Aikman
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Oggi sul Corriere e' uscito un articolo a firma DeBortoli che fa veramente pensare. Evidentemente DeBortoli e' convinto che i suoi giorni come direttore sono contati.
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E ADESSO TOCCA AL CORRIERE DELLA SERA
Ferruccio de Bortoli per il Corriere della Sera
Mai avremmo pensato di commentare una giornata così. Ci proviamo con l'avvertenza al lettore che stiamo parlando della quasi totalità degli azionisti di questo giornale. Dunque, la famiglia Agnelli (in particolare Umberto) vorrebbe liquidare, d'accordo con Mediobanca, il presidente della Fiat Fresco e l'amministratore delegato Galateri, responsabili (ma non solo loro) di un disastro industriale per il quale stanno pagando anche migliaia di lavoratori.
L'azienda smentisce che oggi accada qualcosa, ma la manovra è in atto. Nessuno pensava che dopo l'irrituale uscita di Berlusconi alla presentazione del libro di Bruno Vespa («Se la Fiat avesse un management capace...») i due potessero rimanere al loro posto ancora a lungo. Quello schiaffo, l'abbiamo già detto, a Torino se lo sono meritato. Questo accade quando si va ad Arcore a chiedere l'aiuto dello Stato. Ma, prima domanda, l'esternazione del Cavaliere era profetica o il premier sapeva già come sarebbe andata a finire? E, seconda domanda, l'accordo separato fra Fiat e governo aveva questo esito, peraltro ancora incerto, come patto a latere non scritto? Oppure no, come lascerebbe supporre una certa irritazione alle notizie di ieri sera manifestata dal ministro del Tesoro, Tremonti? E, ancora, viene da chiedersi cos'abbia a che vedere tutto ciò con le ipotesi di un nuovo accordo internazionale con Volkswagen (includerebbe Ferrari e Alfa) o di una cordata di imprenditori italiani che si candiderebbe a entrare (insieme allo Stato?) nel capitale Fiat, e con i rumor , tanto per cambiare, sulla possibile destinazione della quota Fiat in Hdp (la holding che controlla il Corriere). Le voci delle dimissioni al vertice Fiat hanno scatenato la reazione delle banche creditrici che accusano senza mezzi termini la famiglia di disporre (con i loro soldi) del futuro dell'azienda, d'accordo con Mediobanca che già aveva acquistato, con un colpo a sorpresa, il 34% della Ferrari. Gli istituti di credito premono su Fresco e Galateri perché non si dimettano e contrastano l'ipotesi della loro sostituzione con Gianluigi Gabetti alla presidenza ed Enrico Bondi come amministratore delegato, frutto, si dice, di un'intesa fra Umberto Agnelli e Vincenzo Maranghi, amministratore delegato di Mediobanca. Lo stesso Governatore della Banca d'Italia, Fazio, avrebbe telefonato ieri sera ai due «dimissionari» invitandoli a resistere. E' possibile che oggi venga chiesto all'azionista Ifi e Ifil (che ha oltre il 30%), e cioè a Umberto Agnelli, di rendere esplicita durante un consiglio Fiat, ordinario solo nella forma, la sua volontà di ribaltare i vertici.
Al di là delle persone coinvolte, tutte rispettabili e di valore, un sistema industriale e finanziario come il nostro, già avviato al declino, non ha certo bisogno di un'altra guerra intestina come questa. I destini delle aziende, il patrimonio di valori (e lavoro) che custodiscono, sembrano contare assai poco. Prevalgono strategie di potere che sempre più di frequente si intrecciano con la politica, a dispetto delle privatizzazioni compiute, logiche personali e familiari che sacrificano azionisti di minoranza e interessi comuni del Paese. La Fiat è solo uno dei terreni di scontro, gli altri sono la stessa Mediobanca e, in prospettiva, le Generali, la partita più importante, la partita finale. In mezzo, incidentalmente, c'è il futuro del Paese, i suoi posti di lavoro e anche, se è consentito, un po' della sua libertà.
