aumento tassazione capital gain, news e suggerimenti (1 Viewer)

fo64

Forumer storico
Riporto dal sito www.lavoce.info:


Tutto (o quasi) quello che vorreste sapere sulla tassazione delle attività finanziarie

di Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra


In questi giorni vi sono state roventi polemiche sul futuro della tassazione delle attività finanziarie, ma spesso l’informazione è stata parziale o fuorviante. Proviamo a rispondere alle domande più frequenti e sfatare alcuni luoghi comuni.


I redditi di capitale sono tassati oggi in Italia? Come?

I redditi di capitale e diversi (interessi, dividendi e plusvalenze) percepiti da un normale risparmiatore (una persona fisica che non esercita attività di impresa) sono già oggi tassati nel nostro paese, ma con aliquote diverse. Sui depositi e conti correnti bancari e postali e sulle obbligazioni private con scadenza inferiore a diciotto mesi vi è una imposta sostitutiva dell’Irpef, prelevata alla fonte con l’aliquota del 27 per cento. Sugli interessi sui titoli del debito pubblico, sui buoni postali e sulle obbligazioni con scadenza superiore a diciotto mesi, l’aliquota è invece il 12,5 per cento. La stessa aliquota è applicata anche ai dividendi e a tutte le plusvalenze, purché, nel caso di dividendi e plusvalenze azionarie, l’azionista non detenga partecipazioni qualificate (in caso contrario una quota, pari al 40 per cento del loro valore è tassata in Irpef). L’aliquota del 12,5 per cento è applicata al risultato netto di gestione dei fondi comuni e delle gestioni patrimoniali.



Vi sono buoni motivi per cambiare la tassazione delle attività finanziarie?

La presenza di due aliquote non ha alcuna giustificazione razionale, né sotto il profilo dell’equità (perché chi ha interessi da depositi bancari o postali dovrebbe pagare di più di chi detiene obbligazioni?), né dal punto di vista dell’efficiente funzionamento del mercato (la tassazione non dovrebbe interferire sulle scelte finanziarie degli individui, che dovrebbero essere guidate solo dalla convenienza economica).
I motivi per unificare il tutto in un’unica aliquota non sono tanto quelli di recuperare gettito, quanto quelli di rendere più coerente e razionale il sistema di imposizione diretta dei redditi.



Quale sarebbe il livello ottimale per un’aliquota unica sui redditi finanziari?

Non vi è un livello ottimale. La scelta va fatta tenendo conto del tipo di sistema impositivo che si vuole adottare. Se si volesse adottare, ad esempio, un’imposizione non sul reddito ma sul consumo (“imposta sul reddito spesa”), tema spesso dibattuto nella letteratura economica, i redditi di capitale dovrebbero essere esentati. Nessun paese si è mosso però finora in questa direzione.
I redditi di capitale sono spesso tassati con regimi proporzionali, fuori dal regime progressivo che grava sui redditi di lavoro. Mediamente quindi sono meno tassati rispetto ai redditi di lavoro.
La scelta di una aliquota intermedia, fra le due attualmente esistenti (12,5% e 27%) è motivata dalla volontà di ridurre la distanza fra il prelievo sui redditi finanziari, da un lato, e quello sui redditi di lavoro (tassati con le aliquote Irpef dal 23 al 43 per cento) e delle società di capitali (tassati con l’Ires al 33 per cento e l’Irap al 4,25 per cento), dall’altro.



Come è la tassazione negli altri paesi europei?

Per quanto riguarda gli interessi il modello di tassazione prevalente nella Unione Europea non è più l’imposizione ordinaria (imposta personale e progressiva sul reddito), ma un insieme variegato di regimi sostitutivi e separati. Nell’Europa a 25, gli interessi rimangono assoggettati al regime ordinario di tassazione solo nel Regno Unito e Slovenia e, per opzione del contribuente, in Belgio, Francia e, in parte, in Germania.
I regimi di tassazione separata o sostitutiva prevedono generalmente una sola aliquota di tassazione (anche se in molti paesi, soprattutto fra i nuovi entranti, sono previste esenzioni per varie tipologie di interessi) il cui livello varia fra il 10 e il 35 per cento, ma è generalmente non inferiore al 15-20 per cento (ad esempio, 27 per cento in Francia, 31,65 per cento in Germania al di sopra di una soglia esente, dal 20 al 40 per cento nel Regno Unito, 28 per cento in Finlandia).
Nei paesi nordici, che applicano sistemi cosiddetti di dual income tax, l’aliquota sui redditi di capitale coincide con l’aliquota base dell’imposta personale progressiva sul reddito.



