo il punto, ha fatto il pompiere, ribadendo i propri ottimi rapporti di sintonia a livello comunitario, e spiegando che "il profilo della discesa del debito non sarà in discussione, discuteremo sui tempi e sul profilo dell'aggiustamento strutturale". Prefigurando di fatto una trattativa piuttosto serrata sui tanto vituperati (dalla maggioranza attuale allorché era all'opposizione) "zerovirgola", già a partire da settembre. "Il deficit, mantenendosi nella linea ribadita e già tracciata, deve tenere conto dell'andamento dell'economia", ha spiegato il ministro dell'Economia, anticipando quella che sarà la linea. Ovvero che in presenza di una congiuntura non favorevole, anche gli obblighi imposti all'Italia devono essere rivisti al ribasso.
Fonti dei 5 stelle ribadiscono che la battaglia è anche quella per scorporare almeno alcune spese per gli investimenti dal rapporto deficit/Pil, per guadagnare un po' d'aria in vista della manovra, quadrante in cui segnalano molto operoso il ministro degli Affari Ue, Paolo Savona.
Tria ha proceduto con passo felpato, sostenendo di fatto la stessa posizione: "In passato è stato concesso molto all'Italia per aumentare gli investimenti, ma poi si sono sempre ridotti nonostante la flessibilità ottenuta", quindi "credo che il centro della questione sia quello, non tanto lo 0,1 o 0,2, questo sarebbe il vero aggiustamento del bilancio italiano".
A questi, l'ex professore di Tor Vergata ha aggiunto quella per "la spesa per il controllo dei confini europei", che "ricade più su alcuni paesi e meno su altri, per questo si parla da tempo di escludere dal calcolo del deficit alcune spese che non sono discrezionali dei governi".
Certo, l'impresa che ha davanti via XX settembre sembra mastodontica. Perché, nonostante la grancassa suonata in campagna elettorale, la spesa per le misure qualificanti contenute nel programma di governo non saranno fatte in deficit. "L'implementazione del programma di governo – ha spiegato il titolare parlando del reddito di cittadinanza, stimando un costo di circa 45 miliardi di euro - viene studiata in termini di mutamento interno al bilancio della spesa, cercando di vedere quali sono gli strumenti più adatti a rispondere a certi bisogni. Le differenze politiche sono perché uno pensa che è meglio operare con certi strumenti e altri pensano che sia meglio operare con altri: lì c'è la discontinuità. Non è tra fare l'1 o il 5% di deficit: quella non è discontinuità, è irresponsabilità".
L'attenzione a non produrre nuovo debito con le misure onerose è la bussola che ha nel taschino Tria, almeno per quest'anno. E trova sponde tra gli uomini di Luigi Di Maio. Che sia lo stesso polo magnetico della Lega, è tutto da vedere. Ed è un fronte che potrebbe deflagrare con violenza già a partire da settembre. Dice Borghi: "Il mio ministro dell'Economia è a via XX settembre, non a Bruxelles". Prima ancora che con l'Unione, sarà una gatta da pelare tutta interna alle dinamiche dell'esecutivo. Prodromi di un autunno che si preannuncia tutt'altro che rilassato.
Anticipo d'autunno. Il Governo dice no a Bruxelles sulla richiesta di manovrina (di P. Salvatori e G. Cerami)
Anticipo d'autunno. Il Governo dice no a Bruxelles sulla richiesta di manovrina
Per Ecofin servono 5 mld subito, 10 nel 2019. Tria prova a resistere. Borghi all'Huffpost: "Schermaglie inutili, il mio ministro è a Roma, non a Bruxelles"
Tony Gentile / Reuters
Come un adolescente che quando la mamma minaccia una punizione se non torna entro mezzanotte reagisce pensando "vediamo che ora faccio, e poi ci pensiamo". Il governo gialloverde, pur con diversità di accenti, si è posto con lo stesso stato d'animo quando Bruxelles ha posto paletti precisi: per rispettare la tabella di marcia nel risanamento dei conti pubblici l'Italia deve garantire 5 miliardi quest'anno, dieci il prossimo.
Che, tradotto, significa una manovrina subito e il resto da inserire in legge di stabilità. E se sulla prima trance il rifiuto è netto e si spera di poter aggirare il cucuzzolo, i secondi andrebbero a sommarsi ai 13 occorrenti per disinnescare l'aumento dell'Iva, più i 2 o 3 di spese indifferibili, andando a formare una montagna di 25 miliardi di euro da trovare per la prossima finanziaria. Una vetta invalicabile per qualunque altro possibile provvedimento di spesa che Lega e Movimento 5 stelle volessero mettere in cantiere (leggasi primi passi in direzione flat tax e reddito di cittadinanza).
È l'Ecofin a sancire che "vi è il rischio di una deviazione significativa dal percorso di aggiustamento raccomandato verso l'obiettivo di bilancio a medio termine nel 2018" e chiede uno sforzo di bilancio strutturale di almeno lo 0,3% del pil per quest'anno. Aggiungendo che nel 2019, "in vista del debito/pil sopra il 60% il tasso di crescita nominale della spesa netta primaria non deve eccedere lo 0,1%, in linea con un aggiustamento strutturale dello 0,6% del pil".