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Repubblica spiega piu' in dettaglio i retroscena.
Domenica sera a Villa Frescot: il benservito dell'Avvocato
Enrico Romagna-Manoja per la Repubblica
Le prime avvisaglie dell'uragano che stava per piombargli addosso Gabriele Galateri di Genola da nemmeno cinque mesi amministratore delegato della Fiat le aveva avute sabato scorso: in quel tranquillo pomeriggio torinese, Umberto Agnelli lo aveva chiamato in corso Matteotti, la sede dell'Ifi dove Galateri e il presidente della finanziaria di famiglia avevano lavorato gomito a gomito, con gli uffici a pochi passi uno dall'altro, per oltre 15 anni. Galateri, reduce dalla settimana di fuoco che aveva portato la Fiat a partire con la cassa integrazione dopo la rottura dell'incontro tra governo e sindacati, aveva lasciato il Lingotto senza immaginare che stava per ricevere il preavviso di licenziamento dall'uomo di cui era stato il più fedele dei collaboratori.
Umberto lo accoglie con una freddezza inconsueta e gli dice: "Caro Galateri, lei ci ha detto più volte di essere sfinito per l'incarico che le abbiamo chiesto di accettare. Volevo dirle che abbiamo trovato il suo sostituto e che quindi lei può lasciare la carica di amministratore delegato della Fiat...". Galateri - racconta chi gli ha parlato - trasecola: "Ma come - dice - siete stati voi a costringermi, per il bene del gruppo, ad accettare di succedere a Paolo Cantarella. Io ho sempre detto che sarei rimasto in Fiat a lungo solo con lei come presidente. Ma ora devo completare il piano che ho appena avviato. Non più tardi di ieri mi avete mandato in televisione a parlare del futuro della Fiat davanti a milioni di italiani... Mi serve tempo fino a febbraio-marzo per condurre in porto le trattative con la General Motors...". Umberto appare irremovibile e rincara anche la dose quando fa capire a Galateri non solo che non potrà tornare in Ifi ma che dovrà anche lasciare l'accomandita, la cassaforte della famiglia Agnelli di cui è uno dei pochi soci esterni al clan. Galateri - racconta chi gli è stato vicino nell'infernale giornata di ieri - se ne va sconvolto e pieno di dubbi: cosa può essere successo perché il Dottore gli abbia dato in modo così brutale il benservito a pochi giorni da quella che sembrava una clamorosa gaffe del presidente del Consiglio sul management della Fiat da cambiare e che appare oggi sotto tutt'altra luce?
Domenica, una doppia conferma. Galateri parla di nuovo con Umberto in mattinata e poi chiama l'Avvocato che gli dice di non sapere nulla di cambiamenti al vertice. E aggiunge: "Devo vedere mio fratello alle 17, poi la vedrò a cena a casa mia come ogni domenica e lì chiariremo tutto". Quando, insieme alla moglie Evelina, si presenta alle 20 a Villa Frescot, l'abitazione di Gianni Agnelli sulle colline torinesi, Galateri vi trova anche Lapo Elkann. L'Avvocato non sta bene e il maggiordomo, il fido Brunetto, chiede a Galateri di accomodarsi al piano superiore. Ed è lì, in quello studio marrone in pelle e in legno, con i divani sdruciti che sorprendono sempre gli ospiti, che si consuma la rottura. In pochi minuti, Agnelli conferma a Galateri che la decisione è stata presa: al posto suo e di Paolo Fresco arriveranno Enrico Bondi e Gianluigi Gabetti. "Mi dispiace - dice in sostanza l'Avvocato - ma non possiamo aspettare oltre. C'è un consiglio d'amministrazione e poi, la prossima settimana, la tradizionale riunione di fine anno con tutti i manager del gruppo. Dobbiamo procedere". I Galateri, a quel punto, lasciano Villa Frescot. C'è perfino chi racconta di una Marella Agnelli in lacrime per il dramma umano svoltosi sotto i suoi occhi. La tavola apparecchiata resta deserta.