Fissare una aliquota superiore al 12,5 per cento può provocare una fuga di capitali?

L’enfasi posta su questa eventualità va sicuramente ridimensionata.
In primo luogo, perché l’aggravio medio per il contribuente sarebbe limitato, in quanto l’aliquota sui depositi bancari e postali si riduce corrispondentemente.
In secondo luogo, perché anche se si investe all’estero, occorre pagare le imposte in Italia, con le stesse aliquote applicate ai redditi di capitale interni. Se non lo si fa, è perché si evade. Ma vi sono strumenti crescenti di controllo e contrasto di questo tipo di evasione. Vi è un sistema di monitoraggio interno sui movimenti di capitale da e per l’estero. Dal luglio 2005 è poi in vigore una direttiva europea che prevede lo scambio di informazioni automatico fra paesi sul pagamento di interessi a contribuenti europei. I paesi che non vi hanno aderito, applicano una ritenuta alla fonte del 15 per cento, che aumenterà progressivamente fino al 35 per cento, con retrocessione del 75 per cento del gettito al paese di residenza del percettore. Anche importanti paesi, non appartenenti alla Unione, hanno aderito all’accordo e operano una ritenuta alla fonte ai livelli indicati (per esempio, Svizzera e Liechtenstein), o concorrono allo scambio di informazioni (come Monaco e San Marino). Certo, sfuggendo al monitoraggio e cioè utilizzando canali illegali, si può sempre andare alle Cayman o altro paradiso fiscale in cui la direttiva non si applica ma ci si va già adesso e, semmai, non solo per risparmiare il 12,5 per cento di imposta.



Se si aumentasse l’aliquota sugli interessi dei titoli pubblici non si correrebbe il rischio di un aumento dei rendimenti lordi che lo Stato deve garantire ai sottoscrittori, con il risultato che il Governo pagherebbe con la mano sinistra quello che ha raccolto con la mano destra?

I titoli del debito pubblico sono per lo più detenuti da soggetti esteri (55 per cento) e per il 20 per cento da banche e imprese. Per questi soggetti l’aumento dell’aliquota del 12,5 per cento non avrebbe alcun effetto. I risparmiatori (persone fisiche residenti) per i quali l’aumento dell’aliquota del 12,5 per cento ha effetto detengono meno del 16 per cento dei titoli pubblici (il restante 9 per cento è nelle mani dei fondi comuni). Difficilmente la loro domanda sarà in grado di influenzare le condizioni di offerta, e ciò a maggior ragione a seguito del progressivo allineamento dei tassi di interesse lordi fra paesi, reso possibile dall’adesione del nostro paese all’Unione monetaria europea. Non si creerebbe una convenienza a modificare la composizione del portafoglio, perché la nuova aliquota sarebbe applicata ai redditi di tutti i tipi di attività finanziaria.



È possibile che un’eventuale riforma delle aliquote si applichi in modo retroattivo?

No. Eventuali nuove aliquote si applicherebbero solo ai nuovi redditi di capitale. Dunque, l’imposta non sarebbe retroattiva. Anche per quanto riguarda le plusvalenze, come si è fatto in passato, per evitare la tassazione retroattiva si calcolano le plusvalenze maturate fino al momento dell’introduzione della nuova aliquota in modo da assoggettare al nuovo regime solo quelle maturate dopo tale data.



Che differenza c’è fra tassare anche i redditi futuri di titoli già oggi in circolazione o limitare la tassazione solo ai redditi derivanti da titoli emessi dopo una eventuale riforma?

Se si limitasse la nuova aliquota ai soli titoli emessi dopo l’entrata in vigore della riforma si creerebbero differenze di trattamento tra titoli di vecchia e di nuova emissione, facendo un bel regalo in conto capitale (e cioè nella valutazione dei titoli) a chi ha titoli più vecchi, come è puntualmente avvenuto nel 1986, al momento dell’introduzione della tassazione sui titoli pubblici. Alla differenza attuale per durata del titolo, se ne sostituirebbe un’altra per data di emissione. Inoltre questo periodo di transizione si protrarrebbe per circa un trentennio, creando segmentazioni sui mercati secondari. Diventerebbe più complessa anche la tassazione dei fondi comuni, tassati sul risultato di gestione. Per motivi di equità e di efficiente funzionamento dei mercati è dunque decisamente preferibile estendere la riforma anche ai titoli già in circolazione.



Aumentare la tassazione sui titoli pubblici significherebbe colpire i piccoli risparmiatori?