Tutto ciò suscita una scrollata di spalle da parte di tutta la maggioranza di governo.
Una via di mezzo tra il rimandare decisioni potenzialmente sanguinose e ignorare le raccomandazioni Ue, innescando uno scontro dagli esiti potenzialmente imprevedibili.
È dal Carroccio che arriva la risposta più sprezzante. Parlando con l'Huffpost, Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera, liquida così la faccenda: "Sono schermaglie che non dicono nulla, parole in bruxellese". Fonti sia leghiste che pentastellate al ministero dell'Economia smentiscono seccamente che l'esecutivo possa mettere in campo una correzione dei conti, rimanendo tuttavia molto vaghi su quel che sarà il contenuto della legge di stabilità. La trincea è quella in cui si sono rifugiati ogni volta che nelle ultime settimane è emerso l'argomento: "È troppo presto per fare previsioni".
Che la questione posta all'Ecofin non sia derubricabile a mero gergo tecnocratico è però Giovanni Tria a dirlo. Il ministro dell'Economia ha confermato che via XX settembre esclude nettamente di mettere in cantiere una manovrina. "Per quanto riguarda 2018 non cambiamo gli obiettivi, si vedrà in consuntivo se abbiamo rispettato l'impegno preso con la Commissione Ue", ha spiegato, precisando che "non ci sarà nessun allargamento di bilancio e nessuna manovra correttiva, riteniamo che questo sia sufficiente a raggiungere gli obiettivi". Insomma, una sorta di vediamo che succede, senza garanzia alcuna di rispetto dei vincoli.
Tria, pur tenendo il punto, ha fatto il pompiere, ribadendo i propri ottimi rapporti di sintonia a livello comunitario, e spiegando che "il profilo della discesa del debito non sarà in discussione, discuteremo sui tempi e sul profilo dell'aggiustamento strutturale". Prefigurando di fatto una trattativa piuttosto serrata sui tanto vituperati (dalla maggioranza attuale allorché era all'opposizione) "zerovirgola", già a partire da settembre. "Il deficit, mantenendosi nella linea ribadita e già tracciata, deve tenere conto dell'andamento dell'economia", ha spiegato il ministro dell'Economia, anticipando quella che sarà la linea. Ovvero che in presenza di una congiuntura non favorevole, anche gli obblighi imposti all'Italia devono essere rivisti al ribasso.
Fonti dei 5 stelle ribadiscono che la battaglia è anche quella per scorporare almeno alcune spese per gli investimenti dal rapporto deficit/Pil, per guadagnare un po' d'aria in vista della manovra, quadrante in cui segnalano molto operoso il ministro degli Affari Ue, Paolo Savona.
Tria ha proceduto con passo felpato, sostenendo di fatto la stessa posizione: "In passato è stato concesso molto all'Italia per aumentare gli investimenti, ma poi si sono sempre ridotti nonostante la flessibilità ottenuta", quindi "credo che il centro della questione sia quello, non tanto lo 0,1 o 0,2, questo sarebbe il vero aggiustamento del bilancio italiano".
A questi, l'ex professore di Tor Vergata ha aggiunto quella per "la spesa per il controllo dei confini europei", che "ricade più su alcuni paesi e meno su altri, per questo si parla da tempo di escludere dal calcolo del deficit alcune spese che non sono discrezionali dei governi".
Certo, l'impresa che ha davanti via XX settembre sembra mastodontica. Perché, nonostante la grancassa suonata in campagna elettorale, la spesa per le misure qualificanti contenute nel programma di governo non saranno fatte in deficit. "L'implementazione del programma di governo – ha spiegato il titolare parlando del reddito di cittadinanza, stimando un costo di circa 45 miliardi di euro - viene studiata in termini di mutamento interno al bilancio della spesa, cercando di vedere quali sono gli strumenti più adatti a rispondere a certi bisogni. Le differenze politiche sono perché uno pensa che è meglio operare con certi strumenti e altri pensano che sia meglio operare con altri: lì c'è la discontinuità. Non è tra fare l'1 o il 5% di deficit: quella non è discontinuità, è irresponsabilità".
L'attenzione a non produrre nuovo debito con le misure onerose è la bussola che ha nel taschino Tria, almeno per quest'anno. E trova sponde tra gli uomini di Luigi Di Maio. Che sia lo stesso polo magnetico della Lega, è tutto da vedere. Ed è un fronte che potrebbe deflagrare con violenza già a partire da settembre. Dice Borghi: "Il mio ministro dell'Economia è a via XX settembre, non a Bruxelles". Prima ancora che con l'Unione, sarà una gatta da pelare tutta interna alle dinamiche dell'esecutivo. Prodromi di un autunno che si preannuncia tutt'altro che rilassato.
Anticipo d'autunno. Il Governo dice no a Bruxelles sulla richiesta di manovrina (di P. Salvatori e G. Cerami)