La macchina burocratica che doveva portare all'ennesimo ribaltone al vertice Fiat (dopo l'uscita di Roberto Testore da Fiat Auto un anno fa e quella di Paolo Cantarella dalla guida operativa del gruppo a giugno) intanto si era messa in moto. Il consiglio d'amministrazione ordinario da tempo previsto per oggi non avrebbe fatto in tempo a formalizzare le dimissioni o il licenziamento dei due manager per cui si era dato mandato all'avvocato Franzo Grande Stevens di tenersi pronto per un consiglio straordinario da convocare per il giorno successivo. A Paolo Fresco - racconta chi ha vissuto ieri la drammatica giornata del Lingotto - comunicano il nome del suo successore soltanto nel pomeriggio di ieri, chiedendogli le dimissioni scritte. Fresco - dicono - va su tutte le furie e, forte dell'appoggio delle banche creditrici dalle quali provengono venti di battaglia, risponde: "Io non mi dimetto di certo, se volete dovete cacciarmi".
Che cosa ha portato in pochi giorni ad un ribaltamento di queste proporzioni nei rapporti tra la famiglia ed il management Fiat? Come in tutti i casi di rotture traumatiche, ognuno dice la sua. C'è chi sostiene che Galateri era sull'orlo di un esaurimento nervoso e aveva più volte chiesto agli Agnelli di lasciare l'incarico; c'è chi dice che non voleva firmare il prossimo bilancio Fiat; c'è chi racconta che i suoi rapporti con Fresco non fossero tra i più sereni... "In realtà - è la spiegazione di un manager che ha seguito tutta la vicenda - le cose sono molto più semplici: Fresco e Galateri sono stati immolati sull'altare di un accordo stretto tra Umberto Agnelli, sempre più in sella al gruppo dopo la malattia del fratello, Mediobanca e il governo. Basti pensare che l'amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Vincenzo Maranghi, è stato due volte a Torino negli ultimi giorni. Umberto - racconta la stessa fonte - va in giro dicendo che lui non si metterebbe mai nelle mani di Mediobanca e che aveva pensato anche a Corrado Passera e a Paolo Scaroni per il posto di amministratore delegato della Fiat. Fatto sta che ha scelto, Enrico Bondi, un uomo che negli ultimi anni ha preso ordini solo da Piazzetta Cuccia e questo la dice lunga".
"Vi siete domandati - aggiunge il manager - come mai in pochi giorni Berlusconi dà il benservito al management Fiat, Montezemolo dà le pagelle a 360 gradi alla classe dirigente italiana e Della Valle si fa avanti per rilevare le quote Fiat in Hdp, la società che controlla il Corriere della Sera? Fate due conti e vedrete che un filo rosso che tiene tutto insieme...".
Cosa succederà adesso all'accordo con gli americani? La rinegoziazione dell'intesa condotta da Fresco e Galateri sarebbe in realtà arrivata in una fase molto avanzata che il nuovo management del Lingotto non dovrebbe avere difficoltà a condurre in porto. Lo scenario prevede la rinuncia, da parte torinese, del put a carico della GM in cambio dell'uscita dell'Alfa Romeo da Fiat Auto. L'Alfa - secondo questo scenario - verrebbe accorpata al nascente polo dell'auto di lusso (con Ferrari e Maserati) la cui maggioranza resterebbe in mani italiane ma con un forte partner industriale, la Volkswagen. Per il resto della Fiat Auto, senza più l'assillo del put, il colosso di Detroit avrebbe un paio d'anni di tempo per organizzare la fusione con l'Opel. E quel giorno della Fiat di oggi resterebbe ben poca cosa.