I titoli pubblici sono una componente minoritaria del risparmio delle famiglie; rappresentano secondo l’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia solo il 5,6 per cento delle attività finanziarie detenute dalle famiglie. Per affrontare il problema dell’equità della riforma proposta occorre considerare l’insieme di queste attività.



Quali sono allora gli effetti redistributivi della riforma?

Per rispondere a questa domanda occorre tener presente che la ricchezza finanziaria è nel nostro paese molto concentrata. Sulla base dei dati ricavabili dall’ultima inchiesta della Banca d’Italia sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane, corretti per tener conto delle note sottostime che emergono in questo tipo di rilevazioni campionarie, si evince che il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede, da solo, il 40 per cento dello stock di attività finanziarie (con l’esclusione di riserve assicurative e fondi pensione) dell’insieme delle famiglie, contro il solo 1,2 per cento posseduto dal 10 per cento delle famiglie più povere. Uniformare le aliquote a un livello intermedio (ad esempio, il 19-20 per cento) avrebbe quindi sicuramente effetti redistributivi positivi.



Si può fissare una esenzione per i piccoli risparmi?

Generalmente l’esenzione ai piccoli risparmiatori viene concessa nell’ambito di una tassazione personale, non di una tassazione sostitutiva, come la nostra, perché richiede di conoscere i redditi finanziari complessivamente ricevuti dal singolo risparmiatore. È comunque possibile studiare forme di esenzione, attraverso meccanismi di opzione per la tassazione ordinaria o di certificazione dell’imposta pagata da parte degli intermediari.



Quanto sarebbe il gettito che si potrebbe ottenere da una riforma di questo tipo?

Le stime del gettito atteso vanno prese con molta cautela, in quanto in larga parte dipendono dalle ipotesi che si fanno circa la rilevanza delle plusvalenze, che sono però una componente con un andamento molto erratico. Vi è poi difficoltà a stimare la tassazione dei fondi comuni, i quali stanno ancora sfruttando, in compensazione, ingenti crediti di imposta maturati in passato, a seguito delle minusvalenze conseguite sui mercati azionari.
Si parla comunque di una cifra compresa fra i 2,5 e i 4,2 miliardi. Di questi, meno di 400 milioni arriverebbero dalla tassazione dei titoli pubblici.



Ma se la nuova aliquota fosse applicata in modo uniforme a tutti i redditi di capitale e diversi, inclusi dividendi e plusvalenze azionarie, non si avrebbe un fenomeno di doppia imposizione, posto che dividendi e plusvalenze azionarie possono avere già subito un primo livello di tassazione in capo alla società?

Già oggi vi è doppia imposizione, ma questa aumenterebbe se ci si limitasse ad aumentare l’aliquota del 12,5 per cento anche sui dividendi e sulle plusvalenze azionarie. Una volta il problema non si poneva, perché c’erano delle compensazioni, che riducevano la tassazione complessiva (societaria e personale) sugli utili di impresa: la dual income tax in capo alla società e il credito di imposta ai dividendi, in capo al socio. Oggi questi correttivi non ci sono più. Se si vuole evitare di penalizzare le società che si finanziano con capitale proprio sul mercato dei capitali, occorrerà una riforma più organica che coinvolga anche la tassazione del reddito delle società. E’ questo un aspetto spesso trascurato nel dibattito, che meriterebbe maggiore attenzione .


27 marzo 2006
 

stef33

Forumer storico
l'ormai famoso articolo dell'autorevole Newsweek (USA)
Alcuni stralci tratti dal blog di Beppe Grillo

De profundis


Il settimanale americano Newsweek (comunista) ha dedicato l’articolo di copertina all’elefantino con il titolo: “Why Silvio isn’t smiling (Perchè Silvio non ride più)”.
Se l’elefantino non ride più adesso, gli italiani non ridono più da un pezzo. Almeno lui si è divertito in questi cinque anni.

Newsweek:

“Durante il governo Berlusconi la quarta economia europea è diventata l’anello più debole dell’Europa. Da un già anemico tasso di crescita dell’1,8% del 2001, l’Italia è scesa allo 0% dello scorso anno. Niente!”

“Il Cavaliere non ha fatto nella sostanza nessuno sforzo per introdurre serie riforme per invertire il declino economico dell’Italia. “Durante i suoi cinque anni non sono avvenute né grandi privatizzazioni, né riforme strutturali”, dichiara Boeri della Università Bocconi di Milano, “La sua idea è di aumentare la spesa pubblica e di tagliare le tasse per rivitalizzare la domanda”. Non ha funzionato. Numerosi uomini di business europei sono preoccupati che in futuro l’economia italiana si deteriori al tal punto da costringere l’Italia ad uscire dall’euro”.

