Avete sentito parlare di BITCOIN? (2 lettori)

tontolina

Forumer storico
USA, nuova tassa su Bitcoin e scambi tra criptovalute
Fino a oggi il trading di criptovalute all'interno degli exchange è stato un territorio deregolato, in grado di offrire grandi profitti e grandi rischi. Gli Stati Uniti introducono una nuova normativa fiscale che rende un po' meno selvaggio, ma anche meno attraente, l'investimento in criptovalute.
di Valerio Porcu @ValerioPorcu
22 Dicembre 2017, 11:30
(Fonte Bloomberg)


Il governo statunitense è sul punto di imporre una nuova tassa sulle criptovalute. In particolare, la nuova normativa prevede una tassazione sugli scambi tra criptovalute. Si andrebbe ad aggiungere alle tasse già applicate oggi, che si pagano al momento della cosiddetta "exit" cioè quando si convertono le criptovalute in valuta FIAT (dollari nel caso specifico).

Con la nuova norma USA, invece, si andrebbe a pagare anche sui profitti ottenuti, per esempio, passando da BTC a Monero e poi di nuovo a BTC. Profitti che possono essere anche molto sostanziosi, come sapranno i lettori che hanno un po' di esperienza nel trading di criptovalute.

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"La legge è una brutta notizia" ha commentato un avvocato fiscale sentito da Bloomberg. "Ogni volta che si scambia una valuta digitale con un'altra, un token per un altro, sarà un evento tassabile". Secondo Brian Kristiansen, partner di una società specializzata, questo però non fermerà gli investitori.

La novità sarà effettiva dal prossimo primo gennaio. Da quel giorno gli exchange, i siti che offrono servizi di scambio tra criptovalute, saranno tenuti ad applicare le nuove tasse - almeno quelli in territorio USA e per i clienti statunitensi.

Questo nuovo approccio è possibile perché per il fisco statunitense le criptovalute sono proprietà e non denaro, ai fini fiscali. E come proprietà sono soggette alla tassazione sui guadagni da capitale - più o meno come in Italia paghiamo tasse su terreni e immobili. La nuova normativa, dunque, cerca di regolare e tassare "scambi tra proprietà" e i profitti derivanti. Una materia, dal punto di vista fiscale, piuttosto complessa.

Nell'insieme la novità renderà la vita un po' più difficile agli investitori statunitensi, ed è lecito supporre che la nuova tassazione spingerà molti ad abbandonare le criptovalute. Se e come questo avrà ripercussioni sul mercato globale, o se altri paesi seguiranno l'esempio USA, resta da vedere.

Potenzialmente una brutta notizia, ma d'altra parte "una regolazione più definita significherà che gli asset digitali saranno più facilmente accettati", sostiene Ryan Losi della società di consulenza PIASIK. "Questo sistema di pagamento diventa più anziano e più diffuso, più scalabile, e finirà per essere regolato", continua Losi. "Sempre più persone arriveranno ad accettarlo e a sostenerlo, anche se per natura è molto speculativo".

Secondo quest'ultima opinione, dunque, sarebbe un ulteriore passo verso la maturità. Una regolamentazione fiscale completa indicherebbe che le criptovalute sono più vicine a una generica accettazione da parte di cittadini e istituzioni - proprio perché questo mondo sembrerebbe un po' meno un Far West senza regole.

Sul lato opposto della barricata troviamo invece quelle persone che credono nelle criptovalute non come strumenti speculativi, ma come un nuovo oggetto tecnologico con il potenziale per rendere superflui Stati e banche centrali. Per chi è di questa opinione, probabilmente, il nuovo regolamento fiscale non è affatto gradito.
 

tontolina

Forumer storico
Effetto leva, così il successo dei bitcoin può diventare la nuova bolla sistemica
Pubblicato il 18 dicembre 2017 in Articoli/Economia & Mercato
Nei derivati sulle materie prime è chiaro chi è il venditore naturale. Con le criptovalute invece no

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano


Per il bitcoin, l’inizio delle contrattazioni su due borse futures statunitensi dovrebbe segnare un momento di maturità, l’ingresso ufficiale nel novero degli strumenti finanziari scambiati su mercati regolamentati. In astratto, si potrebbe ritenere che la quotazione su mercati a termine rappresenti anche uno stabilizzatore delle quotazioni della criptovaluta, che negli ultimi mesi hanno conosciuto un andamento esplosivo che raffigura plasticamente un momento di isteria collettiva.


Ma le cose non sono così semplici: le banche che partecipano alla cassa di compensazione delle due borse futures hanno sollevato dubbi e resistenze. Il motivo è da ricercare nel fatto che i contratti a termine hanno senso se esistono compratori e venditori “naturali” dello strumento. Ad esempio, nel caso delle materie prime, il venditore naturale a termine è il produttore, che punta a garantirsi prevedibilità dei futuri flussi di reddito.

Nel caso del bitcoin, non esiste venditore naturale immediatamente identificabile. Per questo le banche manifestano perplessità: temono che, in presenza di flussi unidirezionali (quelli degli acquirenti), che vanno a leva, muovendo più soldi di quelli effettivamente impegnati nel contratto, si possa giungere a crack di vasta portata, le cui perdite ricadrebbero sulle banche partecipanti alla cassa di compensazione.

Per ora i margini iniziali su futures sono stati fissati a livello piuttosto elevato (circa il 40% del valore del contratto), limitando fortemente l’effetto di leva finanziaria. Stante la sinora limitata capitalizzazione delle criptovalute circolanti, il problema per la stabilità del sistema finanziario ancora non si pone, ma potrebbe divenire attuale proprio col ricorso massiccio alla leva finanziaria consentito dai futures. Il collasso di quotazioni gonfiate costringerebbe le banche centrali ad iniettare liquidità di emergenza nel sistema finanziario, per evitare la ripetizione della grande crisi degli scorsi anni.

Gli istituti di emissione hanno sin qui mostrato un atteggiamento di cautela verso le criptovalute, fatto di ammonimenti ma anche di analisi delle dinamiche economiche e finanziarie da esse indotte. Alcuni osservatori teorizzano la discesa in campo delle banche centrali, mediante emissione di criptovalute nazionali, per gestire e normalizzare il fenomeno.

Ma emettere “bitcoin di Stato” significa connettere i privati direttamente alle riserve delle banche centrali. Se da un lato ciò attrae chi teorizza di liberarsi dell’intermediazione delle banche commerciali e del sistema di riserva frazionaria e quanti sognano di avere banche centrali che creano moneta “al bisogno” o stimolano l’economia imponendo tassi negativi resi più efficaci dalla scomparsa del contante, dall’altro accentua l’instabilità del sistema finanziario, perché agevolerebbe le corse agli sportelli di banche commerciali in difficoltà, i cui clienti sposterebbero depositi verso la banca centrale con un click.

 

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