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Infine da Radiocor:
"dal fronte delle banche creditrici del gruppo Fiat emerge un commento anonimo che suona come una dichiarazione di battaglia: "Impediremo a Umberto Agnelli e a Maranghi di fare un ribaltone con i nostri soldi". "
Aik
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E ADESSO TOCCA AL CORRIERE DELLA SERA
Ferruccio de Bortoli per il Corriere della Sera
Mai avremmo pensato di commentare una giornata così. Ci proviamo con l'avvertenza al lettore che stiamo parlando della quasi totalità degli azionisti di questo giornale. Dunque, la famiglia Agnelli (in particolare Umberto) vorrebbe liquidare, d'accordo con Mediobanca, il presidente della Fiat Fresco e l'amministratore delegato Galateri, responsabili (ma non solo loro) di un disastro industriale per il quale stanno pagando anche migliaia di lavoratori.
L'azienda smentisce che oggi accada qualcosa, ma la manovra è in atto. Nessuno pensava che dopo l'irrituale uscita di Berlusconi alla presentazione del libro di Bruno Vespa («Se la Fiat avesse un management capace...») i due potessero rimanere al loro posto ancora a lungo. Quello schiaffo, l'abbiamo già detto, a Torino se lo sono meritato. Questo accade quando si va ad Arcore a chiedere l'aiuto dello Stato. Ma, prima domanda, l'esternazione del Cavaliere era profetica o il premier sapeva già come sarebbe andata a finire? E, seconda domanda, l'accordo separato fra Fiat e governo aveva questo esito, peraltro ancora incerto, come patto a latere non scritto? Oppure no, come lascerebbe supporre una certa irritazione alle notizie di ieri sera manifestata dal ministro del Tesoro, Tremonti? E, ancora, viene da chiedersi cos'abbia a che vedere tutto ciò con le ipotesi di un nuovo accordo internazionale con Volkswagen (includerebbe Ferrari e Alfa) o di una cordata di imprenditori italiani che si candiderebbe a entrare (insieme allo Stato?) nel capitale Fiat, e con i rumor , tanto per cambiare, sulla possibile destinazione della quota Fiat in Hdp (la holding che controlla il Corriere). Le voci delle dimissioni al vertice Fiat hanno scatenato la reazione delle banche creditrici che accusano senza mezzi termini la famiglia di disporre (con i loro soldi) del futuro dell'azienda, d'accordo con Mediobanca che già aveva acquistato, con un colpo a sorpresa, il 34% della Ferrari. Gli istituti di credito premono su Fresco e Galateri perché non si dimettano e contrastano l'ipotesi della loro sostituzione con Gianluigi Gabetti alla presidenza ed Enrico Bondi come amministratore delegato, frutto, si dice, di un'intesa fra Umberto Agnelli e Vincenzo Maranghi, amministratore delegato di Mediobanca. Lo stesso Governatore della Banca d'Italia, Fazio, avrebbe telefonato ieri sera ai due «dimissionari» invitandoli a resistere. E' possibile che oggi venga chiesto all'azionista Ifi e Ifil (che ha oltre il 30%), e cioè a Umberto Agnelli, di rendere esplicita durante un consiglio Fiat, ordinario solo nella forma, la sua volontà di ribaltare i vertici.
Al di là delle persone coinvolte, tutte rispettabili e di valore, un sistema industriale e finanziario come il nostro, già avviato al declino, non ha certo bisogno di un'altra guerra intestina come questa. I destini delle aziende, il patrimonio di valori (e lavoro) che custodiscono, sembrano contare assai poco. Prevalgono strategie di potere che sempre più di frequente si intrecciano con la politica, a dispetto delle privatizzazioni compiute, logiche personali e familiari che sacrificano azionisti di minoranza e interessi comuni del Paese. La Fiat è solo uno dei terreni di scontro, gli altri sono la stessa Mediobanca e, in prospettiva, le Generali, la partita più importante, la partita finale. In mezzo, incidentalmente, c'è il futuro del Paese, i suoi posti di lavoro e anche, se è consentito, un po' della sua libertà.
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Repubblica spiega piu' in dettaglio i retroscena.