“Si consideri la situazione potenziale che Prodi troverà in caso di vittoria. Anche se vincerà con un margine sostanziale, sarà difficile per lui avviare delle riforme economiche. La ragione? Grazie ai cambiamenti apportati alla legge elettorale dal governo Berlusconi, l’Italia è ritornata al vecchio sistema della rappresentanza proporzionale che ha creato coalizioni instabili in passato. “Il Paese sarà molto meno governabile”, dice John Harper del centro di Bologna della John Hopkins University.

“La bilancia commerciale italiana ha superato i 10 miliardi di euro di deficit nel 2005, un risultato dovuto sia all’aumento del costo dell’energia, sia alla crescita del costo del lavoro. Il deficit di bilancio delle nazioni europee non dovrebbe superare il 3% del prodotto interno lordo. Molte nazioni lo hanno superato, ma l’Italia, intorno al 4%, è tra le peggiori”.

“Si confronti la crescita zero dell’Italia con quella delle altre nazioni europee: Spagna 3,4%, U.K. 1,8%, Francia 1,4%”.

Sento un rumore di pentole, di pentole argentine.
Durante questi anni alcuni gruppi, alcune persone, si sono enormemente arricchiti, mentre il Paese si impoveriva e si trova oggi di fronte a un possibile salto nel buio.
Credo che sia corretto che il prossimo Governo istituisca una commissione che verifichi la liceità di questi patrimoni e, in caso contrario, li utilizzi per ridurre il deficit dello Stato.
 

gelsomina

Nuovo forumer
motivata dalla volontà di ridurre la distanza fra il prelievo sui redditi finanziari, da un lato, e quello sui redditi di lavoro (tassati con le aliquote Irpef dal 23 al 43 per cento)

Quello che gli esperti non tengono conto sono i rischi. Quando una persona perde il lavoro (se garantito e protetto dipendente o pubblico) vi sono gli ammortizzatori sociali come cassa integrazione, mobilità, indennità di disoccupazione.
Quando una persona perde sugli investimenti c'è la depenalizzazione del falso in bilancio, i controlli delle autorità preposte che non funzionano, e ci si trova spesso con una controparte (società emittenti, intermediari) più forte.
Come è garantito dallo stato questo??
 

gelsomina

Nuovo forumer
fo64 ha scritto:
Riporto dal sito www.lavoce.info:

Quale sarebbe il livello ottimale per un’aliquota unica sui redditi finanziari?

I redditi di capitale sono spesso tassati con regimi proporzionali, fuori dal regime progressivo che grava sui redditi di lavoro. Mediamente quindi sono meno tassati rispetto ai redditi di lavoro.
La scelta di una aliquota intermedia, fra le due attualmente esistenti (12,5% e 27%) è motivata dalla volontà di ridurre la distanza fra il prelievo sui redditi finanziari, da un lato, e quello sui redditi di lavoro (tassati con le aliquote Irpef dal 23 al 43 per cento) e delle società di capitali (tassati con l’Ires al 33 per cento e l’Irap al 4,25 per cento), dall’altro.

Quello di cui gli esperti non tengono conto sono i rischi e le garanzia.
Quando una persona perde il lavoro (se garantito e protetto dipendente o pubblico) vi sono gli ammortizzatori sociali come cassa integrazione, mobilità, indennità di disoccupazione.
Quando una persona perde sugli investimenti c'è IL PROPRIO RISCHIO la depenalizzazione del falso in bilancio, i controlli delle autorità preposte che non funzionano, e ci si trova spesso con una controparte (società emittenti, intermediari) più forte.
Come è garantito dallo stato questo??

Dietro il reddito da capitale o da lavoro vi è IL PERCETTORE.
 

pierrone

Forumer attivo
eh no, non possiamo confrontare cuneo fiscale con aliquota sulle plusvalenze!

A fronte dei contributi i lavoratori ottengono un diritto pensionistico!
 

f4f

翠鸟科
pierrone ha scritto:
eh no, non possiamo confrontare cuneo fiscale con aliquota sulle plusvalenze!

A fronte dei contributi i lavoratori ottengono un diritto pensionistico!

giusto

Pier
per caso hai verificato se per i cittadini italiani non residenti in italia
il capitalgain sia a titolo d'imposta o d'acconto?
perchè, così a naso, i redditi prodotti all'estero pagano le imposte estere

ciao
 

utente eschimese

Nuovo forumer
Il Canton Zugo offre un buon supporto governativo e delle infrastrutture amministrative valide. Molte societа famose hanno la propria sede centrale nel Canton Zugo, che prediligono per le bassissime aliquote fiscali e il clima favorevole agli affari.