Domenica sera a Villa Frescot: il benservito dell'Avvocato
Enrico Romagna-Manoja per la Repubblica
Le prime avvisaglie dell'uragano che stava per piombargli addosso Gabriele Galateri di Genola da nemmeno cinque mesi amministratore delegato della Fiat le aveva avute sabato scorso: in quel tranquillo pomeriggio torinese, Umberto Agnelli lo aveva chiamato in corso Matteotti, la sede dell'Ifi dove Galateri e il presidente della finanziaria di famiglia avevano lavorato gomito a gomito, con gli uffici a pochi passi uno dall'altro, per oltre 15 anni. Galateri, reduce dalla settimana di fuoco che aveva portato la Fiat a partire con la cassa integrazione dopo la rottura dell'incontro tra governo e sindacati, aveva lasciato il Lingotto senza immaginare che stava per ricevere il preavviso di licenziamento dall'uomo di cui era stato il più fedele dei collaboratori.
Umberto lo accoglie con una freddezza inconsueta e gli dice: "Caro Galateri, lei ci ha detto più volte di essere sfinito per l'incarico che le abbiamo chiesto di accettare. Volevo dirle che abbiamo trovato il suo sostituto e che quindi lei può lasciare la carica di amministratore delegato della Fiat...". Galateri - racconta chi gli ha parlato - trasecola: "Ma come - dice - siete stati voi a costringermi, per il bene del gruppo, ad accettare di succedere a Paolo Cantarella. Io ho sempre detto che sarei rimasto in Fiat a lungo solo con lei come presidente. Ma ora devo completare il piano che ho appena avviato. Non più tardi di ieri mi avete mandato in televisione a parlare del futuro della Fiat davanti a milioni di italiani... Mi serve tempo fino a febbraio-marzo per condurre in porto le trattative con la General Motors...". Umberto appare irremovibile e rincara anche la dose quando fa capire a Galateri non solo che non potrà tornare in Ifi ma che dovrà anche lasciare l'accomandita, la cassaforte della famiglia Agnelli di cui è uno dei pochi soci esterni al clan. Galateri - racconta chi gli è stato vicino nell'infernale giornata di ieri - se ne va sconvolto e pieno di dubbi: cosa può essere successo perché il Dottore gli abbia dato in modo così brutale il benservito a pochi giorni da quella che sembrava una clamorosa gaffe del presidente del Consiglio sul management della Fiat da cambiare e che appare oggi sotto tutt'altra luce?
Domenica, una doppia conferma. Galateri parla di nuovo con Umberto in mattinata e poi chiama l'Avvocato che gli dice di non sapere nulla di cambiamenti al vertice. E aggiunge: "Devo vedere mio fratello alle 17, poi la vedrò a cena a casa mia come ogni domenica e lì chiariremo tutto". Quando, insieme alla moglie Evelina, si presenta alle 20 a Villa Frescot, l'abitazione di Gianni Agnelli sulle colline torinesi, Galateri vi trova anche Lapo Elkann. L'Avvocato non sta bene e il maggiordomo, il fido Brunetto, chiede a Galateri di accomodarsi al piano superiore. Ed è lì, in quello studio marrone in pelle e in legno, con i divani sdruciti che sorprendono sempre gli ospiti, che si consuma la rottura. In pochi minuti, Agnelli conferma a Galateri che la decisione è stata presa: al posto suo e di Paolo Fresco arriveranno Enrico Bondi e Gianluigi Gabetti. "Mi dispiace - dice in sostanza l'Avvocato - ma non possiamo aspettare oltre. C'è un consiglio d'amministrazione e poi, la prossima settimana, la tradizionale riunione di fine anno con tutti i manager del gruppo. Dobbiamo procedere". I Galateri, a quel punto, lasciano Villa Frescot. C'è perfino chi racconta di una Marella Agnelli in lacrime per il dramma umano svoltosi sotto i suoi occhi. La tavola apparecchiata resta deserta.
La macchina burocratica che doveva portare all'ennesimo ribaltone al vertice Fiat (dopo l'uscita di Roberto Testore da Fiat Auto un anno fa e quella di Paolo Cantarella dalla guida operativa del gruppo a giugno) intanto si era messa in moto. Il consiglio d'amministrazione ordinario da tempo previsto per oggi non avrebbe fatto in tempo a formalizzare le dimissioni o il licenziamento dei due manager per cui si era dato mandato all'avvocato Franzo Grande Stevens di tenersi pronto per un consiglio straordinario da convocare per il giorno successivo. A Paolo Fresco - racconta chi ha vissuto ieri la drammatica giornata del Lingotto - comunicano il nome del suo successore soltanto nel pomeriggio di ieri, chiedendogli le dimissioni scritte. Fresco - dicono - va su tutte le furie e, forte dell'appoggio delle banche creditrici dalle quali provengono venti di battaglia, risponde: "Io non mi dimetto di certo, se volete dovete cacciarmi".
Che cosa ha portato in pochi giorni ad un ribaltamento di queste proporzioni nei rapporti tra la famiglia ed il management Fiat? Come in tutti i casi di rotture traumatiche, ognuno dice la sua. C'è chi sostiene che Galateri era sull'orlo di un esaurimento nervoso e aveva più volte chiesto agli Agnelli di lasciare l'incarico; c'è chi dice che non voleva firmare il prossimo bilancio Fiat; c'è chi racconta che i suoi rapporti con Fresco non fossero tra i più sereni... "In realtà - è la spiegazione di un manager che ha seguito tutta la vicenda - le cose sono molto più semplici: Fresco e Galateri sono stati immolati sull'altare di un accordo stretto tra Umberto Agnelli, sempre più in sella al gruppo dopo la malattia del fratello, Mediobanca e il governo. Basti pensare che l'amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Vincenzo Maranghi, è stato due volte a Torino negli ultimi giorni. Umberto - racconta la stessa fonte - va in giro dicendo che lui non si metterebbe mai nelle mani di Mediobanca e che aveva pensato anche a Corrado Passera e a Paolo Scaroni per il posto di amministratore delegato della Fiat. Fatto sta che ha scelto, Enrico Bondi, un uomo che negli ultimi anni ha preso ordini solo da Piazzetta Cuccia e questo la dice lunga".
"Vi siete domandati - aggiunge il manager - come mai in pochi giorni Berlusconi dà il benservito al management Fiat, Montezemolo dà le pagelle a 360 gradi alla classe dirigente italiana e Della Valle si fa avanti per rilevare le quote Fiat in Hdp, la società che controlla il Corriere della Sera? Fate due conti e vedrete che un filo rosso che tiene tutto insieme...".
Cosa succederà adesso all'accordo con gli americani? La rinegoziazione dell'intesa condotta da Fresco e Galateri sarebbe in realtà arrivata in una fase molto avanzata che il nuovo management del Lingotto non dovrebbe avere difficoltà a condurre in porto. Lo scenario prevede la rinuncia, da parte torinese, del put a carico della GM in cambio dell'uscita dell'Alfa Romeo da Fiat Auto. L'Alfa - secondo questo scenario - verrebbe accorpata al nascente polo dell'auto di lusso (con Ferrari e Maserati) la cui maggioranza resterebbe in mani italiane ma con un forte partner industriale, la Volkswagen. Per il resto della Fiat Auto, senza più l'assillo del put, il colosso di Detroit avrebbe un paio d'anni di tempo per organizzare la fusione con l'Opel. E quel giorno della Fiat di oggi resterebbe ben poca cosa.
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Infine da Radiocor:
"dal fronte delle banche creditrici del gruppo Fiat emerge un commento anonimo che suona come una dichiarazione di battaglia: "Impediremo a Umberto Agnelli e a Maranghi di fare un ribaltone con i nostri soldi". "
Aik