Le holding e le società domiciliate (dette anche società di sede) sono soggette ad un’imposta cantonale e comunale minima e calcolata unicamente sul patrimonio netto. Il tasso si aggira attorno allo 0,24%. Una società con CHF 100'000 di patrimonio netto versa circa CHF 240.-- all’anno di imposte cantonali e comunali. In pratica, un'inezia.

Per poter ottenere tali benefici, una società holding o di domicilio deve svolgere la sua attività al di fuori della Svizzera.


La società holding pura, paga solo 0,75 per mille calcolato sul capitale nominale (per capitale nominale é da intendersi il capitale azionario iscritto nella Camera di Commercio).

Per quanto riguarda i rapporti internazionali, le società holding hanno il diritto al recupero di imposte alla fonte estere sulla base dei trattati internazionali tendenti ad evitare la doppia imposizione limitatamente ad interessi e dividendi e su altri redditi nella misura in cui sono imposti come utili.

Possiamo costituire una nuova holding per voi in circa una settimana per un onorario molto ragionevole. Se dovesse occorrervi ulteriore assistenza, quale la presenza di direttori svizzeri, consulenti amministrativi o fiscali, servizi immobiliari, permessi residenziali, saremo lieti di fornirvi i migliori professionisti disponibili.
Vi forniamo tutta la lista dei documenti da produrre per procedere alla registrazione della holding in Svizzera e vi aiutiamo nella scelta della sede, in maniera tale da crearvi una struttura particolarmente attraente dal punto di vista fiscale.

Vi informeremo sulle pratiche burocratiche da esplicare, il regime di tassazione, i metodi contabili in uso, ecc.

In pratica, vi forniamo tutto il supporto necessario per dare avvio alla vostra attività in Svizzera.
 

fo64

Forumer storico
pierrone ha scritto:
eh no, non possiamo confrontare cuneo fiscale con aliquota sulle plusvalenze!

A fronte dei contributi i lavoratori ottengono un diritto pensionistico!

Non era mia intenzione fare confronti, ho sbagliato ad inserire qui la notizia...
volevo metterla nel solito thread quotidiano delle news ma mi son perso via :lol:
Adesso non riesco a toglierla, non vorrei fare danni :ops:
 

idefix

Forumer attivo
utente eschimese ha scritto:
........ Il tasso si aggira attorno allo 0,24%.

.........Per poter ottenere tali benefici, una società holding o di domicilio deve svolgere la sua attività al di fuori della Svizzera.

Lo penso da molto..... a certi paesi bisognerebbe fargli un guerra..... altro che iraq.
Abbiamo 15.000 militari sparsi pe ril mondo a difendere inesistenti "interessi nazionali" sotto copurtura "umanitaria" quando abbiamo un "nemico" alle porte.
Io speravo che con la Ue unita questo schifo di svizzera montecarlo s.marino finisse.
illuso che sono :(
 

utente eschimese

Nuovo forumer
idefix ha scritto:
Lo penso da molto..... a certi paesi bisognerebbe fargli un guerra..... altro che iraq.
Abbiamo 15.000 militari sparsi pe ril mondo a difendere inesistenti "interessi nazionali" sotto copurtura "umanitaria" quando abbiamo un "nemico" alle porte.
Io speravo che con la Ue unita questo schifo di svizzera montecarlo s.marino finisse.
illuso che sono :(

sbagli, vantaggi fiscali x le holding in europa oltre la svizzera e il "classico" lussemburgo ci sono anke la Spagna e l' Inghilterra..............

come vuoi l' UE possa far guerra alla Svizzera avendo a maggior parte degli stati membri concluso accordi bilaterali x l' esenzione della doppia imposta ?
......business is businness...........non si può confrontare la svizzera con Montecarlo o san Marino :rolleyes: ....Illuso che sei ? xchè x andarti bene uno stato di deve tassare xsino le mutande come in Italia e disservizi a go go , se poi avessimo almeno la metà delle aziende che ha la svizzera in tutti i campi, ol il reddito pro capite x non dire i salari medi, se ci fossero tutte le agevolazioni che danno i vari cantoni x una start up, se avessimo un sistema di prelievo fiscale che ti fà pagare solamente l' imposta invece di dover pagare oltre a quella i vari commercialisti e via dicendo, se avessimo un immigrazione regolata che considera in prospettiva l' esigenze previdenziali dei suoi cittadini x il futuro, e potrei andare avanti e non x sentito dire :no: ..........mi sembra che l' opinione italiotta poveracci e convinti sia ankora in voga ....contenti voi potete, far la guerra a tutto il mondo ... :-o
 

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